Colori
nel nulla
Luna sa che
intorno a lei, a
solo pochi metri, ci sono spalti pieni di persone che
l’osservano; sa che la
stanza buia in cui si trova è una mera illusione, volta a
immergerla meglio
nella prova che l’attende. Non appena vi entra, tuttavia,
dimentica l’esterno:
esistono solo lei e l’armadio che ha di fronte.
Fino a un attimo
prima non lo
sapeva, ma ora le rimangono pochi dubbi: dovrà affrontare un
Molliccio. Impugna
la bacchetta, curiosa – ha studiato come
affrontare i Mollicci ma non ne
ha mai visto uno vero. Che forma assumerà, vedendola? Chiude
gli occhi,
riflettendo, ed è allora che sente uno schiocco; li riapre.
Davanti a lei
non c’è alcun
mostro: solo una bambina – appare così piccola
– rannicchiata accanto
all’armadio. Piange, ma è incrociandone lo sguardo
che Luna si spaventa: non ha
mai incontrato occhi così vacui, privi di qualsivoglia
emozione. Piange, ma non
sembra realmente triste (solo vuota). Luna rabbrividisce,
ricordando d’averla
già vista. Aveva nove anni, si trovava davanti a uno specchio. Sua madre era
morta da giorni e
lei aveva perso ogni volontà; restava chiusa nella sua
stanza tutto il tempo,
fissando il vuoto e talora piangendo, mentre suo padre conduceva strani
esperimenti nel suo studio. La morte della moglie l’aveva
devastato: Luna, pur
così piccola, aveva intuito che quello fosse il suo modo per
cercare di
superare la perdita. Non lo incolpava per averla lasciata da sola – non
voleva
compagnia, comunque.
Luna inspira e
respira. Sorride
comprensiva verso la bambina: se potesse andrebbe lì ad
abbracciarla e dirle
che passerà, che non è tutto orribile come crede,
che sua madre sta bene e la
aspetta in un luogo più bello. Non è
però davvero alla bambina che sorride, ma
al passato – davanti a lei c’è il
ricordo di una sfida già affrontata e vinta.
Agita la bacchetta contro il Molliccio e mormora la formula.
L’abito
grigio diviene colorato,
il riflesso di mille creature inizia a riempire il suo sguardo. Ricorda
come
studiare i diari di sua madre ha riportato pian piano il colore nella
sua vita,
allora. Il Molliccio appare confuso, adesso,
indietreggia d’un passo
incalzato da un Nargillo. Luna ride, genuina – una risata
allegra, non dettata
dal ridicolo. La bambina tremola, pallida. S’inizia ad
avvertire il rumore
degli spalti.
Un ultimo
schiocco secco e l’immagine
sparisce in una spirale di fumo.
La stanza buia
svanisce subito
dopo: la luce del sole torna improvvisa a ferirle gli occhi, gli
applausi degli
spettatori esplodono.
Luna lascia
l’arena sorridendo.
Ha superato la prima prova, ma non è questa la cosa
più importante: ha
ricordato un tempo sepolto, rintracciato la sua paura e il suo coraggio.
Teme il nulla
negli occhi
– disperazione che vuota il dolore.
Volge lo sguardo
all’azzurro del
cielo.
Ama i colori del
mondo – spontaneità
che dona la gioia.
NdA
Non si conosce
la forma
del Molliccio di Luna, quindi sono possibili le ipotesi più
disparate.
Io non ho
certezze in
proposito: confrontandomi con altri sono uscite fuori riflessioni
interessanti
per cui il Molliccio avrebbe potuto rappresentare
l’omologazione o suo padre al
San Mungo o molto altro. Una delle ipotesi (grazie, Cress!)
prevedeva il
“dimenticare gli insegnamenti di sua madre” e di
conseguenza vedersi vuota; mi
ha decisamente ispirata, anche se l’ho interpretato in
maniera leggermente
diversa. Luna non si vede vuota in generale, qui, rivede proprio il suo
momento
più buio: il periodo immediatamente successivo alla morte di
sua madre.
Non ho certezze
su quale
possa essere il Molliccio di Luna Lovegood, ma ne ho una su quale non
è
(ovviamente per come la interpreto io): credo che il suo Molliccio non
sarebbe
un cadavere, perché rispetto ad altri personaggi la vedo
molto in grado di
accettare la morte come fenomeno naturale. Non significa che la morte
di una
persona cara, tanto più se prematura, non la rattristi: ci
mancherebbe!, ma
secondo me non sarebbe la sua più grande paura. Soprattutto
perché è convinta
che dopo li rincontrerà, non vive la
morte come una separazione
definitiva.
Questo
però ovviamente è
vero per la Luna adolescente, non è certo nata con queste
convinzioni. Ho
immaginato il periodo successivo alla morte della madre (avvenuta
davanti ai
suoi occhi, ricordo) come il suo momento più fragile. La
reazione del nulla
che ho cercato di tratteggiare richiama la depressione, nelle mie
intenzioni.
È una
fase che Luna
supera diventando la ragazza che conosciamo nei libri, ma non per
questo meno
dolorosa. Penso che la sua più grande paura a livello
inconscio possa essere
proprio questa: ricaderci, tornare a vedere il mondo in nero. Smettere
di
provare qualsiasi emozione.
È,
però, il fantasma di
un passato già vinto e che qui Luna, dopo un attimo di
smarrimento, torna a
vincere. Forse è una vittoria fin troppo facile, ma non
riesco a immaginare in
modo diverso un suo scontro con un Molliccio: con tutte le sue
peculiarità, Luna
è un personaggio che vedo ben poco vincolato alla paura.
È
particolare anche il
modo in cui sconfigge il Molliccio, con questa risata dettata non dal
ridicolo
ma dall’allegria per una nuova consapevolezza, dal sollievo
per una difficoltà superata.
È particolare, ma nella mia visione è da
Luna.
È
invece da Corvonero la
conclusione: la cosa più importante non è aver
vinto la sfida ma aver imparato
qualcosa (a conoscere meglio sé stessa, in questo caso).
Chiudo qui le
note se no
diventano più lunghe della storia; chiarisco solo che questa
raccolta partecipa
a un contest sul Torneo Tremaghi che prevede tre storie diverse.
Se questa flash
supererà
la prima fase dovrò scriverne una per la seconda prova; se
superassi anche
quella ci sarà la finale.
Insomma, spero
che questa
flash vi sia piaciuta – per me è stata una sfida
interessante.
Un saluto, alla
prossima!
Mari