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Autore: Shadow writer    29/10/2020    5 recensioni
Tridell è una moderna metropoli in cui nessuno è estraneo a scandali e corruzioni. Una giovane donna, abile nell'uso delle vie più o meno lecite, si è fatta strada fino alla vetta di questo mondo decadente.
Dalla storia:
“La duchessa viveva in periferia.
Il suo era un palazzo dall’esterno modesto, circondato da una striscia di giardino prima del grande cancello metallico. Chiunque avesse avuto l’onore di entrarvi, parlava di stanze suntuose, pareti affrescate, una grande corte interna, in cui si innalzava una fontana zampillante decorata da statue di marmo bianco. […]
Chi lei fosse veramente, non si sapeva. Che non avesse davvero il sangue blu, questo era quasi certo, ma nessuno osava contestarlo.
La verità sul suo conto, qualunque fosse, non era nota al pubblico, e alla gente piaceva guardare a questa donna enigmatica nel costante sforzo di capire chi fosse, senza mai riuscirci.”
[Storia partecipante al contest “Il Lago dei Cigni” indetto da molang sul forum di Efp.]
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La duchessa '
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Epilogo
 
 
 
Alexander si lasciò trascinare per i corridoi del carcere, con un poliziotto per lato che lo teneva.
Era trascorsa una settimana da quando lo avevano rinchiuso e sapeva che erano stati clementi con lui. La cella che gli avevano assegnato era pulita e aveva una finestra abbastanza ampia da far filtrare la luce del giorno.
Quello che non riusciva a sopportare, erano gli sguardi di disprezzo che gli rivolgevano tutti, polizia, secondini, persino gli altri carcerati. La sua faccia era diventata sinonimo di traditore della patria e lui non riusciva ad accettarlo.
L’unica persona che non aveva smesso di guardarlo con amore, era stata Camille. Quando era venuta a fargli visita, lo aveva rassicurato, accarezzandogli una mano. La guardia era intervenuta subito per separarli, ma Alex si era sentito rincuorato.
I due secondini lo condussero nella sala interrogatori, dove sapeva che suo padre lo stava aspettando. Non era pronto a vedere il suo sguardo di rimprovero e ad ascoltare le sue parole di scherno, ma sapeva di non avere scelta.
Suo padre era già nella sala, in piedi accanto al tavolo dove lo fecero sedere. Ringraziò i due uomini, che li lasciarono soli e chiusero la porta nell’uscire.
«Ci stanno ascoltando?» domandò Alex, guardando la parete riflettente alla sua destra. La superficie gli rimandò il riflesso di un uomo scarmigliato, con quella ridicola tuta grigiastra che gli pendeva sul corpo come un sacco dello sporco.
«No, me l’hanno assicurato» gli rispose il padre in tono rude.
Non era il loro primo colloquio e Robert aveva già avuto modo di riversare addosso al figlio la sua rabbia e frustrazione. Alex sapeva che non ce l’aveva con lui per quello che aveva fatto, ma perché era stato abbastanza stupido da farsi beccare.
Discussero per qualche istante delle opzioni che avevano. Suo padre voleva evitare che dovesse dichiararsi colpevole e ancora sperava che ci fosse un modo di dimostrare la falsità del filmato. Benché le parole che i due pronunciavano nel video fossero ben chiare, rimaneva il fatto che uno dei due interlocutori era in ombra e questo poteva giocare a loro favore.
«In ogni caso, non hanno esitato a cacciarci dal municipio» gli stava dicendo Robert, camminando avanti e indietro per la stanza con fare militaresco.
«L’indagine ha coinvolto tutto il tuo team, quindi per non lasciare la città senza amministrazione, Richard Leroy ha ripreso temporaneamente l’incarico».
Alex si massaggiò le tempie, mentre assimilava la notizia. 
Suo padre fece uno sbuffo indignato: «Come se quell’uomo fosse pulito. Ricordi Caroline Thompson?»
Alex gli rivolse uno sguardo interdetto, senza capire cosa centrasse quella vecchia amica di sua madre con la faccenda.
L’altro lo accontentò subito: «Ricordi che non poteva avere figli? Ha deciso di tentare con l’adozione e ha aspettato un anno prima che gliene affidassero uno. Gabriel Leroy lo ha ottenuto in una settimana.»
Alex sentì un brivido attraversarlo e lentamente portò gli occhi su suo padre, raccogliendo il coraggio per fare una domanda di cui temeva la risposta.
«Quale bambino?»
Suo padre parve sorpreso dal suo interesse, ma la cosa non lo preoccupò, perché subito rispose: «Il piccolo dei Fairbanks. Anche quella povera coppia, te lo dico io, è stata incastrata per qualcosa più grande di loro…»
Alexander smise di ascoltare. Si estraniò dallo spazio e dal tempo, catapultandosi fuori da quella stanza squallida nel carcere di Tridell.
Emily aveva Noah. Emily aveva raggiunto il suo obiettivo. Era stato quello il suo piano? Fin dall’inizio? Non dubitò più delle parole di Jefferson, perché ormai sapeva che aveva ragione. Solo Emily era presente quella sera oltre a Lowe e solo lei ci aveva guadagnato dal diffondere il video che lo aveva fatto finire in carcere.
Si sentì usato e poi buttato come uno straccio ormai logoro che ha smesso di essere utile. Ancora una volta, non poté evitare di darsi dello stupido. I segni erano chiari, fin dall’inizio Emily gli aveva detto di non volerlo aiutare. “È così bello sentirti dire che hai bisogno di me. Finalmente sai cosa si prova” gli aveva detto la prima sera in cui si erano visti, “Ed è così bello dirti di no“.
Come Medea, anche lei aveva avuto la sua vendetta e Alex non poteva far altro che guardarla trionfare.
 
 
***
 
 
 
Emily seguiva con il dito i disegni sulla carta, leggendo sottovoce il testo del racconto. Il suo indice sfiorò una nuvola celeste e si spostò sulla capigliatura splendente del protagonista.
Gettò uno sguardo al suo fianco e vide che, avvolto dalle coperte e circondato da mille cuscini, Noah si era addormentato.
Chiuse delicatamente il libro e si alzò dal letto, poi gli rimboccò le coperte e si concesse di lasciargli una carezza sul volto, fermandosi un istante ad ammirarlo. Non aveva mai conosciuto vista migliore. Suo figlio dormiva sotto il suo tetto, abbracciato all’orsacchiotto peluche che si era portato dalla vecchia casa.
Emily lo osservò ancora per qualche minuto, poi si decise ad uscire dalla stanza e lasciarlo solo. Si spostò nella propria camera da letto – adiacente a quella di Noah – e trovò Roman seduto sulla poltrona di fronte al letto.
Quando lei entrò, l’altro si alzò in piedi e le andò incontro.
«Sta dormendo?» le chiese, ricevendo un segno di assenso in risposta.
«Ancora non riesco a crederci» confessò Emily senza trattenersi dallo sfoderare un grande sorriso.
Noah era arrivato quella mattina e aveva accettato con straordinaria tranquillità l’idea di una nuova casa – solo provvisoriamente, gli era stato detto. Emily aveva preparato da tempo la storia da raccontargli, per spiegargli che era lei la sua vera mamma e perché lo aveva lasciato ad un’altra famiglia, ma non aveva ancora avuto il coraggio di farlo. Temeva di sconvolgerlo e di terrorizzarlo. Aveva aspettato tutti quegli anni e, anche se era impaziente di ricucire il rapporto con suo figlio, sapeva di poter attendere ancora un poco di più per fare le cose bene.
Quando lo aveva visto varcare la soglia del suo palazzo, avrebbe voluto che Roman la pizzicasse per assicurarsi che fosse tutto vero. Aveva riprodotto quell’immagine nella sua testa migliaia di volte, ma viverla davvero era stato ancora più bello e spaventoso. Noah doveva ricordarsi di lei dalla cena, perché non era sembrato troppo sconvolto. Era stato educato, a tavola aveva mangiato tutto e aveva aiutato a sistemare i suoi giocattoli nella nuova cameretta. Emily ancora temeva che dopo tutta quella calma ci sarebbe stata una tempesta, ma il suo cuore era troppo traboccante di gioia perché se ne preoccupasse veramente.
«Vuoi rimanere con me? Stanotte non me la sento di dormire da sola» chiese a Roman e lui le sorrise, comprensivo.
«Certo, mia duchessa» le rispose scherzoso.
Emily allungò una mano e gli sfiorò braccio, cercando i suoi occhi: «Non ce l’avrei mai fatta senza di te.»
«Lo sappiamo entrambi, cara».
Lei si slanciò in avanti e l’abbracciò. Roman era stato la sua ombra in tutti quegli anni e ormai lo sentiva come parte di se stessa. Era come un fratello per lei e il fatto che avesse messo da parte la sua vita privata per aiutarla ancora la faceva sentire in colpa.
Quando le aveva rivelato di aver diffuso lui stesso il video che lo riguardava, Emily si era sentita sconvolta. Troppe emozioni l’avevano attraversata: rabbia perché glielo aveva taciuto, dolore per il suo sacrificio, confusione per la scelta che aveva fatto, ma alla fine aveva compreso che non avrebbe dovuto stupirsi. Il Roman che conosceva era fatto così.
«Stai ancora respirando?» le chiese e lei sciolse l’abbraccio, ridacchiando.
Si diresse verso il letto e s’infilò sotto le coperte dal suo lato, mentre Roman faceva altrettanto dall’altra parte.
«Qual è la prossima mossa?» le chiese e ricevette uno sguardo confuso da parte di lei.
«In che senso?»
Roman rise: «So cosa significa quell’espressione, Cassandra
Il viso di lei si corrucciò, come punta sul vivo. Fingere che lui non le leggesse dentro era un’illusione. Allora raccolse tutta la sua decisione e indossò la sua faccia da duchessa, con il mento alto e la schiena dritta. Piantò i propri occhi in quelli scuri di Roman e scandì bene le parole: «Ora capiamo come diavolo tirare fuori Alexander da quel carcere.»







 




 
Angolo autrice
Ciao a tutti!
Grazie di cuore a tutti coloro che sono arrivati fin qui e hanno letto la storia, sia silenziosamente, sia facendomi sapere i loro pensieri. 
Questa storia è stata scritta per un concorso con un limite di lunghezza, quindi la prima parte si ferma qui, ma le vicende continuano con La duchessa - Atto IISpero di potervi ritrovare anche in questa seconda parte <3

Ancora grazie per aver seguita la storia fino a questo punto!

Alla prossima,

M.


P.S.: EFP mi ha cancellato questo capitolo che avevo precedentemente pubblicato per non so quale strano motivo, quindi mi scuso se qualcuno avesse per caso ricevuto la notifica di un nuovo aggiornamento. Ho solo ripubblicato l'epilogo.

P.P.S: sono anche su instagram!

 
   
 
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