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Autore: _Eclipse    04/11/2020    1 recensioni
Dal capitolo 8:
-Ci sono venti di tempesta che si avvicinano, ormai salpo molto più di frequente, le esercitazioni sono più durature e in maggior numero. Questo addestramento vuol dire solo una cosa, il conflitto si estenderà, dove non lo so, ma ci sarà qualcuno di potente- Hiroto sospirò.
-Se vi è tempesta, all’orizzonte, non importa quanto forte soffierà il vento, quanta pioggia cadrà a terra, quanta sofferenza e distruzione causerà. Alla fine tornerà a splendere il sole e sarà allora il momento di ricostruire ciò che è caduto e preservare ciò che è rimasto. Imparare dai nostri errori e prevenire un nuovo disastro- rispose Shirou.
****
-Possiamo agire come una piovra e allungare i nostri tentacoli sul continente e sulle isole del Pacifico. Per i primi sei o dodici mesi di guerra potremo conseguire una vittoria dopo l'altra, ma se il conflitto dovesse prolungarsi, non ho fiducia nel successo- parole dure, pronunciate davanti al governo, ai generali, ammiragli e all'imperatore in persona, come se fosse un ultimo tentativo per rigettare un conflitto.
-Allora sarà vostro compito assicurarvi la vittoria assoluta il prima possibile- replicò il primo ministro.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hayden Frost/Atsuya Fubuki, Jordan/Ryuuji, Shawn/Shirou, Xavier/Hiroto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 13: Fuga

 

Oahu 

15 dicembre 1941

 

Alle prime luci del mattino, Mark Krueger si era intrufolato nella casa di Atsuya.

Si sentiva come un topo d'appartamento, aveva messo a soqquadro l'abitazione in cerca di un qualsiasi documento dell'amico.

Fortunatamente, il padrone di casa gli aveva rivelato dove poteva trovare una copia della chiave se mai fosse successo qualcosa, dato che passava gran parte della giornata in ospedale.

Era nascosta all'interno di un piccolo vaso di fiori che teneva all'esterno della porta. Purtroppo Mark dovette sradicare quei graziosi fiori bianchi, ma non si sentì in colpa, probabilmente sarebbero appassiti comunque se i federali fossero riusciti a portare Atsuya sul continente.

Il giovane si era meravigliato del fatto che la residenza fosse intatta, pensava che la polizia avrebbe perlustrato la villetta da cima a fondo in cerca di prove schiaccianti che dimostrassero la tesi dei federali.

Era nella camera da letto, il posto certamente più ovvio per tenere i propri effetti personali. Aveva completamente svuotato il cassetto del comodino, ma vi trovò solo un libro in giapponese, qualche fazzoletto di tela e altre cianfrusaglie.

Controllò ogni capo d'abbigliamento presente nell'armadio adeso alla parete, tutte le tasche dei pantaloni e anche delle camicie.

In quella stanza era rimasto un solo posto, lo scrittoio sotto la finestra.

Quella scrivania di legno, aveva tre cassetti sulla destra, uno sopra l'altro. I due inferiori si aprivano, ma all'interno trovò solo documenti scritti in modo, a suo dire, strano poiché non aveva mai visto una pagina completamente in kanji della lingua nipponica, ma solo qualche carattere.

Tutti qui fogli formavano una grossa e pesante pila di carta, probabilmente era frutto del lavoro di tutti gli anni passati sull'isola per conto dell'università di Tokyo.

L'ultimo cassetto, quello più in alto dei tre, non si apriva.

Era dotato di una serratura, tuttavia Mark non aveva la fortuna di sapere dove trovare anche la chiave per lo scrittoio.

Sapeva di dover fare in fretta, non aveva tempo da perdere a cercarla e passò quindi alle maniere forti.

Tirò quel cassetto con tutta la sua forza, lo strattonò più volte ma non si spostava dalla sua sede.

Sospirò e lo colpì con un calcio.

Il legno sottile del cassetto si sfascio e poté essere rimosso.

Allungò all'interno la mano e afferrò tutto il contenuto e lo mise sopra la scrivania.

Vi erano alcune buste piuttosto gonfie, ne aprì una e scoprì che erano piene di dollari. Contenevano tutta la paga che Atsuya si era guadagnato da quando aveva iniziato a lavorare all'ospedale.

Non stette a contare i soldi, ma ad occhio potevano arrivare quasi sicuramente a qualche migliaio.

Prese le tre buste e le mise in una borsa a tracolla in cuoio che si era portato.

Trovò anche una specie di libretto, sulla facciata vi erano alcuni kanji che sormontavano il simbolo dorato del crisantemo che risaltava sulla copertina rossastra.

Sotto quel simbolo era scritto, sia in inglese che francese: "Passaporto del Giappone".

Lo aprì e all'interno vi erano i dato di Atsuya, trascritti sia in lingua nativa che inglese i dati dell'amico, accompagnati da una fotografia in bianco e nero. 

Aveva trovato quello che gli serviva.

Mise anche il passaporto nella borsa e se ne andò chiudendo l'abitazione portando con sè la chiave.

Qualche ora dopo si incontrò con il dottor Wilson nel suo ufficio.

Il medico stava seduto dietro la sua scrivania, stava compilando alcuni documenti.

Dall'altra parte stava invece Mark che prese il passaporto e lo mostrò all'uomo.

-Ottimo lavoro, abbiamo quello che ci serve- esordì l’altro senza alzare lo sguardo dalle scartoffie.

-E per quanto riguarda me?-

Il più anziano prese un plico di qualche pagina, a lato della scrivania, e lo passò al più giovane.

-Una copia è stata inviata al comando dell'aeronautica. Pilota, lei è ufficialmente esonerato dal servizio per le ferite riportate in battaglia durante l'attacco a Pearl Harbour. Ricordati solo che sei diventato cieco dall'occhio destro. Prima che tu vada, ti farò un bendaggio che potrai togliere a casa, ma ti consiglio di fartene fare un altro quando salperai, così sembrerai un vero ferito di guerra-

-La ringrazio… ora come ci muoviamo?- chiese Atsuya.

-Da quanto mi è stato riferito si procederà al trasferimento con la prima nave in arrivo, tra due giorni. Dovrebbe portare rifornimenti ma ha il permesso di evacuare anche parte della popolazione civile americana, nella quale da ora rientri anche tu-

-Questo l'ho capito, continui per favore- Mark era impaziente di sapere come agire.

-Non è difficile, Atsuya verrà caricato su una delle volanti che ha in dotazione la polizia, il nostro agente si è offerto di guidarla. La porterà in un luogo sicuro e farà scendere Atsuya. Qui entri in gioco tu, so che hai un'auto, giusto?-

-Sì-

-Dovrai seguire la volante fino al luogo in cui verrà lasciato Atsuya, poi dovrai fare quello che ti dice l’agente e andartene-

-Per i federali come facciamo?-

-Per quello non c'è problema, non possono essere coinvolti nel trasferimento, quindi attenderanno al porto. Una volta avvertiti dalla fuga del prigioniero dovranno tornare alla centrale di polizia. Nel frattempo tu condurrai Atsuya in un luogo sicuro, ad esempio la tua casa, e gli consegnerai questi, dopodiché salirete su quella nave e partite per il continente. Ricordati di tenere con te il certificato che ti ho lasciato, è l’unico modo che hai per imbarcarti in quanto ferito di guerra- disse il medico passando al ragazzo il lasciapassare della croce rossa e un passaporto cinese, ovviamente falsificato.

-Siamo certi che quei federali non saliranno a bordo con noi?-

-Il nostro amico della polizia farà in modo di allontanarli in qualche modo, tuttavia non posso darti alcuna garanzia a riguardo, potrebbero salire sulla nave e in questo possibile scenario… non vorrei essere nei vostri panni… quindi te lo chiedo un’ultima volta: sei disposto ad aiutarci in questo piano?-

Mark si prese qualche secondo per pensare. Ormai era un civile e Pearl Harbour era stata bombardata, quindi ora stava in una zona di guerra e non erano esclusi ulteriori attacchi.

-Sì, ci sto… dopotutto era da un po’ che pensavo di tornare sul continente-

Il dottor Wilson si alzò e strinse la mano al ragazzo. 

Dopo le ultime raccomandazioni e gli ultimi dettagli, i due si congedarono.

Mark tornò nella propria casa, un minuscolo bungalow in affitto che usava insieme ad Erik, Bobby e Dylan quando stavano a terra.

L’unico rimasto, era Erik ancora convalescente. Si muoveva con l’ausilio di due stampelle ma nonostante tutto stava bene.

L’amico gli aveva detto del piano per salvare Atsuya e sapeva che a breve si sarebbero separati e forse mai più visti.

La notte prima, dell’operazione, preparò un bagaglio contenente i suoi effetti e i pochi vestiti e andò a dormire presto.

Il mattino successivo, salì sulla sua Forde del ‘37 color verde bottiglia e partì alla volta della piccola centrale.

Non voleva dare nell’occhio e alzò il tettuccio decappottabile in tela nera, nonostante fosse una bella giornata abbastanza calda.

Erano quasi le sette del mattino quando parcheggiò l’auto dall’altra parte della strada rispetto alla caserma.

Da lì a poco sarebbe iniziato il piano per la fuga.

Attese non più di dieci minuti, alle sette precise, Atsuya fu scortato in manette da due agenti. Uno di essi salì a bordo della volante, l’altro si assicurò che il prigioniero, seduto sui sedili posteriori, non potesse uscire e chiuse l’abitacolo.

I due agenti si salutarono, dopodiché la volante partì.

Mark accese il motore e quando la ritenne abbastanza lontana iniziò a inseguirla.

Cercò di ridurre le distanze il più possibile. La strada era tutt’altro che trafficata, la quasi totalità degli abitanti era ancora scossa dall’attacco e non si fidava a uscire dalla propria casa.

L’auto della polizia si allontanava sempre più dal centro abitato, si fermò in un piazzale desolato di un deposito vittima del recente bombardamento. 

Il capannone era a pezzi e ovunque vi erano detriti, polvere, lamiere di metallo e frammenti di calcestruzzo ovunque.

Le due auto si fermarono una dietro all’altra.

Il poliziotto scese, un uomo adulto vestito in uniforme e con degli occhiali da sole sul naso.

-Mark Krueger?- esordì.

-Sì sono io-

L’agente, aprì la portiera del passeggero, fece uscire Atsuya e gli levò le manette.

-Aspettate, cosa… cosa sta succedendo? Mark?- il medico era confuso e non capiva la situazione, ma allo stesso tempo era sollevato dal non avere più le manette.

-Lunga storia, ce ne andiamo via da qui così non sarai in pericolo-

-E la polizia?-

-Hai salvato mio figlio, non mi sembri una cattiva persona. Sto solo pagando il mio debito- rispose l’uomo per poi impugnare la propria pistola.

-State dietro di me, prima di lasciarvi devo fare una cosa…-

Puntò l’arma verso la propria auto ed esplose tre colpi; i proiettili infransero i due vetri, uno colpì lo sportello del guidatore, poi da distanza ravvicinata ne sparò altri tre alla portiera del passeggero che si aprì.

-Ora abbiamo inscenato un assalto alla mia volante… Mark, hai mai usato una pistola?-

-Solo al poligono di tiro…-

-Sarà più che sufficiente, per sembrare realistico il piano, devi colpirmi di striscio, al braccio o alla spalla, confido poi nell’abilità da medico del tuo amico-

Mark sgranò gli occhi alla richiesta.

-E’ proprio necessario?-

-Al porto ci sono due federali, se volete levarli di torno allora dovete ferirmi, così sembrerà che c’è una rete di spie giapponese che ha agito per liberare il loro connazionale. Ovviamente non piace neanche a me l’idea di essere colpito, lo faccio solo per saldare il mio debito, ora fallo e veloce prima che cambi idea…- l’uomo passò l’arma al ragazzo.

-Allora, che fai, spari o no?- lo incalzò.

Il giovane si avvicinò per essere sicuro di prenderlo solo di striscio.

Sudava dal nervoso, trattenne il respiro e prese la mira, doveva fare solo un graffio, se avesse sbagliato, avrebbe potuto ucciderlo.

Passò un tempo infinito, poi premette il grilletto.

Dopo il botto dello sparo, seguì una trafila di insulti e imprecazioni dell’agente.

Atsuya si avvicinò subito per esaminare la ferita.

Era stato preso di striscio poco sotto la spalla, proprio come doveva essere, usciva del sangue, ma non era nulla di grave nel complesso. Il proiettile andò a incastrarsi nella carrozzeria dell’auto come tutti gli altri.

Il medico aiutò l’agente a fasciarsi il braccio.

-Ti ringrazio- disse Atsuya.

-Siamo pari, una vita per una vita, ora va prima che scoprano l’inghippo… io cerco di tornare alla centrale-

-E’ sicuro di riuscire a guidare con quella ferita?- chiese il medico.

-E’ un graffio, fa male ma riesco a muovere il braccio… ora andate-

Nonostante la ferita aperta sotto la medicazione, si mise al volante e tornò indietro a tutta velocità, con l’auto forata dai proiettili e uno sportello posteriore che non rimaneva più serrato a causa dei danni.

Gli altri due non persero tempo e fuggirono da quel campo di macerie e detriti.

-Ora che facciamo?- domandò il medico preoccupato.

-Ce ne andiamo via da quest’isola, andiamo negli Stati Uniti. La nave salpa alle dieci, abbiamo ancora un margine di tempo. Ti spiego tutto arrivati a casa-

Il tragitto fu decisamente più breve dell’andata, il nervosismo e l’agitazione di Mark lo avevano reso più rapido del previsto.

Una volta arrivati, Atsuya ricevette la sua nuova identità, un documento con il sole bianco su fondo blu, simbolo della Repubblica cinese, e il lasciapassare.

-Sono un regalo dei tuoi colleghi di lavoro, ancora non so quali contatti abbiano per esserne entrati in possesso!-

Per curiosità il rosa aprì il libretto, le informazioni erano scritte sia in cinese che inglese e lesse: “Zhao Jie, nato a: Shangai… il giorno… professione: medico…”, in alto a destra vi era la sua fotografia che era stata rimossa dal passaporto.

-Sarebbe tutto perfetto se non che conosco una singola parola di cinese!- esclamò Atsuya.

-Non potevi di certo usare un passaporto giapponese… dottor Zhao- sorrise Mark.

Atsuya sospirò e si lasciò cadere sul divano nel piccolo soggiorno.

-Abbiamo poco tempo. Devi darti una ripulita, ti posso prestare dei miei abiti, ma fai in fretta- continuò l'americano.

Il rosa fece come consigliato e si diede una rinfrescata. Erano giorni che non faceva un bagno e sentiva la mancanza del sapone e dell'acqua.

Dovette fare tutto velocemente.

Gli indumenti che gli passò l'amico erano un po' più grandi della sua taglia, essendo Mark più alto, ma non aveva molte altre scelte.

Una camicia azzurra, pantaloni e giacca biancastri.

-Non sono forse un po' troppo eleganti?- commento il medico guardandosi allo specchio appeso alla parete bianca della camera da letto.

-Sarai pure un profugo dalla Cina, ma sei sempre un medico, devi essere credibile, e tratta bene quel completo che è uno dei migliori che possiedo!-

Era giunta l'ora della partenza. Sull'uscio di casa si, presentò Erik, zoppicante, che si accompagnava impugnando le stampelle.

-E' un vero peccato che dobbiate andarvene così… non so mai come ringraziarti per avermi aiutato- prese parola rivolgendosi ad Atsuya.

-Oh, non ce n'è bisogno, ho fatto il mio lavoro; giapponesi, americani, cinesi, se una persona è ferita o sta male non importa la sua nazionalità, da medico ho il dovere di aiutarla!-

L'altro accennò un sorriso.

-Dobbiamo andare, Erik ti faccio dono dell'auto, purtroppo dovrai venire a reclamarla al porto, la lascio in custodia alla capitaneria- 

-Non preoccuparti Mark, buon viaggio e buona fortuna!-

I due fuggitivi salirono nuovamente a bordo. Salutarono Erik, che agitava la mano tenendosi in equilibrio su una stampella, e partirono alla volta del porto.

Il molo non era cambiato per nulla da quando Atsuya era arrivato per la prima volta.

La sola differenza era nel numero di navi, una singola imbarcazione di linea.

Enorme, dallo scafo tinto di nero e un grande fumaiolo nel mezzo.

Prima di scendere dall'auto Mark, ricordandosi delle parole del dottor Wilson, si fece fare un bendaggio sull'occhio da Atsuya. Fortunatamente aveva lasciato nell'auto le garze e bende della fasciatura che gli fece il medico in ospedale per sembrare un vero mutilato di guerra. Le aveva riposte nel cassetto portaoggetti del cruscotto in quanto desiderava vederci con entrambi gli occhi mentre si trovava alla guida.

Dopo la medicazione, come promesso, l'auto venne lasciata in affido alla capitaneria di porto con indicazioni di restituirla al tale "Erik Eagle".

A passo svelto si diressero verso la rampa per l'imbarco.

Centinaia di persone, cittadini degli Stati Uniti erano lì, tutti cercavano di andarsene dalle Hawaii.

I due si misero in coda ad una delle numerose file guardandosi intorno torvi, per controllare la presenza dei due federali.

Rimasero ad aspettare il loro turno per almeno un'ora.

Un membro dell'equipaggio si presentò davanti a loro.

Gli vennero passati il passaporto cinese con il lasciapassare di Atsuya e il certificato medico e il documento d'identità di Mark.

Il marinaio fece delle storie riguardo quei documenti, ma aveva le mani legati dal lasciapassare della croce rossa e dal certificato di congedo dell'ormai ex pilota che lo rendeva un civile a tutti gli effetti, quindi avente diritto ad essere evacuato rafforzato dal fatto che era stato ferito in combattimento, almeno così sembrava.

Dopo aver riletto più volte quelle carte, l'uomo brontolando gli indicò di salire che li avrebbero sistemati nella terza classe.

Per Atsuya era quasi un sogno, quella nave si era trasformata dal suo biglietto di sola andata verso un carcere, nel suo mezzo per la salvezza, ma era tutt'altro che tranquillo.

Si sentiva teso per timore di una sorpresa dell'ultimo minuto.

La loro cabina di terza classe era piccola e angusta, da condividere con una famigliola di quattro persone. Le pareti erano di metallo color bianco e il pavimento rivestito da listelli di legno.

Le cuccette era di ferro battuto ma confortevoli e tutti loro potevano godere della vista del mare grazie ad un oblò sulla parete.

Mark sistemò il bagaglio a terra sotto il proprio giaciglio, poi insieme ad Atsuya tornò sul ponte per salutare l'isola.

Alle dieci e quindici minuti, la sirena della nave squillò, poco dopo vennero lasciati gli ormeggi e prese placidamente il largo.

Il rosa poteva vedere la figura della torre Aloha, ormai tinta in modo da essere invisibile la notte, che l'aveva accolto al suo arrivo, rimpicciolirsi sempre di più.

Ormai erano per mare al sicuro.

 

****

 

Tokyo

20 dicembre 1941

 

Haruna Otonashi conosceva ormai da anni Shirou Fubuki. 

L'aveva incontrato la prima volta quando era arrivato a Tokyo, bussando alla porta dell'okiya Kira offrendo i servigi di taikomochi.

Non sapeva per quale motivo Hitomiko aiutò quel ragazzo a farsi un nome, ma da allora divenne uno stretto collaboratore anche se ormai entrambi lavoravano principalmente in autonomia.

Sempre elegante, come si conveniva ad una geisha; indossava, nonostante il freddo di inizio inverno, un lungo kimono di colore blu. 

Il cielo era grigio e alcuni fiocchi di neve cadevano a terra trasportati placidamente dall'aria.

La geisha si riparava il capo con un ombrello di carta color rosso vivo, oltrepassò il cortile e bussò.

Yukimura aprì la porta:

-Signorina Haruna! E' un piacere vedervi!- esclamò sorpreso.

-Anche per me Yukimura… Shirou è in casa?-

-Sì, prego entrate, deve far freddo lì fuori!- disse il blu accompagnando le sue parole con un gesto del braccio che la invitava ad entrare.

La geisha sorrise, posò l'ombrello bagnato dalla neve all’esterno ed entrò nell'abitazione dell'amico.

-Vado a chiamare subito Shirou, sarà contento di vedervi-

Il giovane si assentò lasciando la donna sull'uscio.

Era stata ben poche volte a casa dell'argenteo, si stupiva ogni volta di come fosse più grande di quello che sembrava.

Alle pareti erano appesi dei rotoli di carta con dei grossi caratteri scritti con inchiostro di china.

Non li conosceva, probabilmente erano caratteri antichi, retaggio della lontana influenza cinese sull'arcipelago.

Quasi certamente erano non erano opera di Shirou, a vista sembravano piuttosto datati e la carta dei rotoli era visibilmente ingiallita, mentre l'inchiostro non era più brillante come alla sua stesura.

Mentre si interrogava sul significato di quei caratteri, immaginando anche lontanamente la loro pronuncia, Yukimura tornò in compagnia di Shirou.

-Buongiorno Haruna, a cosa devo la visita? Questione di lavoro?-

-Salve Shirou, no non è per lavoro che sono qui, solo una visita di cortesia-

-In questo caso, prego seguimi e gustiamoci una tazza di tè caldo-

Il ragazzo fece strada attraverso il corridoio vicino che conduceva alla piccola sala che usava per la cerimonia del tè.

-Prego, dopo di te- disse Shirou aprendo la porta e facendo accomodare l'amica.

I due si sedettero sul tatami di bambù.

L'ultimo ad entrare fu Yukimura che chiuse la porta.

-Spero tu non ti offenda se ne non ci saranno cerimonie particolari, credo che una semplice tazza sia molto più significativa per un pomeriggio tra amici-

-Per nulla, anzi, preferisco sia informale-

Il più giovane nel frattempo aveva già acceso il fuoco e per scaldare l’acqua e preparato le tazze.

-E’ un peccato che tu abbia deciso di non seguire le orme di Shirou, sono certa che saresti stato un ottimo taikomochi, Yukimura- commentò Haruna osservando il ragazzo disporre il necessario per il tè.

-Ho fatto del mio meglio, ma ognuno deve seguire la sua strada- aggiunse l’argenteo.

-E credo che la mia sia un’altra, ma ancora non so quale possa essere- concluse il blu.

-Hai ancora tempo per comprendere quale sia il tuo destino- rispose Shirou.

Dopo qualche istante di silenzio imbarazzante, Haruna alzò la testa e chiese:

-Hai qualche notizia di Atsuya?-

-No, qualche giorno mi sono messo in contatto anche con la sua università, il suo professore, il dottor Ogawa, non riceve lettere di Atsuya da mesi… spero solo stia bene- il giovane abbassò la testa sospirando. 

-Sono certa che se la stia cavando, è un ragazzo in gamba- lo consolò Haruna.

-Ma ora è scoppiata la guerra, noi siamo qui, lui è in un paese nemico. Per quanto abile, è un estraneo e ostile per il popolo americano-

-Dovremo aspettare la fine del conflitto- esordì il blu porgendo una tazza di tè ad Haruna.

-Direi che non abbiamo altre alternative, spero solo finisca presto… in Cina sono ormai più di quattro anni che va avanti- rispose Shirou amareggiato.

-A proposito di guerra ho sentito che ora vogliono allargare la coscrizione- Haruna cercò di deviare la conversazione.

-Da chi l’hai sentito?- domandò Shirou.

-Alcuni ufficiali dell’esercito che ho intrattenuto qualche sera fa. Dicevano che ormai servivano molti più uomini e il governo avrebbe esteso la coscrizione obbligatoria-

-Era ciò che temevo…- sospirò l’argenteo.

-Questo vuol dire che io e Shirou dovremo partire per la guerra?!- esclamò Yukimura stupito.

-Non è detto, ho solo riportato un pettegolezzo- la geisha cercò di correre ai ripari per non destare preoccupazioni.

-Il mio maestro, Nishioka Hide, sarebbe partito volontario per il fronte pur di servire il paese, ma lui era figlio di un’altra epoca- aggiunse Fubuki.

-In che senso?- Yukimura pareva interessato a questo misterioso Nishioka Hide, aveva ovviamente sentito il nome in passato e sapeva che era stato il maestro di Shirou, l’aveva visto qualche volta, ma non si ricordava molto di questa persona.

L’argenteo si schiarì la voce e iniziò a raccontare.

-Il maestro Nishioka era discendente di una lunga tradizione di taikomochi che serviva la famiglia del daimyo di un piccolo dominio. Quando scoppiò la guerra Boshin(1), si armò e seguì il suo signore in battaglia per unirsi ai clan fedeli alla causa imperiale: Satsuma, Choshu, Tosa e molti altri, tutti coalizzati per rovesciare il potere dello shogun. Amava raccontare che quando partecipò alla battaglia di Ueno, qui nei pressi di Tokyo,  si trovò nella prima ondata, guidata dal clan Satsuma e fu circondati dai lealisti. Un colpo di fucile uccise il cavallo del suo daimyo che cadde a terra. Fu allora che il maestro, impugnando la spada si parò davanti al suo signore per proteggerlo e duellò contro uno shogitai(2) venendo ferito ad un braccio. Il resto è storia, la battaglia fu vinta, ma non raccontava questo episodio per farsi vanto della sua abilità nel combattimento o per essere stato testimone di uno scontro entrata nella storia del nostro paese, ma per insegnarmi che un taikomochi non è solo intrattenitore del suo signore, ma anche consigliere e guardia. Il mio onore dovrebbe spingermi a difendere questo paese-

-Sono passati più di settant'anni da allora, non ci sono più daimyo e samurai da servire!- lo rimproverò Haruna.

-Ma abbiamo ancora un imperatore, al posto dei daimyo e samurai abbiamo generali e ammiragli. La storia non cambia, continua il suo ciclo, a volte si ripete altre volte cambia solamente maschera- rispose l'argenteo.

-Ti conosco bene Shirou, non saresti adatto per la guerra, sei un artista non un soldato. Per quanto il tuo onore ti impone di partire so che in realtà la chiamata alla armi sarebbe terribile per te- replicò la geisha per poi di finire di bere il suo tè. 

Non aveva tutti i torti, sulle spalle di Shirou gravava il peso della tradizione e della storia, ma anche il timore di essere coinvolto in questo grande conflitto.

-Potresti aver ragione…-mormorò l'altro.

Yukimura provò a prendere le redini della situazione e questa volta cambiò lui l'argomento della discussione:

-Non hai più visto il pilota? Quello che era venuto qui per la cerimonia del tè?-

-Perché lo chiedi?-il taikomochi era confuso e non capiva il senso di quella domanda così improvvisa.

-Nelle ultime settimane vi siete incontrati di frequente, credo che sia un buon cliente… sarebbe un peccato perderlo con i tempi che passano- il ragionamento di Yukimura non faceva una piega e con la guerra in corso vi era il rischio concreto di perdere un cliente affezionato e conseguentemente denaro.

-Non sapevo avessi trovato un cliente fisso- si intromise Haruna interessata.

-Un giovane pilota della marina. Purtroppo non lo vedo più da tempo, mi aveva confidato che prima o poi sarebbe accaduto qualcosa di grosso e sarebbe partito, ma non sapeva nè quando nè per dove-

-Di solito siamo noi geisha ad avere le attenzioni dei clienti-

-Mi pare anche ovvio, noi taikomochi ormai ci contiamo sulle dite di una mano- sorrise Shirou mostrando la propria mano destra.

Haruna cercò di nascondere una risata, una domanda sciocca le attraversava la mente, ma poi si sciolse e chiese schiettamente:

-Almeno sa che sei un uomo? Sai… il trucco, i kimono, i ventagli…-

Il volto di Shirou arrossì per l'imbarazzo.

-Aspetta, non starai insinuando…-

-Non insinuo nulla, dico solo che il trucco può trarre in inganno, e un kimono nascondere le forme. Alle volte capita che alcuni clienti rimangano ammaliati da una geisha, alcuni si innamorano perdutamente, ma non saranno mai corrisposti-

Yukimura, sentendo quelle parole, scoppiò a ridere. Shirou arrossì ancor di più.

-No, no nel modo più assoluto! Come puoi pensare ad una cosa del genere!?- ribattè visibilmente imbarazzato.

-Sto solo scherzando, prendi tutto così seriamente che finisci per non goderti più la bellezza che ci circonda. Voglio dire, sei troppo teso, l'ho visto e l'ho sentito dal primo momento che sono arrivata. So che sei preoccupato per Atsuya, per la guerra, ma vedrai che tutto si sistemerà-

Shirou sospirò, poi guardò dritto negli occhi blu scuro della geisha.

-Si dice che le geisha non siano altro che mere intrattenitrici, ragazze dedite al canto e alla danza, ma nascondono una profonda saggezza che viene manifestata all'occorrenza- l'argento sapeva che l'altra aveva ragione, ma non era semplice per lui non preoccuparsi.

La ragazza si alzò con grazia ed eleganza.

-Mi dispiace, ma temo di essermi trattenuta fin troppo a lungo-

-No al contrario!- intervenne subito il padrone di casa.

-E' stato un piacere, vi ringrazio per l'ospitalità-

I due giovani l'accompagnarono alla porta dove si salutarono per l'ultima volta.

-Spero che tornerà a farci visita in futuro- disse Yukimura.

-Certamente, è stato un pomeriggio molto piacevole- rispose la geisha con un sorriso, poi prese l'ombrello per ripararsi dalla neve per poi tornare all'okiya.


****

 

Hong Kong

25 dicembre 1941

 

Il giorno di Natale sarebbe dovuto essere di festa, se la città non si fosse trovata assediata da forze superiori sotto tutti i punti di vista.

Nelle prime ore del mattino, gli ufficiali britannici e il governatore della colonia, alzarono bandiera bianca.

La resa fu firmata al terzo piano del lussuoso Peninsula Hotel; un imponente edificio bianco in stile neo-coloniale che fungeva da quartier generale giapponese. 

Per le strade della città, l'esercito nipponico sfilò mettendo in mostra il vessillo del Sol Levante, il grande sole rosso con i suoi lunghi raggi che ora sventolava sugli edifici chiave della città.

La parata dei vincitori fu breve e semplice.

 I fanti incutevano timore; marciavano con passo cadenzato e sulla spalla tenevano il fucile con ancora la baionetta innestata, una schiera terrificante di uomini, vestiti con uniformi kaki, armati e impazienti di iniziare il saccheggio.

Dopo la dimostrazione di forza e superiorità delle forze armate, i comandanti chiusero gli occhi e finsero di non vedere le efferatezze.

Haruya si trovò, come suo solito, con Suzuno seduto su un cumulo di macerie provocate dal colpo di uno dei tanti cannoni da campo schierati.

Sorridevano entrambi godendosi la gloria della conquista.

-Più semplice che a Nanchino- commentò il ragazzo dai capelli grigi.

-Allora che ne dici di divertirci un po' come allora?- sul volto di Haruya si disegnò un ghigno malefico.

-Purtroppo sarà l'ultima volta che ce la spasseremo…-

-Perché? Non dirmi che è arrivato un generale che disapprova i saccheggi!- sbottò il rosso.

-No, sono stato richiamato, vogliono che svolga il mio servizio in patria, dovrò estirpare il dissenso e mantenere l'ordine-

-Allora che sia una giornata indimenticabile…- dopo aver pronunciato quelle parole, Haruya si alzò da quell'insieme di calcinacci, polvere e sabbia, imbracciò il fucile e gridò ad una donna che cercava di tornare a casa a passo spedito, dai capelli lunghi neri e spettinati e dai vestiti logori e sporchi.

Ella non si voltò, accelerò il passo, probabilmente aveva inteso il pericolo.

Haruya avvicinò l'arma alla guancia, prese la mira attraverso il piccolo anello metallico all'estremità e sparò.

Il proiettile attraversò la base del collo della donna. Cadde a terra stringendosi con le mani dove era stata ferita.

Perdeva sangue, molto, ma era ancora viva, si stava aggrappando con tutte le forze a quel sottile filo di vita residuo.

Haruya si avvicinò, raggiunto poi dall'amico.

Guardò la donna che giaceva in mezzo alla polvere di una buca della strada, causata dei bombardamenti.

-Cinese...- commentò con disgusto, per poi alzare il fucile verso l'alto e darle il colpo di grazia con la baionetta.

Il donna non si scompose, non emise neanche un grido, solo qualche singhiozzo dovuto alla ferita al collo e attese rassegnata l'arrivo della morte, 

La lama le lacerò la parte bassa del petto incastrandosi tra le costole.

Haruya dovette fare forza con una gamba e dare uno strattone per liberare la lama. 

La polvere iniziò a mischiarsi con il sangue in una poltiglia bruna e collosa. 

Il rosso guardò compiaciuto il lavoro appena svolto, poi si rivolse all'amico:

-Avanti, ci sono molti insetti da eliminare-

Suzuno caricò la pistola che teneva al fianco.

Come molti dei loro commilitoni, si diedero al crimine.

La strada era deserta, nessuno osava uscire dalla propria casa.

Quando riuscivano a scorgere anche solo un volto, un'ombra, da una finestra, i due soldati sparavano.

Riuscirono a colpire alcuni civili innocenti, la cui colpa era stata solo di aver fatto capolino dal vetro per vedere se la strada era sicura.

-Avanti Haruya… facciamo sul serio-

-Una irruzione in qualche casa?- propose l'altro.

-Esattamente!- il malefico ghigno di Suzuno avrebbe fatto gelare il sangue anche al più coraggioso degli uomini. Loro non erano soldati, non combattevano per il loro paese, ma per il piacere di uccidere e quando non erano sul campo di battaglia trucidavano i civili.

Haruya si avvicinò all'ingresso di una palazzina di mattoni rossi in stile europeo, non era stata toccata dalla guerra, praticamente era intatta.

Con due calci ben assestati sfondò il portoncino in legno.

I due si divisero; il rosso, con il fucile in mano, salì le scale al piano superiore. 

Suzuno invece buttò giù una porta di un appartamento al piano terreno.

Delle grida disperate si sollevarono, ma furono prontamente smorzate da tre colpi di pistola in rapida successione. Uscì e raggiunse l'amico al piano successivo.

Un terzo ingresso venne forzato dalle gambe dei due soldati. 

Fecero irruzione nella casa.

 Il lungo vestibolo era in ordine, dei cappotti erano appesi agli attaccapanni a muro. Entrarono in una porta sulla sinistra, sul tavolo vi erano dei piatti di ceramica, Suzuno si avvicinò ad una stufa a gas sulla quale vi era un grosso tegame messo a cuocere. Non lo toccò ma percepì che era caldo, probabilmente chi era in casa si era nascosto quando aveva sentito le urla e gli spari.

-Fuori! Uscite dal vostro nascondiglio! Sappiamo che siete qui!- urlò Haruya.

Suzuno ripose la pistola nella fondina che teneva sulla pancia. In quanto sergente della kempeitai portava al fianco una lunga spada, molto simile ad una katana anche se non forgiata a mano da un artigiano esperto, ma dall'arsenale navale di Toyokawa, insieme ad altre migliaia di sue simili.

Afferrò l'impugnatura e la sguainò con un singolo e fluido gesto.

La lama fischiò trapassando l'aria.

Brandiva l'arma con una mano e iniziò a perlustrare l'abitazione, palmo per palmo.

Era una dimora di un certo livello, non mancavano di certo le comodità come la moderna cucina a gas, importata probabilmente dai coloni inglesi del luogo, quasi certamente i proprietari erano benestanti; forse commercianti o piccoli borghesi.

Il salotto, alla destra del vestibolo, era vuoto. Solo un vecchio divano e una poltrona, vicini ad un tavolino di legno sormontato da una radio.

-Da questa parte!- indicò Nagumo le ultime porte, tre in totale.

Si avvicinarono ed entrarono in due stanze differenti.

Il grigio era nella camera padronale, una stanza quadrata con un letto matrimoniale, un grosso armadio e uno specchio al muro, con le pareti tappezzate da una orribile carta da parati a fiori.

Si guardò intorno, fece qualche passo verso la finestra e la trovò chiusa.

Si avvicinò verso il letto, stava per abbassarsi quando un urlo, di una voce femminile proveniente dall'altra stanza, attirò la sua attenzione. Uscì e si riunì con il compagno che gongolava tenendo una ragazza di non più di sedici anni per i lunghi capelli neri.

Era cinese e stava piangendo e tremava di paura.

-Guarda chi ho trovato nascosta sotto al letto della sua cameretta…- cantilenò con un tono di scherno Haruya strattonando la ragazzina.

-Ci saranno anche i suoi genitori…- osservò l'altro.

-Venite fuori! Se non volete che vostra figlia faccia una brutta fine! Sappiamo che siete qui!- gridò il rosso. Quella situazione lo divertiva, gli sembrava una specie di nascondino, con la differenza che chi si nascondeva, non poteva salvarsi.

La prigioniera iniziò a urlare anche lei, nella sua lingua madre, sconosciuta agli aguzzini.

-Falla stare zitta, odio quando strillano- ordinò Suzuno.

Il rosso la spinse a terra e poi le afferrò nuovamente i capelli.

-Zitta!- tuonò guardandola negli occhi pieni di lacrime.

La porta della camera padronale cigolò e fecero capolino due figure, un uomo e una donna, a testa chinata.

Avevano circa quarant'anni, l'uomo indossava degli occhiali di corno ed era vestito con una camicia bianca e dei pantaloni grigi, la moglie vestiva con un abito rosso.

-Finalmente… pensavate di nascondervi? Suzuno a te l'onore-

Il grigio si avvicinò con la spada tra le mani.

La ragazza riprese il suo grido disperato quanto incomprensibile per i due soldati.

Improvvisamente l'uomo iniziò a parlare nella lingua dei due invasori.

-Fermi! Vi prego!-

-Parla la nostra lingua… da quando ci sono cinesi così colti?- lo schernì il rosso.

-Lavoro per una compagnia commerciale, sono stato nel vostro paese molte volte prima di tutto ciò- rispose l'uomo.

-Questi non ti rende una persona più importante… per la mia spada siete tutti uguali-

-Perché? Perché fate tutto questo!?-

-Per schiacciare i nemici del nostro imperatore, per la gloria della nostra nazione, per sopravvivere il forte deve eliminare il debole- rispose Suzuno.

-I civili e le persone disarmate per voi sono una minaccia? Cosa potrebbero mai fare donne e bambini innocenti?!-

-Oh, loro non sono pericolosi, sono solo un modo per divertirci- replicò il rosso. 

-Questi sono crimini, i vostri generali…- non riuscì a ultimare la frase che venne zittito da Nagumo:

-I nostri generali ne sono consapevoli… quasi tutti… e ci hanno lasciato ventiquattro ore di libertà, possiamo fare tutto ciò che vogliamo come ricompensa per la conquista-

La sua risposta inorridì l'uomo, era davanti a dei mostri. La moglie si strinse a lui.

-Un'ultima volontà?- chiese in modo inquisitorio il grigio.

-Risparmiate almeno mia figlia…-

Suzuno non rispose, levò la spada verso l'alto e vibrò il colpo tra la spalla e il collo della vittima. Il corpo cadde riverso in un lago del suo stesso sangue.

La moglie urlò, la figlia venne obbligata a guardare la scena in lacrime.

La spada, ancora insanguinata, venne passata all'amico che pose fine all'agonia della moglie. 

Dopo aver spezzato un'altra vita restituì l'arma.

-Cosa ne facciamo di lei? La uccidiamo come i genitori?- domandò il kempeitai.

-Avevo ben altri piani per lei…- rispose l'altro afferrando il volto in lacrime della ragazzina.

-Credo potremmo divertirci un po'... prima di riunire la famiglia- spiegò.

Suzuno sorrise maleficamente, aveva già capito, non servivano ulteriori chiarimenti.

La ragazza venne fatta alzare con la forza e portata nella sua stanza.

Suzuno e Haruya non furono gli unici sciacalli.

Come a Nanchino, Hong Kong non venne risparmiata dalle efferatezze dell'esercito nipponico che per giorni flagellarono la città caduta.

L’inverno del 1941 sarebbe stato lungo e rigido.


****

 

1) Guerra boshin: guerra civile che durò dal 1868 al 1869 e che vide contrapposti due schieramenti; i clan fedeli all’imperatore Meiji e i clan fedeli allo Shogunato Tokugawa. Fu un conflitto relativamente poco sanguinoso tanto da essere considerato quasi una rivoluzione “pacifica”.

Degno di nota in questa guerra fu la nascita dell’unica forma di repubblica dell’intera storia giapponese, la Repubblica di Ezo, che venne fondata dalle ultime sacche di resistenza leali allo Shogun sull’isola di Hokkaido. Tale breve ed effimera repubblica visse per circa 6 mesi; dal dicembre 1868 al giugno 1869.

 

2) Shogitai: erano un corpo d’elitè fedele allo shogunato. Erano stati incaricati di difendere il tempio di Kan’ei-ji presso Ueno. Nonostante la feroce resistenza, vennero quasi totalmente sterminati (circa trecento vittime) durante la battaglia dai clan imperiali, mentre il tempio venne raso al suolo dalla moderna artiglieria, dei clan Tosa e Saga, che sparavano colpi esplosivi. 

I restanti Shogitai cercarono di ritirarsi a nord per unirsi alla “Coalizione Settentrionale” o alla Repubblica di Ezo e continuare la guerra contro i clan imperiali.

 

Angolo d’autore…

Credo che questo sia uno dei capitoli più lunghi con 

poco meno di 6000 parole… devo forse ridurre la lunghezza?

Comunque sia ci siamo spostati dalla flotta giapponese,

il piano di fuga è riuscito, Hong Kong è caduta e sono

tornati i nostri cari Shirou, Yukimura e Haruna.

Temo che con l’andare avanti con la storia dovrò innalzare 

il rating a rosso… credo che la parte di Haruya e Suzuno non sia

molto conforme al rating arancione, dovrò farmene una ragione 

a riguardo…

Come sempre io spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto,

spero di riuscire ad aggiornare a presto e non come negli ultimi

tempi XD

Quindi un saluto,

 

_Eclipse

 
   
 
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