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Autore: time_wings    29/10/2020    2 recensioni
In una città in cui piove ogni giorno, una negozio colorato spicca tra case grigie e righe di pioggia.
Due anime che non possono incastrarsi si incontrano per caso e il fastidio fiorisce in un sentimento più profondo che sa di grandi speranze.
Oikawa non ha un ombrello e Iwaizumi non ha pazienza.
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Gocce di fiori






Il futuro sapeva di grandi promesse e incalcolabili aspettative. Soprattutto se lo si guardava attraverso una goccia grigia di pioggia primaverile. Se fosse stato così per tutti, non ci sarebbe stato neanche un abitante, in città, che non sapesse sognare. I passi falsi, visti dagli occhi ignari di chi non li aveva ancora compiuti, sembravano un agglomerato di insignificanti errori che acquisivano anche un certo fascino, una fatalità poetica e incapace di radere al suolo quelle brillanti potenzialità.
Lì pioveva ogni giorno.
Il cielo intero cadeva sulla città mettendo un filtro rigato su tutto ciò con cui si voleva guardare il mondo. Sapeva tramutarsi in blu solo due giorni l’anno.
Iwaizumi si affacciò alla finestra, poggiando la testa su una mano e osservando lo scrosciare incessante che gli limitava lo sguardo. Altri mille sguardi si radunavano ogni tanto a godersi lo spettacolo: chi con occhi colmi ancora di meraviglia, chi con l’opacità della disillusione e chi con lo sguardo indecifrabile tipico solo dell’attesa.
Per quanto riguardava Iwaizumi, un tipo pratico e sempre con i piedi per terra, la sua attesa non era altro che i dieci minuti che lo separavano dall’inizio del suo turno. E, per fortuna, finirono prima che gli sguardi malinconici del vicinato lo annoiassero.
La signora Kyuusen gli aveva fatto un gran favore ad assumerlo per la primavera. Cercava una libertà economica anche minima, negli ultimi tempi, e a furia di salutarlo ogni mattina, quando passava necessariamente davanti al suo negozio, aveva finito per chiamarlo dentro e offrirgli un lavoro.
Iwaizumi ne era stato colpito. Aveva sgranato gli occhi e aveva velocemente analizzato la situazione: non ne sarebbe venuto fuori niente di cattivo e aveva, letteralmente, tutto da guadagnare. Quando le aveva chiesto come avesse capito che cercava lavoro, la donna aveva semplicemente scrollato le spalle e aveva affermato che ormai vedeva persone nel suo negozio da oltre cinquant'anni e che sapeva benissimo cosa cercavano. Iwaizumi non era stato sicuro di aver capito quanto in profondità potesse scavare lo sguardo del suo nuovo capo, ma aveva deciso di non indagare.
Quel giorno, il futuro gli mostrò un assaggio di una delle sue grandi promesse.
Il campanello alla porta trillò e il profumo di ginestre e lavanda gli arrivò per primo al naso. La signora Kyuusen era chinata tra i fiori e alzò di scatto lo sguardo, raddrizzandosi con la rapidità di una ventenne e sorridendo calda al giovane. “Bentornato, accomodati. Ti sei bagnato?”
Iwaizumi scosse la testa. “Solo qualche goccia. Il negozio è a due passi da casa.”
Si richiuse la porta alle spalle, ovattando il suono della pioggia che crollava in quel suo modo appagante sulle luci sfocate della strada. La fioreria della signoria Kyuusen, a uno sguardo poco attento, poteva apparire poco curata e sciatta. La pittura turchese degli scaffali era scrostata in certi punti, rivelando il suo interno di legno, il cotto che faceva da pavimento sapeva di vecchio e il cemento tra le piastrelle si era annerito, ma non era quello a fare la magia. Il negozio aveva un fascino tutto suo. Chi ci passava davanti, spesso non sapeva perché entrava. Alcuni erano attratti dall’odore armonioso dei fiori, altri dall’insegna umile ma capace di stregare, altri ancora dalla chiazza colorata che spiccava nel grigio della pioggia.
“C’è da travasare quelle campanule,” lo avvertì gentilmente la proprietaria e Iwaizumi obbedì immediatamente, infilando i suoi guanti da giardinaggio e afferrando una busta di terriccio.
La signora Kyuusen lo osservò per un attimo armeggiare silenzioso con la pala. Sotto quella corteccia, pensò con un sorriso, c’era un cuore pronto a sbocciare! Con un pizzico di presunzione, poteva dirsi un asso nel leggere le persone. Ogni suo cliente se ne andava sempre col fiore giusto, perché, dopo anni di lavoro, lei sapeva esattamente dove guardare.
“Questo vaso va bene o ce ne vuole uno più grande?”
La proprietaria studiò i due vasi con un cipiglio, poi indicò quello più profondo. “Facciamole crescere.”
E Iwaizumi scrollò le spalle, ampiamente abituato al bizzarro modo di trattare le piante del suo capo.
Un’ombra attraversò i riquadri in vetro opaco sulla porta e il campanello trillò ancora, annunciando un nuovo cliente. Un ragazzo sui vent’anni sgusciò nel negozio, i capelli spruzzati di gocce di pioggia e le guance rosse dal freddo.
“Come possiamo aiutarti?” domandò la proprietaria, ma il sorriso affabile nascondeva una più profonda contemplazione.
L’espressione del ragazzo mutò impercettibilmente in un secondo, sconvolgendo però totalmente il messaggio che faceva passare. Sembrava in guardia, ma il sorriso sfrontato confondeva quest'impressione. A Iwaizumi piacevano le cose semplici e, nel complesso, quel ragazzo gli risultò indecifrabile. La sua mera presenza lo mise a disagio.
“Cercavo…” esitò, guardandosi attorno, la luce vispa negli occhi sembrava costruire scenari che a Iwaizumi non sembrava neanche troppo utile mettersi a studiare. Da cosa doveva difendersi? Era in un dannato negozio di fiori! “Cercavo delle… margherite?” tentò e il sorriso arrogante si allargò.
“Delle margherite, dici?” il sopracciglio della signora Kyuusen si alzò scettico.
Il ragazzo annuì sicuro.
Iwaizumi lo studiò per un attimo, intuendo che, semplicemente, non conoscesse altri fiori. Quando lo sguardo del ragazzo intercettò il suo e gli sorrise, a Iwaizumi venne naturale aggrottare la fronte. Quel tipo sembrava emanare pericolo da ogni poro.
“Perché non una primula? O una camelia bianca?”
Il ragazzo scambiò uno sguardo allarmato con Iwaizumi. “Sì, anche una…” sorrise, ritrovando quella sicurezza che gli faceva da biglietto da visita, “camelia bianca.” Iwaizumi era sicuro che l’avesse scelta soltanto perché aveva già dimenticato la prima proposta.
Gli occhi della signora Kyuusen si illuminarono di un’ingenuità che nascondeva un fondo di furbizia. “Camelia bianca sia! Te la incarto, figliolo.” E, con ciò, sparì dietro una porta che si fondeva con la parete.
“Ciao,” salutò il ragazzo e Iwaizumi si limitò ad accennare col capo brevemente e tornare alle sue campanule da travasare. “Un po’ scorbutico,” commentò leggero, ancora.
Ma lo stava prendendo in giro? Iwaizumi non riusciva a capirlo e la cosa lo rendeva ancor più detestabile. Sperò vivamente che prendesse i suoi fiori e levasse il disturbo.
“Sono Oikawa Tooru,” si presentò, il sorriso sornione a dare alla faccia d’angelo un retrogusto d’astuzia.
“E io sono... già stanco di parlare con te,” ricambiò Iwaizumi, tornando a dargli le spalle. Potè praticamente sentire il broncio del ragazzo conficcarsi nella sua schiena, ma non se ne curò, sperando che la signora Kyuusen tornasse presto con quei dannati fiori a sollevare tutto quel disagio.
Come se l’avesse evocata, la proprietaria tornò con i fiori incartati e un sorriso smagliante da venditrice televisiva. “Scelta inaspettata,” commentò porgendoglieli e Oikawa alzò un sopracciglio.
“Li ha consigliati lei.”
“No, io ti ho dato una scelta,” replicò criptica, non perdendo il sorriso e urgendogli di prendere i fiori.
Il ragazzo lasciò due banconote sul bancone e si diresse alla porta.
“Tratta bene la ragazza!” lo congedò la signora Kyuusen, scuotendo la mano in segno di saluto.
Oikawa si voltò con una mano già sul pomello della porta. Scoccò un sorriso rapido a Iwaizumi e ammorbidì lo sguardo dopo un attimo, lasciandogli il dubbio che se lo fosse solo immaginato. “No, nessuna ragazza a cui regalarli,” ribatté disinvolto, facendo trillare il campanello, “non avevo un ombrello e sono entrato a ripararmi.”
E, detto ciò, sparì sulla strada bagnata. Il cielo s’era concesso una pausa.
La signora Kyuusen ridacchiò sotto i baffi. “Che sfrontato.”
“A me è sembrato solo un cretino.”
La proprietaria sospirò. “Tornerà.”
Iwaizumi aveva più di qualche dubbio, ma preferì non contraddirla e tornare a lavoro.
“Oh e… la prossima volta sii meno scontroso.”

 
Ci vollero esattamente due mesi perché Oikawa tornasse al negozio 
non che Iwaizumi li avesse contati. Questa volta, però, aveva un ombrello, il che escludeva la possibilità che fosse tornato per ripararsi di nuovo dalla pioggia.
“Guarda chi si rivede!” lo salutò la signora Kyuusen, allargando le braccia e mostrando una sottile ironia, “il signore delle camelie!”
Oikawa sorrise e scrollò all’esterno la pioggia dall’ombrello azzurro. Una ‘O’ dorata attirò a sé la luce. Che sbruffone. Chi diavolo aveva la propria iniziale su un ombrello?
“Sono vive?”
“Sono resistenti,” ribatté Oikawa, come se tutto il tempo avesse cercato di ammazzarle, “ma no, sono morte.”
La signora Kyuusen inclinò il capo su un lato e aggrottò la fronte, ma non gli diede modo di capire perché. “E hai fatto tutta questa strada per un’altra camelia?”
Oikawa si strinse nelle spalle con un’innocenza che non si addiceva né alla sua statura né alla faccia da schiaffi. La donna annuì comprendendo, ma Iwaizumi aggrottò le sopracciglia, ancora con le mani nel terreno. Cos’era quel silenzio? Un sì? Non è che sembrasse il tipo da giardino fatato e cura delle piante.
Iwaizumi rischiò uno sguardo nella sua direzione e se lo trovò ricambiato. Lui gli sorrise in una maniera stranamente meno saccente e tornando spesso con l’attenzione e lo sguardo sulla proprietaria e su… qualunque cosa si fosse messa a dire, non che stesse parlando con lui in ogni caso.
Prima che Iwaizumi sbottasse una volta per tutte e dichiarasse chiusa quella strana situazione, un bagliore brillò oltre il vetro opaco della porta della bottega di fiori e un boato si affacciò sulla strada, rimbombando con violenza sulle pareti che la limitavano. Un attimo dopo, una pioggia torrenziale si riversò sul tetto e la signora Kyuusen sgranò gli occhi. Questo era un temporale vero e proprio!
Iwaizumi saltò in piedi prima che lei aprisse bocca, affrettandosi verso la porta dietro cui la proprietaria era scomparsa due mesi prima, quando gli aveva incartato le sue camelie. Oikawa scrollò le spalle e rivolse uno sguardo sicuro alla donna. “Gli do una mano,” annunciò, con una naturalezza che non aveva alcun senso in quel contesto. Lo seguì oltre la porta e gli sfiorò un braccio, per segnalargli la sua presenza.
Iwaizumi si voltò di scatto verso di lui, abbassando le sopracciglia in confusione. “Che stai facendo?” domandò brusco, dando un’occhiata all’anticamera della serra come a fargli notare che lui lì non doveva neanche esserci.
“Ti do una mano,” reiterò, un bagliore vispo negli occhi innocenti tipico solo di chi non fa mai favori se non è certo di ottenere qualcosa in cambio, “avanti,” lo incalzò, una risata appena udibile sulle labbra che non poteva essere altro che scherno.
Iwaizumi sbuffò e spinse la porta di legno che conduceva alla serra. Quando la pioggia si faceva così violenta da non permettere di distinguere il rosso dal grigio, le tende di plastica che facevano da soffitto alla serra rischiavano sempre di forarsi e far crollare l’acqua sulle piante, spezzandone rami e fiori. “Non mi serve aiuto.”
Oikawa fece spallucce. “Tanto non posso andare da nessuna parte, per lo meno…”
Una persona normale avrebbe lasciato che il ‘per lo meno’ precedesse un banale ‘mi rendo utile’. Quando Oikawa lo guardò dalla testa ai piedi, un sorriso furbo che finalmente dava a quel bagliore negli occhi un senso, Iwaizumi fu sicuro che quella persona normale non doveva essere lui. Per tutta risposta, Iwaizumi arrossì
perché stava arrossendo? e accennò col capo nella sua direzione. “Non mi sembri il tipo che si sporca le mani.”
Oikawa rise. “Testami.”
Iwaizumi scosse la testa; era stancante avere a che fare con lui e con la sensazione perenne di essere in svantaggio. Si diresse senza perdere altro tempo verso il centro della serra e iniziò a trascinare i vasi più grossi verso i muri, dove la struttura in ferro su cui si reggeva il telo di plastica offriva riparo. Oikawa sospirò, l’espressione rassegnata di chi sa di doversi arrangiare per ottenere qualcosa. Cosa dovesse ottenere, Iwaizumi non lo sapeva, ma si sorprese quando lo vide davvero dare una mano.
“Pesano un quintale.”
“Sei tu che sei moscio.” Iwaizumi fu soddisfatto di vederlo alzare gli occhi al cielo, prima di dimostrargli che aveva torto.
Più o meno a metà dell’opera, Oikawa si fermò un secondo a riprendere fiato e scoccò un’occhiata a Iwaizumi. “Fai questo tutte le volte…” inclinò la testa su un lato, puntando lo sguardo sul cartellino che il ragazzo portava sulla maglietta. Iwaizumi si voltò troppo in fretta per permettergli di riuscire nell’impresa e Oikawa si accontentò di una soluzione fantasiosa al problema, “Iwa-chan?”
Iwaizumi si voltò di scatto verso di lui. Aggrottò la fronte sia per l’audacia che per… la stupidità. “Non chiamarmi così.”
Si ripulì le mani dal terreno in eccesso e snodò i pannelli di plastica con una mazza, permettendo al cielo di crollare nella serra ormai vuota e non danneggiare la copertura.
I ragazzi stettero a fissare la pioggia e riprendere fiato, al riparo sotto il cornicione della porta che dava nell’anticamera della serra. Il vento freddo che portava con sé sapeva di incertezza e grandi aspettative. Oikawa rischiò un’occhiata al suo fianco solo per un secondo e sorrise quando, riportato lo sguardo sulla serra spoglia, sentì lo sguardo di Iwaizumi su di sé.
“Grazie, figliolo,” esordì la signora Kyuusen, quando finalmente la pioggia si placò e il cielo si aprì in un tramonto giallo. In giro tutti sapevano che quello era un segno del fatto che si stesse trattenendo e che presto sarebbe esploso nuovamente. “Questa volta, con un po’ di cura, cresceranno meglio!” La proprietaria porse a Oikawa un vaso incartato, un sorriso a trentadue denti meno qualcuno e una promessa negli occhi. “L’attesa è finita, è tempo di camelie rosa! Consideralo un regalo per aver aiutato col negozio.”
Oikawa sparì nelle strade grigie senza nome della città, lasciando un saluto a ‘Iwa-chan’ che non fu accolto con grande piacere.

 
Ben sei mesi dopo il loro primo incontro, Oikawa era diventato un cliente fisso della bottega. Diceva che era di strada e spesso portava qualcosa da mangiare. La signora Kyuusen era sempre contenta di vederlo e Iwaizumi continuava a non spiegarsi perché. In quattro mesi di affiatata e non richiesta conoscenza, Iwaizumi aveva imparato che quella luce pericolosa nello sguardo di Oikawa si sapeva solo acuire e mai stabilizzare e che quando credeva di aver capito cosa diavolo volesse da lui, quello era il momento in cui sapeva di non aver capito niente. Aveva anche imparato che in realtà la sorpresa per tutta quella pioggia era dovuta al fatto che veniva da Tokyo ed era venuto lì per sei mesi perché, a detta sua, c’era un laboratorio di ricerca. Un altro motivo per cui Iwaizumi aveva imparato a odiarlo, e questo forse scalava leggermente la lista, era che più lo detestava, più sperava che tornasse al negozio ogni giorno. Non vedere l’ombrello azzurro asciugarsi lentamente nel portaombrelli lo portava a catalogare automaticamente la giornata come ‘non grandiosa’ e per quanto a Iwaizumi piacesse fare il finto tonto sulla faccenda, sapeva benissimo che se all’inizio l’aveva trovato semplicemente carino, col tempo aveva capito che lo trovava semplicemente interessante e questo era il massimo che era riuscito a dire a se stesso prima di roteare gli occhi internamente e costringersi a odiarsi.
Quando la signora Kyuusen aveva dato le chiavi del negozio a Iwaizumi e gli aveva chiesto di chiudere, Oikawa aveva iniziato un’infinita e noiosissima conversazione con lei e poiché aveva iniziato a gesticolare in maniera incontrollata e gli occhi si erano illuminati di chissà cosa, Iwaizumi si era deciso a ignorarlo.
“A domani, allora!” salutò la donna, dopo qualche minuto in più passato a chiacchierare. Quando Oikawa si limitò a sorridere e abbassò lo sguardo, Iwaizumi si rese conto di due cose: che, dannazione, lo stava guardando di nuovo e che qualcosa non andava.
“Almeno renditi utile, idiota,” lo riprese Iwaizumi, dopo che la signora Kyuusen fu sparita sotto il suo grande ombrello colorato. Oikawa si limitò a sorridere furbo e sedersi con una scrollata di spalle sul bancone.
“Trovo molto più divertente guardarti lavorare” e gli strizzò l’occhio.
“Puoi anche andartene, non mi resta molto da fare.”
“Un motivo in più per non andarmene,” rispose casualmente lui, afferrando un giornalino sulle piante grasse e sfogliandolo disinvolto.
Iwaizumi scrollò le spalle. “Fai quello che ti pare.”
“Lo faccio già, Iwa-chan,” ribatté lui, scendendo dal bancone. Gli fu vicino con la velocità di un gatto e osservò la pianta che aveva davanti come se la rivista gli avesse aperto dei nuovi occhi sul mondo.
Iwaizumi sbuffò, si era arreso ormai da oltre due mesi al nomignolo e faceva semplicemente finta di non sentirlo.
“Hai presente il tavolo nell’anticamera? Quello su cui incartate le piante?”
Iwaizumi sentì il suo fiato sul collo e per poco non sbagliò i semi da piantare. Si dimenticò anche di arrossire e rischiò un’occhiata alla sue spalle. “Che vuoi?”
“Niente, ti chiedevo se ce l’avessi presente.”
“Tu non stai bene.” A quel punto, Iwaizumi si voltò del tutto. Risposta perfetta, no? Nella pratica non significava niente e gli lasciava più tempo per chiedersi dove volesse arrivare. Peccato che a furia di pensare a come rispondere si fosse dimenticato che aveva Oikawa alle spalle e che, adesso che si era voltato, era praticamente a un passo dalle sue labbra.
La pioggia batteva ritmica sul legno della porta d’ingresso, in un ticchettio deciso che il cemento non sapeva suonare.
Iwaizumi aggrottò le sopracciglia, era importante apparire il più contrariati possibile quando Oikawa aveva la certezza di fare scacco.
“Mi piace quando ti accigli così.”
Lo guardò come se avesse voluto ucciderlo, come se qualcuno gli avesse puntato una lama alla gola e lo avesse minacciato e costretto a non muoversi di un centimetro. Diede la colpa ai vasi che aveva alle spalle e che gli lasciavano troppo poco margine di movimento. Sapeva che erano una scusa. “E sarebbe un complimento?” Oikawa ridacchiò, ma Iwaizumi non demorse. “Cosa me ne dovrei fare di un tuo complimento?”
Il ragazzo scrollò le spalle, si guardò attorno come a cercare idee. “Lo assapori,” sussurrò, chinandosi in avanti e rubandogli un bacio. Poi il mondo esplose. “Hai presente il tavolo nell’anticamera? Quello su cui incartate le piante?”
Iwaizumi sbuffò sulle sue labbra, poi ribatté secco: “sì, ho capito” e lo condusse oltre la porta che si fondeva alla parete.
Il buio della stanzetta aveva un sapore più serio e odorava di intimità. La porta che conduceva alla serra filtrava la luce fredda dell’esterno ed entrava a striscioline blu tramite le veneziane.
Cambiare stanza aveva tolto a Oikawa quell’atteggiamento inutile da cascamorto, a quanto pareva, perché si sedette sul tavolo che sperava che Iwaizumi ricordasse e gli prese una mano, attirandolo a sé. Non ci fu traccia d’urgenza nei suoi movimenti quando gli poggiò quella stessa mano sulla sua guancia. Iwaizumi fu certo di aver aggrottato le sopracciglia, come se avesse avuto la fortuna di sfiorare una cosa molto bella, ma che sapeva di tristezza e di abbandono. L’ultima cosa che seppe era che il suono dei loro respiri
che non sapeva più distinguere si stava fondendo col tamburellare incessante della pioggia.
Non si accorse delle mani di Oikawa sul suo petto, del fatto che si fosse avvicinato tanto da sentire le sue gambe sui suoi fianchi o della fluidità con cui il ragazzo gli sciolse il grembiule con gli attrezzi e lo poggiò da qualche parte sul tavolo, ma si ricordò di pensare quando gli fece alzare delicatamente le braccia e gli sfilò la maglietta.
Iwaizumi era un tipo pratico e non fu sicuro di capire ogni cosa. Quando sentì Oikawa sfiorargli lo sterno con la punta delle dita, abbassò lo sguardo e aggrottò la fronte, chiedendosi a cosa servisse. La luce azzurra dell’esterno gli colpiva il petto a intervalli e Oikawa sorrise quando notò la pelle increspata dai brividi. Si sporse in avanti e la sfiorò con la lingua. “Hai freddo?” sussurrò e l’aria sul bagnato s’infiammò in un fremito.
“No,” rispose Iwaizumi, il tono tirato di chi cerca di controllare la voce, ma era sincero. Passò la mano tra i suoi capelli, spingendogli la testa sul suo petto, consapevole che gli avrebbe fatto sentire il battito impazzito del suo cuore, ma curandosene ben poco. Seguì ancora una volta il percorso della luce e la vide colpire i capelli di Oikawa. Per un attimo soltanto pensò che cose del genere non succedevano a nessuno, che si leggevano nei romanzi rosa dell’edicola, che quegli attimi sospesi avevano qualcosa che non quadrava.
Be’, se quella luce eterea e il suono rassicurante della pioggia erano segnali tanto evidenti di una fantasia, Iwaizumi ebbe almeno la prontezza di scegliere di non trattenersi. Risalì con la mano libera lungo le sue cosce e lo sentì ridacchiare, il respiro accelerato che dava a quella risata meno i contorni di uno sfottò.
Oikawa alzò la testa a un tratto, senza nulla che lasciasse intendere un simile cambio. Lo guardò negli occhi, per quel poco che la penombra concedeva e Iwaizumi non capì dove fosse finita tutta l’audacia e la sfrontatezza, ma sapeva che l’aveva persa quando si era chiuso alle spalle la porta che si fondeva alla parete. Oikawa scivolò giù dal tavolo in legno e i loro bacini si scontrarono. Fu facile, per Iwaizumi, dimenticare pioggia, pelle d’oca e misteri irrisolti, così come fu facile spingersi verso di lui e perdere un respiro, decidendo che non gliene fregava più niente di tutto quello scoprirsi e sfiorarsi e che se Oikawa avesse ancora guidato il gioco probabilmente avrebbe sabotato le sue sinapsi. Lo baciò con urgenza. Non capiva cosa sentisse, capiva solo di sentire e non gli importava altro, francamente.
“Spogliami.”
Ah, già.
“Mi stai attaccato addosso,” constatò e Oikawa rise ansimante. Si scusò senza la minima traccia di dispiacere e spinse il bacino contro il tavolo, guardando le mani di Iwaizumi armeggiare col suo pantalone.
Gli aveva chiesto di spogliarlo, non di metterci mezz’ora e litigare coi bottoni, quindi Oikawa fece un piccolo strappo alla regola e si levò la maglietta con un gesto che, per la prima volta, agli occhi di Iwaizumi, sembrava finalmente impaziente. Iwaizumi ebbe solo il tempo di dargli un’occhiata, tremare e poi i suoi occhi si chiusero naturalmente quando sentì le labbra di Oikawa sfiorare le sue, il suo naso premere contro la sua guancia e le sue ciglia sfiorarlo, angelico come solo un diavolo sapeva essere.
Quando qualche minuto più tardi Iwaizumi affondò in lui, seppe che se Oikawa gli avesse chiesto di fermarsi e andargli a prendere un pezzo di luna Iwaizumi l’avrebbe guardato storto, gli avrebbe detto che era un cretino e poi gli avrebbe preso quel dannato pezzo di luna, vanificando tutto lo sdegno che la parola ‘dannato’ tentava di ristabilire. Ma Oikawa non lo fermò e, a conferma della sua natura intossicante, gemette e mormorò qualcosa che Iwaizumi non comprese, ma giurò che avesse senso. Oikawa reclinò il capo all’indietro e Iwaizumi affondò il viso nel suo collo, lasciandosi avvolgere dal suo odore per non capire più nulla.
Non distinse più i gemiti di Oikawa dai suoi, l’ultima stella dietro le sue palpebre si spense e quel calore lo travolse, esplodendogli in petto proprio quando un tuono rombò in cielo.
Oikawa fu il primo, dopo qualche minuto passato ad ascoltare la pioggia, a tirare il fiato e offrirgli in silenzio un fazzoletto per ripulirsi. Gli lasciò un bacio a fior di labbra, che Iwaizumi accettò senza capire, poi staccò un fiore rosso dall’unico vaso che era rimasto tutto il tempo sul tavolo e glielo porse.
“Devi chiudere, si è fatto tardi,” sussurrò, recuperando i vestiti di entrambi e porgendo a Iwaizumi i suoi. Oikawa lo guardò, gli occhi non più appannati dal piacere.
“Non me ne sono dimenticato.”
Oikawa infilò la porta che si fondeva alla parete e tornò nella fioreria, un sorriso velocissimo gli piegò le labbra. “Dici? Secondo me ti sei dimenticato anche il tuo nome.”
Iwaizumi sbuffò e lo guardò male, appoggiando il fiore e una mano sul bancone e guardandolo armeggiare con il suo ombrello azzurro.
“Per fortuna il nome ce l’hai scritto sulla targhetta, Iwa-chan!”
“Non te ne stavi andando?”
Oikawa lanciò uno sguardo veloce all’esterno del negozio. “Già.” Mise una mano sul pomello e gli rivolse un ultimo sorriso mentre il campanello trillava.
“A domani?” Iwaizumi aggrottò le sopracciglia, riuscendo con orgoglio a non far suonare quella domanda come una supplica.
“Mh-mh.” Oikawa continuò a dargli le spalle e uscì, senza un ultimo sguardo al negozio.
Iwaizumi abbassò per la prima volta lo sguardo sul fiore che Oikawa gli aveva dato. Una camelia rossa. Non aveva la più pallida idea di cosa significasse, ma fu certo che non sarebbe tornato.

 
Cinque anni dopo, il cielo si fermò. Un alito caldo d’estate si infilò tra le nuvole, spandendosi in raggi caldi che asciugavano la strada. Iwaizumi aveva smesso di lavorare per la signora Kyuusen alla fine della stagione, cinque anni prima, e si era ripromesso più e più volte di passare comunque a salutarla. Non era mai tornato, un alone di mistero era rimasto impigliato al negozio a dargli l’impressione che non fosse mai esistito, che il guadagno fosse piovuto dal cielo insieme a tutta quell’acqua. Da cinque anni, però, Iwaizumi aveva sempre in casa un solo fiore di camelia bianca. Era una cosa stupida, un rituale, nient’altro che un’abitudine, si dava del cretino ogni giorno, ma continuava a tenerla.
Quel giorno che non pioveva, Iwaizumi pensò che non avrebbe avuto l’ingombro dell’ombrello e dell’irritante inclinazione dell’acqua: una scusa come un’altra per passare alla fioreria.
Aprì la porta della bottega e il familiare tintinnio del campanello alla porta annunciò la sua presenza. Il volto della signora Kyuusen si aprì in un sorriso grandissimo, incorniciato da rughe profonde che le conferivano una certa aria saggia. “Figliolo!” trillò la donna, appoggiando il gomito al bancone e studiando il cipiglio pensieroso che non era nient’altro che la sua faccia. “Ho una cosa per te.”
Iwaizumi non aveva neanche aperto bocca, ma la proprietaria non aspettò una risposta, si fiondò a una velocità impressionante oltre la porta che si fondeva alla parete. Iwaizumi non aveva mai creduto alle voci in giro che discutevano sui presunti poteri magici di quella donna, ma vederla muoversi così era davvero impressionante.
Mentre la signora Kyuusen ravanava nello stanzino, Iwaizumi si concesse un’occhiata attorno, passando con lo sguardo prima sul ripiano dove aveva lavorato lui, poi sulla sezione delle piante grasse e infine sulla porta.
Passò un secondo soltanto. Esitò con lo sguardo sulla maniglia e la vista periferica gli segnalò una macchia blu poco più a sinistra.
Non era una macchia blu, realizzò, era un ombrello ed era azzurro. Lanciò un ultimo sguardo alla porta e si affrettò al portaombrelli. Tentò di mascherare lo stupore quando voltò il manico e una ‘O’ incisa gli saltò all’occhio. Non riuscì a non sgranare gli occhi.
“Visto qualcosa che ti piace?” domandò la donna, il sorriso affabile e un grosso vaso tra le mani.
Iwaizumi mollò l’ombrello e si avvicinò al bancone. “Sono passato solo a salutare, non credo di avere abbastanza soldi dietro per…”
La signora Kyuusen alzò una mano e chiuse gli occhi. “Consideralo un ringraziamento.”
Iwaizumi aggrottò la fronte e guardò prima i fiori, poi lei.
“Sono cosmee. Simbolo di armonia e pace. Ci ricordano della gioia che la vita e l’amore possono donarci.” La donna rise, un luccichio negli occhi di autentico divertimento. “Non ne vedevo una così bella da anni.” Gli sembrarono un mucchio di belle parole e nessun fatto. Per di più, non aveva capito se l’ultima cosa che aveva detto si riferisse ai fiori o a qualcosa che non riusciva a capire.
Quando Iwaizumi si diresse all’uscita, si sporse appena verso il portaombrelli e raccolse l’ombrello azzurro di Oikawa. La signora Kyuusen non glielo impedì, a dire il vero non disse nulla.
Solo quando fu uscito si concesse un’ultima occhiata alle spalle, consapevole che il vetro opaco della porta non gli avrebbe comunque permesso di distinguere nient’altro che una forma indistinta che doveva appartenere alla proprietaria. Tuttavia, quando Iwaizumi si voltò, per poco non gli venne un colpo.
Il negozio era distrutto: il tempo si era dato da fare per divorare il legno della porta, crepare le mura e spaccare i vetri. Pezzi di giornale coprivano i buchi alla bell’e meglio e l’insegna era inclinata, agganciata per un fil di ferro alle viti che un tempo l’avevano tenuta su. Grosse bolle avevano rovinato il legno verniciato, rendendo il nome del negozio praticamente illeggibile.
Lo sguardo gli cadde in basso, sul vaso che ancora teneva in mano e i fiori
certamente ancora vivi che riposavano impassibili nel terreno.
“Volevi rubarlo?”
Iwaizumi trasalì per la seconda volta in cinque secondi. Se il prezzo da pagare per una giornata di sole era impazzire ne avrebbe fatto volentieri a meno.
“Ma cosa?” domandò, consapevole che essere bruschi con uno sconosciuto poteva non essere il modo migliore per provare che non aveva rubato.
Una risata catturò la sua attenzione e lo costrinse a voltarsi.
“L’ombrello. Guarda che non puoi, c’è il mio nome sopra, Iwa-chan.”
A Iwaizumi non venne in mente niente di meglio da dire che uno stupidissimo: “C’è solo l’iniziale, idiota.”



 
 
L'Hanakotoba è il linguaggio dei fiori giapponese. I fiori vengono utilizzati per passare un messaggio o un'emozione che arrivi in maniera diretta a chi li riceve senza bisogno di parole.
I fiori menzionati nella storia e i loro significati:
Campanule: umiltà, costanza.
Margherite: innocenza, bellezza.
Primule: Sicurezza
Camelie bianche: attesa, aspettare
Camelie rosa: brama, voglia desiderio
Camelie rosse: innamorarsi, morire con grazia, "sei la fiamma del mio cuore"
Cosmee: armonia, pace, la gioia che la vita e l'amore possono darci.

Note lasciatemi parlà: Prima le cose prima. Questa storia è un tentativo di regalo di compleanno alla persona per cui mi trasformerei in un cane Ran, che mi ha chiesto una Iwaoi e io le ho dato un delirio. Non spero che ti piaccia perché sarebbe sperare troppo, ma tivibi e ce l'ho messa tutta.
Poi crediti allo sconosciuto, che sarebbe un commento sotto un video di youtube che raccontava una storia di fiori e ombrelli perduti. Il video è perso, il commento me lo sono tenuto.
Era più bella prima che la rileggessi, ma sono le 23 e non c'è più tempo per scrivere un'altra fic di compleanno!!!
Un'altra spiegazione da fare è il nome della tipa. Praticamente Kyuusen (che non è una parola vera, prendete questa combinazione all'acqua di rose con le pinze, studio giapponese a singhiozzo) è l'unione della lettura on di due kanji (oi di Oikawa e zumi di Iwaizumi) di cui uno significa raggiungere, causare e l'altro primavera, fontana. In capa a me rappresentava la pioggia e i fiori e dare questo nome a lei la faceva sembrare meno un personaggio e più il destino, per una lettura diversa. Il finale non me lo aspettavo neanch'io, onestamente non so cosa mi sia preso, ma nel momento in cui l'ho scritto mi è sembrato il migliore che potessi trovare e in qualche modo, sempre in capa a me, chiudeva il cerchio. Rileggendo il significato di ogni fiore e la maniera in cui viene usato dai personaggi, i passaggi di questa shot alla deriva dovrebbero apparire più distinti (ad esempio Oikawa che sceglie le camelie e non le primule). Quando ho visto che le camelie di colori diversi formavano praticamente una storia, ho capito pure come doveva andare questa. Praticamente io non ho fatto niente, alla fine, benissimo, sono pigra.
Va bene, per un'ora sono in tempo, fratm Ran, poi giuro che le cose serie ti arrivano presto, intanto ti tengo occupata e ti faccio perdere tempo (scherzo, il tempo lo perdi una pace anche da sola)
Cià cià, me ne vado, presto una long.

El.
   
 
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