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Autore: Red Owl    05/11/2020    1 recensioni
Quando il suo convento viene saccheggiato, la giovane Neve, figlia dei Conti di Nevelunga, si ritrova nelle mani di briganti senza scrupoli. Quando scoprono la sua identità, i suoi rapitori decidono di chiedere un riscatto a suo fratello, l'attuale Conte, e di riconsegnarla alle sue amorevoli cure.
Falco e Neve non si vedono da più di dieci anni, ma la ragazza non ha dubbi: sarebbe meglio vivere da schiava, piuttosto che tornare da lui. Ma l'accordo è ormai fatto e Neve non vi si può sottrarre. E allora è forse giunto il momento di fare ciò che sua madre le ha raccomandato prima di scomparire per sempre dalla sua vita: smettere di avere paura e avviarsi lungo la Strada del Lupo già percorsa dai suoi antenati.
C'è solo un problema: Neve ha capito ormai da molti anni di essere tutt'altro tipo di animale.
Storia di un viaggio solitario (o forse no), prologo di un vecchio racconto che forse prima o poi pubblicherò, ma che può esistere benissimo anche da sola.
AVVERTIMENTI: contiene scene di violenza, sesso e dinamiche famigliari tutt'altro che idilliache.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Non sapeva perché avessero deciso di nascondersi in quella stanza. Certamente avrebbe avuto più senso tentare una fuga per i campi. Avrebbero avuto il tempo per farlo: quando le campane della cappella avevano preso a suonare a martello, lei e le sue consorelle avrebbero potuto precipitarsi verso la porta sud e scendere la ripida scaletta che conduceva al fiume, balzando da un sasso all’altro per attraversare l’Aser. Si sarebbero bagnate i piedi e forse anche le sottane, ma almeno sarebbero state libere.

Stavano già lavorando nell’orto, le schiene ricurve sulla terra scura e indurita dall’inverno appena trascorso. La salvezza era stata lì, a portata di mano, e lei era stata a un soffio dall’abbandonare la zappa e correre verso la porticina seminascosta dall’edera che cresceva su quella porzione delle mura del convento. La voce della Superiora aveva però soffocato quegli intenti sul nascere. “Nelle cantine” aveva detto la donna. “Lì saremo al sicuro.”

Neve non riusciva a capacitarsi di come si potesse essere al sicuro sottoterra. Era forse un po’ claustrofobica, ma gli ambienti bui e poco arieggiati non le erano mai piaciuti, soprattutto se era costretta a condividerli con altre persone.

Il cuore le martellava nelle orecchie e non c’era nulla che lei potesse fare per rallentarne un po’ il ritmo. Lisi le stritolava il braccio destro in una morsa e Clara le si stringeva invece contro il fianco sinistro. Tremava e piangeva piano, il che era del tutto comprensibile, se si considerava che la ragazzina aveva solo quattordici anni, ma stava facendo davvero troppo rumore: le avrebbero trovate di sicuro.

Pregate, ragazze.”

La voce della Superiora era tranquilla e placida come sempre: non sembrava quella di una donna a un passo dalla morte.

Neve non voleva pregare. Non che non credesse negli Dei (ci credeva e la sua fede era sincera), ma c’era qualcosa che le impediva di concentrarsi sulla salvezza della propria anima. La Superiora era stata chiara: se i briganti che avevano assaltato il convento le avessero trovate, molte di loro sarebbero morte, mentre altre sarebbero state portate via per essere vendute come schiave. La donna non aveva detto che avrebbero anche subito violenza, perché non c’era davvero motivo di specificarlo: le monache raccolte nelle cantine conducevano una vita reclusa, ma questo non impediva loro di sapere come andava il mondo.

Oh, Madre, Luce del Creato, ti supplico… le parole le evaporarono dalla testa. No, non ci riusciva. C’era qualcosa che si contorceva nel suo petto. Era una creatura bianca ed evanescente, impalpabile come la nebbia e viscida come un pesce. Bollente e irrefrenabile. Inafferrabile. Si chiama paura, pensò Neve aprendo e chiudendo spasmodicamente i pugni. Si chiama panico, terrore.

Aveva anche altri nomi, però, nomi antichi e dimenticati da tempo, nomi che aveva portato con sé quando, dieci anni prima, aveva lasciato le fredde terre del nord per entrare nel convento di Forrascura. Nomi che non desiderava ricordare. È piuttosto meglio morire, si disse, ascoltando il respiro affannoso di Clara e quello stentato di Lisi. Forse sì, forse no, sussurrò la creatura che le si agitava nel petto. Comunque non stava a lei deciderlo: l’avvicendarsi degli eventi avrebbe scelto in sua vece.

Neve fissò la porta sbarrata che intravedeva nelle tenebre davanti a sé. C’era solo uno spiraglio di luce, una sottile fessura luminosa lì dove i due battenti non combaciavano alla perfezione. Era una porta vecchia, probabilmente marcia. Nascondersi lì sotto era stata davvero una pessima idea.

C’erano delle scale che scendevano fino alla cantina, scale che partivano da un angolo del cortile del convento. Non erano difficili da trovare. Erano scale sulle quali in quel momento risuonavano i passi pesanti di diversi uomini.

Le monache nascoste nella cantina trattennero il fiato, respirando come un bizzarro essere collettivo. Le dita di Lisi, piccole, ma forti, ebbero uno spasmo e si conficcarono nel braccio di Neve, tanto in profondità che la giovane sentì una miriade di microscopici spilli pungerle la mano destra. C’era un suono lugubre e acuto nel suo orecchio sinistro: ci mise qualche secondo per capire che si trattava del gemito disperato di Clara.

La porta vibrò sotto un colpo violento inferto dall’esterno. 

Sono pronta a morire, pensò Neve. Ho ventidue anni e sono pronta a morire.

In un modo o nell’altro, sussurrò la creatura nel suo petto. Se avesse avuto una voce, sarebbe stata una voce soffiante, priva di timbro, acuta, ma con un brontolio di fondo. Se avesse avuto occhi, sarebbero stati occhi di vetro, piatti e senza fondo.

È la voce della tua paura, le aveva detto sua nonna tanti, tanti anni prima, quando lei gliene aveva parlato per la prima volta. Neve ci aveva messo un bel po’ per capire che, per quanto saggia e intelligente, la nonna non sapeva proprio tutto.

La cosa positiva era che Neve aveva imparato a dominarsi e a dominarla. Ormai sapeva tenere sotto controllo la paura e le altre cose che a volte rischiavano di soffocarla.

Un altro colpo, e il chiavistello scricchiolò.

Restiamo vicine” le sussurrò Lisi nell’orecchio. Il suo braccio le cinse la vita. “Restiamo unite.”

Neve dubitava che restare unite servisse a qualcosa, ma annuì comunque. Lisi le era simpatica. Avevano la stessa età, erano entrate in convento insieme, e la considerava quasi una sorella. Anche Clara si strinse a loro, insinuandosi nel loro abbraccio. Era piccina e spigolosa, praticamente una bambina non ancora divenuta adolescente.

Al terzo colpo, la porta esplose e qualcuno gridò. Neve sentì il respiro inciamparle in gola e la creatura sobbalzarle nel petto. Mossa dall’istinto, contrasse gli addominali e irrigidì la cassa toracica, quasi per trasformare le costole in una gabbia. Per un istante soltanto, le sue mani si contrassero con una forza quasi innaturale e Lisi gemette, ferita da quella stretta di granito.

Scusa, pensò Neve, riprendendo subito il controllo sul proprio corpo. Non un passo di troppo, si ricordò. Non un passo di troppo, perché non conosci il punto in cui sarai perduta per sempre.

Gli uomini entrarono nella cantina. Quattro, cinque, forse sei o sette: erano controluce e Neve non riusciva a vederli bene; e comunque i numeri erano privi di significato. Quello che contava era che erano molti, e grossi, e armati. A parte la Superiora, c’erano altre dieci donne rintanate tra i formaggi e le botti di vino: erano numericamente superiori ai briganti, ma come potevano pensare di contrastarli?

Avanti, tutte insieme! Pensò per una frazione di secondo Neve, ma i suoi muscoli  non obbedirono e il pensiero svanì. Del resto era una follia. Tre di loro erano vecchie, due bambine, e nessuna delle donne più giovani e in forze era comunque addestrata a combattere: sarebbe stato un suicidio.

Ma non è forse meglio morire a testa alta? Si chiese amaramente. Non aveva importanza: sapeva di non avere in sé il coraggio di compiere un simile sacrificio. 

Ed ecco qui le altre signorine” sogghignò un uomo, quello che guidava il drappello dei suoi compari e che reggeva tra le mani una torcia accesa.

Neve tentò di guardarlo, di imprimerselo nella mente, ma i dettagli le sfuggirono. Vide solo che non era vecchio, che aveva capelli corti che riflettevano il bagliore del fuoco e un sorriso che pareva la lama di un coltello. L’uomo fece un cenno a uno dei banditi che gli stava accanto. “Esaminiamo la merce, su!”

Obbedendo all’ordine del suo capo, il brigante si fece avanti: aveva la pelle scura degli uomini dell’ovest e un passo irregolare che parlava di una vecchia ferita mai guarita alla perfezione. 

Mentre l’uomo avanzava, la Superiora fece lo stesso. “Fermo!” gli intimò, levando le mani nella sua direzione. “Non un altro passo!”

Il brigante levò la spada e si voltò verso il suo comandante: uno schiocco di dita, un ordine, e la lama saettò colpendo la Superiora alla gola.

Era troppo buio per vedere con esattezza ciò che era successo, ma il corpo della donna ebbe un sussulto e poi giacque immobile. Dal gruppo delle monache si levarono esclamazioni d’orrore e gemiti e Neve si portò istintivamente una mano alle labbra, forse per saggiare la consistenza del proprio respiro. Eppure la creatura nel suo petto parve acquietarsi: era una cosa che conosceva, quella. Conosceva il sangue, conosceva la morte, ed era un po’ come tornare a casa.

Incurante del corpo ai suoi piedi, l’uomo dalla pelle scura si fece avanti e afferrò la prima donna che gli capitò a tiro: era Daina, una monaca ormai anziana e quasi cieca. Il brigante con la torcia fece un cenno di diniego e Daina fu spinta verso il fondo della cantina. Sbilanciata da quel movimento brusco, la vecchia si accasciò tra due botti.

Il bandito afferrò allora il braccio di Lona, una ragazzotta grande e grossa, con fianchi larghi e guance rosse. Dal gruppetto dei criminali si levarono alcuni mormorii e l’uomo con la torcia alzò la fiamma per osservare più da vicino il volto della giovane. Poi sorrise. “Questa può venire buona a qualcosa, che ne dite?” chiese con un sorriso storto.

Uno degli altri briganti raggiunse l’assassino della Superiora e afferrò i polsi di Lona, costringendoglieli dietro alla schiena e legandoli con un pezzo di corda. La giovane monaca aveva muscoli saldi - Neve l’aveva vista spaccare la legna ed era rimasta impressionata dalla sua forza - ma in quel momento sembrava del tutto incapace di reagire: grosse lacrime silenziose solcavano il suo volto dai tratti grossolani e la ragazza si lasciava manovrare come una bambola di pezza.

Questa?” chiese ancora l’uomo dalla pelle scura, allungando una mano verso Clara. 

La ragazzina rantolò in preda al terrore. Prima che Neve potesse anche solo pensare di frapporsi tra lei e il suo aggressore, Lisi si staccò dal suo braccio e si lanciò verso il brigante. “No!” tuonò. “Lasciala stare, è solo una bambina!”

L’uomo lasciò andare il braccio di Clara e afferrò Lisi per la gola. I suoi denti scintillarono nel buio, scoperti da un sorriso divertito.

E tu chi saresti, carina?”

Era stato il capo dei briganti a parlare, avvicinandosi al suo compare e studiando il volto di Lisi alla luce della torcia. Dalla sua posizione privilegiata, Neve vide l’istante preciso in cui il bandito si accorse di quanto fosse bella la sua amica. Perché Lisi era davvero molto bella: aveva una pelle lattea e purissima, senza alcun segno né imperfezione, grandi occhi verdi che sembravano brillare d’innocenza e folti ricci neri che le incorniciavano il volto di porcellana.

Lisi deglutì e si morse nervosamente le labbra rosse. “Mi chiamo Lisi” disse con la voce che le tremava. “Ti prego, non… non farle del male: ha solo quattordici anni.”

L’uomo levò una mano e la posò sul mento della ragazza, quasi con delicatezza. “E tu quanti ne hai?” La stava studiando come se fosse un’opera d’arte; o forse un cavallo di cui stava valutando l’acquisto.

La giovane abbassò gli occhi a terra. “Ventidue.”

Mh.” L’uomo parve soddisfatto della risposta e fece un cenno al suo compagno. “Questa la teniamo” decise. “Non legatela troppo stretta, che mi sembra che abbia la pelle delicata. E prendete anche la ragazzina.”

Due uomini si fecero avanti e trascinarono via le due giovani. Clara si aggrappò al braccio dell’altra ragazza e a Neve parve quasi un po’ rinfrancata.

Una mano si strinse brutalmente sulla sua spalla e la giovane si ritrovò a fissare gli occhi scuri dell’uomo che l’aveva afferrata. Scoprire i denti fu un istinto che non riuscì a sopprimere e il brigante scoppiò a ridere. “Questa mi vuole mordere” sghignazzò, voltandosi verso il suo capo che aveva ancora gli occhi fissi su Lisi.

Mettiamole la museruola” borbottò distrattamente l’altro uomo.

Una parte del suo inconscio, quella parte che ricordava ancora i giorni della sua infanzia in cui le governanti le sussurravano che lei era migliore della comune plebaglia, sollevò improvvisamente il capo. “Non ci provare” sibilò a denti stretti.

La sua esclamazione attirò finalmente l’attenzione del capo dei briganti. “Quanta boria” mormorò morbidamente, agitandole la torcia davanti al volto. “Abbiamo forse una signora tra di noi?”

Neve si rigirò la risposta sulla lingua. Era da quando era entrata in convento che faceva del proprio meglio per mescolarsi con le altre ragazze: suo padre le aveva detto che era meglio così, che l’anonimato le avrebbe permesso di restare al sicuro. Adesso, però, aveva la sensazione che il suo titolo avrebbe potuto esserle d’aiuto: la figlia di un Conte aveva certo più valore di una comune contadinella, no?

Inspirando a fondo per darsi coraggio, Neve levò fieramente il capo (o almeno ci provò). “Esatto” confermò con voce squillante. “Io sono Neve Aralas, figlia dei Conti di Nevelunga. Trattami con il rispetto che mi devi.”

Sul volto del brigante con la torcia passarono in rapida sequenza tutta una serie di emozioni. Infine fece una cosa che Neve non si sarebbe mai aspettata: scoppiò a ridere.

   
 
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