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Autore: Cossiopea    07/11/2020    0 recensioni
Trovavo sempre strano come, su questo remoto pianeta dell'Orlo Esterno, le tempeste fossero rapide, variabili, quasi vive. Erano capaci di coglierti alla sprovvista, di investirti con una violenza implacabile nel bel mezzo del silenzio... per poi sparire e dileguarsi come spettri.
Avevo imparato ad accettare questi fenomeni fin da piccolo, ma a volte mi ritrovavo a domandarmi se così non fosse stato; se fossi nato su qualche pianeta meno desolato, se invece del caldo secco che genera piaghe sulla pelle avessi potuto ritrovarmi catapultato in qualche altro destino, magari più folle, ma non per questo sbagliato.
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ahsoka Tano, Luke Skywalker, Obi-Wan Kenobi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2
Meccanico

 

Scattai all'indietro repentinamente, nel tentativo di non essere investito dalla scarica di scintille che si stava riversando dal cannone rotto a terra, in una cascata di lapilli incandescenti accompagnata da uno sfrigolio raccapricciante.

-Sabioto!- strillò uno dei due Jawa, rimasti per accertarsi che io completassi l'opera. Alzò le braccia in alto e le agitò convulsamente, impanicato -Sabioto!

-Ci sto provando!- sbraitai di rimando, senza neanche degnarmi di parlare nella loro lingua.

Strinsi i denti e aggirai cautamente la perdita. Con la pinza più massiccia che avevo afferrai il cavo incriminato e con l'altra mano, munita di fiamma ossidrica, richiusi il foro che avevo tralasciato e da cui stavano fuoriuscendo rimasugli di laser.

Un sibilo acuto coprì ogni altro suono per circa dieci secondi, che nella mia testa pulsante parvero un intero millennio, poi la pioggia di luce cessò.

Ansimai, esausto, mentre i due Jawa mi guardavano allibiti.

-Omu'sata- li ammonii, severo.

Quelli mi fissarono immobili, persi, simili a piccoli pupazzi.

-Lopima- farfugliò uno di loro, evidentemente traumatizzato dall'accaduto.

Alzai mestamente gli occhi al cielo, esasperato.

Che individuo perspicace, pensai, ironico, aggiustandomi gli occhiali protettivi sul naso ed estraendo dalla borsa una piccola pinza per recidere i collegamenti più interni.

Rimasi con la testa chinata per quasi un minuto, lo sguardo che analizzava la situazione, ma poco dopo mi ritrassi facendo schioccare la lingua, visibilmente irritato.

Avevo creduto di poter ripristinare il contatto con il pannello di controllo agendo dall'esterno, e fino a quel momento una cosa simile mi era parsa, sebbene impervia, comunque possibile; ma il danno vero e proprio sembrava collocato troppo in profondità per continuare a insistere su quel lato: sarei dovuto entrare nel veicolo, anche se non ero certo che dopo la mia “sfavillante” uscita i Jawa fossero molto inclini a permettermelo.

Se zio Owen mi vedesse adesso... riflettei, immaginando quante lavate di capo mi avrebbe fatto anche soltanto per non aver notato il difetto nel cavo di alimentazione.

Scossi lievemente la testa per eliminare il pensiero e mi rivolsi ai Jawa con il sorriso più cordiale del mondo.

-Devo entrare- dissi alzando gli occhiali protettivi sulla fronte imperlata di sudore e indicando il portellone principale.

I due si guardarono, brontolando qualcosa di indefinito mentre io li fissavo con le braccia conserte. Infine quello più alto tornò a guardarmi.

-Mambay- assentì mentre io rilasciavo il respiro.

-Nyeta lopima!- squittì l'altro, preoccupato, mentre io, ottenuto il consenso, mi accingevo a premere il pulsante di apertura del portello.

Gli lanciai un'occhiata infastidita, rimettendo la fiamma ossidrica nella borsa che tenevo a tracolla. Nel frattempo, con un lieve cigolio, l'interno del Lambda si spalancava davanti a me e il buio del vano trasporti veniva interrotto e striato da qualche fascio di luce tremolante.

Feci un bel respiro e varcai l'entrata, compiendo il primo passo all'interno di un ambiente odorante di chiuso mischiato a un indefinibile tanfo metallico.

Evidentemente non trasportavano niente, mi accorsi, notando la totale assenza di merce nella stiva. Mi augurai soltanto che il pilota, chiunque esso fosse stato, fosse riuscito a mettersi in salvo prima che la sfortunata navicella si schiantasse in mezzo al deserto.

Il portellone mi si richiuse alle spalle, lasciandomi da solo nell'ambiente scarsamente illuminato e abbondantemente maleodorante.

Annuii tra me per darmi manforte e mi diressi verso la cabina di pilotaggio.

La porta che portava a quest'ultima si aprì solo per metà e io fui costretto a scivolarci dentro di sbieco con uno sbuffo frustrato. Eppure, una volta varcato quel confine, i miei occhi si sgranarono, carichi di meraviglia, il fiato che mi si mozzava.

Ogni tasto, leva, schermo, sembrava fatto per ammaliarmi, trascinarmi dentro un mondo di cui non sapevo niente, ma al tempo stesso consideravo casa; dentro cui la dinamicità del tempo, la percezione del respiro, si fondevano nella medesima cosa. Energia.

Fu solo un secondo, un unico istante perso nella corrente furiosa del tempo, ma intorno a quell'attimo la mia mente, spinta da una frenesia nuova, una forza materiale e struggente, cucì infiniti scenari possibili, in un vortice di curiosità e passione che mi trascinò con sé, dipingendo nel mio sguardo le scie scattanti e immateriali dell'iperspazio, la voglia di visitare mondi – Qualcuno è mai stato su tutte? – e cambiarli per sempre – Allora il primo sarò io... –.

 

I capelli erano appiccicati alla fronte, sporchi di sabbia e sudore, e il mio intero corpo mi stava supplicando angosciosamente di riempire i polmoni con qualcosa che non fosse composto solo di afa irrespirabile.

Sentivo le mie membra, tese al limite, sul punto di prendere fuoco, ma ancora non mi potevo permettere di mollare.

Un ultimo sforzo! Pensai, i muscoli dell'addome che gemevano per essere rimasti troppo tempo piegati dentro l'antro in cui i cavi dei relativi comandi si intrecciavano, l'unico modo con cui potessi riuscire a ripristinare il contatto con il cannone senza smontare l'intera struttura.

Con un pesante sospiro liberatorio collegai finalmente l'ultimo cavo di alimentazione (dopo essere rimasto un'ora con il busto piegato in un angolo retto per sostituirlo) e, investito da un ardente dolore all'intero sistema nervoso e muscolare, mi levai in piedi.

Avevo finito. Dopo un'eternità avevo finito davvero.

Non potevo, certo, testare l'efficienza il cannone all'interno del mezzo Jawa (a meno di usare uno di loro come bersaglio mobile, cosa divertente ma non esattamente etica), però speravo che i miei piccoli amici incappucciati mi credessero sulla parola e mi permettessero di scendere a Mos Eisley senza altre seccanti lamentele. In fondo me lo meritavo.

Raccolsi la borsa da terra e mi massaggiai le spalle intorpidite, fiero di me stesso per aver aggiunto una nuova cosa riparata nella mia personale lista delle cose riparate.

Compiaciuto e con un sorriso sbilenco stampato in faccia, mi apprestai ad uscire dalla navicella, sentendo già le vocine stridenti dei Jawa ricevermi all'uscita. Fu lì che un bagliore rintanato in un angolo, sotto una delle sedie per i piloti, mi fece bloccare a metà di un passo e aguzzare la vista.

Non so come io abbia fatto a vederlo: era soltanto un brillio dovuto ad un semplice riflesso, uno dei tanti che si generavano sul pavimento metallizzato del Lambda. Una sensazione, però, null'altro che un presentimento, mi spinse a guardare più da vicino.

Raccolsi con cautela ciò che aveva attirato la mia attenzione, un qualcosa che esalava una misticità proveniente dal nucleo, che mi spingeva a trattarla con una gentilezza religiosa, una sacra devozione.

Un oggetto cilindrico e metallico, liscio, perfetto per essere impugnato, quasi fosse stato creato per adattarsi ad una mano come la mia... anzi, forse più piccola.

Un toc toc ritmico mi fece precipitare drasticamente nel presente. In automatico infilai la cosa nella borsa e mi voltai verso il vetro della nave, che dava sul deposito, da cui uno dei due Jawa stava bussando per attirare la mia attenzione.

Feci una smorfia.

-Arrivo!- avvisai spazientito per poi scuotere piano la testa.

Strisciai attraverso la porta semi chiusa e, dal ponte, aprii il portellone principale, lasciando che lo sferragliare dei rottami tornasse a infestarmi le orecchie. I due Jawa erano poco lontano dalla navicella, saltellanti ed entusiasti come bambini.

-Taa baa!- cinguettarono. Le gemme che avevano per occhi parvero sfavillare come stelle, nel buio del deposito.

Almeno sono creature grate, pensai, alzando le sopracciglia, perplesso da quell'accoglienza.

Mi accorsi dell'immobilità del pavimento non appena ci ebbi rimesso piede e un sorriso ancora più grande mi illuminò il volto imbrattato di lerciume.

Il mezzo si era fermato.

 

-M'um m'aloo!- mi urlarono dietro i due Jawa mentre scendevo dal mezzo, attraversando la passerella abbassata con la testa china e i capelli sporchi che sventolavano appena nella leggera brezza afosa.

Misi piede sulla sabbia dorata di Tatooine, riabituandomi alla spiacevole sensazione di avere qualcosa di friabile sotto le scarpe.

Il portellone si richiuse lentamente alle mie spalle e per un minuto rimasi a guardare il mezzo Jawa che, pacato, si allontanava, fino a che la sua figura non sfumò nel deserto ora immobile.

Trovavo sempre strano come, su questo remoto pianeta dell'Orlo Esterno, le tempeste fossero rapide, variabili, quasi vive. Erano capaci di coglierti alla sprovvista, di investirti con una violenza implacabile nel bel mezzo del silenzio... per poi sparire e dileguarsi come spettri.

Avevo imparato ad accettare questi fenomeni fin da piccolo, ma a volte mi ritrovavo a domandarmi se così non fosse stato; se fossi nato su qualche pianeta meno desolato, se invece del caldo secco che genera piaghe sulla pelle avessi potuto ritrovarmi catapultato in qualche altro destino, magari più folle, ma non per questo sbagliato.

Con uno sbuffo mi sistemai la borsa a tracolla, infilando una mano al suo interno solo per assicurarmi che lo strano oggetto fosse ancora al suo interno, sfiorando con le dita la liscia superficie del cilindro; dopodiché levai lo sguardo verso la linea indistinta dell'orizzonte.

Il profilo tremolante di Mos Eisley era coronato dalla luce morente di uno dei due soli, prossimo al tramonto.

Sotto il bacio del deserto iniziai a camminare, inseguito dai miei pensieri e da voci che ancora non ero in grado di comprendere.

   
 
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