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Autore: IndianaJones25    31/10/2020    10 recensioni
Il professor Henry Jones Senior. Attila il Professore. Il più grande esperto di Letteratura medievale della East Coast. Il terrore dell’Università di Princeton.
Niente e nessuno può scalfirlo, non c’è studente che possa sfuggire ai suoi terribili esami. Non è possibile resistere al suo passaggio e, soprattutto, alla sua aula. Soltanto un miracolo potrebbe far guadagnare un bel voto dopo una sua interrogazione. Un miracolo, oppure l’apparizione divina di una dolce e leggiadra Madonna, come in un bellissimo affresco rinascimentale...
Un piccolo omaggio in ricordo di Sean Connery, che ci ha lasciati oggi.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Henry Jones, Sr.
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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    ATTILA IL PROFESSORE
    
    Princeton, New Jersey, 1905

   Il professor Henry Jones andava molto fiero del suo soprannome. Attila il Professore, così lo chiamavano i suoi studenti, quando credevano che lui non sentisse. Imbecilli. Lui aveva orecchie finissime che riuscivano a captare qualsiasi suono all’interno della sua aula. Nessuno poteva aprire bocca senza che i suoi sensi si tendessero allo spasimo pur di cogliere il messaggio segreto che usciva dalle loro bocche.
   Si era guadagnato quel soprannome perché, tra tutti i docenti, lui era decisamente il più freddo, distaccato, spietato e privo di misericordia. La clemenza non aveva la minima idea di che cosa fosse. In una parola:  crudele. Una crudeltà necessaria, di cui era consapevole e, soprattutto, orgoglioso. Non faceva sconti, non concedeva nulla, e non aveva nessuna intenzione di cominciare a comportarsi in maniera differente. Così come Attila, passando per una regione florida, lasciava dietro di sé soltanto una scia di campi ormai aridi, il professor Jones aveva la fama di bocciatore seriale, che non concedeva una tregua, neppure minima, e abbandonava sul proprio cammino un intero esercito distrutto di alunni senza più speranze di raggiungere la laurea.
   Se, dopo un’ora o magari anche più di esame, uno studente cedeva e sbagliava, per esempio, a citare il nome di uno dei più misconosciuti Cavalieri della Tavola Rotonda, il professore abbassava subito il voto inizialmente previsto di quattro unità; e se lo studente non si faceva perdonare recitando a memoria, di propria spontanea iniziativa, senza che lui gli avesse comunicato nulla all’infuori di un altero sguardo colmo di disgusto, un buon quarto del Racconto del Graal di Chrétien de Troyes, l’esame poteva considerarsi concluso senza possibilità di appello. A quel punto, infatti, restava spazio solamente per una sonora bocciatura e un secondo e rigoroso sguardo insieme ammonitore e nauseato da parte del professor Jones.
   A trentaquattro anni ancora da compiere, era già da otto il più giovane professore di ruolo dell’Università di Princeton. Un incarico complicato, che lo aveva costretto a scendere in competizione con docenti molto più anziani e, di conseguenza, molto più presuntuosi, per nulla decisi a dare fiducia a quel giovane immigrato arrivato dalla Scozia con una laurea in letteratura medievale nella borsa e una passione tutta europea per le antichità a riempirgli la testa. Non importavano nulla né la sua sconfinata cultura né il suo amore per il sapere: era giovane e, come tale, andava trattato male.
   Per questo motivo, dunque, il professor Jones si era fin da subito dimostrato inflessibile con i suoi studenti.
   Non regalava niente a nessuno, né si lasciava raddolcire in alcuna maniera. Il suo non era un semplice sfogo per le difficoltà contro cui, fin da subito, aveva dovuto lottare. Non voleva mostrarsi debole, perché sapeva che, altrimenti, i colleghi avrebbero avuto una ragione in più per considerarlo poco più che un ragazzino. Sugli studenti tendeva a riversare la sua suscettibilità e la sua frustrazione e, in segreto, ci trovava anche un certo gusto a vestire i panni dell’aguzzino.
   Si sentiva un po’ come un cavaliere errante, pronto a giostrare contro qualsiasi nemico gli si fosse parato innanzi. E se l’avversario si dimostrava debole e ottuso, allora era giusto abbatterlo dall’arcione con un potente colpo di lancia. Chi non aveva le competenze per rimanere in sella, era destinato a finire al suolo, come un villano qualsiasi.
   Da tempo, a dire il vero, i colleghi lo consideravano un proprio pari, con rispetto; se l’era davvero guadagnata, quella reputazione. Allo stesso tempo, però, sapeva di doverla mantenere, perché sarebbe bastato un solo errore per attirargli ancora una volta gli sberleffi di quei vecchi tromboni che componevano l’organico universitario, per la maggior parte uomini che avevano ormai raggiunto la soglia degli ottant’anni e che credevano di sapere tutto soltanto perché avevano combattuto nella guerra di Secessione. Vecchi bacucchi pieni di vanagloria! Si credevano superiori a lui! E l’unico modo che gli restasse per dimostrare che non era vero, per il momento, era punire quegli zotici studenti americani che non capivano un accidente di letteratura e che avevano scambiato l’Università per un salone da oratorio.
   Ben nascosto, senza averne ancora fatto parola con nessuno, il professore aveva in realtà un asso segreto nella manica, che avrebbe giocato al momento giusto.
   Da anni, infatti, stava lavorando a un meraviglioso e monumentale libro inerente la letteratura medievale, l’opera più completa che si sarebbe mai potuta trovare al riguardo. Gli mancavano ormai soltanto pochi capitoli da terminare, poi la sua opera sarebbe finalmente stata compiuta: e a quel punto, se lo sentiva, avrebbe guadagnato definitivamente quella fama che si sarebbe meritato già da tempo, e i colleghi - non solo quelli di Princeton, bensì quelli di tutto il mondo - non avrebbero potuto fare altro che inchinarsi dinnanzi al suo genio sconfinato.
   Fino a quel giorno, doveva soltanto tenere duro fino a quel momento e, per farlo, non avrebbe potuto tergiversare, né concedere niente e nessuno. Se lui non aveva mai ricevuto sconti, non ne avrebbe fatti ad altri, questo era poco ma sicuro. Poi, ottenuto quel riconoscimento tanto agognato, avrebbe potuto finalmente concentrarsi su ciò che lo interessava davvero: la ricerca del Graal, la coppa di Gesù Cristo. Come un vero cavaliere, come Lancillotto, Parsifal e Galahad, si sarebbe votato anima e corpo alla gloriosa ricerca della più santa di tutte le reliquie della cristianità.
   Alto e imponente, lo sguardo severo dietro gli ampi occhiali tondi dalla montatura dorata, i capelli castani pettinati all’indietro e tenuti fermi e stabili da una buona passata di cera, una leggera barba perfettamente curata sulle guance, attorno alla bocca e sul mento, immobile e in apparenza per nulla accaldato nel suo abito a doppio petto grigio ornato da una cravatta nera annodata stretta, nonostante nell’aula si soffocasse dal caldo, il professor Jones lanciò un’occhiata contrariata allo studente che aveva di fronte.
   Un ragazzotto impacciato, sudaticcio, il volto macchiato dall’acne e gli occhi arrossati, che si abbassarono subito al pianale in rovere lucido della scrivania dopo aver incontrato per un istante quelli inflessibili ed esigenti del professore. La sua pelle abbronzata raccontava una verità molto brutta: anziché trascorrere i mesi estivi chiuso nella tranquilla austerità di una biblioteca per preparare al meglio l’esame di letteratura medievale, quell’ozioso perdigiorno si era svagato con gli amici fino al giorno prima, tra escursioni nei campi e nuotate al lago. Di questo Henry era più che certo e la cosa non gli piaceva affatto. Anzi, a dire il vero lo infastidiva fino allo stremo delle forze.
   «E così» disse con calma, unendo le dita delle mani e fissandolo dal di sopra, «lei non ricorda che cosa scriva l’Alighieri al quarantesimo verso del trentesimo canto dell’Inferno. Non si giustifica in nessun modo, mi dice proprio “non ricordo”. Neppure si sforza di rammentare. Ammette senza remore la sua lacuna, come se fosse la cosa più normale al mondo ignorare le esatte parole dell’Alighieri. Insomma, caro Porkins, lei sta ammettendo di non essersi preparato all’esame, prima di presentarsi dinnanzi a me. In poche parole, lei è venuto qui pensando di potersi prendere gioco della mia persona come se nulla fosse, facendomi sprecare il mio prezioso tempo che avrei potuto impiegare con ben altre e più proficue iniziative. È così o sbaglio? Perché se sbaglio, caro Porkins, non abbia timore a farmelo sapere e le prometto che farò voto di umiltà dinnanzi a lei.»
   Lo studente sussultò. Ogni parola del professor Jones era stata come una staffilata. Con nervosismo, si passò il dito lungo il colletto della camicia a quadri, zeppo di sudore. Era più di un’ora che sedeva su quella sedia scomoda, davanti alla scrivania di Jones, rispondendo con una certa precisione alle sue continue domande, che si facevano più pressanti e zelanti mano a mano che il tempo passava. Quel giorno il professore si era fissato con la letteratura italiana e, in particolare, con Dante. Porkins, fiero della sua preparazione, aveva risposto a tutte le domande, anche le più complicate, finché era incappato in quella richiesta: ripetere a memoria quel maledetto verso di quel dannatissimo canto di cui non ricordava niente.
   Il caldo non aiutava certo a ricordare, e nemmeno il sole e il cielo azzurro che splendevano fuori dall’alta finestra chiusa in maniera ermetica. Fuori da quel luogo soffocante c’era una meravigliosa giornata estiva, ma il professor Jones sembrava più che deciso a negargliela per sempre.
   «Senta, io…» cominciò a dire.
   Il professor Jones scattò all’indietro, inorridito.
   «Non utilizzi quel tono con me, sa?!» ruggì, scandalizzato.
   «Mi… perdoni… non intendevo…» balbettò il poveretto, boccheggiando senza fiato.
   «Io l’ho inquadrata subito, Porkins!» abbaiò Jones, ignorandolo e guardandolo in cagnesco. «Lei è un indisponente, un lavativo, un buzzurro! È chiaro che lo studio non faccia per lei! Se posso darle un consiglio, amico mio, lasci perdere l’Università finché è in tempo e si cerchi un lavoro, sarà tanto di guadagnato per tutti: per lei, che non dovrà più perdere tempo inutilmente qui dentro e con libri di cui non capirà mai l’esatto utilizzo, e soprattutto per me, che non avrò più la brutta sorpresa di trovarmi davanti agli occhi una persona che tutto potrebbe essere tranne che uno studente!»
   Porkins, evidentemente ferito nell’orgoglio, si alzò di scatto, facendo dardeggiare lo sguardo su Jones, ma quello restò impassibile, deciso ad accettare la sfida. Il ragazzo era robusto, ma il professore era grande e grosso ed era sicuro che, se gli fosse saltato addosso, lo avrebbe facilmente messo al tappeto. Da studente, in Gran Bretagna, aveva avuto anche lui del tempo libero, e lo aveva sapientemente occupato praticando la nobile arte della boxe insieme al suo amico Marcus. Quindi che nessuno osasse metterlo alla prova.
   «Sono un pugile professionista, Porkins» lo ammonì senza scomporsi. «Non vorrà diventare lo zimbello di tutti facendosi atterrare da un docente, vero?»
   Il giovane deglutì, cercando di calmarsi.
   «Arrivederci, professore» salutò di malagrazia, dirigendosi subito verso la porta.
   «Spero vivamente che sia invece un addio» gli rispose Jones, fissandolo dal suo scranno dietro la scrivania.
   Lo screanzato studente se ne andò sbattendo con violenza la porta e il professore fu costretto a sforzarsi per restare al proprio posto, anziché rincorrerlo e prenderlo per un orecchio come meritava. Di certo, se quel contadinotto avesse anche solo pensato di ripresentarsi nella sua aula, non gliel’avrebbe fatta passare liscia. Ma, purtroppo, quel posto era pieno di gentaglia simile.
   Jones afferrò i fogli che aveva davanti e li riordinò di malavoglia. Gli stava passando la voglia di fare gli esami. Avrebbe fatto molto meglio a bocciare in via preventiva tutti gli “studenti” - lo ripugnava definire in tale maniera quegli scansafatiche con la testa piena di mosche - che ancora rimanevano e tornarsene a casa, da Anna e da Junior. Quel pensiero lo fece sorridere sotto la barba. Il suo piccolo Junior era uno dei motivi principali che lo spingevano ad andare avanti. Era più che sicuro, infatti, che suo figlio sarebbe diventato esattamente come lui: un promettente studioso, amante della pace austera delle biblioteca e nemico giurato della vita all’aria aperta, che non si sarebbe mai lasciato abbindolare dal richiamo dell’avventura a cui troppi sciocchi uomini erano soliti cedere.
   Avventure? Viaggi? Follia pura! Perché cercare in giro per il mondo ciò che di più bello e grandioso già era racchiuso tra le pagine ingiallite dei libri? Le più grandi avventure erano già state narrate con dovizia di abbellimenti e superba maestria dai grandi romanzieri e poeti del passato, e allora perché voler inutilmente provare a emulare le gesta dei cavalieri e dei guerrieri delle leggende?
   Certo, ogni tanto Junior, quando andava a spasso con il loro cane Indiana, si cacciava in qualche guaio. Ma era normale, era ancora un bambino piccolo, attirato da ciò che non conosceva. Crescendo e mettendo la testa a posto, sarebbe diventato come lui, il degno erede del professor Henry Jones, Senior. Un uomo tutto d’un pezzo, che sapeva cosa voleva e, soprattutto, che cosa non voleva. E l’avventura era tra queste cose.
   Tuttavia, per il momento, non poteva andare a casa. Per bocciare avrebbe dovuto prima di tutto esaminare, altrimenti qualcuno avrebbe potuto avere addirittura l’ardire di andare a protestare nell’ufficio del rettore. E a quel punto, oltre a sorbirsi una ramanzina, gli sarebbe persino toccato perdere altro tempo per confermare le sue valutazioni iniziali. Quindi, tanto valeva togliersi il dente subito e non pensarci più dopo.
   «Lane!» chiamò ad alta voce, leggendo dall’elenco delle prenotazioni. «Judith Lane!»
   La porta dell’ufficio si aprì e Jones continuò a guardare le sue carte, non avendo nessuna voglia di incrociare l’ennesimo sguardo strafottente e indisponente. Tuttavia, il rumore leggero e quasi discreto di piccoli passi, così differente dalle calcate pesanti dei soliti incivili e ignorantoni che toglievano sacralità alla sua aula, attirò la sua attenzione e lo indusse a sollevare gli occhi.
   La ragazza era alta, bella, bionda. Il lungo abito nero abbellito da bottoni in madreperla, che le arrivava fino alle caviglie, lasciava intravedere gambe snelle e perfette, che terminavano in bei piedini avvolti da scarpette blu con la fibbia argentata. Appena al di sotto del colletto immacolato, abbottonato attorno al collo sottile ornato da una catenina d’oro che doveva essere il ricordo del battesimo, premevano le forme sinuose di un seno giovane e sodo. Le mani dalle lunghe dita erano raccolte in posa virginea all’altezza dell’ombelico e su di esse si posavano i timidi occhioni azzurri che non trovavano il coraggio di incrociare quelli del professore.
   Henry la valutò per qualche secondo di troppo, provando a immaginare che cosa sarebbe apparso al di sotto di quell’abito nero e castigato se solo avesse potuto ricevere il dono celeste di sfilarglielo di dosso. Una bellezza degna delle più pregevoli Madonne medievali… ma no, troppo poco! Costei doveva essere la reincarnazione di Laura, di Beatrice, o ancora di Ginevra e di Isotta. E lui, in quel momento, si sentiva al medesimo tempo Petrarca, Dante, Lancillotto e Tristano. Meglio ancora, dinnanzi a lui c’era una leggiadra figura rinascimentale. La Venere del Botticelli aveva appena varcato la porta del suo ufficio, e a lui non restava altro che eternarne la soave purezza delle forme.
   «Prego, signorina Lane, si metta pure a suo agio» la invitò cordialmente, con una voce dolcissima che non sembrava più essere la sua.
   Si protese in avanti sulla scrivania e, fingendo di voler recuperare un libro, spiò il movimento sinuoso delle sue gambe quando la ragazza si sedette. Le sue narici percepirono un aroma di fiori, una spruzzata leggera di profumo, una piccola civetteria che la signorina aveva quasi rubato con vergogna. Oh, lui avrebbe tanto desiderato derubarla di ben altro, cogliere il suo fiore delicato, la sua rosa profumata.
   Dopo una lunga pausa, Henry si decise a parlare.
   «Allora, signorina, si sente pronta per l’esame?» domandò. La sua voce fu così calda e suadente che sulle gote della bella fanciulla si diffuse un lieve rossore. Ovviamente, a Jones non sfuggì un simile importante dettaglio. «Ha paura, signorina Lane? Di me, magari?»
   Lei annuì appena appena, senza dire nulla, le mani sempre strette dinnanzi a sé, lo sguardo che non osava sollevarsi.
   «Immagino che sia per tutte le bugie che corrono sul mio conto» dichiarò, sicuro di sé. «Non ne tenga conto, di quelle cattiverie. Sono menzogne messe in giro da individui spregevoli, niente di più. Le posso assicurare che lascerà quest’aula con un trenta e lode e, se lo vorrà, con un bacio accademico.»
   Questa volta la giovane trovò la forza di guardare Henry negli occhi. Quello sguardo fece fremere il professore, mandandogli il sangue in subbuglio, tanto che fu costretto ad afferrarsi al pianale della scrivania per non perdere il suo proverbiale autocontrollo.
   «Un bacio, professore?» sussurrò, con voce così morbida e vellutata che a Jones quasi cascò la mascella.
   I loro occhi si sfiorarono, gli sguardi si riempirono di languore, le bocche si dischiusero come a voler rapire quel bacio che aleggiava in mezzo a loro, impedito soltanto dalla barriera lignea della scrivania.
   «Rosa fresca aulentissima» cominciò a recitare Henry, con labbra tremanti, «ch’appari inver la state, le donne ti disìano, pulzelle e maritate...»
   Judith sospirò e le mani di Henry furono percosse da un tremito.
   «…per te non àjo abento notte e dia, penzando pur di voi, madonna mia…» andò avanti imperterrito il professore, con tono sempre più roco.
   «Professor Jones?» lo chiamò la giovane, come a volerlo riportare alla realtà.
   Henry si riscosse, come uscendo da un sogno. Trasecolato, fece un sorriso un po’ storto e annuì.
   «Chi…» deglutì, perché gli si era inaridita la gola. «…chi è l’autore?»
   Judith si protese in avanti. Il suo seno premette maggiormente contro la veste nera, mettendosi in evidenza, e una ciocca di capelli d’oro sfuggì dalla crocchia in cui li aveva raccolti, cadendole ribelle e invitante sulla fronte di perla. Le sue belle mani delicate si posarono sul ripiano, a pochi centimetri da quelle grandi e forte del docente.
   «Cielo d’Alcamo» sussurrò, come se gli stesse facendo una proposta d’amore.
   Senza sapere di preciso che cosa stesse accadendo, Henry si ritrovò tra le mani la stilografica con il pennino d’oro. Tolse a fatica il tappo, aprì il registro e, accanto al nome di Judith Lane, tracciò un grosso trenta, a cui fece seguire la frase cum laude. La sua scrittura risultò un po’ sbilenca e tremolante - non era affatto semplice scrivere senza staccare gli occhi dal volto della pulzella - ma risultò comunque leggibile e valida.
   «Posso andare?» domandò Judith, sempre con voce dolce.
   Henry annuì, incapace di parlare. La seguì con lo sguardo e restò imbambolato in quella posizione per un tempo che non seppe definire. Si riscosse soltanto quando udì bussare alla porta.
   Imprecando sottovoce, si rese conto che l’inchiostro gli aveva macchiato la mano. Mentre se la puliva con un fazzoletto, lanciò uno sguardo alla pendola a lato della finestra. Era trascorso un buon quarto d’ora da quando la ragazza se n’era andata, e lui lo aveva trascorso praticamente in catalessi.
   «Maledizione» grugnì, sfregando forte il fazzoletto sul palmo che gli era diventato blu notte.
   Quella delle donne era una debolezza che lo tormentava da sempre. Anzi, a ben vedere, era il suo unico difetto. Per fortuna che Junior non sembrava aver ereditato un simile periglio. A lui interessava soltanto il suo cane.
   «Appena sarà un po’ più grande, però, gli dovrò fare un bel discorsetto» borbottò. «Dovrò fargli capire che di donne ne basta una e una sola, nella vita, e che quando la si è trovata non bisogna più lasciarsi sedurre da tutte le altre. Altrimenti si rischia di cacciarsi in grossi guai.» Rimise il fazzoletto imbrattato nel taschino e si rassettò l’abito. «Ma sono certo che Junior, da me, prenderà solo il meglio, e tutti i difetti scompariranno. Per lui le donne saranno come le avventure: non vorrà saperne proprio niente, per fortuna!»
   Si schiarì la gola, gridò: «Avanti!» e si preparò al prossimo esame.

 [scritto: luglio - ottobre 2020]
   
 
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