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Autore: thors    31/10/2020    4 recensioni
[note] I fatti narrati in questa storia si svolgono poco tempo dopo gli eventi raccontati nelle serie animata “Avatar: The legend of Aang” (quindi c’è qualche spoiler) e costituiscono un enorme “what if” della successiva stagione “The legend of Korra” (alla quale non viene fatto nessun riferimento).
[intro] Il nuovo Signore del Fuoco viene travolto dalle più terribili violenze, mentre sui quattro regni spira un nuovo vento di guerra che lo trascinerà in un abisso oscuro e profondo, ma Ethiel, una giovanissima mezzelfa, affiderà a lui la sua vita e gli mostrerà in cambio un nuovo futuro.
[cit] Nel vederlo, Ethiel ne fu sorpresa, confusa ed inorridita.
«Non… non è un elfo…» protestò, senza smettere di fissare l’orrenda bruciatura che sfigurava il volto del ragazzo davanti a lei.
«No, non lo sono», replicò lui con tono seccato, mentre ricambiava lo sguardo della ragazzina con un’espressione altrettanto perplessa.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mai, Zuko | Coppie: Mai/Zuko
Note: Otherverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di una mezzelfa'
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1. L’inizio

 
Ci sono momenti che ci cambiano per sempre. Alcuni dolori non si dimenticano.”
(Adam)

 

La nave filava a velocità sostenuta sulle acque del Mo Ce Sea, solcando agilmente le onde con la sua prua d’acciaio, ed i passeggeri, raccolti sul castello di poppa, guardavano malinconici i monti della Nazione del Fuoco farsi sempre più lontani. Un poco alla volta, però, il mormorio nervoso si tramutò in un chiacchierio più allegro e la gente si spostò verso prua, dove cercava di intravedere con occhi pieni di speranze l’ancora invisibile costa del Regno della Terra.

Solo un ragazzo col volto bendato sedeva da solo, silenzioso e indifferente a tutto ciò che lo circondava. Appoggiato alla murata di dritta, teneva il capo chino, come un uomo sconfitto che non trovi più la forza di rialzarsi, e non rispondeva a chi, preoccupandosi per lui, chiedeva cosa gli fosse accaduto. La sua anima era morta quel giorno, e l’unico pensiero a prendere distintamente forma nella sua mente, come avvolta da un sudario tanto nero e fitto da non lasciar filtrare alcuna luce, era che il dolore lo avrebbe tormentato per il resto della vita.

Il capitano, un vecchio marinaio dall’aspetto rude, l’aveva trovato alle prime luci dell’alba in un vicolo ed era riuscito a riconoscerlo nonostante il volto gravemente ferito. Capendo al volo la situazione, non aveva esitato a caricarselo in spalla. Dopo averlo portato al riparo nella sua cabina, gli aveva ripulito la ferita e poi, mentre lo fasciava, gli aveva detto: «Per tua fortuna ti ho trovato prima dei soldati. Ed ora dovrò nasconderti fino a quando non salperemo. L’occhio andrebbe tolto, ma non ho tempo e strumenti per farlo, perciò, non appena attraccheremo, ti farò portare da un chirurgo. So bene chi sei, so cosa sta accadendo e so anche di rischiare la mia dura testaccia, perciò vedi di far ritorno, un giorno».

Durante quel discorso, il ragazzo lo fissò con sguardo ottuso e non disse nemmeno una parola.

 

§

 

Dopo che Aang aveva messo fine alla centenaria guerra iniziata da Sozin, Zuko era diventato il nuovo Signore del Fuoco e sembrava che nulla potesse turbare la pace finalmente raggiunta. Vi era un certo malcontento tra i soldati di ritorno dal Regno della Terra perché il grande ideale di combattere per una nazione destinata a dominare il mondo si era inevitabilmente infranto e, ora che le ostilità erano finite, nessuno aveva più la possibilità di scalare le gerarchie militari, né quella di esercitare un potere svanito nel nulla.

Zuko fece convertire le industrie belliche, migliorò sensibilmente la qualità della vita risanando le terre deturpate dagli impianti di produzione e incentivando l’applicazione in ambito civile di alcune importanti tecnologie sviluppate esclusivamente per la guerra. E si convinse che nel giro di qualche anno lo spirito guerriero del suo popolo si sarebbe assopito.

Pochi mesi dopo aver preso il potere, sposò Mai, e quella che nella sua mente doveva essere una sobria celebrazione sfociò, invece, in un’incredibile festa, con spettacoli offerti dai dominatori di acqua e terra in tutte le piazze delle capitale e con voli acrobatici presentati dai Frequentatori dell’Aria. Il regalo più bello, però, lo ricevette alla vigilia del matrimonio, quando Katara si presentò a lui con una boccetta d’acqua proveniente dal Nord e lo curò dalla bruciatura che gli deturpava il volto da quando non era che un ragazzino.

Sposato alla ragazza che amava e sicuro di poter guidare la sua nazione verso un lungo periodo di pace, vedeva nella sorella Azula l’unico suo cruccio. Lei aveva sempre desiderato succedere al padre come Signore del Fuoco, ma, quanto aveva ottenuto quella carica, non era stata in grado di gestirla e aveva allontanato anche i suoi fedeli servitori come in preda alla follia. A Zuko fu necessario metterla in catene per evitare che facesse uso dei suoi eccezionali poteri ed uccidesse qualcuno, ed ora temeva di dover privare anche lei dell’arte del dominio per darle la possibilità, un giorno, di vivere una nuova vita.

 

A poco meno di un anno di distanza dal suo insediamento come monarca, Zuko salì con Mai su di un dirigibile e partì verso il Tempio Meridionale dell’Aria – dove Aang stava istruendo un piccolo ma promettente gruppetto di giovanissimi monaci –, vivendo quel viaggio come la luna di miele che non aveva potuto organizzare prima a causa degli incessanti impegni di governo. Nella lussuosa cabina a loro riservata, i due giovani sposi progettarono il futuro insieme, osservarono lo splendido spettacolo offerto da isole e vulcani attraverso i lastroni di vetro che facevano da pavimento, oppure passarono il tempo sul grande letto, coccolandosi e facendo l’amore in totale spensieratezza.

Mente metteva piede sui primi gradini del tempio, colmo di gioia anche per il fatto di rivedere Aang e Katara, Zuko non si accorse del silenzio da tomba che regnava in quel luogo. Avvertì, però, un odore nauseabondo non appena raggiunse la porta e subito si voltò verso Mai con animo preoccupato: «Torna subito nella cabina. C’è qualcosa che non va».

Si mise un fazzoletto su naso e bocca, e ciò che vide a pochi passi di distanza lo fece vomitare. Nel refettorio, ancora seduti con la testa poggiata sui tavoli apparecchiati o distesi a terra in pose contorte, vi erano i corpi in putrefazione ed assurdamente gonfi dei monaci bambini e degli altri Frequentatori dell’Aria, e solo per mezzo delle vesti sporche e strappate gli riuscì di distinguere ciò che restava di Katara. Incapace di resistere oltre a quella vista, tornò all’aperto e lottò contro il desiderio di fuggire.

Alcune settimane prima, il vento aveva portato con sé un urlo straziante che era stato udito tanto nella Nazione del Fuoco quanto nel Regno della Terra, e una scia di luce accecante era stata vista alzarsi sino alla sommità del cielo. In molti sospettavano che l’Avatar fosse l’artefice del fascio luminoso e che il lamento sentito avesse avuto origine nelle fauci di un qualche mostruoso spirito dell’aria, ma ciò che aveva appena visto permise a Zuko di farsi un’idea più veritiera di quanto era realmente accaduto. Con un nodo alla gola, ordinò alla sua scorta di scavare delle fosse, seppellì Katara con le sue mani e diede ordine di ripartire subito dopo l’orazione funebre con la quale egli stesso rese omaggio alla memoria dei morti.

Durante il ritorno ebbe degli incubi frequenti, ma non fu quella la parte peggiore del viaggio, bensì i tetri periodi di veglia durante i quali troppe domande senza risposta gli affollavano la mente, momenti nei quali neppure Mai riusciva consolarlo. Chi aveva osato compiere un gesto tanto orribile? Dove si trovava Aang? E come poteva convivere con quanto accaduto?

Nel quarto giorno del viaggio di ritorno, vedendolo disteso sul letto a fissare l’anta di un armadio, Mai lo abbracciò dolcemente e gli disse: «Amore, sono addolorata anch’io per ciò che è accaduto, ma soprattutto sono in pena per te, perché so quanto volessi bene ad Aang e Katara. Tuttavia… devi ricordarti chi sei. Come sovrano disponi di navi e dirigibili e li puoi usare come meglio credi. Se intendi ritrovare l’Avatar, però, dovrai agire velocemente, perché ora devi preoccuparti anche del Regno della Terra».

«Lo so», rispose Zuko, voltandosi a guardarla. «Ora che lui è sparito, la crescita industriale del popolo della terra diventa un problema. Se troveranno un modo per far muovere i motori delle loro grandi navi prima che io ritrovi Aang, allora dovremo prepararci ad una nuova guerra. Manderò alcuni dirigibili ad avvisare le tribù dell’acqua e re Kuei di quanto abbiamo visto, ed anche a scoprire se hanno qualche notizia che possa esser utile per la mia ricerca.»

«Sono certa che lo ritroverai, ma questo significa che avrai ancor più lavoro da svolgere quando rimetteremo piede nella capitale, perciò adesso…» gli strinse un braccio fra i suoi seni, «dovresti lasciare che la tua sposa si prenda cura di te».

Con la mano libera, Zuko le accarezzò il volto, ma il suo sguardo rimase cupo e pensieroso. «Io…»

«Ascoltami, ti prego», l’interruppe Mai. «Mi avevi detto di non guardare, ma non ci sono riuscita… ed ora anch’io ho bisogno di pensare ad altro.»

 

La ricerca dell’Avatar non diede frutti, ed anche a distanza di settimane dal suo ritorno a palazzo, Zuko tornava con il pensiero al nuovo genocidio dei Nomadi dell’Aria, rivedendo nella mente la veste blu scuro di Katara, che aveva ricomposto alla meglio prima di seppellirla.

Un giorno fece visita al padre, e Ozai, vedendolo entrare nella sua cella, si dimostrò molto più pronto a conversare di quanto non lo fosse mai stato in precedenza e gli disse con tono allegro: «Ti vedo bene, figlio mio. Sai, mi sto abituando a vedere la tua nuova faccia. Se avessi imparato qualcosa da me, forse oggi saresti davvero un Signore del Fuoco. Tu, però, non solo hai ignorato i miei insegnamenti, ma hai anche cancellato dal tuo volto il mio ammonimento più importante.»

«Ed io non credo di averti mai visto così a tuo agio da quando sei qui dentro. Forse le notizie che arrivano dal Regno della Terra ti hanno in qualche modo allietato?»

Ozai rise in modo sin troppo fragoroso. «Hai indovinato, figlio mio! Senza l’Avatar e il tuo tradimento, il mondo ora sarebbe in pace sotto il mio incontestato dominio. Invece, presto dovrai affrontare una guerra per difendere quel che resta di una gloriosa nazione.»

«L’unica pace che tu avresti donato al mondo sarebbe stata quella dei cimiteri, o quella delle persone che hai istruito di modo che la pensassero esattamente come te. Ora scusami, ma è chiaro che non hai ancora compreso quali sono le tue colpe. La guerra con il Regno della Terra si fermerà ancor prima di iniziare; forse allora sarai maggiormente disposto a comprendere gli errori del tuo sanguinoso dominio.»

Mentre Ozai rideva di nuovo, Zuko se andò via, e quel breve scambio di battute gli aveva fatto passare la voglia di scontrarsi anche con l’odio e il delirio della sorella.

 

Quella notte si sentì troppo nervoso per fare l’amore con Mai e non volle confidarle i motivi del suo malessere; così lei, dopo aver cercato inutilmente di farlo parlare, si voltò irritata dall’altra parte. Le risate del padre continuavano a risuonargli nella testa, ma più di tutto l’opprimevano le notizie segrete appena ricevute dal Regno delle Terra: re Kuei, di fatto, aveva perso ogni potere, e il governo del paese era passato nelle mani della fazione guerrafondaia che non avrebbe mai accettato un accordo. Tutto ciò che poteva fare era cercare di ottenere, e poi mantenere, una netta superiorità militare con la flotta, e scoraggiare in questo modo ogni tentativo di invasione.

Fece fatica ad addormentarsi e si svegliò all’improvviso, in modo brutale, a causa di un dolore lancinante proprio dove suo padre, un tempo, lo aveva punito, ma più intenso ancora di quello che aveva provato allora. Gridò, ed istintivamente portò la mano destra sul viso, ma il tocco seppur cauto delle dita gli fece ancora più male. Si accorse di non vedere nulla dall’occhio sinistro e sentì i caratteristici odori di carne e capelli bruciati, mentre vicino alla sua testa il lenzuolo e il cuscino erano in fiamme. Nella stanza risuonò una risata terribile, e Zuko comprese da quel suono familiare che la figura in piedi accanto a lui era quella di Azula.

«Caro fratello!» urlò lei, contenta e soddisfatta. «I nostri ruoli si sono invertiti, e ti consiglio di non far nulla, se non vuoi che Mai faccia una brutta fine.»

«Cosa vuoi?» chiese Zuko, stringendo i denti per la sofferenza e guardando la sua sposa, anche lei in piedi, ma imbavagliata e bloccata da due soldati che le puntavano un coltello alla gola.

«Mio padre vuole che ti uccida, e anch’io voglio farlo, ma un poco alla volta. Ti avverto: se non ti farai ammanettare docilmente, farò tagliare la gola alla lurida cagna che hai scelto di portarti a letto.»

«Va bene. Farò quello che vuoi, ma non farle del male.»

«Bene! Alzati, tieni la mani dietro la schiena e lascia che i miei nuovi amici ti mettano un paio di bei braccialetti. Non ti chiederò nient’altro.»

Rassegnato a farsi catturare, Zuko fece come Azula gli aveva detto. Però, quando uno dei soldati che tenevano ferma Mai gli si avvicinò di un passo per ammanettarlo, lei si liberò agilmente di quello che ancora la tratteneva, lo stese con un calcio e, continuando quello stesso movimento, recuperò un paio di pugnali nascosti sotto al materasso. Zuko riuscì a colpire il soldato a lui più vicino, ma non a sorprendere Azula, che deviò sul letto la sua frusta di fuoco, incendiandolo, e centrò il fratello con uno dei fulmini azzurri proprio in mezzo al petto.

Mentre lui barcollava, Mai lanciò i suoi coltelli verso quella che in un tempo ormai lontano considerava sua amica, ferendola ad un braccio e costringendola a ripararsi, quindi afferrò la mano di Zuko e lo sollevò per saltare con lui attraverso la finestra, una via di fuga certamente meno pericolosa che attraversare scalinate e corridoi sin fuori dal palazzo. Nello stesso momento in cui i vetri si infransero, Azula illuminò a giorno la stanza con una folgore di impressionante potenza e urlò con voce carica d’odio: «Muori, schifosa traditrice!»

Mai volò ben oltre la finestra senza lanciare neppure un grido, ed il suo corpo avvolto dal fumo cadde direttamente tra gli alberi del giardino da poco completato. Favorito da un’oscurità rischiarata solo da un timido spicchio di luna e dalle luci alle finestre, Zuko scivolò sulle tegole rosse di piano in piano, atterrò sopra ad un uomo di guardia, dal quale prese la spada, poi corse nella direzione in cui la sua amata era caduta, sperando contro ogni logica di trovarla ancora viva. Quando la raggiunse, sfracellata a terra, con gli arti piegati in una posa innaturale, gli si inginocchiò accanto e si mise a piangere, incapace di vedere nient’altro che il colore orribile, e ormai familiare, preso dalla sua veste bianca nell’oscurità.

Le urla dei soldati lo costrinsero a scappare, e lui riuscì in qualche modo a liberarsi degli inseguitori e infine a nascondersi nei pressi del porto.

 

Si svegliò dentro una cabina, intontito da sonno e sofferenza, e indebito dalle diverse ferite che si era procurato nei combattimenti. Non aveva più né la voglia né le forze di fuggire o lottare, ma solo una profonda disperazione. Aveva perso gli amici più cari e la donna che amava, e dopo aver già sprecato lunghi anni della sua vita in una inutile caccia all’Avatar, quel destino in cui aveva creduto e che si era sforzato di realizzare con tutte le sue forze si era dimostrato, ancora una volta, nulla più che una menzogna. Lasciò che il capitano lo curasse, ascoltando appena le sue parole, e non prestò attenzione a nessun altro sul ponte. E più tardi, quando il cielo si fece nero, rimase immobile a guardare le imponenti onde che si schiantavano sui fianchi della nave, allo stesso tempo affascinato e terrorizzato nel notare che erano di un blu poco più scuro delle vesti di Katara e Mai.

   
 
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