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Autore: Sian    31/10/2020    3 recensioni
Storia partecipante alla trick or treat challenge indetta dalla pagina facebook "Detective Conan fanfic (italian fan)"
Jinpei Matsuda non voleva morire. Aveva ancora tante cose da dire alla sua amata Miwako Sato. Per questo motivo diventò un fantasma, capace di perseguitarla, farla sua. E Wataru Takagi voleva salvarla da ciò che era intangibile.
Dal testo:
Le era stato detto che era sbagliato, che era pericoloso, che era meglio non avere a che fare con i morti. Ma Matsuda era chiaramente un jibakurei e lei lo voleva salvare. Ma poteva solamente unirsi a lui, in una sorta di complici voglie.
Ora quella da salvare era lei.
E Wataru Takagi se n'era accorto. [...] Forse perché Takagi si era innamorato di lei, e solo a guardarla captava ogni significato dei suoi sguardi incatenanti color ametista.
Forse sarebbe rimasto un amore non corrisposto, ma voleva starle vicino. Voleva vederla sorridere, lucente. Perché lei si meritava di essere felice, di essere amata, ogni giorno.
Genere: Angst, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jinpei Matsuda, Miwako Sato, Wataru Takagi
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Storia partecipante alla trick or treat challenge
indetta dalla pagina facebook "Detective Conan fanfic (italian fan)"


Si ritrovò libero.
Si ritrovò 
morto.


Quattro minuti e venti secondi.
Era il tempo mancante alla bomba per esplodere nella cabina numero settantadue della ruota panoramica.
E Jinpei Matsuda era salito proprio lì, nell'intento di disinnescarla. Nell'intento di fare giustizia sulla morte del suo migliore amico Hagiwara.

La pinza tagliava senza sosta i fili della bomba, in una combinazione esatta, quasi come se fosse un movimento naturale.
Era da solo lì in cima. Doveva salvare la popolazione. Il silenzio era assordante, poteva giurare di udire la corrente elettrica.

Si sentì sfiorare la spalla. Ma non c'era nessuno.
Doveva essere la rabbia della situazione a giocargli brutti scherzi.

«Sei sicuro di farcela?» 

Una voce. Essa gli confermò di non essere solo.

Si girò a controllare se vi fosse qualcuno.
Ma non vi era nessuno. O almeno, nessuno di fisico, reale, tangibile.
Tornò concentrato sulla bomba.

Non seppe mai come si lasciò soggiogare da questa voce.
La voce della morte.
La voce che gli suggerì di farsi esplodere assieme alla bomba.

Il suo senso di giustizia ebbe l'accortezza di aiutare chi avrebbe vissuto, di aiutare i suoi colleghi nello stanare la seconda bomba, avvisandoli dell'indizio.

Pochi secondi.
Pochi secondi ancora da passare nel mondo dei vivi.
Pochi secondi per poi abbracciare il mondo dei morti.
Pochi secondi per dire addio.
Pochi secondi per amare.

Avrebbe voluto dirle: «Ti amo.»
Avrebbe voluto amarla.

- - - text - - -
"Ospedale Centrale Beika. PS: eri il mio tipo."


Sarebbe bastato?

Vide luce.
Vide bianco.
Un bianco candido.
Incorniciato dalla pece.

In quel brevissimo momento in cui lasciò la sua vita e passò a quella dei morti, si rese conto di come la bomba lo uccise.
Poteva giurare di aver sentito tutto.
La luce scaturita dall'innesco l'aveva dapprima accecato;
La pressione dell'energia creatasi iniziò a irradiarsi attorno a lui. Poteva sentire quanto fosse forte, quanto lo stesse spingendo;
Questa pressione non fece altro che schiacciargli gli organi vitali uno contro l'altro. Non era per nulla piacevole: sentire i polmoni compressi dagli altri organi, lo stomaco in gola, il cervello pesava tutto sul retro della nuca come se il cranio fosse totalmente vuoto e prosciugato, le ossa anch'esse erano sull'orlo di rompersi;
E tutto ciò terminò nel momento in cui gli oggetti attorno a lui si ruppero, colpendolo in ogni parte, distruggendo ciò che era il suo corpo;
Poté sentire il suo corpo cadere nel vuoto, ormai sfigurato totalmente dall'ustione e dalla cabina distrutta della ruota panoramica scagliata su di lui.
Aveva sentito tutto, nonostante fosse già uno spettro, nonostante avesse già lasciato questo mondo.
Sentì la morte. Sentì il dolore. Sentì il pianto di colei che amava.

E ora aveva una lunga veste bianca, e dei lunghi capelli neri, fasciati da un fazzoletto triangolare sulla fronte.
Lui non avrebbe dovuto ascoltare quella voce. Lui avrebbe voluto vivere. E avrebbe continuato a farlo.
Era diventato uno yūrei [note: fantasma della tradizione giapponese], per la precisione un jibakurei. [note: spettro di una persona morta suicida o con dei rimpianti, che infesta un particolare luogo.]

Pochi giorni dopo si presentò alla sua amata, constatando che poteva toccarla, desiderarla, baciarla.
Non capiva se fosse viva o morta. Che la voce della morte l'avesse convinta ad abbandonare quel mondo.
Eppure sembrava viva.
Mentre lui era morto.


***


E anche quella notte si incontrarono.
Appariva ogni sera, al calar della luce.
Quello yūrei la perseguitava, da ormai tre anni.
O meglio: aveva ascoltato quella voce. Le era stato detto di ricordarsi di lui, di tenerlo sempre legato a sé. Le era stato vietato di dimenticarlo, e anche se avesse voluto, quella voce avrebbe evitato che accadesse. Dunque era lei ad alimentare il risentimento che lo manteneva legato alla vita terrena.
Sebbene fosse morto, lui era vivo nei suoi ricordi, era vivo nella sua mente, era vivo per la passione tra loro. Quello yūrei l'aveva minacciata. Si sarebbe vendicato su di lei definitivamente se solo avesse osato dire a qualcuno della loro relazione.

Miwako Sato si svegliò, sempre più stanca, sempre più prosciugata.
Le occhiaie erano ben distinte, non ricordava nemmeno più come ci si sentiva riposati.
Sapeva riconoscere solamente la sensazione di vuoto che l'assaliva ogni qualvolta che aveva a che fare con quello yūrei.
Voleva dimenticarlo, ma non poteva.

Doveva uscire da tutto ciò in qualche modo. Quel fantasma era lo spirito di Jinpei Matsuda. E nonostante il suo aspetto di yūrei l'avesse reso diverso, ne era in realtà ancora innamorata, perché non voleva abbandonarlo.
Non voleva credere che fosse morto davvero tre anni fa, sacrificandosi per gli altri.
I suoi bei capelli mossi si erano trasformati in ciocche lunghe, miriadi di capelli fini e scuri volteggiavano attorno a lui, tenuti ordinati sul viso dall'Hitaikakushi bianco [note: una sorta di fazzoletto triangolare]. I suoi abiti erano totalmente bianchi, ricordavano i kimono funerari. Per completare l'opera e rendere il suo aspetto ancora più grottesco, la veste gli copriva totalmente gli arti inferiori, sempre che quegli arti ci fossero, vista la capacità nel fluttuare nell'aria.

Sato ripensò al carattere di Matsuda: doveva avere un cuore davvero gentile, anche se era molto rude e scortese.
E per questo quello yūrei meritava di vivere ancora. E per farlo vivere come spettro si era abbandonata ad ogni desiderio che avrebbe voluto realizzare con lui, anche quelli carnali in quanto lui la desiderava. D'altronde per uno spettro tutto era possibile.
Poteva afferrarla, farla sua, concatenare i loro respiri in un bacio, proseguire fino a farsi togliere il respiro da lui;
perché era ciò che accadeva quando lui la possedeva.

Le era stato detto che era sbagliato, che era pericoloso, che era meglio non avere a che fare con i morti. Ma Matsuda era chiaramente un jibakurei e lei lo voleva salvare. Ma poteva solamente unirsi a lui, in una sorta di complici voglie.

Ora quella da salvare era lei.

E Wataru Takagi se n'era accorto. Aveva capito che c'era qualcosa che non andava, nonostante Sato si premurasse di apparire normale.
Forse perché Takagi si era innamorato di lei, e solo a guardarla captava ogni significato dei suoi sguardi incatenanti color ametista.
Forse sarebbe rimasto un amore non corrisposto, ma voleva starle vicino. Voleva vederla sorridere, lucente. Perché lei si meritava di essere felice, di essere amata, ogni giorno.

Sato in realtà stava cercando di proteggerlo: Takagi non poteva venire a conoscenza di Matsuda.
Quello yurei ormai non aveva pietà per nessuno, il risentimento lo aveva consumato, era pieno di odio verso se stesso, non voleva più essere un jibakurei.
Voleva vivere.
Voleva essere una persona.
Doveva ancora vendicarsi di ciò per cui si era sacrificato. Il suo sacrificio sulla ruota panoramica non era servito a nulla non avendo arrestato il criminale.

Era arrivata l'ora di risolvere una volta per tutte quel caso rimasto irrisolto: il bombarolo aveva lanciato un altro messaggio in codice, dove avrebbe ucciso migliaia di persone.
Sato si schierò in prima linea, era un suo problema da risolvere.
Takagi la seguì. Doveva vegliare su di lei, doveva assicurarsi che non commettesse sciocchezze.
Matsuda attese. Attese il momento in cui i poliziotti non avrebbero avuto più indizi, attese il momento in cui avrebbe spinto Takagi a sacrificarsi, proprio come fece lui.

E quel momento arrivò. Sato non era lì con lui. Matsuda l'aveva capito che stava cercando di proteggere quel collega, forse perché provava dei sentimenti verso di lui? Lo stava tradendo?
Lo yūrei si allontanò da Sato, tanto quanto era necessario per raggiungere il suo obiettivo.
Eccolo, Takagi era lì. Gli stava dando le spalle, stava guardando la cima della torre, indeciso se salire oppure no.
Ci avrebbe pensato lui.
«Ancora non hai deciso? Sei proprio senza spina dorsale.»

«Takagi-kun, non andarci.» Sato lo stava supplicando al telefono, non doveva salire su quella torre, era una trappola. La stessa storia si stava ripetendo.
«Sto arrivando, aspettami, Takagi-kun.» Takagi non poteva sacrificarsi come Matsuda. Non doveva succedere ancora la stessa storia. Avrebbe avuto a che fare con due jibakurei? Come avrebbe reagito lo spirito di Takagi? Tutta quella storia era pericolosa.
«Takagi, questo è un ordine da un tuo superiore. Non andare su quella torre.»

Poteva essere sicuro di non stare più ascoltando Sato. Era decisamente più concentrato ad osservare quello yūrei che gli si era parato davanti, comparendo all'improvviso, sussurrandogli quella frase.
Era irriconoscibile, non poteva sapere chi era in realtà e se lo conosceva. La veste bianca fluttuava nell'aria, i capelli sottili e lunghi seguivano la brezza di quel momento.

Erano passati solamente cinque secondi.
Ma poteva giurare che ne fossero passati almeno trenta.
Successero così tante cose in pochi secondi. Gli sguardi erano comunicanti. Quello yūrei sembrava inoffensivo, caratteristica che avrebbe dovuto trovare strana. Non doveva di certo aver paura di una creatura che nella realtà non esisteva. Perché quello yūrei non era reale, vero? Quello yūrei era solo un brutto scherzo di tutta quella situazione.
Doveva solo avere paura di ciò che lo aspettava su quella torre, no?

Doveva solo avere paura. Esattamente.

Le mani intangibili improvvisamente sul viso di Takagi, per stritolarlo, immobilizzarlo.
Non poteva muoversi, non poteva rispondere al telefono, ancora portato all'orecchio.

Takagi non avrebbe di certo voluto abbandonare quel mondo, abbandonare Sato a quel mondo. La sua volontà di vivere era alta, ma nulla poteva fare se quello yūrei lo teneva immobile, totalmente paralizzato.

Doveva solo avere paura di morire.


Nemmeno il tempo di ribellarsi.
Nemmeno il tempo di prendere coscienza di cosa stava succedendo.
Nemmeno il tempo di realizzare che quello yūrei lo stava uccidendo.
Nemmeno il tempo di salutarla.
Nemmeno il tempo di dirle addio.


Quello yūrei costrinse l'anima di Takagi a farsi da parte, a non essere più lui il protagonista della sua vita.
Fu davvero semplice scansare la sua anima, così debole.

O forse non era quella di Takagi ad essere debole ma quella di Matsuda ad essere troppo forte per chiunque.

Lo jibakurei voleva vivere. Lui non avrebbe voluto farsi ammazzare nell'esplosione.

Matsuda riversò il suo corpo fluttuante all'interno della cavità orale di Takagi.

Gli provocò un immenso doloreMa non poté urlare. La sua anima era troppo piccola per rispondere al suo corpo.
La sua anima si rese conto di ciò che stava succedendo. Ma inerme non poté combattere contro a quello yūrei all'interno del suo corpo. Stavano stretti entrambi, ma la volontà dello yūrei era impenetrabile. Si sentiva costretto a rinunciare alla sua vita.
E non poteva impedirlo. Poteva ribellarsi quanto voleva, ma oramai...

«Invece sì.» Quel che appariva essere Takagi, ignorò gli ordini di Sato e le attaccò il telefono in faccia. Takagi aveva ascoltato la voce della morte. Lui l'aveva sentita rivolgersi a lui. Lui aveva sentito la voce della morte uccidere il suo ego.

Wataru Takagi non esisteva più.


***


Si era vendicato del criminale dopo tutti quegli anni? Forse sì. Doveva solo catturarlo per fargli patire tutto il dolore che lui stesso aveva provato.


Ma Sato l'aveva anticipato, ancora ignara del fatto che Takagi non fosse più lui, ma era preoccupata nel non vedere più lo spirito dello yūrei girarle accanto.
Si buttò giù in strada all'inseguimento di quel criminale.

Estrasse la pistola, voleva ucciderlo. Solo in quel modo era sicura di dargli la giusta pena. Doveva soffrire quanto lei. Doveva conoscere in prima persona il sapore della morte.

Ma l'ultima cosa che si aspettava in quel momento era di ritrovarsi le mani di quel che era Takagi immobilizzarla dal viso.
La stava stringendo, stritolandolo.
Non sembrava Takagi.
Non era Takagi.

Pochi secondi.

«Spara! Uccidilo!!!» Bastarono due attimi per farle sparare al bombarolo ed ucciderlo sporcandosi le mani, diventando anche lei un criminale, proprio uno di quegli esseri che sprezzava di più.
Bastò un attimo per farle abbandonare il suo corpo che giaceva ormai a terra, slegata dalla sua razionalità.

Il suo corpo aveva rigettato la sua anima, l'aveva vomitata.
Il suo corpo ora giaceva immobile a terra.

Aveva deciso di ascoltare quella persona.

Quella persona non era Takagi.
Quella persona non era reale.
Era stata la morte a farle sparare il colpo di pistola. Era stata la morte a tirarle fuori l'anima.
E la morte era proprio il suo amato. E l'avrebbe sempre desiderato.

La morte si chiamava Jinpei Matsuda.



Bastò un quarto di un attimo ad abbandonare quel corpo che aveva preso in possesso.

Si ritrovò libero.
Prese la mano di colei che era diventata uno spirito.



Si ritrovò libera.
Strinse la mano a colui che aveva amato.



Si ritrovò morto.
La sua anima era stata prosciugata, non era più nessuno, né nella vita terrena né nell'oltretomba.

Ora Wataru Takagi non esisteva più.




Note Autrice:

Grazie per aver letto fin qui!

Ringrazio il gruppo facebook per proporre challenge sempre interessanti!
L'unico problema? Questa fan fiction l'horror non lo vede nemmeno lontanamente xD Scusatemi per non essere riuscita a rispettare le caratteristiche della challenge ma spero abbiate apprezzato lo stesso tutto questo angst.
L'horror non è per nulla il mio genere, e scrivere questo è stato abbastanza difficile, ma soddisfacente. Mi sento vuota per aver scritto una cosa così.

Che dire d'altro...?
Buon Halloween a tutti!

Ci si vede alla prossima challenge ;)

Sian

   
 
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