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Autore: FrancyF    07/11/2020    0 recensioni
Zac Efron sta passando un periodo complicato e vuole solo prendersi del tempo per stare da solo con sè stesso. Vanessa Hudgens, invece, vuole solo stare vicino al suo fidanzato, e sperare che la felicità tanto conquistata a fatica non la lasci mai. Ma il destino ha altri piani per loro, e presto i fili rossi dei due giovani finiranno nuovamente per ingarbugliarsi e li legheranno come mai prima d’ora.
Secondo la tradizione orientale ogni persona porta, fin dalla nascita, un invisibile filo rosso legato al mignolo della mano sinistra che lo lega alla propria anima gemella. Il filo ha inoltre la caratteristica di essere indistruttibile: le due persone sono destinate, prima o poi, a incontrarsi e a sposarsi.
“Fate is pulling you miles away and out of reach from me. But you're here in my heart, so who can stop me if I decide that you're my destiny?” - “Rewrite the stars” The Greatest Showman
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Vanessa Hudgens, Zac Efron
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno! Inanzitutto vi ringrazio per avere dato una possibilità a questa ff. Ho iniziato a scriverla anni fa, nel lontano 2012, e da allora è cambiata molto fino a diventare un vero e proprio libro di più di 200 pagine. Parla di un possibile ricongiungimento tra Zac e Vanessa (una delle mie prime OTP). Ricordo che NON pubblico perchè vorrei che tornassero assieme, è solo una ff. Avevo solo 18 anni quando l'ho iniziata a scrivere e sono cambiate molte cose anche per Zac e V, tra rotture e nuovi fidanzati/e... spero che comunque apprezziate! Pubblicherò ogni sabato (salvo imprevisti) e pubblicherò in contemporanea anche su Wattpad.  Ogni capitolo avrà come titolo un pezzo di una canzone. Buona lettura.  :)
- Fran

“I set out on a narrow way many years ago
Hoping I would find true love along the broken road
But I got lost a time or two
Wiped my brow and kept pushing through
I couldn't see how every sign pointed straight to you”
- “God Bless the Broken Road” Rascal Flatts 
Arroyo Grande, California - Settembre 2014
Zac Efron lanciò uno sguardo mesto alla sua casa d’infanzia: sembrava sempre la stessa casa che aveva costruito suo padre, quando lui aveva appena un anno. L’erba del vialetto e del giardino sul retro era gialla e secca per la siccità che aveva colpito lo stato della California durante l’estate, ma i fiori nelle aiuole che sua madre accudiva con grande cura, erano fioriti. La vecchia macchina Mustang di suo nonno Harold era sempre parcheggiata nel vialetto e il canestro da basket che suo padre aveva montato per lui e Dylan quando erano piccoli era arrugginito, ma sempre presente. I muri beige chiaro dell’abitazione erano stati ridipinti da Zac stesso pochi anni prima. Sembrava tutto uguale, eppure ora non riusciva a fissare quella casa per più di dieci secondi.   
Zac era sicuro che entrando per la porta principale, dopo il salone d’ingresso, avrebbe trovato il suo vecchio pianoforte a coda, i libri di ingegneria elettronica di suo padre impilati in file ordinate nella grande libreria di cedro, e tutta la casa avvolta dal profumo dei famosi waffles ai mirtilli di sua madre. Sarebbe salito al piano di sopra, nella sua stanza, e sua madre lo avrebbe rimproverato perché nonostante avesse raggiunto la soglia dei ventisette anni, la sua vecchia camera rimaneva sempre inaccessibile a causa delle pile di vestiti sparsi sul pavimento, assieme a spartiti musicali e fogli stracciati di qualche copione.
Il giovane chiuse gli occhi, come per trattenere quei ricordi e fossilizzarli nella mente, ma poi la voce di suo fratello minore Dylan lo riportò alla realtà.
-Non riesco a credere che vogliano vendere la casa-.
Il ventiduenne fece una smorfia di disgusto e beve un lungo sorso di birra, pulendosi le labbra con le mani.
-Perché non l’hai comprata?- sbuffò, con un’evidente nota di rimprovero.
Zac roteò gli occhi e lo ignorò: i rimproveri di suo fratello erano l’ultima cosa della quale si dovevano occupare.
-Dyl, te l’ho già spiegato il perché. Non ha senso comprarla. Cosa ci avrei dovuto fare?-
-Lasciarla così! Cazzo, è come se stessimo vendendo tutta la nostra vita! Tutti i nostri ricordi sono qui dentro!- Dylan tirò un calcio pieno di frustrazione al cartello “Vendesi” che troneggiava indisturbato sul prato, e se ne pentì subito dopo imprecando per il dolore che si erano procurato.
-Dylan, ho già due case. Non me ne serve una terza-
-Ma è la nostra casa-
-Lo so’. Credi che io sia d’accordo con tutta questa situazione?-
-Credo che tu ti stia dimostrando troppo accomodante. Insomma non è il momento per comportarsi così! Mi sembrano due ventenni! Non hanno il diritto! Non hanno il diritto di prendere e buttare via una vita assieme!- la voce del ragazzo si incrinò –non ne hanno il diritto- borbottò, prendendo a calci un sassolino e nascondendo la faccia dal fratello maggiore.
Zac era certo che Dylan si stesse trattenendo dallo scoppiare a piangere. Cosa credeva di fare? I loro genitori non avevano di certo bisogno di chiederli il permesso per fare certe cose. E poi anche lui fremeva, ma di confusione. Voleva delle risposte. Non si sentiva così smarrito da anni, o forse erano solamente anni che fingeva di stare bene e che la sua vita procedesse alla grande. Era talmente abituato agli addii e a cambiare identità e ruoli nel suo lavoro, che davvero non comprendeva tutta la rabbia del fratello minore. Però una piccola parte di lui lo detestava. Anche in quella situazione toccava a lui prendersi cura di Dylan, fare la parte del bravo fratello maggiore, dirgli che alla fine sarebbe andato tutto bene. Di quel ultima parte Zac stesso non ne era certo, ma sapeva di doverlo fare perché non avrebbe mai e poi mai abbandonato la sua famiglia in un momento come quello.
-Ehi ragazzi! Non vi abbiamo chiamato per poltrire!- la voce di loro padre David richiamò entrambi i fratelli al lavoro -mi serve una mano qui!- disse l’uomo trascinando lungo il vialetto due vecchie bici. Zac ebbe un lieve sussulto, ma cercò di darsi un contegno. Quelle erano le loro vecchie bici. Cosa cavolo stava facendo suo padre? Voleva buttarle? Erano vecchie, ma non certo dei rottami. Perché aveva tutta questa voglia improvvisa di liberarsi delle loro vecchie cose?
-Avanti andiamo. Prima finiamo di inscatolare tutto, prima possiamo andarcene fratellino- Zac gli porse una mano e Dylan lo aiutò ad alzarsi.-
-Io vado dentro da mamma e tu stai con papà, ok?-.
Dylan annuì e si diresse di malavoglia in garage, mentre Zac entrava in casa. Fino a qualche settimana prima tutti i muri del corridoio d’ingresso erano adornati con foto di famiglia: lui e Dylan con le cugine durante la loro infanzia, vacanze di famiglie alle Hawaii e in Colorado, foto dei viaggi di lavoro di suo padre David. Ora erano solamente pareti spoglie.
Zac trovò sua madre in cucina, intenta a inscatolare piatti e stoviglie.
-Ehi mamma, ti serve una mano con altri scatoloni da caricare?-
-Oh si, grazie tesoro. Puoi iniziare a portare in macchina questi. Non credo che tuo padre voglia tenerli, sono solamente vecchie stoviglie del servizio buono di nonna. Staranno meglio a casa mia-.
Accanto a lei giacevano ben quattro scatoloni pieni con la scritta “Cucina”. Zac si chinò  per ispezionarne il contenuto mentre Dreamer, il vecchio cane di casa, si aggirava intorno al padrone, annusando i suoi jeans nuovi di zecca.
-Ehi bello- gli grattò affettuosamente la testa –cambierai presto casa-.
Per quasi dieci anni quel vecchio cane aveva vissuto ad Arroyo Grande e ora… e ora finiva in Oregon. Se Zac si soffermava a pensarci era assurdo. Ancora più assurdo era pensare che nemmeno lui avrebbe più mai messo piede in quella casa.
-Piangerò ogni sera senza di lui- sua madre si voltò finalmente a guardarlo. Starla, nonostante i suoi sessantacinque anni, erano ancora una donna estremamente attraente: bionda, senza neanche un capello bianco, con lineamenti dolci e due grandi occhi color nocciola. Zac però non potè fare ameno di notare che la madre era estremamente rigida e aveva due profonde occhiale che le solcavano gli occhi, come se non dormisse bene da mesi.
-Mamma lo prenderei io, lo sai. Ho già Puppy e Simon va d’accordo con i cani, ma papà ha insistito così tanto per averlo lui-.
-No tesoro, va bene. Tuo padre vuole fare di testa sua anche questa volta… tuo fratello?-
Zac cercò di ignorare il commento infelice della madre.
-Dylan è in garage ad aiutare papà, sbuffa ma se ne farà presto una ragione-
Starla stette un attimo in silenzio, pallida. Poi si avvicinò al primogenito e lo abbracciò stretto.
-Grazie tesoro per essere venuto oggi. E grazie per avere trascinato qui Dylan. Lo so che è arrabbiato, probabilmente lo sei anche tu-.
Probabilmente. Probabilmente sua madre aveva ragione. Probabilmente Zac avrebbe dovuto essere arrabbiato. Ma la realtà dei fatti era che lui non era arrabbiato, era in preda ad una ceca confusione. Come era possibile che i suoi genitori, dopo due figli e trent’anni di matrimonio, avessero deciso di mettere la parola fine alla loro unione? Come era possibile che due persone che si erano follemente amate per anni, adesso decidessero di divorziare? E senza neanche drammi. Zac aveva notato che qualcosa non andava tra i suoi genitori durante le vacanze pasquali, lo scorso Aprile, ma non ci aveva dato troppo peso. Era così impegnato con il suo nuovo film e poi  quale coppia non aveva qualche battibecco dopo tanti anni assieme? D’altronde lui e suo fratello erano andati presto via di casa e recentemente sua madre aveva perso il padre, forse Starla e David stavano attraversando solo una fase di transizione. Ma quando i due giovani fratelli Efron si erano ripresentati a casa per la festività del quattro Luglio i loro genitori li avevano fatti sedere in soggiorno, annunciandoli il loro imminente divorzio. “Non andiamo più d’accordo” aveva sentenziato mesto suo padre, visibilmente imbarazzato quando i nonni paterni, Hal e Dot, entrambi ottantenni, aveva chiesto spiegazioni, allarmati. Zac non aveva creduto ad una sola parola perché tutto quello che suo padre aveva detto per giustificarsi: semplicemente nella sua testa non formava un discorso sensato. Non aveva senso e basta. Perché due adulti con un minimo di senno, come erano sempre stati i suoi genitori, non si svegliano una mattina e decidono che non si amano più, che provano così tanta indifferenza l’uno nei confronti dell’altra da chiedere il divorzio. Non erano una giovane coppia inesperta e con figli piccoli, erano due persone mature con i figli già fuori casa. Starla e David avrebbero dovuto godersi la serenità che regnava in casa Efron…. e invece erano arrivati a detestarsi.
-Mamma, posso chiederti una cosa?-
-Tutto quello che vuoi tesoro- cinguettò sua madre.
-Papà ti ha mai tradita?-. sapeva di stare oltrepassando una linea sottile tra il rispetto per i suoi genitori e l’irriverenza, ma voleva onestà da entrambi i suoi genitori.
Starla trasalì nell’udire quelle parole provenire da uno dei suoi figli. Fissò il ragazzo dritto negli occhi.
-Zachary...-
-Sono serio. Lo so che non è una domanda… non è una domanda semplice alla quale rispondere-
-Non è una domanda che un figlio dovrebbe fare a sua madre-
-Mamma, ti prego. Mi parli di sesso e amore da quando ho dieci anni e tu e papà siete stati dannatamente aperti con me e Dylan. Devo solo capire-
-L’amore cambia Zac. Cambia e si trasforma, e in alcuni casi finisce-.
Il giovane uomo le rivolse un’occhiata dubbiosa: non poteva essere così, non gli bastava come risposta. L’amore finiva per una ragione, non per caso.
-Non credo che basti. Non dopo trent’anni. Fino all’anno scorso andava tutto bene, tu e papà vi amavate. Tu e papà stavate bene-
-Io e tuo padre avevamo dei problemi da parecchio tempo. Stavamo male da parecchio tempo, ma abbiamo stretto i denti e ci siamo sempre detti che valeva la pena provare a sistemare le cose, ma poi abbiamo raggiunto il limite-
-Parecchio quanto?-
-Parecchio tempo- adesso Starla era vagamente seccata –ti prego Zachary, questi sono… sono decisioni… questa decisione che tuo padre e io abbiamo preso è stata terribilmente difficile per entrambi. Ma io voglio che lui sia felice e lui vuole la stessa cosa per me. Lo so che tu e Dylan non capite questa scelta, non pretendo nemmeno che la accettiate di punto in bianco, ma vi chiedo solamente di rispettarla-.
Zac fece un passo indietro. Forse aveva esagerato, forse doveva lasciarle spazio.
.Ok- rispose, alzando le spalle –vado a mettere queste nella tua auto e torno-.
Un attimo dopo Starla si ritrovò stretta tra le braccia del suo primogenito. Le braccia di Zac la cingevano da dietro e il ragazzo le depositò un lieve bacio in testa. Si era già liberato dello scatolone.
-Scusa mamma. Scusa per prima- le sussurrò – non avrei dovuto chiederti quelle cose-.
-Va tutto bene-  la donna si girò per guardarlo in faccia e rassicurarlo – non mi aspetto che tu e Dylan approviate questa… questa cosa-.
La donna sfiorò leggermente il medaglione blu che pendeva dal petto del figlio: ormai era un anno che Zac non toccava più una goccia d’alcol. L’aveva fatto per la sua salute, ma soprattutto per la sua famiglia.
-Papà e io sappiamo che per te l’ultimo anno è stato difficile, anzi gli ultimi anni tesoro. Ma siamo così fieri di te-.
-Mamma…- il ragazzo arrossì. Se c’era una cosa che odiava era ricevere complimenti quando sapeva di non meritarseli. Sua madre aveva ragione, era stato un anno difficile per lui.
-Dopotutto è più di un anno che sei sobrio, non che fossi un alcolizzato prima…-
-Mamma, smettila-
-Che c’è?-
-Smettila di adularmi! Non me lo merito!-
-Cosa dici? Avevi iniziato a bere troppo, te ne sei accorto in tempo e hai fatto un percorso di riabilitazione. Sei un bravo ragazzo e ti prendi sempre cura di tuo fratello. Zac, ti meriti questi complimenti. Sei il mio bambino-
-Non sono più il tuo bambino, da molti anni ormai- Zac la baciò su una guancia. Le era incredibilmente grato. Era incredibilmente grato ad entrambi i suoi genitori. -Io e Dyl volevamo partire subito, ma credo che dormiremo qui e faremo colazione assieme. Ti va?-
-Come dormite qui? Zac i mobili della tua stanza sono già stati portati via-
-Useremo i sacchi a pelo che ci sono in garage. Voglio…- Zac si guardò intorno, carico di affetto per la sua casa d’infanzia –voglio passare un’ultima notte qui. I fornelli della cucina funzionano ancora- i suoi occhi brillarono.
-Ti farò i waffles che ti piacciono tanto- cedette Starla –ma non credo sia una buona idea condividere la novità con tuo padre-
-Mamma!-
-Zachary!-
-Siete stati sposati per trent’anni, ti ha reso felice e adesso non potete condividere nemmeno una colazione assieme?-
La donna si morse il labbro inferiore. Stava riflettendo.
-Se per tuo padre va bene, allora è ok- cedette infine –ma non voglio iniziare a litigare con lui di prima mattina e sarà la prima e l’ultima volta Zachary-.
Il giovane la abbracciò nuovamente per ringraziarla. Era certo che sapeva quando quella casa significasse per tutti loro e voleva darle un addio appropriato.
-Sicuro che non avevi nient’altro da fare? Dovevi andare al matrimonio di Ashley questo fine settimana-
-Ash capirà- si affrettò a ribadire lui –vado a dirlo a papà e Dylan-.
 
Vanessa sospirò nell’oscurità della stanza e lesse e rilesse più volte il messaggio che le aveva mandato Ashley Tisdale, la sua migliore amica.
“Nessa, mi dispiace. Bacia Austin da parte mia. Chiamatemi per qualsiasi cosa.”
Quella era Ashley. Vanessa la adorava: anche a pochi giorni dal suo matrimonio con Chris, la sua migliore amica aveva pensato a lei e non a se stessa.
La ragazza non digitò una risposta di rimando, non avrebbe avuto senso. Erano già le tre del mattino e avrebbe chiamato Ashley domani, in modo da potere parlarle con calma. Il lieve russare di Austin indicava che, finalmente, si era addormentato. Vanessa sfiorò i capelli biondi del fidanzato: sembrava così in pace mentre dormiva. Austin sembrava potersi finalmente riposare solo quando dormiva: le condizioni di sua madre Lori si erano ulteriormente aggravate ed era stata ricoverata d’urgenza. Quando i medici gli avevano comunicato che probabilmente non avrebbe superato la notte, Austin si era chiuso in un mutismo selettivo. Aveva osservato la madre soffrire per mesi di cancro e ora gli stavano dicendo che tutte le cure, i soldi spesi e le ore passate al suo capezzale erano state inutili? Che tutte le preghiere che avevano rivolto a Dio non erano state ascoltate?
Vanessa era stata la sua roccia. Dal momento esatto in cui era arrivata la diagnosi la ragazza aveva fatto l’impossibile per stare vicino al fidanzato. L’aveva calmato, confortato. E così aveva fatto anche quella sera, cullandolo tra le sue braccia per fargli prendere sonno.
Non era pronta nemmeno lei a perdere Lori: si era affezionata alla donna durante quei tre anni che aveva trascorso con Austin, non era pronta a rinunciare a lei. Non quando il resto del mondo continuava a girare, quando il resto della gente continuava a vivere come se nulla fosse. Vanessa aveva sempre creduto che se si fosse comportata bene, se avesse dimostrato a Dio di essere una brava persona, allora non le sarebbe mai potuto capitare niente di brutto nella vita. O almeno niente di catastrofico. Ripensandoci era un pensiero puramente infantile, ma fino ad allora nessun evento aveva intaccato quella visione del mondo. Eppure nell’ultimo anno si era dovuta ricredere. Aveva scoperto che forse Dio non ascoltava le preghiere di tutti gli uomini, forse Dio non esisteva affatto o forse era solo un vecchio sadico che giocava a muovere a piacimento le proprie pedine su una grande scacchiera.  Non c’era altra possibile spiegazione. Dio l’aveva benedetta con il talento, con la fama e con una vita famigliare serena. Forse le aveva dato troppo. A volte la ragazza pensava di essere la causa delle sofferenze di Austin. Lui era troppo perfetto per lei. La sua famiglia era perfetta e ora Lori stava pagando il prezzo per tutto quello che Dio le aveva donato. Se Austin avesse saputo cosa realmente pensava probabilmente l’avrebbe presa per matta, ma Vanessa non poteva farci niente.
Promettimi che ti prenderai cura di lui.
 Quelle erano state le ultime parole che le aveva detto Lori tre giorni fa. Non le aveva pronunciate con la consapevolezza che sarebbero state le ultime parole che avrebbe mai rivolto alla sua quasi cognata, ma lo erano state. E Vanessa da allora sentiva di essere responsabile della felicità di Austin. Lori era stata per anni il centro di gravità del figlio e adesso se ne era andata per sempre. Toccava a Vanessa, dunque, cercare di rendere la vita del fidanzato il più normale possibile.
La ragazza sospirò pesantemente nel ripercorrere gli eventi dei giorni precedenti. Era tutto ancora confuso. Il funerale di Lori era stato celebrato solamente quello stesso pomeriggio. Il ricordo però era sfuocato nella mente della ragazza e  sembrava però appartenere a secoli fa. Lori aveva voluto morire in ospedale a Los Angeles, dove aveva passato le sue ultime settimane di vita. La cerimonia funebre si era dunque svolta a Los Angeles, dove il corpo della donna era stato cremato. Se chiudeva gli occhi Vanessa poteva chiaramente rivedere il volto affranto del padre e della sorella di Austin, poteva sentire la forte stretta del suo fidanzato durante l’elogio funebre. Non aveva pianto al funerale, non ne aveva avuto la forza. Sentì Austin muoversi e borbottare qualcosa nel sonno e solo allora il suo sguardo si posò sulla sveglia: le tre del mattino. Tanto valeva provare a dormire almeno un paio d’ore. L’indomani mattina la famiglia di Austin avrebbe portato le ceneri di Lori a casa, nella loro casa di famiglia a Anaheim. Austin avrebbe avuto bisogno di lei. Avrebbe avuto bisogno di tutto l’affetto possibile. La ragazza spense il cellulare, appoggiò la testa al cuscino e cadde in un sonno profondo senza sogni.
   
 
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