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Autore: burnthemall    04/11/2020    0 recensioni
"L'amore è un chiodo sotto al piede. Chi ne è punto spreca anni sperando di trovare la propria controparte, il pezzo che avrebbe combaciato alle lacune dell'anima: un frammento di felicità elettrica. Ma perché dovrei essere la protagonista di questa storia? Ne conosco già la fine, e non sarà lieta."
Ovvero: drammi esistenziali di una adolescente convinta di sapere tutto della vita.
E che si sbaglia.
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Bondage, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Ripubblico questa storia revisionata e riscritta, i capitoli saranno più lunghi anche se gli aggiornamenti meno frequenti. E' un disaster in progress, che posso dirvi XD Ma con questo nuovo format sono più contenta.

****


L'armonia nascosta vale di più di quella che appare.
- Eraclito

 

IGNOBILI 

Prologo





 

Il pensiero torna alla famigerata teoria degli opposti. Scruto il cancello dinanzi a me, troppo alto: impossibile fuggire. Oggi, pare, mi occuperò di verificarla personalmente.

Oh, quale assurdità. È solo una favola, una chimera, una menzogna. Ed un fastidioso chiodo sotto al piede. Chi ne è punto ha la disgrazia di consumare anni ricreando qualche torturata storia d’amore letta in un libro, quel libro che ti ha fatto sospirare nella speranza di trovare la tua controparte, il pezzo che avrebbe combaciato magneticamente alle lacune della tua anima: un frammento di felicità elettrica. Un’infinità di persone spreca la vita sognando di aver le proprie crepe riparate da qualcun altro. E dopo, smentite, si buttano in situazioni folli per provare al mondo di aver avuto ragione. Questa volta il principe si nasconde dietro l'uomo nero, la casta donzella riuscirà a trasformare il rospo in stallone con un tocco di bacchetta magica, ottimismo, e lacrime amare. Questa volta non si verrà accecati da splendide fantasticherie, così come aggiungere gasolio al fuoco sboccia rose cremisi. Indossa camice bianco e maschera protettiva, scegli la tua combinazione preferita – c’e ne sono tante, ma non quante credi – ed arranca contro scienza e logica nel tentativo di refutare la reale motivazione: essere un cuore in cerca di conflitto.

Ma perché dovrei essere io la cavia di questo ennesimo esperimento? 

Non ha senso leggere la storia se ne conosci la fine.

La felicità non la trovo ingannandomi con qualcuno. Di questo ne sono sicura. 

Quindi, cosa voglio ottenere aspettando dietro la palestra? 

Tiro un calcio alla ghiaia. Il cemento grigio dell'Istituto Veronesi è intonato al mio umore. Appoggio la schiena contro la parete, i mattoni ruvidi pungono le mie scapole. L’inferriata di fronte è dipinta di nero, impervia e tetra quanto i cancelli di Mordor. Tutto mi procura fastidio, persino la brezza settembrina minaccia di disfare lo chignon stile ballerina. Potrei essere al caldo in classe, rovistando l’astuccio in cerca della mia penna al gel glitterato. Potrei stare aggiornando Matilde dell’ultimo indecente spettegolio origliato in bagno. Si è discusso di me. E di lui.

Scuoto la testa, riaffiorando al presente, stizzita. Sto razionalizzando l’intenzione. Divago per evitare di pensare a cosa sto facendo qui, al perché, e come mi senta adesso.

E’ normale essere tranquilli? 

Non ho mai parlato con Tilde di queste faccende, a parte per lamentarmi di... dell’ovvio. Prevedere una tale circostanza si addice ad una mente abituata a sollazzare nel bagno delle ragazze, piuttosto che sulle nuvole tempestose dove volo. Forse sarebbe stato meglio familiarizzare con le dinamiche femminili invece di ascoltare gossip falsi quanto Giuda. Avevo errato scartando il resto come stupidamente superfluo, o in ogni caso impossibile. Una colossale ingenuità. Ho diciassette anni suonati, sono praticamente antica.

Invece sono qui, sola con le mie reazioni inopportune, attendendo l’ignoto, per un opaco motivo che sono incapace di chiarire.

Sempre che abbia interpretato correttamente quel criptico messaggio. Tiro fuori il cellulare dalla tasca dell’uniforme e ne sblocco lo schermo. Subito balza alla vista il mio coinciso enigma. Lo fisso con cipiglio. Nuovamente, fallisco nel risolverlo.

 

“Incontrami al nostro posto dopo italiano. 

Dobbiamo parlare.”

 

C’è un'altra possibilità. Potrei, medito quasi sollevata, essermi sbagliata.

La prima reazione era stata un moto d’allarme. Mi ero appena sistemata per l’ora di Latino, libro e quaderno degli appunti aperti sul banco: terrorizzata dalle declinazioni da memorizzare nel pomeriggio, non intendevo perdere un secondo di lezione. La vibrazione nella tasca della gonna mi aveva fatto sobbalzare. Il suo nome, apparso controllando lo smartphone, aveva aggravato il precario stato dei miei nervi. Avevo alzato gli occhi colmi di sgomento su Matilde mentre si sedeva accanto a me. 

“Perchè sei così agitata? La prof è ancora fuori,” aveva canzonato lei. 

Avevo inghiottito l'istinto di confessare. Normalmente le avrei avvinghiato il braccio in una morsa ferrea, parlottando a macchinetta del fattaccio. Per una volta, ero congelata nell’incertezza. Non volevo sentire cosa avrebbe risposto Matilde. Di opinioni, giudizi e condanne ne aveva sciorinate a iosa. Dal caos delle nostre recenti dispute erano sorti mille contrastanti scenari che mi pugnalavano le tempie a turno. Avevo ricacciato il cellulare in tasca, sorridendo colpevole. 

“Non è mai troppo presto per temere della propria vita,” avevo detto onestamente.

Matilde, l’immagine della serenità, stava riesumando dallo zaino il suo testo di Latino. “Non avresti motivo di preoccuparti,” aveva sgridato imperterrita, “se ti fossi preparata in tempo.”

La frecciata aveva colpito vicino al cuore. Aveva ragione. Se la mia vita fosse stata un'interrogazione avrei preso meno due. 

Non ero pronta. 

Avevo evitato ogni forma di contatto con lui perché detestavo non sapere a cosa andavo incontro. Del resto, com’era possibile essere preparati di fronte al fato oscuro? Era un ossimoro, una campagna militare persa al varco del Rubicone. 

Ma ammettevo di aver temporeggiato, sperando di rimandare l’inevitabile all’infinito. Il cambiamento era la mia nemesi. Nella mia immaginazione, stendevo imperiosa una mano verso le Parche, pretendendo di tirare le fila della mia sorte. Loro, per tutta risposta, mi sfottevano in romanaccio.

Basta. Era tempo di smetterla di logorarsi sulle domande che avrei desiderato porre; era tempo di andare ad esigere risposte. E se non mi fossero piaciute - ecco, a quello avrei potuto pensare dopo.

“Seduti!” La professoressa di Latino aveva sbattuto la porta sui cardini ed era marciata verso la cattedra.

 Perchè le insegnanti bastarde sembrano forgiarle con lo stampo alla fabbrica dei cattivi Disney? 

La Taperazzi si era aggiustata gli occhiali spessi sul naso aquilino, scrutanodoci severa. Era una donna bassa, eppure sembrava torreggiare sopra di noi quando sfilava marzialmente per i corridoi scolastici. 

Stridii di gambe di metallo sul pavimento rumoreggiavano per l’aula; i miei compagni si erano seduti dopo il saluto intonato sull’attenti, in una massa omogenea d’obbedienza. 

Io ero l’eccezione. Non mi ero alzata; le ginocchia avrebbero ceduto. Non avevo eseguito il saluto; le parole minacciavano di straripare in uno tsunami di imprecazioni immonde se avessi aperto bocca. Ero occupata a concentrare tutte le mie forze nel piano da attuare.

“Silenzio! Siamo in ritardo rispetto a Greco. Oggi tratteremo un argomento alquanto ostico…” una pausa, “Che vuole, signorina Caponeri?"

 La domanda sottintesa: come osi?

La Taperazzi aveva puntato il cipiglio feroce su di me, sulla mia mano tremante, alzata. Metà classe aveva iniziato a mormorare sbalordita, il bisbiglio cosa diavolo sta facendo sovrastava gli altri. Matilde aveva le sopracciglia perse nella frangia castana. Il parere condiviso era palese: il mio comportamento era suicida quanto bizzarro.

Concordavo in pieno. Normalmente tentavo di passare inosservata durante le ore Taperazziane; una mosca studiosa sul muro. Oggi offrivo uno spettacolo raro. 

Avevo finto d’ignorarli. Mi ero schiarita la gola, racimolando coraggio.

“Professoressa, mi sento male,” avevo guaito, “Devo andare in infermeria.”

La scusa più vecchia del mondo. Il mio cervello tendeva a svegliarsi dopo il caffè dell’intervallo.

“Vuoi morire?” aveva sibilato Matilde. Io avevo proseguito ad ignorarla.

Le labbra della Taperazzi si erano assottigliate, assumendo l’espressione letale tipica di quando stilava una nota disciplinare sul registro. Mi aveva studiato per un lungo attimo. 

“Perché mai? Oggi non ci sarà nessuna interrogazione.” 

Matilde aveva represso la sua risata con un colpo di tosse. Oh, andate all’inferno entrambe, avevo inveito silenziosamente. 

Mi ero sforzata di apparire sull’orlo del pianto. “Sto proprio male. Il ciclo è arrivato in anticipo. Potrei anche vomitare.”

I mormorii circostanti avevano assunto un tono nettamente disgustato.

“Professoressa, è vero, anche a me non sembra a posto...” aveva commentato Matilde, mezza partecipe e mezza complice, la sua parola forte della media del nove. Il mio affetto per lei era sconfinato. Poi si era girata verso di me, seria. “Mi chiedo il perché,” questa volta aveva sussurrato. 

Avevo ricambiato lo sguardo con intensità torturata, prometto che ti racconterò tutto! ma tenevo il cellulare stretto nella mano sudata.

“In questo caso...” La Taperazzi non si era neppure disturbata a completare la frase: aveva fatto un gesto come per scacciare una mosca molesta, e io ero volata alla porta.

Mostrarsi contrita era facile dopo aver mentito a Matilde. “Non so cosa mi stia succedendo,” avevo confessato in sua direzione, prima di sbattere la porta sui cardini e fiondarmi via. Già in ritardo. 

Ma dopotutto una cosa l’avevo compresa.

Curiosità. Dev'essere stata quella la forza funesta che mi ha attratto fuori dalla classe con una bugia raffazzonata alla mia scettica migliore amica, per muovermi a piè veloce lungo il corridoio, evitando la bidella sfumacchiante alla finestra, poi giù le (rumorose!) scale antincendio, e che tuttora mi tiene appoggiata al muro della palestra a rimuginare - mezza penitente e mezza divertita.

Se non altro, sarà interessante ascoltare le sue razionalizzazioni.
 
 
   
 
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