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Autore: Dalybook04    28/10/2020    1 recensioni
Ispirato a "Shatter Me" di Tahereh Mafi
Lovino era un mostro. Come altro poteva definirsi? Cos'altro poteva essere un ragazzo che distruggeva tutto quello che toccava e uccideva chiunque provasse a sfiorarlo? Un mostro, appunto.
Ormai erano passati anni dall'ultima volta che aveva toccato qualcuno; dall'ultimo abbraccio, l'ultima stretta di mano. Neanche si ricordava più come fosse sfiorare qualcuno. Essere tranquillo in mezzo agli altri, senza il terrore di toccare qualcuno per sbaglio e ucciderlo. Ma è anche vero che non vedeva nessuno da anni, per cui non soffriva la distanza. Non appena aveva mostrato i suoi poteri per la prima volta, la Restaurazione lo aveva preso e sbattuto in manicomio. Non ricordava molto, ma, se da allora aveva visto qualcuno, quel qualcuno erano scienziati e psichiatri, di cui aveva anche rimosso il ricordo. All'alba dei suoi sedici anni lo avevano sbattuto in cella, avevano smesso di drogarlo e lo avevano lasciato lì a marcire.
Poi, circa un anno dopo, quella porta si aprì.
ATTENZIONE: verranno trattati argomenti delicati, ci saranno scene anche pesanti, soprattutto nell'ultima parte della storia.
Inoltre saranno presenti coppie boy×boy
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Antica Roma, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Okay, piccola premessa.
Questo capitolo è più corto rispetto agli altri (1400 parole circa), ed è piuttosto sbrigativo (avevo scritto una versione migliore e più lunga ma Watty è un bastardo e non me l'ha salvata, quindi ho dovuto in parte riscrivere tutto e penso si noti la mia poca voglia). Me ne scuso, e probabilmente lo risistemerò un giorno, ma questo capitolo rappresenta essenzialmente un momento di transizione, un passaggio verso la seconda parte della storia (con capitoli più lunghi, non preoccupatevi). Questo mi porta al secondo punto della mia premessa: questa è la prima volta che scrivo una storia di questo tipo, ovvero lunga, complessa, in certi punti d'azione, con un cattivo... quindi, se fosse deludente e/o scontata e/o prevedibile e/o ci fossero dei buchi di trama, vi prego di farmeli notare, così li posso correggere e migliorare.
Bene! Ora, finita questa filippica inutile, vi lascio alla storia.

Forse dovrei descrivervi tutta la parte di pianificazione, i problemi risolti e quelli critici, le ipotesi, i piani di emergenza, le idee geniali venute alle tre di notte...
Però così vi toglierei la sorpresa e ammazzerei la suspence, non credete? Facciamo che saltiamo avanti e il piano lo capite piano piano, come nella casa di carta, ma senza le rapine e le maschere di Dalì. Il piano ve lo spiego passo passo. Potete ringraziarmi dopo, la vostra curiosità avrà sicuramente apprezzato.
Dunque... sì. Passiamo a quando Lovino stava per partire, circa un mese dopo.
Feliciano gli rimase appiccicato tutto il giorno.
-fratelloneeee...
-Feli, non respiro...
-mi mancherai, fratellone!
Lovino sospirò e gli diede qualche pacca sulla spalla, ancora leggermente a disagio a toccarlo così liberamente -anche tu, Feli, anche tu.
Romolo rise -dai, Feliciano, lascialo stare.
-no!
Lovino sbuffò -noi andiamo a mangiare- uscì dallo studio del nonno e si trascinò dietro il fratello verso la mensa -ho fame. Scollati.
Feliciano questa volta obbedì, ma gli prese la mano -mi mancherai, fratellone!
-lo so. Anche tu- gli spettinò i capelli con un mezzo sorriso.
Il fratellino si imbronciò -non mi va giù che tu vada tutto da solo.
-di più non si può.
-è pericoloso.
-sono più al sicuro di tanti altri. Non possono farmi male fisicamente. Non preoccuparti.
-ve, possono avvelenarti!
-non se sto abbastanza attento da non farmi scoprire- cercò di mostrarsi sicuro, anche se non lo era per niente -non preoccuparti, non sono un idiota. Tuo fratello è più furbo di quanto tu creda.
Feliciano non sembrava convinto, ma annuì -quando parti?
-domani mattina, sul presto.
-ve, mi passerai a salutare?
-non penso. Non mi va di buttarti giù dal letto all'alba.
-uffa.
In quel momento Lovino si sentì abbracciare da dietro, da qualcuno che gli aveva posato le braccia intorno alle spalle.
-Loviiiiii.
-no, ti prego. Sono appena riuscito a staccare Feliciano.
-mi mancherai, Lovi!- replicò Antonio, con un adorabile tono lamentoso da bambino. Non che Lovino lo trovasse adorabile. Figuriamoci -mi mancherai muchissimo!
-sì sì- roteò gli occhi -neanche dovessi partire per la guerra.
-be'... vai a fare la spia. Più o meno siamo lì.
Feliciano rise e si avviò al solito tavolo, dove già lo aspettava Ludwig. Antonio ne approfittò per sussurrargli all'orecchio -dormiamo insieme stanotte?
-no. Mi viene a svegliare il nonno domani. Se ci trova a letto insieme ti fa cantare da soprano per il resto della tua vita.
Antonio annuì, a malincuore.
-però posso restare un po' da te comunque- si affrettò ad aggiungere Lovino.
-va bene- si sforzò di sorridere e lo baciò sulla testa -mi mancherai, querido.
Lovino gli rivolse un piccolo sorriso, e stava per rispondere quando Gilbert li interruppe dal tavolo.
-oi, Tonio! Vieni a sentire che ha combinato Fran.
-arrivo!
Dopo cena, Feliciano gli si attaccò nuovamente a cozza.
-fratellone!- tirò su con il naso -mi mancherai!
-anche tu, Feli- gli diede qualche pacca sulla spalla.
-stai attento!
-certo- gli fece l'occhiolino e si sforzò di abbozzare un sorriso -fidati di tuo fratello. Mentre non ci sono manda avanti tu la baracca, e tieni d'occhio il nonno, stai attento che non lavori troppo.
Feliciano annuì e si allontanò da lui -va bene, fratellone.
-e occhio al crucco- continuò in italiano. Gli fece l'occhiolino -sei piccolo per certe cose.
Feliciano arrossì come un pomodoro, ma annuì, guardando sottecchi il suo ragazzo.
Dopo di lui lo salutarono tutti gli altri. Francis gli stampò due baci sulle guance, Gilbert gli diede qualche pacca sulla schiena con un "non prenderti tutta la gloria per te, kesesesese!", e persino Ludwig e Kiku gli strinsero la mano augurandogli buona fortuna. Dopo tutto questo si voltò verso Antonio, che lo osservava con un sorriso triste.
-andiamo, ti accompagno in camera.

Lovino non voleva andarsene. Non voleva.
-dovrei tornare in camera...- si lasciò sfuggire tra un bacio e l'altro. Antonio lo baciò nuovamente per qualche secondo prima di rispondere.
-dovresti.
-eh- nascose il viso contro la sua spalla, cercando di non piangere. Doveva essere forte, non poteva permettersi piagnistei. Non poteva permettersi il lusso di avere paura.
-Lovi?
-che c'è?
-stai tremando. Hai paura, vero?
-sono fottutamente terrorizzato- non aveva senso mentirgli. Lo conosceva troppo bene.
-se vuoi puoi chiedere a tuo nonno di non andare- c'era una sottile speranza nella sua voce -sono sicuro che capirebbe.
-no, non posso. Voglio farlo. Devo. Anche se ho paura.
Antonio sospirò -be', ci ho provato- lo baciò sul collo -allora fai quel che devi fare e poi torna da me, chiaro?
Lovino sollevò la testa e lo guardò negli occhi. Antonio sorrideva, per rassicurarlo, anche se sembrava triste. Si sforzò di ricambiare il sorriso.
-sarà al massimo per qualche mese- e si sforzò di crederci veramente.
-lo spero- gli prese la mano e ne baciò il dorso, facendolo arrossire.
-idiota.
-ti amo anch'io- lo baciò sulla fronte -però adesso tieni questo.
Gli porse il crocifisso di prima. Lovino esitò.
-no dai...
-sul serio. Mettitelo. Così sarò più tranquillo.
Sospirò -e va bene, cagacazzi- si girò e se lo lasciò allacciare al collo, poi tornò a baciarlo -adesso però devo andare.
Antonio annuì, accarezzandogli la guancia. Lo baciò un'ultima volta, lo scrutò per qualche secondo, come per imprimersi nella memoria il suo viso, poi lo lasciò andare. Lovino si sentiva le gambe di pietra, ma in qualche modo riuscì a uscire e a tornare in camera sua, senza guardarsi indietro. Inspirò profondamente prima di chiudersi la porta alle spalle e andare a letto, addormentandosi, in qualche modo, all'istante.

Lovino fu svegliato da una voce gentile e da un gatto sulla testa.
-forza, dormiglione. Ti ho portato il caffé.
Aprì gli occhi, si tolse Cesare dalla testa e incontrò quelli del nonno, identici a quelli di Feliciano. Sospirò -dammi due minuti per cambiarmi.
Quando fu pronto fece per uscire dalla camera, ma Cesare gli miagolò in segno di protesta. Sospirò e si inginocchiò davanti a lui, accarezzandoli.
-senti, io non vorrei, ma devo andare.
-miao- sembrava contrariato.
-lo so, lo so. Vorrei restare a giocare con te, ma non posso.
Cesare soffiò infastidito.
-non sarà per tanto. Non ti preoccupare, ho detto a Feli di darti da mangiare e di cambiarti la lettiera- al nome di Feliciano Cesare sembrò calmarsi. Gli piaceva, quel ragazzino -e conoscendolo verrà a giocare e a coccolarti di continuo. Sarà come se non me ne fossi andato.
Cesare inclinò il capino da una parte, poi gli si strusciò contro facendo le fusa e gli leccò la mano, forse la più grande dimostrazione si affetto che avesse mai fatto. Lovino sentì gli occhi inumidirsi.
-mi mancherai anche tu. Tieni d'occhio mio fratello e Antonio, va bene?
Un altro miagolio, poi si allontanò e tornò sul cuscino che gli faceva da cuccia.
Lovino si alzò, ignorando la risatina di suo nonno, e lo seguì attraverso corridoi che non aveva mai visto, fino a una scala che portava ad una botola. Oltre c'era un vecchio garage malandato, dove c'era solo un vecchio furgone.
Romolo si voltò verso di lui e allargò le braccia, dove il nipote si fiondò senza esitare. Lì, per qualche minuto, nella penombra, riusci quasi a immaginare di essere tornato quel bambino che era prima di tutto quel casino, quel bambino che, per ogni problema, poteva rifiugiarsi dal nonno, che lo rincuorava e poi risolveva tutto come per magia. Il nonno era sempre stato lì, grande e forte, a prendersi cura di lui e suo fratello. Era una roccia, un appiglio, un porto sicuro che lo aveva sempre protetto, in ogni situazione.
-se non te la senti- interruppe così il silenzio -non c'è problema, davvero. Basta che tu me lo dica e...
Ma Lovino ormai non era più un bambino.
-vorrei dirti di sì, ma... no. Vado.
Il nonno sospirò -immaginavo. Sei testardo quanto me, eh?- lo lasciò andare e gli spettinò i capelli con affetto -mi ricordi tua madre. Lei...- esitò. Non ne parlava mai, non importava quanto lui e Feliciano insistessero. La mamma era sempre stato un argomento tabù da quando era morta per dare alla luce Feliciano, quando Lovino era troppo piccolo per ricordarsi di lei -sarebbe fiera di te.
Il ragazzo annuì -grazie nonno.
-dai, sbrighiamoci.

Tre ore dopo Lovino si trovava davanti a una caserma della Restaurazione. Era andato lì in macchina con suo nonno, che lo aveva lasciato il più vicino possibile alla caserma più vicina, che era comunque nel bel mezzo del nulla, a mezzo chilometro da un piccolo villaggio di contadini. La caserma era un piccolo edificio, un cilindro di pietra basso e triste, con un paio di finestre e dei fucili da cecchini che avevano l'aria di non essere usate da decenni sul tetto. Ma sventolava la bandiera della Restaurazione sulla cima, e questo era l'importante.
Lovino raggiunse la caserma ed esitò davanti alla porta. Poi la spalancò.
-sono Lovino Romano Vargas e voglio collaborare!

   
 
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