Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: cabin13    05/11/2020    2 recensioni
[Questa storia partecipa al contest "Wr-Ink-Tober" indetto da fantaysytrash sul forum di EFP]
"Ci sarebbe potuto rimanere per delle intere ore lì, ad ammirare quello spettacolo, noncurante del gelo canadese che gli mordeva la punta del naso e le dita dei piedi. Era troppo concentrato sulla sua bozza per potersi preoccupare del freddo; doveva rendere su carta la magia di quel momento.
[...] Ma nessuno si fermava mai a parlargli davvero. Delle sue aspirazioni, della sua visione del mondo o della sua vera personalità non fregava niente a nessuno; per tutta la scuola lui era solo l’artista amichevole che non sapeva mai dire di no."
Genere: Angst, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

Universo a matita

Penso che l'autunno sia più uno stato d'animo,

che una stagione.

(Friedrich Nietzsche)


And it's hard to maintain any smile on my face

'cause there's madness on my brain

So I gotta make it back, but my home ain't on the map

(Home - Machine Gun Kelly)

Zack sapeva di essere in ritardo. Sapeva fin troppo bene che la prima lezione della giornata – francese con la soporifera signora Nadeau – era già cominciata da un pezzo e che a scuola non gliela avrebbero fatta passare liscia, ma non gliene poteva importare di meno. Era immerso nel suo universo, tutto il resto del mondo poteva cessare di esistere.

Aveva steso la giacca a vento a mo’ di telo e si era seduto sul terreno accidentato. Ci aveva impiegato un po’ con la schiena a trovare la posizione ideale contro l’ampio tronco dell’albero prescelto, ma alla fine era riuscito a mettersi abbastanza comodo ed aveva aperto il suo album di disegni, la fedele matita già stretta tra le dita arrossate per il freddo.

Era appena l’alba quando era arrivato: un nuovo, bigio giorno di fine ottobre stava cominciando a Darkwood Hills* e nella foresta che la delimitava. Il ragazzo non poteva esserne più contento.

I flebili raggi del sole filtravano tra le fronde degli alberi da est, scaldavano la terra umida e gelata cosicché gli sbuffi di vapore tutti insieme formassero una nebbiolina che pareva coprire l’intero suolo come un leggiadro velo. Una tiepida luce spazzava via i cupi colori della notte e riportava alla vita l’intero ambiente: il marrone scuro di tronchi e rami, l’antracite di qualche masso qua e là, gli aghi degli abeti di un verde intenso, le centinaia di sfumature gialle e rosse delle foglie ormai cadute.

Ci sarebbe potuto rimanere per delle intere ore lì, ad ammirare quello spettacolo, noncurante del gelo canadese che gli mordeva la punta del naso e le dita dei piedi. Era troppo concentrato sulla sua bozza per potersi preoccupare del freddo; doveva rendere su carta la magia di quel momento.

Se qualcuno avesse sfogliato l’album del giovane lo avrebbe trovato pieno di schizzi del bosco, soprattutto di questo durante il periodo autunnale, e la gran parte erano anche colorati. C’era anche qualche ritratto di nonna Marianne e un paio di vedute dello skyline della vicina Calgary*, ma si potevano contare sulle dita di una mano.

Zack abbozzava qualsiasi cosa vedesse su un blocco da disegno sin da quando ne aveva memoria. L’anziana gli aveva raccontato che conservava ancora la sua prima opera: una rappresentazione un po’ sbilenca e tremolante della casa in cui abitavano. Il ragazzo si era sforzato di sorridere in maniera convincente.

Marianne non ricalcava per niente lo stereotipo della nonna affettuosa – i cinque dollari per comprare le caramelle Zack non li vedeva neanche a Natale –, ma per più di sedici anni aveva fatto del suo meglio nel crescere un bambino con una situazione familiare e sociale affatto semplice. L’aveva persino portato tra le stradine di campagna per esercitarsi prima dell’esame della patente l’anno precedente.

– Se ce la fai a guidare qui, puoi guidare ovunque! – aveva esclamato tutta convinta.

Quando il ragazzo era diventato abbastanza grande per realizzare l’impegno che lui costava alla nonna aveva cominciato a lavorare sodo per darle sempre meno grane possibili: studiava sodo per ottenere buoni voti a scuola, era gentile e sorridente con tutti perché non voleva avere rogne con nessuno dei suoi compagni. Non che fosse troppo difficile, in realtà. Non era esattamente il tizio popolare a cui tutti andavano dietro.

Zack era conosciuto per il suo sorrisone a trentadue denti e per la sua indole allegra e pacifica. Anche i bulletti più fastidiosi gli risparmiavano i tipici tormenti che di solito si riservavano agli “sfigati”; anzi, un paio di volte era pure riuscito a convincere Jamie McKinn e la sua cricca di teppisti a lasciare in pace un paio di ragazzetti del primo anno terrorizzati. Tutti lo salutavano quando lo incrociavano in corridoio, qualcuno si complimentava per un disegno che stava ultimando, qualcun altro gli chiedeva aiuto per sistemare delle cose – la primavera precedente aveva spostato nella serra scolastica le piante del club di giardinaggio – o per ripassare qualsivoglia materia.

Ma nessuno si fermava mai a parlargli davvero. Delle sue aspirazioni, della sua visione del mondo o della sua vera personalità non fregava niente a nessuno; per tutta la scuola lui era solo l’artista amichevole che non sapeva mai dire di no.

Oltre ad essere un mezzo demone.

Darkwood Hills era un angolo di mondo, un agglomerato di sì e no cinquemila persone quaranta minuti in auto a ovest di Calgary, nell’Alberta occidentale, ma, a differenza di tante altre città canadesi, la comunità delle creature magiche riusciva a vivere apertamente a stretto contatto con gli esseri umani. Gruppi di demoni e incantatori passeggiavano sui marciapiedi accanto alle comitive di gente comune come se niente fosse, nessuno si scandalizzava se il panettiere aveva una coda a punta che spuntava dal retro dei pantaloni, se metà dei consiglieri comunali aveva lunghe zanne affilate al posto dei denti o se dei bambini in un parco giocavano facendo levitare le macchinine. Era la routine.

Peccato che convivenza non volesse dire per forza mescolanza. Creature magiche e persone comuni si tolleravano, ma al di fuori dello stretto necessario non ci tenevano molto a interagire gli uni con gli altri. Gli bastava osservare le differenti compagnie che esistevano nella sua scuola: non ce n’era nessuna che comprendesse entrambe le razze.

Demone o umano, un gruppo o l’altro. Chiunque era incluso in una di queste due categorie; anche nonna Marianne – da quello che raccontava al nipote, in gioventù era stata un’incantatrice piuttosto potente. A Zack piaceva ascoltare le storie della nonna, si mostrava sempre felice per lei, la assecondava quando lei gli ricordava che doveva sentirsi orgoglioso della famiglia da cui discendeva, tra le creature soprannaturali più forti dell’America nord-occidentale.

Il ragazzo invidiava la dedizione che la donna aveva per le sue origini. E se i nonni paterni fossero stati ancora vivi, era sicuro che avrebbe invidiato pure loro.

Perché almeno loro non erano inesorabilmente schiacciati dall’enorme divisione tra le due razze. Potevano contare sul gruppo a cui appartenevano, potevano farsi degli amici senza venir squadrati con aria intimorita dalla testa ai piedi, potevano essere sicuri della propria identità in ogni momento.

Lui invece non stava né da una parte né dall’altra. L’unico ibrido umano-demone (conosciuto) di tutto il Canada dell’Ovest doveva essere lui… Zack un po’ ce l’aveva con i suoi genitori – e il fatto che il lavoro li portasse in giro per il mondo dieci mesi all’anno non migliorava certo il rapporto.

In realtà, di primo impatto quasi non si notava che il giovane era un meticcio. Appariva come un comune umano di diciassette anni, alto e un po’ smilzo, con una disordinata zazzera di ciuffi castano scuro che gli coprivano parte del volto e una spruzzata di lentiggini sulla pelle pallida. Solo dopo una più attenta occhiata si riuscivano a notare le orecchie leggermente appuntite, i canini affilati e le iridi di un innaturale colore violaceo.

Non ci voleva chissà quale genio per intuire che gli altri gli rivolgevano la parola solo per convenienza. Lui era la wild card, l’incognita che tutti si volevano tenere buona perché non potevano prevedere di cosa sarebbero stati capaci i suoi poteri – e nemmeno Zack stesso sapeva cosa potesse fare in realtà. Non aveva artigli retrattili come la madre e non aveva idea di quanto fossero potenti le sue abilità di incantatore: era forte come la nonna? Di meno, o forse di più? Non che ci tenesse davvero a scoprirlo, in realtà. Non gliene fregava niente di tutta quella magia incomprensibile, e al diavolo tutte le abilità nascoste che poteva (non) possedere.

Era troppo chiedere qualcuno che lo accettasse così com’era? Persino Marianne, quando decantava il loro illustre lignaggio, non accennava mai al “ramo” umano della famiglia, come se non avesse ancora metabolizzato la cosa. Un atteggiamento che lo lacerava nel profondo e lo faceva sentire sempre più indesiderato.

In passato Zack ci aveva provato un paio di volte, a cambiare le cose – perlomeno con gli altri compagni di scuola; il severo modo di fare della nonna gli incuteva troppa soggezione – e aveva finito per sbattere di muso contro la dura realtà. Tentare di accollarsi a questo o quel gruppo di amici nella disperata speranza che lo includessero era servito solo ad acuire la sofferenza e l’invidia per i loro legami così stretti… Invidia che il ragazzo aveva sempre nascosto dietro il suo amichevole sorrisone a trentadue denti quando si trovava in pubblico.

Preso dalla delusione e dalla tristezza, il giovane – al tempo solo un bambino di sì e no sei anni – si era messo a cercare da sé la sua personale fonte di vero calore, qualcosa che non includesse il resto della gente indifferente. E i suoi grandi occhioni ametista si erano sgranati per la sorpresa quando l’aveva trovata: in un suo vecchio disegno del bosco di Darkwood Hills durante lo scorso autunno, un insieme di segnacci rossi, marroni, verdi e grigi. Se lo ricordava ancora quel giorno; faceva un freddo cane, così tanto che si era preso un bel raffreddore nonostante fosse più imbacuccato di un eschimese.

Come poteva qualcosa di così gelido trasmettere comunque una sensazione di calore?

Zack non ne aveva la minima idea, e in realtà non aveva nemmeno voglia di trovare una spiegazione logica. Era una cosa che gli regalava sollievo, una cosa solo sua, per sfuggire da un mondo che lo feriva e basta. Non serviva che avesse davvero senso.

Il paesaggio autunnale della foresta diventava una dimensione magica a sé stante; il velo di nebbia mattutina cancellava l’intera esistenza al di fuori del bosco stesso, la mente del ragazzo si perdeva nella meraviglia di fronte ai suoi occhi e l’anima finalmente trovava un po’ di pace nel calore avvolgente che quello spettacolo le trasmetteva.

Ogni volta che sentiva di non riuscire più a contenersi, quando avvertiva le lacrime premere agli angoli degli occhi nonostante il sorriso impresso sul viso, il ragazzo doveva ricorrere al suo album da disegno: guardava gli schizzi a matita – alcuni già colorati, altri ancora in fase di lavorazione – e si ricordava che una minuscola via di fuga da quell’invidia opprimente esisteva anche per lui.

Inspirò a pieni polmoni l’aria umida e pungente, l’odore penetrante della terra coperta di rugiada che gli pervadeva le narici e lo faceva sentire parte integrante dell’ambiente circostante. Era a suo agio con se stesso solo quando si trovava in quel luogo; forse davvero non apparteneva a nessun gruppo, il suo posto poteva essere quello sul serio.

Aveva indugiato anche troppo nei pensieri negativi. Con delicatezza aggiustò meglio sulle ginocchia l’album aperto su una pagina bianca, strinse la presa sulla matita che aveva in mano e con un tratto leggero ma sicuro, tipico di un artista esperto, cominciò a disegnare. Doveva – e voleva – lasciare che il suo universo personale compisse la propria magia.

 

 

 

*Calgary è una città che esiste davvero in Canada, nell'Alberta dell'ovest, a 60 km circa dalle Montagne Rocciose. Darkwood Hill invece è una città di fantasia

 

 

Hola gente

Dopo mesi e mesi di innattività finalmente sono riuscita e un grazie speciale va a fantasytrash e al suo contest, perché è proprio grazie a questo se sono riuscita finalmente a concludere qualcosa!

Come mio solito il titolo della storia fa un po' schifo e non c'entra proprio al cento per cento... devo ammettere che c'ho pure dovuto pensare un po' per uscirmente con 'sta roba (quello originale era "Disegni d'autunno", non so di quanto sia riuscita a migliorarlo lol)

I demoni in questa storia non ricalcano esattamente il tipico ideale di "demone" che tutti noi abbiamo, ma ho preferito applicare un'interpretazione più ampia, come qualcosa a mezza via tra il divino e l'umano, qualcosa dotato di poteri sovrannaturali

Ringrazio chi recensir e anche chi leggerà e basta

Alla prossima gente

Adios

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: cabin13