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Autore: Redferne    08/11/2020    4 recensioni
Tra Nick e Judy sta accadendo qualcosa di totalmente nuovo ed inaspettato.
E mentre Nick cerca di comprendere i suoi veri sentimenti nei confronti della sua collega ed amica, fa una promessa a lei e a sé stesso: proteggerla, a qualunque costo.
Ma fare il poliziotto a Zootropolis sta diventando sempre piu' pericoloso...
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitan Bogo, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 78

 

 

 

...E VENNE UN UOMO (?) DI NOME CYRUS

 

(PRIMA PARTE)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Zootropolis.

Ma questo era più che scontato, no?

Forse no.

Forse non così tanto come si pensa visti gli inaspettati quanto sorprendenti, stupefacenti ma soprattutto e prima di ogni altra cosa spiazzanti cambi.

Di cosa, si dirà.

Di cosa, dite?

Ma di tutto, gente.

Di tutto, no?

Di tutto.

Di trama, di personaggi, di ambientazioni, di vicende e di intreccio.

Piuttosto recenti, se ne conviene senz'altro e fuori da ogni dubbio. Ma che stanno andando avanti da un bel pezzo. Al punto che...

Al punto che sembra passata davvero una vita. Una vita intera.

Già. Sembra passata davvero una vita.

Una vita, da quando la più scalcinata ed improbabile delle coppie procedeva su, giù ed in largo per le strade, i vicoli ed i viottoli della grande metropoli dando la caccia ai criminali e i delinquenti. E da quando pattugliavano e combattevano in nome della legge e dell'ordine.

Sembra passata una vita da quando un ragazzo e una ragazza, un maschio di volpe rossa ed una femmina di coniglio comune si erano proposti di fare squadra e di giocare insieme, contro ed a dispetto di tutto. E di tutti. E di chiunque.

Sembrava davvero trascorsa una vita, da quando quei due si erano messi in testa di sovvertire, capovolgere, ribaltare ed incendiare il mondo intero. Il mondo conosciuto e per come la gente lo conosceva.

Con le loro parole. I loro pensieri. Le loro emozioni. Le loro azioni e le loro gesta.

Quasi sempre eroiche.

Perché solo quando sei disposto a dare qualcosa, alla fine qualcosa la ottieni.

Solo quando si é disposti a dare qualcosa di sé. E a perderlo, pur sapendo ed essendo pienamente consci di quanto sia costato. E di quanto lo si é pagato.

Solamente quando si é pronti a sprecare ed a versare il proprio sangue, il proprio sudore e le proprie lacrime si può lasciare un segno.

Un segno che si imprime, che rimane. Che resta. E a lungo, anche.

In alcuni casi può diventare addirittura INDELEBILE.

Un segno che ci sarà per sempre.E che mai più potrà o lo faranno andar via.

E fu proprio così che loro ce la fecero, un tempo.

Arrivarono quasi a rischiare a mettere a rischio e a repentaglio le loro vite, per risolvere il loro primo caso insieme.

Un caso che scottava. Un caso di cui nessuno si voleva occupare. Un caso che non interessava ad anima viva, all'interno del loro e degli altri distretti.

Né agli agenti coinvolti, né ai loro capitani reggenti e di ruolo. Anche se avevano ricevuto da parte del sindaco, degli assessori e dei consiglieri più stretti e fidati l'ordine pressoché tassativo di risolverlo

E il più in fretta possibile, anche. Perché così come i vari funzionari addetti gli stavano col fiato sul collo, anche la stampa gli stava appresso e addosso montando ogni giorno sempre di più e a regola d'arte una campagna feroce ed aggressiva.

Spietata. Come non le si vedeva da un sacco di tempo. E forse come non le si era mai viste.

Perché ormai i tempi sono cambiati.

I politici non vengono più a bussare alla porta, rompendo l'anima ed insieme anche le tasche quella volta ogni tre, quattro o cinque anni, se va bene.

Giusto quando arrivano le elezioni, o magari un referendum buttato fuori all'uopo e al momento giusto per garantire un congruo e corposo rimborso spese ai vari partiti, fazioni, movimenti e schieramenti. E alle loro casse, che sono sempre vuote e che piangono.

Tsk. Congruo almeno stando a quel che dicono i lor signori.

E corposo...senz'altro. Che quelle non sono certo persone che si accontentano di quattro spicci mezzi scannati.

Altrimenti...come accidenti farebbero a soddisfare i loro capriccioni personali, me lo dite?

Ne hanno bisogno. Perché la politica...logora. E non é necessario essere o mantenersi sobri o lucidi, per affrontarla o dominarla. O anche solo per reggerla, e basta.

Così é, putroppo. Che piaccia oppure no.

E' così che stanno le cose, purtroppo. E non ci si può fare proprio un bel nulla inframmezzato e mischiato col niente.

E questa cosa, anche se la si cerca adeguatamente di capire, o di esorcizzare in qualche modo o maniera...dà fastidio.

Lo si sa. D'altra parte e pure dall'altra parte. Lo si sa fin troppo bene.

Lo sanno fin troppo bene, loro.

Dà un mucchio ed un sacco di fastidio, al resto della gente. E come potrebbe essere altrimenti?

Lo si spieghi, su. Forza. Vediamo se riuscite a convincere. Ed a convincermi. Ed a convincerli.

Giusto come si fa in occasione degli scrutini atti a rinnovare i seggi e le poltrone in parlamento, o in qualunque altro organo di stampo costituzionale o giuridico.

Ma se non altro...una volta si poteva contare per lo meno su una certezza. Su di una sicurezza.

E cioé che per quanto insopprimibile ed insopportabile che fosse quell'odiosa e saccente manfrina una volta passata, trascorsa e terminata non si sarebbe presentata per un lasso di periodo e di tempo piuttosto prolungati.

Per un po' avrebbe lasciato tutti quanti in pace.

Solo un po'. Almeno per un po'.

Dopo la tempesta e la bufera...arriva sempre il bel tempo, dopotutto.

Nel bene o nel male, che governi in modo illustre oppure pessimo...chi sale su e sopra alla cattedra vi resta, fino alla fine del suo mandato.

Come una banda di strozzini, malavitosi o di camorristi a cui é stato pagato il pizzo pattuito per avere la famosa PROTEZIONE, come si ama dire in gergo.

Si, come no. La protezione da LORO STESSI. Ma tant'é...

O come una creatura gigantesca, orrenda ed assetata di giovani e fresche vite che tiene sotto scacco un intero villaggio o un'intera popolazione, e alla quale viene versato, con mesta quanto rassegnata puntualità, l'annuale tributo di sangue in vittime e sacrifici necessari per placare la sua ira e la sua furia.

Del resto lo dice anche il vecchio e famoso adagio, no?

Via la zanna...via anche il dolore. E da quel momento in poi...solo sollievo, per fortuna.

Di norma, dopo che é finito l'infuriare del fortunale, della buriana, della tempesta e della bufera, per quanto intensi e sconvolgenti...arriva e giunge sempre il tempo della calma, della tranquillità e della bonaccia.

Per utilizzare una vecchia leggenda che risale a quando il mondo era interamente coperto dalle acque, poco prima che dal fondo e dalla pancia di esse sorgesse la Pangea, il prototipo dei futuri continenti, la pasta e cera molle da cui si sarebbero distaccate e formate le terre emerse...

Una volta che era passato SIN, e che si era rimesso finalmente in letargo...sopraggiungeva sempre e puntuale il BONACCIALE.

Fino alla prossima, certo. Ma alla prossima...chi ci pensa?

Ci si penserà quando dovrà arrivare il momento di pensarci. E ci si provvederà.

Qualcuno ci provvederà. Ed intanto...ce la si goda tutti quanti, in totale ed assoluta letizia. Brindando all'appena scampato pericolo.

Che ancora una volta, anche questa volta si é riusciti ad arrivare e a giungere alla fine della giornata. Dellla settimana. Del mese. Dell'anno.

Una volta era così. Ma adesso...non più.

Adesso é PEGGIO.

Ora, con l'avvento e l'espansione della tecnologia, ci si ritrova costantementi immersi ed impantanti in una realtà a dir poco allucinante.

In quella che é a tutti quanti gli effetti una campagna promozionale continua e perenne.

Senza mai blocco, sosta o pausa di sorta.

Il potere, la tutela ed il possesso dei cosiddetti poteri forti si sono talmente scomposti, frammentati e spezzettati tra loro che ormai non importa più chi va su.

Indipendentemente da chi sia...c'é sempre il modo di buttarlo giù. Ed é esattamente ciò che inizia a fare chi é rimasto giù e non é riuscito a salire sul carro dei vincitori. Magari con l'aiuto e l'ausilio di un'apposita campagna diffamatoria o di qualche magistrato affiliato e connivente.

Che sia per divergenza di idee o per aver fatto male i propri conti in un eccesso di acceso opportunismo. Pensando magari, mediante una manovra azzardata, di riuscire a prendere tutto ed ogni cosa per poi alla fine ritrovarsi con un pugno di mosche stretto tra le proprie zampe.

Alla fine di ogni tornata si ottengono maggioranze talmente risicate che basta una manciata di voti in meno del solito e del consueto, anche per i decreti più inutili ed insignificanti, per richiedere un test di fiducia. E, nel caso vada male o non ottenga i risultati sperati...aprire una crisi e tornare subito alla urne.

Se solo un governo e la sua naturale opposizione si limitassero semplicemente a fare quel che dovrebbero fare e cioé governare e gestire nel caso del primo, con la seconda a fare da garante che il primo faccia le cose che é chiamato a dover fare come Dio ed il buon senso da sempre impongono e comandano...

E invece niente. Non si capisce più nulla. Non si combina più nulla.

Tutto e tutti danno e si danno addosso a tutto e tutti, ogni secondo ed in ogni occasione. Al minimo e futile motivo che capita ed arriva a disposizione.

Non si può capire né combinare niente, in mezzo ad un guazzabuglio e ad una caciara simili. E quel che é peggio, per l'appunto...

Quel che é peggio é che NON SE NE ESCE PIU'.

Non se ne esce più. Non se ne può uscire più. E...

E non se ne può più. Certe volte non se ne può davvero più.

Ecco. E' di questo, che non se ne può più.

Non delle tasse e delle elezioni. Che per quanto rompono, almeno costituiscono delle certezze, per quanto ammorbanti.

E' dell' INCERTEZZA, che non se ne può davvero più.

Dell'incertezza. E dell'indeterminazione.

Del non sapere cosa ci aspetta. E cosa ci attende.

E' di questo, che non se ne può più.

E' solamente e principalmente di questo, che non se ne può veramente più.

Di non sapere. E di non avere risposte. Specie da chi per primo te le dovrebbe fornire, quelle risposte. Visto che é e dovrebbe essere il suo dannato, dannatissimo lavoro.

Altrimenti...altrimenti per quale diavolo di motivo avrebbe dovuto sceglierlo, oltre che a quello di intascare da chi sta sotto di lui e far intascare a chi sta sopra di lui fior fior di mazzette, tangenti e bustarelle assortite.

No. Lo si dica, accidenti. Qui. Ed ora. Una volta per tutte.

Per quale diavolo di mot...

Aah.

Adesso. Solo adesso, lo si é capito.

Si vuol forse dire che SOLO QUELLO, costituisce il principale motivo, nonché unico?

Adesso è tutto chiaro, finalmente. Ma allora...

Allora quel che si gradirebbe é solo un po' più di sincerità e di trasparenza. E di limpidezza. Ma soprattutto...

Soprattutto e per prima cosa di onestà. Verso sé stessi e verso gli altri.

Per carità...non si é certo scemi o stupidi.

Nessuno ha la bacchetta o i poteri magici. Ma almeno...

Almeno non si cerchi di pigliare in giro e per i fondelli la gente ed il prossimo. E non si vada in giro essendo convinti, ostentando e millantando di avere la soluzione in tasca per ogni problema. Per ogni tipo di problema.

E comunque...quando si presentano casi come questo e non si sa che pesci pigliare, non rimane che tornare ai tanto cari e cosidetti vecchi metodi.

Ma no, che avete capito. Niente decimazioni o fucilazioni o deportazioni.

Che si ha, voglia di scherzare? Non vanno più di moda. E poi sono controproducenti. Sia per l'immagine che per i voti che per l'indice di gradimento e di popolarità.

Non si mette più la gente contro al muro per crivellarla, lapidarla o passarla alle baionette.

Una volta erano tanto comodi, però.

Grande, grandissimo peccato. Ed infatti ancora adesso e ai giorni nostri c'é qualcuno che li rimpiange con nostalgia, e che vorrebbe tanto tornarci.

Ma adesso...adesso siamo in democrazia. Non si può più, e non é consigliabile affidarsi ancora a sistemi tanto estremi e drastici.

Se c'è un problema che non si riesce assolutamente a risolvere o che non si vuole assolutamente risolvere...basta semplicemente ricorrere ad un ulteriore vecchio metodo.

Quello dello scaricabarile. Che a differenza del vecchio metodo suo gemello e citato in precedenza...continua a funzionare sempre alla grandissima e a meraviglia.

Lo scaricabile. Che consiste e con cui, proprio come la definizione stessa tende a suggerire, a scaricare ed affidare lo scomodo compito ed incombenza sulle spalle e sulla coscienza di qualcun altro. Magari un qualcun altro a cui hanno provveduto a far ottenere denaro, regali, un posto di rilievo. Che magari, in teoria, non avrebbe dovuto nemmeno occupare.

D'altra parte...é politica, gente.

Ed il motto della politica non é certo FARO' GLI INTERESSI DI TUTTI I CITTADINI, CHE SIANO CON ME O CONTRO DI ME. E CHE MI ABBIANO SCELTO O MENO.

No. Anche se é quello che più si ama sbandierare e mostrare, specie da un pulpito ed in tempi di comizi e di tribune. E possibilmente non di tribunali.

Il vero motto é decisamente un altro. E cioé RICORDATI CHE MI DEVI UN FAVORE.

Funziona così.

E' così che funziona, in politica. Ed é una frase che si può applicare a tutti i livelli, ad ogni livello.

Ed é proprio ai sottoposti che gli eletti si rivolgono, visto che hanno sempre e comunque un elettorato a cui devono rispondere, in ogni caso. Che vi siano elezioni in vista e all'orizzonte o meno.

Tutto un esercito di enti, ispettorati, dipartimenti, ministri, parlamentari, deputati, più o meno onorevoli, senatori, segretari, sotto – segretari, sovrintendenti, consiglieri, prefetti, assessori, responsabili, presidenti, galoppini, leccapiedi e, propriamente e specificatamente nel caso di crimini ancora insoluti ed irrisolti...procuratori e comandanti dei vari distretti.

E ci siamo. Eccoci arrivati.

Era principalmente da loro che si precipitavano e si scagliavano addosso con la bava e la schiuma alla bocca e con gli occhi iniettati di sangue, piombandogli furenti e furibondi tra capo e collo quando meno se lo aspettavano e magari mentre erano in panciolle seduti comodi comodi nel loro ufficio. Che fosse guadagnato o meno dopo una vita di grossomdo duro lavoro.

A cercarsi gli agganci e le raccomandazioni giuste, di solito.

Ed era proprio così che li beccavano a li coglievano in flagrante, il più delle volte.

Con le zampe inferiori piantate e poggiate sul tavolo della propria scrivania, una sull'altra. E magari intenti a trastullarsi con l'ultima sexy – app non ufficiale della pop – star Gazelle.

 

“Wow! Continua così. Ci stai dando davvero dentro...AGGIUNGERE NOME A PIACERE.”

 

Ed col DARE DENTRO non si riferiva certo al ballare, come invece faceva una app ben più rinomata e famosa. Anche se un po' meno sexy.

Chissà, magari mentre la usavano erano pure intenti a tratullarsi qualche cosa d'altro, visto che in fin dei conti per far funzionare quella roba bastava si e no un pollice.

Meglio, mille volte meglio del vecchio videoregistratore VHS o lettore DVD.

Molto ma molto ma molto più comodo.

Infinitamente più comodo, visto che con gli altri due apparecchi appena menzionati bisognava tenere il telecomando vicino al fianco, nonché una mano tutta occupata.

A darci dentro, anche in questo caso.

Ma no, che si é capito. A darci dentro di tasti di play, di rewind di fast forward, di pausa, di salto delle scene e di stop, nel caso entrasse o arrivasse qualcheduno.

Non che la cosa costituisse un problema, quando venivano colti sul fatto.

In fin dei conti valeva la stessa cosa anche per i pezzi grossi che li venivano a tampinare e a scocciare, rompendo loro le tasche e anche qualcosa d'altro.

E giusto un attimo prima che era sul punto di svuotarsi, per giunta.

Sempre così. Sempre al momento meno opportuno.

In fin dei conti anche i loro superiori avevano i loro bei problemucci, in tal senso. Solo che essendo decisamente più ricchi, popolari e potenti, con la giusta discrezione li facevano risolvere alle loro più strette e procaci collaboratrici. Al posto e alla faccia delle loro mogli, che potevano essere anche più di una. E anche quelle non molto ufficiali, fatta debita e dovuta eccezione per quella che avevano deciso di impalmare ed in certi casi incastrare sul'altare.

Nel caso fosse lei ad avere i soldi, e non lui. Visto che gli servivano per fare carriera.

Il problema non era quello, si diceva. Che tanto tra maschi arrapati e alla costante ricerca di femmine vogliose ci si capisce e ci si intende al volo. Basta una sola e semplice occhiata, e sanza tanti giri di parole inutili.

La vera questione era un'altra.

Facevano irruzione nei loro studi e sgabbiozzi tenuti separati dal resto del distretto da una parete di legno o da una piccola porta anch'essa di legno che il più delle volte, dopo essere stata aperta, si richiudeva da sola mediante un apposito dispositivo a braccio e di richiamo quasi sempre realizzato in ottone. Sempre ammesso e non concesso che prima non la buttassero giù per la foga.

Ed una volta richiusa la porticina in questione...buttavano dapprima qualcosa in giro e per aria a causa di un imminente attacco di stizza, per poi prendere ad urlare e a saltar loro letteralmente in faccia e in testa, visto che nella posizione in cui si trovavano gli era concesso e se lo potevano permettere. Almeno quanto e nella misura in cui l'altro interlocutore del dibattito era obbligato a stare muto e zitto, e ad ascoltarli. E senza nemmeno doversi prendere la briga di partire alla lontana, fingendosi almeno all'inizio calmi, concilianti e compassati come in realtà non erano affatto. E come di solito solevano ed amavano mostrarsi al resto della gente e dei comuni, iseri e fetenti mortali durante i loro comizi.

Lì dentro erano al sicuro almeno quanto lo erano sugli scranni dentro ai loro uffici personali e privati. Perché mai e poi mai chi avevano di fronte avrebbe osato l'affronto d rinnegarli, sbugiardarli oppure tradirli, visto che in fin dei conti si ritrovavano dov'erano solo ed unicamente per merito loro.

Era, costituiva un giusto quanto meritato sfogo. Necessario, e per e sotto certi aspetti persino quasi liberatorio.

Era terapeutico, gli faceva un gran bene e gli lasciava un leggero ma gradevole senso di liberazione e soddisfazione. Quasi quanto una medicina o un buon bicchiere di vino o di liquore. Ma senza doverli prendere realmente, però. Che già di calmanti, psico – farmaci, tranquillanti, sonniferi e super – alcoolici vari ci andavano giù pesante e alla gran più bella prima di dormire, coricarsi o di farsi una pennichella. E senza freni. Con dispeptici, diuretici e prodotti digestivi ed anti – gastriti o ulcere a fare da tampone per limitare al massimo ed il più possibile eventuali danni allo stomaco, al fegato, all'intestino o ai reni.

Lo si é già detto, del resto.

Per fare la politica...non occorre essere e presentarsi lucidi o sobri. Per lo meno quando si é in mezzo ai propri simili.

Li pigliavano per il bavero o per la collottola, piazzandogli il muso a pochi, pochissimi centimetri, talvolta soli millimetri di distanza da quello di loro. E sbraitando e procedendo insulto dopo insulto, tra un epiteto decisamente ben poco distinto, signorile e e garbato ed un altro ancora meno gentile ed anzi piuttosto colorito per non dire smaccatamente e chiaramente irriguardoso ed offensivo...chiedevano, imponevano e pretendevano RISULTATI.

RISPOSTE, giusto per ricollegarsi al discorso di prima.

Candide anime di fanciullo. Per voler esentarsi dal dover dire in risposta a tutto ciò un altro termine molto simile, differenziato unicamente da due mancanze. Dalla presenza in meno rispettivamente di una vocale e di una consonante. Quella che é insieme la seconda in ordine di apparizione all'interno della parola stessa e la terza nell'ordine tipico delle vocali. Ed inquanto alla consonante, beh...basta levare una doppia.

Per volerla far alquanto breve e semplice...cosa ne rimane di fanciullo se si levano di mezzo la lettera i e una tra le elle?

Oh, é molto semplice. Al punto che forse non é affatto il caso di stare qui a dirlo e a specificarlo, oltre che per evidenti motivi di garbo e di decoro.

Di tutt'altra pasta e fibra si rivela putroppo riuscire ad esaudire le richieste sempre più pressanti ed asfissianti da parte dei suddetti pezzi grossi.

No, risolvere quei casi o il caso che più scottava non era altrettanto né affatto così semplice.

Non lo era per niente. Ma proprio per niente.

No, dico...ci si pensi un attimo, per la miseria. E ci si metta nei loro panni. Nei panni e nella pelliccia di chi quei casi li deve ed é chiamato per amore, per dovere e per forza o per necessità a doverli districare e sbrogliare, in qualche modo. In ogni modo, per di arrivare al famoso o famigerato bandolo della matassa.

La fatidica chiave di volta del dilemma.

No, i vari politici provino a mettersi nei panni e nelle pelliccie dei poliziotti, per una volta.

Una volta tanto, almeno. Non é che si chieda poi troppo, in fin dei conti.

Un minimo di comprensione e di empatia da parte loro, tutto qui. Visto che in fin dei conti il loro lavoro sarebbe quello di risolvere i problemi, esattamente come lo é quello dei tutori della legge e dell'ordine. Anche se su una scala e su proporzioni completamente e totalmente diverse e differenti.

See, come no. Infatti e difatti li risolvono almeno quanto e come lo risolvono loro. Nella stessa misura. E cioé poco e niente.

I più o meno rispettabili rappresentanti di entrambi i settori hanno a che fare con una palude di fastidiose pastoie burocratiche e noiosi quanto tediosi cavilli, paragrafi, codici, codicilli, commi ed emendamenti dei più svariati generi e della più variegata natura. Che guarda caso i loro avversari e contendenti e cioé gli oppositori nel caso dei politici e i difensori degli imputati nel caso dei malviventi dimostrano di conoscere benissimo, visto che non mancano mai di presentarli e di fare ad essi appello.

Forse, anche in questo caso...proprio come per la parola che si é così accuratamente voluto evitare di pronunciare, l'unica differenza é compoata da pochi, pochssimi dettagli.

La costituisce prima di tutto il fatto che i politici si arricchiscono più facilmente. E che...ah, si.

Ed anche che quando vengono beccati e colti in fallo e sul fatto ottengono più di frequente la condizionale.

Per i poliziotti, invece...non é previsto nessuno sconto incorporato di serie o di sorta.

E non é tutto. Vi é pure dell'altro, come se già questo non bastasse e non fosse sufficiente.

Se ne ha un'idea?

La gente ne ha un'idea? I politici stessi ne hanno anche solo un'idea? Una minima, miserrima parvenza o uno sparuto indice di idea, prima di aprire bocca e parlare a vanvera?

Le persone hanno una vaga idea, prima di mettersi a gridare e a contestare senza nemmeno saper che cosa o per quale motivo stanno gridando? E gridando così tanto e a sproposito?

No, che non ce l'hanno. Altrimenti, in caso contrario e se così non fosse...smetterebbero subito.

Smetterebbero immediatamente, seduta stante di gridare. Perché si renderebbero conto di non avere più nessun motivo, più un solo straccio di motivo per farlo ma soprattutto per continuare a farlo imperterriti.

E invece no. Non lo sanno e continuano a non saperlo. E non lo vogliono sapere, perché nella sostanza non gli importa nulla di saperlo. Credono non serva a nulla saperlo, e che sia solo uno squallido alibi o una stupida quanto insulsa giustificazione. Come quelle che accampano goffamente i ladroni quando vengono pescati con le zampe dritte immerse nel barattolone della marmellata, per dare un senso al loro fallimento e tentare almeno di recuperare in extremis la faccia di bronzo e di tolla che hanno appena perduto.

Non lo sanno, punto e basta.

Non sanno a quanto ammonta la percentuale di casi insoluti nell'arco di una giornata. E nemmeno a quanto arriva la percentuale di quelli in cui si riesce a svelare l'arcano.

Men che meno quella, di conseguenza.

La si vuole sapere? Pronti.

Se si considera la quantità di delitti, reati e fatti di sangue, rapine, furti, svaligiamenti, aggressioni, pestaggi, ferimenti e violenze verbali, fisiche e carnali e i crimini in genere e di genere che vengono commessi ogni giorno...la percentuale media di risoluzione NON ARRIVA NEANCHE AL VENTI PER CENTO.

Si assesta attorno al diciotto, se si vuol fare i precisini. E da lì non si alza.

E se ne può intuire perfettamente la ragione.

Li sanno tutti. Sia il perché che il motivo. Ne sono a conoscenza persino i sassi.

Anche un cretino, lo capirebbe. Pure lui.

Saper ricostruire un accaduto di stampo criminoso non é affatto facile. E in mancanza di prove, moventi, testimoni ed eventuali armi del delitto non si può venire a capo di nulla. Si rischia di non ottenere nemmeno un mandato. A momenti neanche di perquisizione, figuriamoci di arresto.

Lì poi, se non si ha in mano almeno uno degli elementi appena descritti...equivale a mettersi in testa di cercare l'oro.

Si ottiene solo un gran buco nell'acqua. Con un bel pugno di mosche ronzanti nella zampa, mentre ci si tuffa e si va dritti dritti a fondo.

Quando si affronta e si esamina un caso...si confida soprattutto nella resa da parte del responsabile.

Si mettono sotto torchio e sotto pressione quelli che rientrano nella cerchia dei presunti e probabili sospettati e colpevoli, sperando che qualcuno ceda e si consegni, dopo aver ammesso il misfatto compiuto mediante una confessione e una dichiarazione spontanee. E sperando che sia quello giusto, e di non aver sbagliato mira.

I criminali, i delinquenti ormai ne sono perfettamente a conoscenza, di tutto ciò.

Lo sanno. E lo sanno pure i loro legali ed avvocati chiamati a rappresentarli per un eventuale processo.

Difatti si sono fatti scaltri e furbi, i carognoni. Di entrambe le categorie. Anche quella composta da altrettanta gentaglia della stessa risma, se pur intabarrata ed infagottata dentro giacche, cravatte, completi scuri e colletti bianchi a coprire ed abbellire un animo brutto, viscido, appiccicaticcio e puzzolente quanto e più della pece. E perciò...

Perciò se ne stanno belli zitti. E muti.

Zitti e mosca, tanto per restare e rimanere a tema.

Non parlano. E in mancanza di materiale valido a confermare i capi d'accusa...i dubbi permangono.

E le imputazioni decadono. E tutto va a rotoli. E il caso viene irrimediabilmente archiviato. In attesa di venire riesumato e riesaminato qualora comparisse qualche novità a riguardo.

Un giorno, forse...poi.

L'anno del poi ed il mese del mai. O era vice – versa.

Facciamo l'anno del poi del mese del mai del giorno del forse, che così si sta tutti quanti tranquilli e sereni, via.

Il diciotto per cento.

Questi sono i dati. Questi sono i fatti. Questo é quanto. Peccato che...

Peccato solo che sia i giornalisti che i giornali per cui operano e lavorano non ne parlino, di queste cose. Non ne parlano praticamente mai.

Si riesce anche solo a pensare a quanta gente sparisce e scompare nel nulla, nel giro di ventiquattr'ore?

E non si trattano di ipotetiche fughe da casa o allontanamenti più o meno volontari dal nucleo familiare o casalingo. Non la maggior parte, almeno.

Si sa, si ha anche solo la vaga e minima idea di quante persone, di quanta gente viene uccisa, ammazzata per mano di altri nell'arco di una sola giornata? Nell'arco di ventiquattr'ore? Nell'arco di due giri completi del quadrante di un orologio da parte della lancetta più piccola?

Sono un'infinità. Una marea. Una moltitudine.

Ma sono cifre, dati, numeri che non vengono mai pubblicati, o elencati. Perché, tanto...non li legge mai nessuno.

A nessuno importa. A nessuno interessa.

A chi importa? Giusto per usare una frase nota. E già detta da qualcuno di nostra conoscenza.

Un vecchio bufalo che manca da un mucchio di tempo.

Da un mucchio di capitoli, di queste pagine e di questa storia.

Se davvero lo fosse, una storia.

E comunque...resta un fatto.

A chi volete che importi, di tutto questo?

Sono cose che, come si suol dire...non fanno notizia.

I giornalisti e gli scribacchini tendono a trascurarle e a non considerarle, questi cose e questi aspetti.

Se ne disinteressano. Ma poi...

Ma poi succede che un caso attiri l'attenzione dell'opinione comune. E salga alla ribalta e di dominio pubblico.

Tipo dei delitti e degli assassinii particolarmente cruenti ed efferati. Che possono essere uno o più di uno. O addirittura in serie, o consequenziali. O di massa. Ma accomunati tutti da qualche dettaglio bello macabro, sanguinolento e orripilante.

Da una firma. Una tag. O un modus operandi.

Che vanno benissimo anche in caso di sequestri, attentati ed atti criminosi particolarmente brutali e violenti.

E allora...lì succede qualcosa.

Lì i famosi scribacchini ci si buttano sopra a pesce. E all'improvviso pretendono che la risoluzione di quei casi messi sulla testata delle prime pagine dei loro rotoli di carta igienica formato quotidiano e puzzanti petrolio sia del CENTO PER CENTO.

Forse certi argomenti non faranno notizia, questo é vero. Ma in ogni caso trattarli in tal maniera, indipendentemente dalla loro gravità, non é nemmeno fare informazione.

E' fare una cosa a metà. Con tutte le conseguenze che si possono immaginare. Che non sono certo belle.

E comunque, quel che più conta é che la gente se le beve. Tutte.

Solo quello conta, per loro.

Se le bevono tutte, senza fiatare. E iniziano a domandarsi come mai, per quale motivo non sia cosi. E che cosa diavolo fanno i poliziotti con gli stipendi pagati dalle tasse salatissime ingiustamente estorte ai rispettosi quanto onesti cittadini, invece di difendere e proteggere i contirbuenti che li mantengono e li rendono belli pasciuti. Talmente grassi e flaccidi che a quanto pare non riescono nemmeno a correre per stare dietro ai malfattori. E con il grasso che ormai gli ha intaccato la corteccia cerebrale e cerebellare e la materia grigia, rendendoli di fatto incapaci di risolvere il benché minimo caso. Persino il più semplice, a cui ci arriverebbe persino un moccioso dell elementari o un frugoletto della materna.

Già. Ma come si fa, dico io.

Che si fa, in casi come questo?

Che si deve fare.

Oh, é semplice. Si fa che andate al commissariato o in accademia, vi arruolate e ve lo andate a fare voi questo mestiere, ragazzi. Così si vedrà come ve la cavate, visto che vi ritenete così tanto bravi ed in gamba.

Cosa fanno i poliziotti.

Fanno quello che possono, ecco cosa fanno. Del loro meglio per cavare fuori un minimo di altro meglio dal peggio disponibile, e che si sia mai visto.

Ci si arrangia, ce la si cava e si fa quel che si può, con quel che si ha.

Insomma...quel che in genere si fa quando si é alle prese con un lavoraccio infame con rischi altissimi, orari assurdi, reperibilità perenne, scarsità di fondi e mezzi e un salario da fame. Semplicemente ridicolo.

Un'autentica barzelletta, paragonato ai pericoli che si corre per averlo in cambio. E dulcis in fundo, tanto per concludere...la concreta e tutt'altro che remota eventualità e possibilità di non arrivare a godersi e nemmeno vedere la pensione. Tutt'al più quella di invalidità, se non si sta attenti. Che é ugualmente un pugno in un occhio, fatte le debite e dovute proporzioni.

E poi ci si domanda perché un sacco di poliziotti infermi che hanno rinunciato e terminato il loro onorato servizio prima del tempo e del previsto decidono di suicidarsi e di farla finita.

Il tutto con leggi fin troppo permissive ed indulgenti a condire e fare il paio. E pendagli da forca prezzolati che dimostrano di conoscerle a menadito. E che di esse se ne approfittano, alla gran più bella e ad ogni pié sospinto.

E questo, come già detto in precedenza, vale anche per quelli coi vestiti firmati e alla moda e con ventiquattr'ore sempre appresso, i cui profumi ed acque di colonia da sole valgono più che gli abiti di tutti quelli presenti nell'aula di tribunale dove sono chiamati a delinquer...ehm, ad operare. Naturalmente mettendo assieme pure il pubblico oltre che la giuria, il giudice, l'imputato, l'accusa e la difesa.

Quelli che fanno lavori e mestieri illustri e rispettabili. Tipo parare il fondoschiena ai farabutti che operano in mezzo al lercio ed al sozzume delle strade e dei vicoli, in cambio di un altrettanto laido e lauto guadagno personale.

Se non fosse che si tratta di un personaggio pressoché indifendibile e con cui sia praticamente impossibile empatizzare e parteggiare, nonché appoggiare e difendere le sue idee ed opinioni sino in fondo...verrebbe da dire che un certo, laido suino di nostra famigerata conoscenza ha perfettamente ragione, quando sostiene che i giornali sono serviti fino a quando la tecnologia e la scienza applicate non hanno saputo inventarsi niente di meglio.

E cioé la carta igienica. Quella vera e propria.

Ci si fa mai caso? Eppure lo si nota, se si é disposti a fare un minimo sindacale di attenzione.

Nei film e nelle pellicole di stampo horror, fantascientifico e catastrofico c'é da sempre, questa figura.

E' un trucco vecchio quanto il mondo.

Chi? Ma é ovvio.

Si sta parlando del bacchettone. Del saccente. Del sapientone.

Per volerla tagliare corta, del rompib...del rompiscatole, insomma.

Quello che in genere e di norma si crede e crede di sapere sempre e solo tutto quanto lui. E che non manca e non perde mai l'occasione di avere da ridire su ogni cosa, e di criticare in continuazione e senza alcuna riserva sia il protagonista che gli altri personaggi. Per ogni scelta che fanno e per ogni azione intrapresa e compiuta. O che stanno per compiere, e ancora devono fare. Ma che, guarda caso e non si sa come, al momento giusto hanno l'intuizione geniale che potrebbe salvare la baracca, la vita ed il fondoschiena a tutti.

Già. Peccato solo che...

Peccato solo che alla fine tutto se ne vada lo stesso ed ugualmente alla malora.

E perché va tutto in malora? Perché non lo ascoltano.

E perché non lo ascoltano?

Oh, é semplice. Molto, molto, molto semplice.

Perché é antipatico, ecco perché.

Perché facendo fede al suo appellativo, rompe le scatole. E pure al pubblico, e agli spettatori.

E quindi non lo si fila.

Non gli si dà retta, non lo si sta a sentire e non gli si crede.

Mai.

Allo stesso modo funzionano i rapporti interlacciati e contigui tra le varie squadre messe in campo ed in gioco.

Tra le forze di polizia e dell'ordine, stampa, informazione, legge, anarchia, criminalità, politica e potere.

E che si sappia. L' elenco non é affatto disposto in maniera casuale, tutt'altro.

La realtà, proprio come i film, é soggetta ai stessi comandamenti.

Anch'essa ha le sue regole precise, statiche, schematiche, classiche ed immutabili.

I suoi massimi sistemi.

Certo, pur mantenendo le dovute quanto inevitabili differenze e distanze.

Non c'é il lieto fine, ad esempio. Ed il buono perde.

La trama é spesso inconsistente. E nulla é oppure dura e perdura per sempre.

Neanche l'amore, purtroppo. Soprattutto quest'ultimo.

L'immagine appare scura, sgranata e priva di un'adeguata definizione. Ed il futuro e il domani fanno paura, anziché donare ed infondere serenità, sicurezza e speranza.

Eppure...

Eppure loro ce la fecero.

Si da quando si misero in azione si diedero da subito un gran da fare per alzare il più possibile la percentuale.

Quella dannata, dannatissima, maledetta percentuale.

La famosa percentuale delle indagini riuscite e portate a compimento.

La statistica dei casi risolti.

Ottennero il tanto decantato ed ormai leggendario cento per cento.

Al primo colpo, risolvendo il loro primo caso assegnatogli. Anche se in verità lo avevano affidato alla sola agente Hopps, col cittadino Wilde a fare da supporto e consulenza specializzata.

Nessuno ci era mai riuscito, prima.

Nessuno ci era mai riuscito prima del loro avvento, della loro venuta e della loro discesa in campo.

Il campo dove tutti noi siamo chiamati a dover giungere. E dove tutti noi si deve arrivare, prima o poi. Volenti o nolenti.

Il campo di battaglia.

Offrirono una soluzione. Fornirono risposte. Ed inoltre...

Inoltre dimostrarono l'improbabile.

Resero possibile l'impossibile.

Mostrarono a tutti che ognuno può essere quel che vuole. Ciò che più vuole o desidera.

Mostrarono che un coniglio, da sempre giudicato il mammifero più debole e pauroso, può svolgere uno tra i lavori più pericolosi al mondo.

Mostrarono che una volpe, da sempre considerata l'animale più infido, disonesto ed approfittatore, può svolgere uno tra i lavori più onesti al mondo.

Mostrarono coi fatti che nulla é impossibile. E che tutto può essere possibile.

Che non esistono limiti o barriere, a parte quelle che ognuno si costruisce da solo e per conto proprio. E spesso su consiglio in malafede da parte degli altri.

Che non esiste alcun tipo di impedimento, al cambiamento.

Che dipende da noi, soltanto da noi. Da ognuno di noi.

E da lì, che parte. Che deve partire.

Solo da lì.

Mostrarono che un mondo migliore può davvero esistere. Che il mondo può davvero diventare un posto migliore. E che un giorno, in un futuro lontano...lo sarà.

Che può essere meglio, di più di quel che é. E che un domani lo sarà ancora di più.

Ma bisogna provare. Provare e provare. E ancora provare.

Senza smettere né arrendersi né mollare mai.

Avanti. Sempre avanti.

Senza mai voltarsi.

Grazie al loro primo caso risolto cambiarono tutto. Ogni cosa.

Fu il primo passo. E non fu che l'inizio.

Dopo quel primo successo...ne arrivarono ben presto altri.

Quei due non si fermarono. Non si fermarono mai. Non si fermarono più. E poi...

Poi successero cose.

Delle cose. Alcune cose.

Belle per alcuni, decisamente brutte per altri. Ma molto, molto, molto brutte.

Una notizia inaspettata. Un trasferimento improvviso. E poi quell'incidente che stravolse le loro vite.

Una, in particolare.

E poi un sonno profondo, forse senza risveglio. E senza rimedi.

E un viaggio che era iniziato e che non era ancora finito. E che non si decideva a voler finire.

Oggi quel tempo, quei tempi fulgidi e gloriosi hanno cessato di esistere. Sono acqua passata.

Se torneranno o meno...lo si scoprirà solo vivendo. E leggendo, se é vero che la vita é trascritta anzi, già trascritta su di un grande libro, giusto per tirare in ballo tutt'un altro mito ed un ulteriore leggenda.

Quelle pagine...le pagine di ciò che ancora deve accadere sono ancora tutte da scrivere. Ma già esistono nella mente, nei pensieri e nella fantasia di colui che le dovrà scrivere ed incidere sulla carta di propria volontà, di propria mano e di proprio pugno.

O forse sono già scritte. Solo che...

Solo che non si possono leggere. Non si può ancora farlo.

Si potrà solo quando chi le ha vergate darà la possibilità e la capacità di farlo.

Ma fino ad allora, e sino a quel momento...esse rimarranno e resteranno come celate, invisibili a chiunque.

Quanto si vorrebbe che fosse già tutto finito. E per il meglio. Ma...non é così.

Non funziona così. Non sta a noi. Nessuno può.

Sta al destino.

Occorre avere pazienza. Il tutto e subito non esiste.

Ma una cosa la si può fare, però.

Si può sperare.

Come quando si odono e si ascoltano dei racconti terribili e paurosi, così spaventosi e terrorizzanti che si ha la spiacevole sensazione ed il pessimo presentimento che nulla si concluderà bene, e per il verso giusto. Ma dove, alla fine, tutto si risolve come si auspicava.

Nel migliore dei modi. Dove ogni cosa torna al suo posto.

D'altra parte...é la regola aurea dei seguiti.

Dei sequel, per i potenziali cinefili ed anglofili. O per gli appassionati di entrambe le due cose.

Lo stesso, ma in misura maggiore.

Uguale, ma di più.

Bisogna alzare il tiro. Alzare le aspettative. Alzare l'asticella.

Alzare tutto. E andare oltre.

Si prende il buono del precedente, tutto quanto di quel che é riuscito. Poi lo si screma del superfluo ed infine...si gira il pomello dell'audio sino al livello consentito, e si aumenta il volume

E già che ci si é si pigia l'acceleratore al massimo e a tavoletta, moltiplicando ed elevando tutto all'ennesima potenza.

E soprattutto si deve aver coraggio. Si deve tirar fuori tutto il coraggio e la temerarietà di cui si dispone, senza guardare in faccia a nessuno.

Avere il fegato di andare e di procedere contro ed in direzione opposta alla corrente. Di fare scelte e di prendere decisioni rischiose, estreme e forse persino impopolari.

Avere il coraggio di non dare al pubblico quel che il pubblico vuole. Almeno per il momento.

O almeno non subito, questo é più che certo.

Del tipo togliere di mezzo un personaggio adorato e amatissimo da legioni di fan appassionati. E non sempre per sua precisa e spontanea volontà.

Anzi...quasi mai, per sua precisa e spontanea volontà. E questo...

Se solo per un po' o per sempre, questo...non lo si sa.

Non spetta a chi lo fa o lo ha fatto, di deciderlo.

Spetta al destino. E al tempo.

Oppure del tipo prendere quello che una volta era solo un comprimario o un co – protagonista e di farlo diventare di colpo interprete unico ed assoluto.

O del tipo introdurre nuovi ed inediti personaggi. Talmente belli, perfetti e carismatici da poter arrivare persino ad oscurare quelli già presenti ed esistenti. O che erano presenti ed esistenti una volta.

Anche se...sarà mai possibile oscurare completamente IL SOLE? Oscurarlo per sempre?

E sarà mai possiblie per una luna, per delle lune diventare dei soli a loro volta?

Ancora una volta...non lo si sa.

Nemmeno questo. Anche ciò dipende dal destino e dal tempo.

Oppure del tipo prendere dei personaggi che la volta scorsa erano poco più che marginali ed appena accennati per dare e donar loro all'improvviso più spazio e più considerazione, rispetto a prima.

Così facendo, quel che in principio era solamente un assolo oppure un duetto potrebbe trasformarsi o tramutarsi in una sontuosa opera corale.

In una sinfonia.

Si può cambiare o modificare lo scenario, la vicenda, il genere. Giocando a dovere e sapientemente con ognuno di questi aspetti, in tutte le loro possibili ed immaginabili varaizioni e declinazioni.

Anche inimmaginabili, se uno risulta essere abbastanza e sufficientemente fervido di fantasia.

I limiti variano e possono variare, là dove non ce ne sono.

Tutto si può fare. Tutto si può cambiare, in nome del tenere alta l'attenzione da parte di chi fruisce dell'opera.

E per variare. Per stupire. Per meravigliare.

Per far fare OOH.

Ancora una volta. Come con i bambini.

Come quando si era bambini.

Perché l'importante, ciò che più conta davvero...

Ciò che conta realmente é che, al di là di tutti i cambi effettuati e che si devono effettuare il succo, la sostanza, il motore ed il cuore di un'opera rimangano sempre gli stessi.

Nel profondo. Nel suo profondo.

Perché in fondo...un classico é come uno dei tanti mammiferi che popolano ed abitano questo mondo.

Al di là di tutti i cambi di pelle, di muta, di pelo e di pelliccia...dentro non cambia.

Può perdere il pelo, ma...non perderà mai il vizio. E non vale solo per il lupi.

Rimane sempre uguale. Sempre il medesimo.

Cambiare tutto affinché nulla cambi.

Cambiare tutto per non cambiare.

Mai.

Solo così qualcosa é destinato a durare. E a rimanere.

Nel tempo. E nel petto, nel cervello, nelle emozioni, nei sentimenti, nella memoria, nell'anima e nello spirito di coloro che decidono di interessarsene. E di seguirne gli sviluppi. E di innamorarsene.

Solo così. Non vi é altro modo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Zootropolis.

La città dove i sogni e i desideri prendono vita.

La città dove prede e predatori vanno d'accordo.

La città dove ognuno può essere quel che desidera. E ciò che vuole.

Mmh...quest'ultimo lo si é già detto, giusto?

Zootropolis é tutto questo. Anche se, contrariamente a quanto si pensa ed alle più buone, rosee ed ottimistiche aspettative e previsioni...su tutti quanti e tre i dettagli appena nominati ed elencati c'é ancora parecchio da lavorarci sopra.

Zootropolis. Distretto di SAVANA CENTRAL.

La parte di territorio che sta esattamente nella metà idealmente formata tra i due punti cardinali di Sud e di Sud – Ovest, e compresa tra i due grossi promontori di BAYOU BEACH e SOUND BEACH, da sempre rinomati centri turistici e balneari ad ogni mese e stagione dell'anno.

Quella piccola porzione di territorio perfettamente incastrata ed incastonata tra i tre piccoli golfi di MOLE HARBOR, BAYOU BAY e LIONSGATE. Formati a loro volta dalle due regioni denominate rispettivamente WATERING CORNER e OUTBACK ISLAND.

La prima ben attaccata al resto del quartiere nella parte superiore in modo da risultare quasi un allungamento dello stesso, e per potersi così meritare l'indubbio appellativo di penisola.

La seconda, invece, tenuta opportunamente lontana, separata e distaccata da un vistoso, consistente quanto cospiquo tratto di mare, come il suo nome lascia suggerire senza lasciare troppo spazio all'immaginazione o a chissà qual genere di eventuali intrepretazioni fantasiose. E da esso viene completamente circondata, al punto che la si può raggiungere mediante un solo, unico e solitario ponte sospeso sopra a quelle acque turbinose.

Perché lo si sa...dove si sta stretti, il mare si mette a vorticare. E pure di brutto.

Chiedere dei fiordi situati lungo le fredde terre del Nord, please. Che di Maelstrom e di gorghi colossali e spaventosi in grado di inghiottire anche piccole imbarcazioni guidate e trainate fino a lì da marinai sprovveduti, non avvezzi ed incauti ne sanno sicuramente qualcosa.

Ancora ne narrano, durante le sere passate davanti ai falò. E chi ne é scampato, ed é sopravvissuto a quel terrore indicibile per poterne narrare agli altri in modo che un giorno non corrano il rischio di fare la medesima, triste ed orribile fine...ancora ne portano i segni.

Hanno i peli, tutti i peli dei loro corpi completamente bianchi. Di un bianco pallido e spettrale, da sanatorio. E paiono invecchiati di decine di anni in un colpo solo, per lo spavento.

Un solo ponte. E neanche troppo trafficato. Perché non é che quella zona abbia poi molte attrattive, a dirla tutta.

Outback Island ha al suo interno una riproduzione esatta del clima e dell'habitat di stampo puramente australe. Dedicato ai mammiferi di genere marsupiale.

E loro...non amano affatto il caos. E nemmeno le zone ad alta densità di popolazione, o che siano troppo affollate e ad elevata concentrazione di cittadini.

Hanno la mentalità dell'aborigeno. Quasi quanto le loro controparti a base di nativi situate nel confine estremo delle CANYONLANDS, tra Nord e Nord – Est.

Entrambi prediligono gli spazi aperti, ariosi e desolati. Soprattutto desolati. E si é cercato di accontentarli.

Negli ovvi limiti del possibile, s'intende.

Nessun particolare motivo di interesse, a meno che a qualcuno in ascolto non piaccia annoiarsi. O a star fermo ad osservare il cielo. E a fermarsi a parlare ogni tanto con qualcuno di passaggio che decide di transitare ed incrociare la propria strada con quella del tizio assorto in meditazione e contemplazione, e proprio in quel preciso momento.

Perché quello si fa, da quelle parti. E basta. Null'altro.

Niente che sia degno di nota. E poi quel dannato ponte, a causa dei vortici prima menzionati...balla parecchio.

Ti spara all'infuori, verso l'esterno. Oltre le barriere, i cordoli e le recinzioni. O almeno quella é l'impressione che ti dà.

Perché anche il vento in quel punto soffia parecchio, non essendoci scogli o monti o barriere naturali a delimitarlo, o a limitarne e ridurre la potenza.

Si ha la spiacevole e continua sensazione di volar giù, in mezzo ai vortici, mentre ci si passa sopra. E di finire inghiottito da quel che sta sotto.

Come su di una diga. Ed infatti chi ci passa spesso finisce col far assumere inconsciamente al proprio corpo una posizione obliqua, ed in genere opposta a quella dove sbuffa e spinge la bora.

Per compensare. Per contrastare.

Sulle prime si rimane paralizzati dalla paura. E poi a furia, a forza di sentirsi spinti fuori...si ributta fuori tutto quel che si é mangiato. Fosse anche quello di tre giorni prima.

La gente lo evita come la peste, quel tratto. E a chi abita nel posto verso cui porta...va benissimo così.

Meno visitatori, meno problemi.

Meglio da soli. E con chi si conosce.

Un po' come certi posti di periferia, dopotutto. Se non fosse che lì si era quasi in centro città, se non poco distanti.

Ma la zona di cui si vuol parlare, e che interessa...sta propro nel mezzo. Nel mezzo di queste due terre. E quei tre tratti di mare.

La zona in questione non era una penisola. E neanche un'isola.

A tenerla lontana dal resto del continente c'era solo un canale. Uno stretto che era il prosieguo, la continuazione di uno dei tanti torrenti interni che componevano l'enorme rete fluviale che attraversava ed irrorava l'intera metropoli, e che in concomitanza dell'esatta metà di quel pezzo di terra si biforcava per poi terminare la sua corsa in mare attraverso due diverse e ben distinte foci ad estuario.

Bello dritto. E senza minuscoli isolotti a ramificarne ulteriormente il corso.

Stava nel mezzo, quel pezzo di terra.

Avevano provato ad avviare anche lì una certa attività di stampo mercantile e portuale. Ma con scarsi, scarsissimi risultati. Tant'era vero che ad un certo punto avevano mollato tutto, lasciando solo una miriade di capannoni, hangar, containers vuoti e gru spente e disattivate.

Quasi dei monumenti in ferro, vetro, acciaio e cemento ad imperitura memoria di quel che per un brevissimo tempo fu. E che avrebbe potuto essere, ma che così non é stato.

Stava nel mezzo, quel pezzo di terra. E chi doveva, avrebbe dovuto svilupparlo, controllarlo, amministrarlo e gestirlo non sapeva assolutamente cosa farci.

Ed infatti per un bel pezzo non ebbe nemmeno un nome. E non ce l'ha ancora adesso.

NO NAME TERRITORY, ecco come lo chiamavano.

NNT, per gli amici ed assidui frequentatori.

Il che era l'equivalente e valeva a dire TERRA DI NESSUNO. E c'era da dire che a chi lo usava, a chiunque lo usasse...piaceva parecchio. Piaceva un sacco.

Si, perché qualcuno c'era, in quei posti. Ed oltre ad esserci...sapeva benissimo cosa farci e cosa farsene, di quei luoghi. Anche se forse non tutti erano d'accordo e approvavano quel metodo di utilizzo, e nemmeno il modo in cui se ne erano appropriati.

Peccato solo che a quelli che lo avevano preso non gli importava nulla, di quel che che gli altri pensavano. E se erano contrari...beh, che se ne andassero tutti quanti all'inferno, per direttissima. Per poi restarci, a farsi friggere.

Ormai c'erano. Erano lì. E li avrebbero dovuti sopportare. E se li sarebbero dovuti far andare bene.

Perché in caso contrario, se non gli andava bene...avrebbero dovuto vedersela e fare i conti con loro.

Savana Central. NNT.

Quel pezzo di terra aveva dunque, come unica funzione, di stare nel mezzo.

In mezzo alle SCATOLE. Sia esso che chi ci abitava, e lo aveva scelto e preso come dimora. Ed aveva deciso di farne la sua base e quartier generale.

Savana Central.

Tempo addietro. Molto tempo addietro. Un sacco di tempo addietro.

Quando a Zootropolis le forze di polizia ancora non erano così numerose, organizzate ed efficienti, principalmente per via della scarsità di mezzi e di risorse a disposizione.

Un dettaglio che tra l'altro non é affatto cambiato, oggigiorno.

E perciò andavano un po' brancolando a tentoni, mentre cercavano di compiere il loro dovere e di fare il proprio mestiere.

Quel che é sicuro é che lo erano ancora meno di quanto non fossero adesso, costrette a barcamenarsi e a sbarcare il lunario tra riduzioni di spese e di budget, mancanza pressoché cronica di fondi e agenti demotivati e sfiduciati da un lavoro basato su troppi rischi contrapposti ad una paga e ad uno stipendio assolutamente inadeguati.

Tutta roba già nota. Ma su cui non può far mai male eseguire un adeguato ripasso.

E comunque...non che prima fosse tanto meglio di adesso. Forse era addirittura peggio.

Erano tempi in cui, dopo il tramonto, alla gente cosiddetta normale e perbene non era più consigliabile farsi trovare o farsi vedere in giro per strada o all'aperto.

Ma anche prima del crepuscolo, a ben pensarci.

Occorreva stare dove c'era chiaro, e non allontanarsi mai da lì. Neanche in pieno giorno.

Non ci si doveva nemmeno azzardare a farlo, e neppure pensarci.

Perché al calare del buio o comunque in ogni qual punto dove i bagliori non arrivavano, indipendentemente che fossero di origine naturale o artificiale...

In quei punti, finalmente protetti in modo da non doversi più preoccupare della per loro fastidiosa e a tratti forse persino mortifera luce del sole o anche solo delle insegne o dei lampioni o delle lampade delle case, a giudicare da come odiavano e ripudiavano ogni genere di luminosità...

Col favore delle tenebre e delle ombre, fossero anche solo quelle prodotte dalla mole dei palazzi, dei grattacieli e dei vari edifici a patto che fossero sufficientemente alti e voluminosi...per le vie della città uscivano e scorrazzavano i mostri.

Mostri che vestivano abiti laceri, stracciati e consunti. Ed omologati a seconda della loro ghenga, banda, gruppo, fratellanza, famiglia, setta o stirpe di appartenenza.

Poteva essere qualunque cosa. La giacca, la maglia, i pantaloni, una bandana, un ciondolo, un bracciale, un colore, un ninnolo, oppure gli abbinamenti tra i vari e più svariati capi...tutto faceva brodo.

Tutto, ogni cosa poteva servire e risultare utile a differenziarsi, e a riconoscersi.

Tutto poteva rappresentare un codice. Pronto per essere visto e capito da chi li conosceva ed aveva imparato a riconoscerli al volo, quei codici.

Ti scorgevano anche solo di sfuggita o da lontano e da subito lo capivano chi eri, a chi appartenevi e da dove venivi.

Mostri che giravano con addosso ed indosso borchie, cinghie, spranghe e mazze ferrate. O anche mazze semplici, di legno e da baseball. A cui davano un nome, e che trattavano come loro uniche compagne fidate e fedeli. Perché le femmine vanno, ma le armi...quelle restano. A patto di trattarle bene.

Anche loro vanno trattate come si deve. Sempre femmine sono. Anche se forse rompono un po' meno. Ma forse perché stanno solo zitte. Solo per quello.

Se avessero potuto parlare...anche se però non mancavano mai di far udire e sentire la loro voce soave, quando sferravano e vibravano un colpo, guidate dalla mano del maschio che si erano ed avevano scelto.

Certo, molto dipendeva dall'abilità di chi la utilizzava. Ma vi era e vi restava comunque qualcosa di MAGICO.

Un qualcosa che rendeva sempre ed immancabilmente al momento giusto la vista più acuta ed a fuoco, il polso più fermo ed il sangue più freddo.

Amiche, coniugi e sorelle. Compagne di vita a dir poco inseparabili.

Vere, proprie ed autentiche creature viventi dotate di sentimenti, di intelletto e di anima. Da accudire, preservare, venerare e nutrire. Con ciò che sgorgava dal corpo del nemico dopo ogni mazzata, facendole abbeverare e pasciere direttamente dalla fonte viva ed ancora pulsante.

Ossa, carne, cartilagini, quel che scorreva dentro vene, ariterie e capillari...ed inoltre anche altri tessuti, altri umori ed altre mucose.

Tutto andava bene. In ogni cosa vi era la vita. E non andava sprecata.

Non bisognava farne cadere al suolo nemmeno una goccia o una sola fibra, o era perduta.

Si sarebbe sporcata diventanto impura e corrotta.

Doveva passare direttamente dall'organismo dello sconfitto a colei che ne aveva causato e decretato la sconfitta, senza toccare null'altro. O avrebbe perso il suo ancestrale potere. E la linfa non sarebbe passata così dall'arma al mostro che la brandiva, privandolo in tal modo del suo nutrimento.

Non sarebbe diventato più forte. E una vittoria di per sé é inutile, se non serve a farti diventare più forte.

Erano mostri. Mostri a cui i resto della gente cosiddetta e comune guardava con timore, sospetto, ribrezzo e raccapriccio, standosene alla larga il più possibile. Ma a cui, in gran segreto ed in cuor loro, sarebbero stati più che felici e desiderosi di volervisi aggregare, un giorno o in un futuro immediatamente prossimo.

E ben volentieri anche. Nonostante ne disprezzassero senza alcuna riserva sia l'immagine che l'intera esistenza. E nonostante reagissero alle notizie riguardanti le loro gesta e malefatte che provenivano dalla televisione, dalla radio, dai giornali o anche solo dalle chiacchiere o per sentito dire come si farebbe nella più banale diceria, pettegolezzo o leggenda urbana o metropolitana, con un misto di disapprovazione mista a disgusto ed alquanto evidente ripugnanza.

Ma questo almeno in apparenza. Nella realtà...la gente normale li idolatrava, quei mostri.

Per loro erano figure poco meno e poco più che mitiche. Meravigliose.

Delle leggende.

Li ammiravano così tanto perché erano erappresentavano una valvola di sfogo. Una via di fuga e di evasione da un'esistenza altrimenti noiosa e deprimente e priva di particolari gioie, gratificazioni e soddisfazioni.

Un'esistenza flagellata dalle tasse, a cui si cerca di rimediare con un magro salario ottenuto spendendo tempo ed energie preziose, insostituibili ed irrecuperabili stando alle prese con un lavoraccio nella maggior parte dei casi insulso, banale ed assai scevro e carente di autentiche attribuzioni di meriti o adeguati riconoscimenti per il proprio faticoso e sudato operato.

Che con premesse simili...era già un'impresa temeraria riuscire ad arrivare ancora integri alla fine della giornata. E a completare il tutto ci si metteva magari una vita solitaria, senza amori o affetti. Nemmeno quello che in genere rimane e si prova per i propri vecchi. Che magari, nella migliore tra il ventaglio delle ipotesi possibili e disponibili, sono lontani. E nella peggiore...già schiattati da un pezzo.

Oppure una vita coniugale o famigliare, a seconda della presenza del solo o della sola consorte di tipo stizzoso o collerico o della eventuale prole rognosa che può essere composta da uno o anche più elementi, paragonabile a quel che si prova quando ci si ritrova costretti a dover dividere e condividere una gabbia con un manipolo di belve rabbiose.

Tutti partono e crescono col principio di voler fare della loro vita una fantastica, emozionante, eccitante ed appassionante avventura. Salvo poi rendersi conto, una volta che sopraggiunge l'età adulta col suo carico di impegni e di responsabilità...che ad aspirare, spazzare via e far piazza pulita di tutti i lustrini, le paillettes, i brillantini e i cotillons ci pensa un gigantesco e mai sazio aspirapolvere chiamato routine.

La quotidianità. E quella che accoppa ed ammazza, se non ci si sta più che attenti.

Più degli infortuni, degli incidenti e delle malattie. E nel caso dovesse malauguratamente sopraggiungere uno dei tre succitati imprevisti...ci pensa lei ad arrivare a finire il lavoro.

Al cento per cento.

Ma i mostri...quei mostri rappresentavano l'eccitazione ed insieme il timore dell'anticonformismo più puro, ad ogni costo.

Erano il proibito, il mistero ed il fascino inspiegabile di quelle due cose messe insieme.

Avrebbero dovuto essere, nell'ottica della morale bacchettona...il NON – SI – FA.

Ebbene...per tutti diventarono il QUI – SI – PUO'.

Avevano il gruppo, anzi i gruppi. E ad un certo punto, ebbero pure il posto.

Ottennero entrambe le cose. E si tramutarono nel DOVE – QUI – DA – NOI – SI – PUO'.

O, tradotto in parole povere...

SI – PUO' – FAREEEE!!

Era giunto il tempo. Quello era il loro tempo.

Era il tempo dei raduni, dei movimenti, delle organizzazioni e delle compagnie di strada.

Nati dal niente, con una spinta spontanea e sincera dal basso. Dal punto più basso che si potesse immaginare. Ma decisi, determinati a salire fino al cielo per raggiungerlo.

Ed una volta raggiunto...per bucarlo. Per sfondarlo. E per superarlo, andando oltre. Alla ricerca di un altro cielo da avvicinare ed abbattere.

Il loro urlo e le loro grida avrebbero fatto tremare i bassifondi fino a far scuotere la città che gli avevano costruito sopra.

La grande, meravigliosa, insensibile, menefreghista e maledetta metropoli.

Fornace ardente, cruogiuolo di razze e di specie, che trasuda ed emana l'inebriante profumo di aromi, caffetterie e boutiques. E l'intensissimo odore di ogni fritto immaginabile e di ogni cibo concepibile. Ed il puzzo penetrante di ferro, ferrovia, sporco, liquidi e liquami.

Il torrido afrore del mondo intero che muta e che cambia.

Zootropolis. Che la si odiava con tutte le proprie forze ma a cui non si poteva in alcun modo dire addio.

Mai, per sempre. Mai, fino in fondo e una volta per tutte, dannazione.

Era il loro tempo.

Era il tempo delle GANGS.

Erano tempi senza alcun controllo. Tempi scatenati, spaventosi, eccitanti ed irripetibili.

Dove, una volta a bordo, ti sembrava di stare dentro e sopra ad un immenso ottovolante e sulle montagne russe di un immenso luna park a tema horror.

Entravi dentro e te la facevi sotto dal terrore perché eri tu a deciderlo e a volerlo, nessuno ti obbligava a farlo. E una volta lì rischiavi di farti un gran male ma ti divertivi, anche se al termine di ogni volta e di ogni corsa te ne uscivi un po' più ammaccato di prima. Più scassato.

Ma sempre e comunque in piedi. E questo era quel che contava. Ciò che contava davvero.

Perché era il sanguinare, il provare dolore che ti faceva sentire vivo. E vitale.

Di giorno vestivi i panni e le spoglie del cittadino a modino e del bravo ragazzo perbene. Eri il tuo bravo studente, impiegato, operaio, negoziante, commesso, autista, facchino, magazziniere, garzone o apprendista.

Anche dirigente e padrone, in certi casi, se avevi un padrone e un dirigente che stava più in alto di te e che ti poteva urlare dritto sul muso quando qualcosa non funzionava oppure andava storto. E nessuno che stava sotto di te con cui avere almeno la cortesia di poter fare altrettanto come giusto quanto legittimo ricambio.

Tsk. Pare proprio che il prestigio si ottenga a forza di inchini e si mantenga in base a quanta gente puoi gridare in faccia vomitando loro addosso insulti.

Che lo si possa identificare unicamente grazie a quei due parametri.

Sembra proprio che sia così che funzioni nel mondo delle persone adulte, mature, serie e responsabili.

Di giorno ognuno stava al proprio posto. E di notte..si smettevano e toglievano gli abiti civili e si indossava ognuno la propria divisa. E si scorrazzava in lungo ed in largo per la città, a morderle ed azzannarle le reni. A lei e alla società e morale pre – costituite.

Tutto questo, unito al fatto della faccenda di avere una doppia vita li mandava tutti quanti fuori di testa. Letteralmente.

Tra i vari membri ed affiliati si creava una coesione di gruppo e di intenti fortissima e a dir poco pazzesca.

Era come se dentro ad ognuno di loro vi fosse una sorta di identità segreta, di supereroe mascherato in incognito che potevano attivare a loro precisa volontà e piacimento con la semplice pressione di un pulsante. Un pulsante visibile soltanto ad essi.

Era assolutamente esaltante. Una roba devastante, corrosiva ed insieme inebriante.

Era una fissa che occupava i loro cervelli per tutto quanto il tempo, e per tutto il santo giorno.

Quando non si era in ballo direttamente con quelle che erano e che venivano denominate le TIPICHE ATTIVITA DEL TUO GRUPPO o in servizio attivo non si pensava, non si riusciva a pensare comunque ad altro. Non si pensava ad altro che non fosse quello.

La vita reale, in tal modo, non diventava altro che un semplice paravento. Che andasse bene o male, che funzionasse o meno...poco importava. Non importava più.

A chi importava, giunti a quel punto?

A nessuno. Più a nessuno. Perché era quell'altra, la parte nascosta di sé stessi, a diventare la nuova vita reale. Quella dove si realizzavano i sogni e si esaudivano i desideri.

Il tempo delle gangs.

Quello era davvero il tempo dove i sogni prendevano vita. Dove ognuno poteva diventare ciò che voleva, che doveva essere, e che non poteva diventare.

Era quello, il tempo in cui ognuno poteva essere davvero ciò che che voleva. E divenirlo, anche.

Ed erano state le gang, a permetterlo e ad autorizzarlo.

Le gangs. Non la città.

Non Zootropolis.

Zootropolis aveva la legge. Aveva l'ordine. Aveva la burocrazia.

Non si sapeva, non sapevano come avrebbero potuto fare. Non potevano operare liberi per più di un minuto senza incappare o inciampare in qualche intoppo o impedimento.

Se davvero avessero voluto veramente promuovere e garantire la libertà...non avrebbero resistito per più di un minuto, nel cercare di mantenere i loro intenti.

Ma quando esci dalle regole, ed agisci all'infuori di esse...in un solo giorno ti é concesso fare quel che gli altri non potrebbero, non possono realizzare nemmeno in un anno.

Bei tempi, si diceva. Bellissimi. Almeno fino a che...

Almeno finché non arrivò l'amministrazione municipale a porre fine a tutto quanto.

Con un bel progetto di valorizzazione e riqualificazione urbana, seguito opportunamente a ruota dalla solita quanto prevedibile sfilza di speculazioni finanziarie, edilizie ed immobiliari.

Il tutto con l'appoggio della malavita organizzata, ovviamente. Che ebbe il suo ricco, grosso e grasso tornaconto e ne ricavò la sua discreta e considerevole dose di utile, nella successiva spartizione di meriti e della gigantesca torta che si stava preparando e per mettere sulla tavola ancora da imbandire, allestire, imbastire ed apparecchiare.

Una torta che poteva essere di mele e di miele per alcuni. Di fango e di palta per altri.

E si é voluto di fango e palta per non voler urtare i più sensibili e suscettibili, e per non scadere nel volgare.

Che ormai ci mancano giusto le allusioni alla coprofagia.

Ecco, lo si é detto. Ma giusto per far comprendere dov'é che si stava andando a parare, di questo passo.

Ancora non avevano messo tovaglia, piatti, fondine, posate, tovaglioli e bicchieri che già stavano facendo le opportune e debite parti. E le gang non ricoprivano certo il ruolo dell'invitato d'onore.

Ma nemmeno dell'invitato e basta, se non era che per questo.

E i partecipanti non volevano nemmeno che si imbucassero. Ma nenache di straforo o di sfuggita.

E per evitare e scongiurare quel pericolo avevano piazzato sorveglianti e body – guards all'esterno del locale dove si doveva svolgere quel magnifico e sontuoso party.

Magnifico e sontuoso almeno per loro. Almeno per chi vi era dentro. E con l'ordine imperativo e tassativo di non lasciar passare nessuno che non facesse parte della loro cerchia, allontanandolo in malo modo a spinte e a calcioni nel sedere se solo gli fosse venuto e saltato in mente di bussare alla loro porta. O anche solo di farsi vedere o avvicinare da quelle parti e nei paraggi, fosse anche solo per sbaglio.

E le gangs, con tutti i loro membri, erano in cima alla lista delle persone indesiderate e non gradite. E di cui si voleva assolutissimamente fare a meno della loro non richiesta presenza.

In tal modo sia la giunta che il consiglio, insieme alla delinquenza composta dalle più onorate e famigerate famiglie mafiose si sbarazzarono di un fastidioso rivale ed avversario in affari illeciti e nel controllo dell'intero territorio.

Così, in un sol colpo.

Tutto vero, gente. Verissimo. Non vi é alcun trucco, non vi é nessun inganno.

Fu così che andò.Fu esattamente così, che andarono le cose.

E se non si é ancora convinti...si prega di chiedere direttamente e di persona a due tizi. Anche se, in realtà...non é più possibile rivolgere alcuna domanda di sorta, ai due signori. E qualora si ritrovassero invischiati in qualche inchiesta, ci sarebber da star più che sicuri che non rivelerebbero un solo dettaglio e non spiccicherebbero una sola parola, sull'argomento in questione. Senza contare che nei vari dossier e cronache dell'epoca non vi é rimasta la benché minima traccia, di quanto hanno fatto e compiuto.

Ma chi sono i tizi di cui si sta parlando, ci si chiederà. Ebbene...eccovi accontentati. E all'istante, pure.

In ogni caso, e anche se non si approderà comunque a nulla...provare a chiedere di RICHARD LIONHEART e di MR. EXTREMELY BIG.

Genitori e padri rispettivamente di EDWIN LIONHEART e MR. VERY VERY BIG. Che a loro volta furono i procreatori di quei due bei campioni e fulgidi esempi di politicante e capofamiglia di razza di LEODORE LIONHEART e MR. BIG.

Eeesatto. Quei due erano i nonni e i padri dei padri dell'attuale sindaco di Zootropolis e dell'attuale padrino della più potente organizzazione criminale dell'intra città.

Nonni e padri. Che in famglie come quella solo i maschi, contavano. Erano i maschi, a passarsi di zampa in zampa lo scettro del comando e del potere.

Che sulle madri...circolavano notizie fumose e sfuggenti. E se davvero si voleva cercare di scoprire qualcosa di più, in merito...si sarebbe potuti andare a pescare completamente a caso e a fortuna da un elenco di quattrocento candidate, come minimo.

Anche se qualche malelingua sostiene da sempre che basta scendere giù in strada e farsi un giro, rasentando il marciapiede, fino a raggiungere il quartiere dove operano e battono delle signorine prezzolate che, in cambio di una modica somma e di una piccola fetta del proprio tempo, ti concedono un assaggio del paradiso che tengono dentro alle loro labbra umettate di rossetto. Oppure in mezzo alle loro cosce tornite e pelose.

Pelose come tutto il resto del corpo, tra l'altro. E comunque...sempre di LABBRA si tratta. Anche se poste a piani ed altezze differenti. Ma che si decida di optare per l'attico o per il pianterreno...nulla cambia.

E' uguale, tempo compreso. E...ah, ecco. E fatta opportuna e debita eccezione per il prezzo. Che varia a seconda della zona richiesta in affitto o a noleggio temporanei. Che siano minuti o ore non importa, che lì dipende solo ed unicamente dalla bravura e dall'abilità della coinquilina.

E' comunque...senza esagerare, eh. Meglio non stare lì a sprecarci troppo, che il loro tempo é prezioso.

E' oro ed insieme denaro. E poi oltre a te e dopo di te devono ripassarsene altri quaranta prima che sopraggiunga l'alba, sperando magari in qualche comitiva con la scusa dello sconto di gruppo. Che se no a fine giornata e turno se non hanno tirato su abbastanza e a sufficienza il pappone o il protettore le invita a segnarsi tutte e duecentosei le ossa con un bel pennarello blu o rosso e a punta bella grossa, che tra non molto provvederano a mischiargliele a suon di mazzate per il mancato guadagno previsto dalla giornata di più o meno onesto lavoro. Ma sempre ben faticoso, ed oneroso.

Che poi...erano duecentosei o duecentosettanta, le ossa? E chi se lo ricorda.

Richard Lionheart e Mr. Extremely Big, si diceva.

I due diretti e principali responsabili.

Certo che ne avrebbero da raccontare, se fossero ancora vivi e di questo mondo.

Come si diceva poc'anzi...le femmine non contano nulla, all'interno di certi ambienti.

Sono solo carne da piacere, da compagnia e da balia per quello che viene ritenuto il sesso dominante tra i due disponibili. E non si vogliono sentire ragioni, e nemmeno scoprire se possa esistere un altro modo di vedere e di intendere le cose, fuori da lì o in un'altra parte del mondo. In qualunque parte del mondo che non sia lì dentro.

I maschi lo sanno, ed esercitano senza riserve o remore di sorta questo loro privilegio. E le femmine...si adeguando senza fiatare. O sono botte. O reclusioni. O allontanamenti, con tanto di diseredazione o ripudio sia per lei che per il nascituro.

Funziona sempre così, in certi club privati. Tipo i CARRINGTON, tanto per intendersi.

Guarda caso. E tu guarda un po'. Ma chi l'avrebbe detto mai, o anche solo immaginato.

Fatto sta che...PUFF!! Come d'incanto e come per magia, ed in men che non si dica i sobborghi e le zone malfamate si tramutarrono in quartieri residenziali, rispettabili ed esclusivi con giardini, piazze, negozi e centri ed esercizi commerciali a corollario.

E ciò non si realizzò tramite un colpo o un tocco di bacchetta magica. Oppure una stupida canzoncina grazie alla quale le cose inanimate prendono improvvisamente vita oppure ciò che sino ad un attimo prima non c'era compare di botto dal nulla, in spregio e in barba a qualunque legge fisica.

Avvenne piuttosto tutto a suon di affondi e di palate di ruspe, bulldozers, gru, scavatrici ed ogni sorta di mezzo meccanico da lavoro, e chi più ne ha più ne metta. E poi carpentieri, muratori e manovali. E cemento, armato e non. E vetro. E acciaio. E bitume. E catrame.

E i bambini vennero privati del loro parco giochi e di divertimenti dove ormai erano abitutati ad andare.

Anche se i frugoletti in questione giravano per strada malvestiti e conciati da teppistelli. E con i ferri tra le mani e dentro alle tasche.

Si, tolsero loro la terra da sotto le zampe posteriori. Letteralmente, in tutti i sensi.

Proprio così. Ricreazione finita. Non si gioca e non ci si balocca né trastulla più.

Rapida ramanzina e tutti a casa. Ognuno, di nuovo. Raus.

Tutto finito, dunque. Farewell.

Beh, per lo meno era stato bello, finché era durato. Anche se...

Anche se era rimasta, dentro di loro e nei loro cuori, la speranza che un giorno, in un futuro, qualcuno avrebbe dovuto RISPONDERNE.

Esatto. Un giorno qualcuno avrebbe dovuto risponderne a tutti, di tutto quell'ordine non richiesto.

E PAGARLA, anche. E salata e a caro prezzo, pure.

Ma naturalmente non fu certo un processo repentino.

Non scomparvero in silenzio, e nemmeno se ne andarono senza combattere. E protestare.

Non se ne rimasero in silenzio a guardare ed ammirare la loro stessa, inesorabile estinzione.

Anche se ormai il sasso era stato gettato, ed era pressoché impossibile da fermare.

No, non lo si poteva più bloccare. Non si può più arrestare una biglia liscia e sferica quando si mette e procede spedita e di gran carriera lungo un piano inclinato verso il basso ed altrettanto levigato.

Quando un sassolino o una palla di neve vengono lanciati e gettati lungo una rupe o una fiancata scoscesa, ci mettono niente a dar vita ad una frana o a una valanga. Che presto o tardi travolgerà e seppellirà tutto.

Ma la persona saggia ed avveduta guarda e scruta sempre l'orizzonte, anche se solo saltuariamente. Tra mille impegni ed incombenze trova sempre un angolo o un ritaglio di tempo per farlo.

Guarda sempre, davanti ed intorno a sé, come alla ricerca di qualcosa. Anche se é tutto calmo, sereno e tranquillo. Ed il cielo é limpido, placido, azzurro e sgombro da nubi, da cumuli, da cirri e da nembi. Talmente vuoto persino da strati dalla tipica forma allungata ed affusolata da parer un mare o un oceano sospesi per aria, nel vuoto.

Qualcuno potrebbe dire che esagerano. Che si tratta di una mentalità inutilmente e gratuitamente allarmistica.

Ma la logica della catastrofe imminente non la si usa mai invano. Essa é utilissima. Perché si basa sul presupposto e sull'assioma che la fortuna, così come é arrivata, ci mette un attimo ad andarsene. E allo stesso modo.

I guerrieri, i viaggiatori e gli avventurieri lo sanno da sempre. Non hanno il bisogno di vedere se qualcuno li segue. Lo sanno e basta. Ne hanno la sensazione.

Lo spiacevole e funesto presentimento che gli corre lungo la schiena e la spina dorsale come la lama sottile, ghiacciata ed appena appena bagnata di uno stiletto o di un temperino. Che gli tocca e gli punge una vertebra dopo l'altra, dall'alto verso il basso e poi al contrario. E poi ancora, e ancora e ancora.

E quando la sensazione non é più solo una sensazione...arriva il momento di fare qualcosa. O almeno di provare a farlo. Per tempo e prima che sia troppo tardi.

Lo sanno da sempre. Da quando era tutto deserto e dune, perché da lì provengono. Anche se magari non ci hanno mai vissuto. Ma intimamente...si immaginano tali.

Si vedono dall'inizio dei tempi, dei loro tempi e delle loro vite come dei vagabondi, dei raminghi che procedono con passo lento e pesante lungo le lande e le terre desolate, assolate ed assetate. Ma con l'animo sgombro e leggero.

Perché sono liberi. Da ogni vincolo e legame. Anche se non li disdegnano, ed all'occorrenza ne stipulano e ne fanno.

Perché si può essere liberi anche quando si é alle prese con un lavoro scadente, infame e mal pagato. E poi con la tasse, le imposte e le scadenze. Ed impegni ed incombenze di ogni tipo, che siano le loro o quelle dei loro cari.

Quando la furia degli elementi si scatena, ci mette un solo istante a stravolgere e ad inghiottire ogni cosa. Per poi racchiudersi e rinchiudersi su sé stessa e far ritornare tutto com'era prima.

Come se non fosse successo e accaduto nulla. Tranne che per il fatto che chi fino ad un attimo prima c'era...adesso non c'é più.

Proprio come farebbe un predatore nei confronti della sua preda designata.

Le balza addosso, la afferra, la addenta e poi se la porta nella sua tana o nella sua spelonca. Dove la divorerà con tutta la gelida e fredda pazienza e voluttà di questo mondo.

Lo sanno. I guerrieri questo lo sanno. Lo sanno da sempre. E quando si accorgono e si rendono conto che una disgrazia o una calamità si sta od é in procinto di abbattersi su di loro tra capo e collo, iniziano col mettere i puntelli e rinforzare la loro casa e dimora. E fanno provviste, preparandosi adeguatamente al peggio.

E se poi la tempesta, la bufera, l'inondazione o l'alluvione sono formato gigante o più grandi di quanto si aveva potuto immaginare...non resta che spostarsi, prima di venire spazzati via.

Ma non di molto o poi di tanto. Solo più in alto, tutto qui.

Perché alla brutta e alla disperata...il migliore alleato, l'unica cosa di cui il guerriero si può fidare sono i monti.

Le montagne. Che da sempre gli offrono riparo e rifugio dali inseguitori e dai nemici.

E lì a Zootropolis c'era un solo posto che poteva ricoprire adeguatamente quel ruolo, e svolgerne la stessa e medesima funzione. Farne le veci, insomma.

Il posto da cui era partito ed iniziato tutto.

L'ex banchina portuale dell'isolotto senza nome.

Dell' NNT. Del No Name Territory.

Si concentrarono e si raggrupparono lì. E lì decisero di fortificarsi e sistemarsi in pianta stabile, per tutto il tempo che sarebbero durati. Fino a che qualcuno di loro sarebbe rimasto.

Anche se ciò equivaleva ad auto – ghettizzarsi, sotto ad un certo punto di vista.

Era come andare a piazzarsi dentro ad un cimitero, e rimanersene lì in attesa di morire.

Quel posto non stava diventando altro che una gigantesca tomba.

La loro tomba, anche se non avevano ancora provveduto a far preparare i loro tumuli col nome e la data di nascita e morte, come si conviene in questi casi.

Qualcuno ironicamente, scherzosamente e per riderci su prese a chiamare quel posto anche col nome di NO NAME LAND. O anche DREAMLAND. O persino OUTHER HEAVEN.

Un assaggio di paradiso. Del paradiso che un giorno gli sarebbe spettato, e che li stava aspettando.

Un piccolo anticipo di Avalon o del Valhalla che é destinato ai combattenti o ai guerrieri.

Ma li abbandonarono ben presto, quei nomignoli o soprannomi. Perché chi aveva avuto l'idea di rifugiarsi lì non voleva che venissero chiamati così.

Per loro era una roba seria, della massima serietà. E non volevano che si iniziasse a riderci e a sghignazzarci indebitamente ed impunemente sopra.

Anche se erano loro, i primi a farlo. Anche se erano loro, i primi a non prenderla e a non prendersi mai sul serio.

Perché il guerriero é una persona concreta. Non si fa castelli in aria, e non vive di illusioni.

Con il suo cuore, con la sua anima viaggia tre metri sopra al cielo. Ma con il corpo, con i nervi, coi tendini e coi muscoli staziona tre palmi sotto terra.

I sogni e le illusioni...non devono avere nomi.

Non gli servono i nomi, non ne hanno bisogno. Devono rimanere qulacosa nel campo dell'indeterminato e dell'indefinito.

La cara, vecchia banchina della zona portuale del Territorio Senza Nome.

Quella infilata a forza nella baia di Mole Harbour, settore Sud – Sud Ovest a voler essere precisi, anche se ormai si dovrebbe essere pratici, in merito alla sua ubicazione. Ed averla imparata pressoché a memoria.

Anche se certe volte somigliava più ad una banchisa, visto che aveva sempre l'aria e dava tutta quanta l'impressione di volersi staccare da un momento all'altro dal resto del pack, del territorio.

E difatti così la chiamvano. Affettuosamente e saltuariamente.

E dire che c'erano zone che apparivano ben più precarie, da quel punto di vista.

Tipo Outback Island, appunto. Che ha tenerla appiccicata c'era solo un unico ponte malmesso e basculante, come già accennato in precedenza.

La banchina, il fronte del porto. O meglio...quello che ci stava sotto, a voler essere ancora più precisi.

Dentro ad uno qualsiasi dei tunnel sotterranei che erano ancora ben presenti in quella zona.

Si era detto che si era cercato di intraprendere una fiorente attività di terziario a base di trasporti, commercio ed attività di stampo e di genere portuale, da quelle parti.

Almeno nelle intenzioni, visti gli scarsi risultati. Ma ciò fu reso possibile soprattutto grazie al fatto che chi vi si cimentò non dovette partire da zero e dal nulla.

Non si era trattato di dover costruire e di mettere su ed in piedi qualcosa dal niente e che prima non c'era, ma di farlo sopra a qualcosa di già pre – costruito, pre – costituito e già esistente. E da tempo immemore.

Si trattava solo di dare un'ammodernatina, in questi casi. Come quando ci si butta, lancia in resta e a spron battuto, nell'ennesimo ardimentoso progetto di riqualica e ri – valorizzazione urbana.

Questi giganteschi tunnel pare che risalissero addirittuta allo scorso secolo, e che venissero impiegati per trasportare merci e materie prime dai bastimenti. Insieme ad una cospicua dose di immigrati, vagabondi e pellegrini più o meno clandestini da immettere come forza lavoro fresca. Dopo aver fatto tappa all'apposito ufficio e dopo aver stazionato in un casermone in attesa di ottenere la cittadinanza. E di superare l'obbligatoria quarantena. Che a quei tempi era veramente come dichiarava il suo nome.

Quaranta giorni precisi. Non uno di più, non uno di meno.

Isolamento e poi documenti su cui veniva trascritto la tua nuova nomenclatura di cittadino di Zootropolis. Anche se uno le proprie generalità ce le aveva già, di solito ce le doveva già avere.

Quelle con cui era conosciuto dai suoi famigliari, conoscenti ed amici, e con cui di solito veniva chiamato.

E in effetti quel che veniva scarabocchiato sul visto e sul permesso di soggiorno, indipendentemente che fosse di tipo temporaneo o permanente, era ciò che ti veniva assegnato di ruotine al momento del battesimo. O della nascita e basta, se non si era credenti. Ma spesso traslitterato, re – interpretato e ricopiato a casaccio, alla carlona e a membro riproduttivo di canide (senza offesa per i canidi, visto il ruolo importante che stanno ricoprendo nel corso di questa storia. O almeno una specifica branchia di un loro sotto – gruppo) da un funzionario analfabeta, illetterato ed ignorante come il peccato. Almeno quanto lo doveva essere il povero diavolo e cristo strapieno e ricolmo di speranze che aveva davanti e sotto esame.

Isolamento e documenti. E poi eri un cittadino libero.

Si, libero di finire a spaccarti la schiena e ad avvelenarti i polmoni in qualche fabbrica o complesso industriale di quelli a cui venivano recapitate le merci che ti avevano fatto compagnia durante la traversata e il viaggio. Insieme alla nausea, al dare di stomaco e al mal di mare. Quasi che quei poveretti facessero parte del carico stesso, fossero una sorta di omaggio compreso nel prezzo.

Di bundle, di vuoto a perdere senza alcuna possibilità di reso. E quindi da impiegare e rovinare come meglio si crede e si ritiene, e come meglio aggrada, facendogli rischiare di perdere braccia, gambe o altre preziose sporgenze ed estremità di ben più vitale importanza mentre era veniva sfruttato su macchinari pesantissimi e pericolosissimi, e senza alcun rispetto per le norme di tutela e di sicurezza per gli operai e per i lavoratori in generale.

La salvaguardia dei braccianti, della bassa manovalanza e della forza – lavoro. E cosa sono mai, queste cose? Quali dovrebbero essere, codeste scempiggini e corbellerie? Ma chi le ha mai sentite nominare?

Tsk. Dagli un dito, a quei morti di fame, e quelli vorrano prendersi tutto il braccio. E magari un giorno vorranno persino la tutela sanitaria, un'assicurazione sulla loro incolumità e pure le ferie pagate.

Non bisogna abituarla troppo bene, la canaglia e la feccia.

Gettagli una briciola o un avanzo dalla tua tavola e quei luridi pezzenti e morti di fame della plebaglia già si monteranno la testa. E si metteranno in capo pure l'idea di volere fare anche loro la vita da ricchi. E andare al cinema una volta alla settimana, e a teatro una volta l'anno.

Assurdo. Che pensino a produrre, piuttosto. Che a quello servono, e a nient'altro.

A null'altro serve, quel fango di gentaglia. Se non quando son morti.

Che si accontentino della presenza saltuaria alle orazioni in chiesa, che già é un fastidio averceli sotto lo stesso sacro tetto a condividere la medesima abside di cattedrale, anche se tenuti in basso e a debita distanza. Che coi loro stracci e il loro aspetto sporco, vile e miserevole tediano ed ammorbano l'olfatto e la vista della gente facoltosa e perbene che risiede nel pulpito ed in platea.

Come al cinema. Anche se lì andava in onda il gran varietà religioso.

Dovrebbero imparare a rispettarli di più, i padroni. Visto che in genere sono gli stessi che gli danno un lavoro con cui portarsi a casa un tozzo di pane e sfamare le loro famiglie e la loro prole.

Almeno che abbiano l'accortezza di non presentarsi alla messa allo stesso orario, per la miseria. Che se ne vadano, e che si presentino o arrivino la mattina presto o alla sera tardi, che così nessuno li vede.

Che sarà pur vero che agli occhi di Dio sono tutti uguali, ma alcuni sono più uguali di altri. E poi, quel che decide o pensa o va bene al buon Signore...lo decidiamo NOI.

Decidiamo noi, cosa va e non va bene.

Spremersi come, quanto e peggio dei limoni fino a perdere tutto. La salute, il vigore, il buonumore e la voglia di vivere. Persino la vita stessa, nel peggiore dei casi.

Finire completamente sfatti e distrutti da una vita di sacrifici e di sofferenze, per una paga inadeguata, miserrima e da fame. Che tanto se uno ci lascia la pelle, la pelliccia e le penne lo si trova subito, uno pronto a sostituirlo.

Un po' come gli sbirri, insomma. Proprio come loro.

Per tutti quelli che arrivavano era così. Era il loro destino. Sempre.

In verità...c'era da dire e bisognava ammettere che quel destino non per tutti. E non sempre.

C'era a chi andava meglio. Oppure peggio.

C'era chi si gettava sul tratto iniziale della banchina, non appena la nave dava inizio alla manovra di attracco, di approdo o di ammaraggio. E poi da lì scappava e fuggiva, facendo mulinare il più rapidamente possibile le proprie zampe inferiori. Ed utilizzando quelli superiori per coprirsi la bocca e tenersi le proprie labbra chiuse e sigillate. Per contenere dentro il vomito che già si stava facendo largo attraverso il gargarozzo, ed impedirgli di uscire.

Che lo si sa, di solito uno inizia a star male quando in genere la tortura ed il supplizio sono terminati. Finché durano, per lo meno, si é troppo impegnati a resistere, per potersi lasciar andare.

Ma fermarsi anche solo un attimo per poter finalmente dare di sfogo al proprio stomaco era impensabile, era pura follia. Era pieno di vigilanti ed i sorveglianti, da quelle parti.

Gente parecchio sgarbata e suscettibile, e pronta ad agitare e dare azione al manganello e allo sfollagente per un autentico nonnulla, al primo e minimo accenno di disordini e tafferugli. Per poi prenderti in consegna, impacchettarti e spedirti in centrale.

Se ti pigliavano...finiva male. Erano botte. Per strada e in commissariato, fino alla guardina. E poi al carcere. Da dove venivi poi rispedito al tuo paese di origine.

Sempre a suon di botte. E con qualche calcio nelle reni e nel sedere in aggiunta e come dote, per fare in modo che bene si ricordassero cosa li attendeva se fossero stati tanto idioti da volerci riprovare, alla prossima occasione.

Sempre ammesso che gliene avessero fornita un'altra, visto che per un viaggio paragonabile a quello compiuto da schiavi o da bestiame da soma pagavano l'equivalente di un biglietto per una crociera di lusso in prima classe.

E poi...sempre ammesso e non concesso che esistesse un universo in cui i mammiferi camminassero a quattro zampe e venissero impiegati per trainare carichi pesanti mediante un giogo o un collare. Anche se nell'antichità, ai tempi dei grandi imperi, si diceva che lo facessero.

Incredibile, davvero. Mammiferi che sottomettono altri mammiferi. Roba da matti.

E comunque, stando così la faccenda...l'unica cosa che restava da fare era quella di allontanarsi da lì il più in fretta possibile, con la testa e la zucca che vorticavano in preda alle vertigini e alla nausea e che grazie ad essa finivano letteralmente sottosopra. E con i primi schizzi che già partivano e facevano capolino dagli angoli delle fauci e si riversavano sui vestiti e sul terreno.

Altri, invece, si gettavano direttamente in mare poco prima che si entrasse nel porto. Così risolvevano il problema alla radice e si evitavano un sacco di problemi. O almeno così pensavano, gli ingenui.

Peccato solo che non fosse proprio così. Perché i problemi glieli evitavano solo alla marmaglia posta a guardia ed a difesa dei moli dove erano situati i centri di ingresso e di accoglienza.

Le acque, in quel punto, stavano ancora ed esattamente a metà tra il mare e l'oceano aperto. Possedevano ancora la forza piena di quest'ultimo, e con le barriere naturali rappresentate dalle scogliere vicine diventavano, se mai era possibile, ancora più turbinose. E turbinanti. Inoltre, erano la zona di caccia prediletta di qualche grossa creatura marina che si avventurava sotto – costa alla ricerca di cibo grasso e succulento.

Dove le acque nere vorticano e mugghiano e schiumano...c'é vita. E dove c'é vita...c'é manna e abbondanza. E c'é pasto e vitto. E macello.

Dopo ogni tempesta...E' UNA FESTA, per chi é sopravvissuto.

In pochi ce la facevano e se la cavavano, di quelli che non se la sentivano di rispettare il rigido protocollo e l'altrettanto inflessibile procedura prevista dall'ufficio e dall'ente per l'immigrazione e la sua messa in regola.

Erano in pochi, pochissimi che sopravvivevano, a non fare come gli si consigliava e gli si raccomandava e diceva.

Ma per chi o coloro che ce la facevano...per chi riusciva a non finire arrestato, annegato o mangiato e divorato c'era la LIBERTA'.

Quella VERA, stavolta. Non quella istituzionalizzata e pre – costuita. Fornita di default dalle autorità in cambio di un lavoro, dell'obbedienza perpetua e dell e tasse.

I cunicoli sotterranei dove si svolgevano tutte queste allegre e fiorenti attività si spingevano da lì fin nel cuore vivo e pulsante della città, nel suo nucleo originario. Sede di ricchi artigiani, mercanti e banchieri. Proprio dove oggi sorge Downtown, con tutto il suo magnificente ed ipnotico caleidoscopio di palazzi multiformi e multicolori. Oppure nelle periferie più estreme ed esterne, dove si trovavano le fabbriche ed i complessi industriali gestiti o sarebbe meglio dire governati con la zampa di ferro dagli altrettanto ricchi capi d'industria.

Le ditte stavano fuori. Il centro della città a loro era precluso.

Così almeno non inquinavano. Che a quei tempi i diritti di una certa cerchia e branca di mammiferi non venivano minimamente presi in considerazione, ma non fosse mai che non si rispettasse l'ambiente.

E a certi contestatori bastava accontentarli in quello perché se ne stessero zitti.

In fin dei conti...esiste gente che rispetta a tal punto il pianeta da sognare di vederlo completamente vuoto, desolato e finalmente spoglio di tutti quanti i suoi abitanti. Pertanto...cosa gliene può importare, se i suoi abitanti stanno male?

E poi, agli industriali in questione poco importava di non stare al centro. A loro interessava produrre, non vendere. Erano i clienti a venirli a cercare quando avevano bisogno, non loro a doverseli procacciare e convincere a comprare i loro prodotti.

Inoltre, alle cene di gala ed ai convegni dell'alta società venivano invitati ugualmente. Ed in modo formale, pure. Alla pari di tutti gli altri pezzi grossi.

In un modo o nell'altro, ci si trovava sempre tutti lì. Negli stessi posti. Uguali tra gli eguali. A parlare di quanto si era guadagnato e di quanto si sarebbe fatturato in futuro.

Merci e materie prime, si diceva. Ma anche, e soprattutto in un certo periodo, macchine e materiali per l'edilizia.

Quella roba in concomitanza con la prima, autentica ricostruzione ed espansione di Zootropolis, culminata decenni e decenni più tardi nella realizzazone dei dodici distretti ad ecosistema specifico, e della città come la si vede e si conosce tuttora. E come é rinomata.

Quei tunnel si estendevano sotto la superficie cittadina per miglia e miglia. E grazie a loro si poteva accedere più o meno rapidamente ad ogni settore.

Furono senz'altro molto utili. Almeno per un certo periodo.

Almeno all'inizio, e per un po'. Questo fino a che, come al solito e come ogni solito, non si sperimentò e non si trovò qualcos'altro. Qualcos'altro di nuovo. Qualcos'altro di meglio.

Funzionarono finché si trattava di spostare e muovere grossi carichi su altrettanto grossi carri trainati da un complesso ed articolato sistema di funi, carrucole e pulegge.

Oppure attraverso e mediante voluminose chiatte impiegate sempre all'interno delle gallerie, dopo averle oppotunamente allagate e riempite d'acqua in modo artificiale fino a tramutarle in veri e propri canali.

Si. Provarono anche quello, pur di velocizzare i trasporti e massimizzarne l'efficacia.

Ma la scienza cresce e si espande in fretta. Nello stesso e medesimo arco e misura di tempo che ci mette a diventare vecchia, ed obsoleta.

Con l'avanzare inesorabile del progresso e dello sviluppo tecnologico, quella rete sotterranea di approvvigionamento venne ben presto sorpassata e soppiantata dai mezzi di superficie.

Treni, tir, camion o anche solamente dei semplici furgoni, nel caso di pacchi e spedizioni più piccole e contenute. Nonché le strade su cui potevano percorrere in lungo, in largo, a proprio piacimento e alla gran più bella.

Non c'era neanche confronto. Né partita.

Più rapidi. Più efficienti. Nonché mille e ancor più mille volte più validi e convenienti dal punto di vista dei costi di mantenimento e di manutenzione. Che in fin dei conti era la cosa che contava davvero, per certa gente.

E cioè non quanti soldi ti faccia guadagnare, una cosa. Ma quanti non te ne faccia perdere.

Perché col terziario nessuno si arricchisce. Al massimo si finisce un po' meno ricchi ed un po' più poveri di prima, quando si decide di chiudere o di cedere e vendere la propria attività.

E' proprio inutile, a quanto pare. Ci hanno provato in tanti, ed in tutti i modi possibili.

Con tutte e tre le possibilità offerte dal mondo del lavoro. Anzi, quattro.

Con l'agricoltura- Con l'industria. Col commercio. E ad un certo punto ci si é inventati pure l'artigianato e la manodopera specializzata piuttosto che quella di stampo generico e basta, senza particolari talenti ed inclinazioni specifiche.

Ma non é servito a nulla. Non si può creare qualcosa dal niente, per quanto ci si sforzi.

Un povero, una persona qualunque, non può diventare qualcuno. E nemmeno può diventare ricco.

Si può spendere solo se li si ha. E chi ce li ha...é perché ce li aveva già da prima.

Ad avere e a far funzionare qualcosa, e a volerla far funzionare bene e come si deve...si spende e basta. Non si guadagna.

E' tutto soltanto un gestire le spese e le perdite, più che le entrate e gli introiti.

Una gran fregatura.

Una fregatura, e basta. Proprio come la storia delle gallerie e dei tunnel.

Certo, una volta che caddero in disuso furono fatti altri tentativi per riutilizzarli e reimpiegarli, ma con scarso successo.

Sorsero dei problemi. Parecchi problemi. Per la cui comprensione occorre necessariamente fare un passo indietro.

Si deve sapere che sia il progetto che i lavori vennero completamente affidati ad un noto architetto e carpentiere dell'epoca. Un castoro il cui nome, almeno all'apparenza, ricordava e sembrava in tutto e per tutto simile a quei bei colpi di tosse grassa e catarrosa.

KLUG.

HELMUT KLUG, per la precisione.

Così si chiamava. E così lo chiamavano ed era conosciuto.

Un tizio dall'indubbia abilità, ma che, alla pari di molti geni, aveva sempre mostrato qualche leggero segno di squilibrio.

Si dice che intelligenza e sregolatezza vadano in genere a braccetto e di pari passo. Anche se alcuni sostengono che in realtà l'acume emerge nei momenti di lucidità, tra un delirio e l'altro.

Momenti che sono alquanto rari, a dirla tutta. Perché, al confronto, sono più quelli in cui il loro cervello vaga in mezzo ai fumi e alle nebbie.

Com'é, come non é...Klug decise di coinvolgere nella costruzione tutti i suoi nove figli. A loro volta astri nascenti e promettenti nel settore, che ereditarono in diversa misura il talento del padre ed in egua misura la follia e la spregiudicatezza, se non addirittura di più.

Certe tare sono genetiche, e certi figli vengono fuori già belli che bacati alla nascita. Ed in loro vi era già una certa qual dismisura, sin dalla più tenera età.

Anche se non bisognerebbe affatto dare del TENERO ad un castoro, in quanto preda.

Tutta quella famiglia venne coinvolta in quell'ardimentosa impresa che avrebbe donato imperitura memoria a tutti quanti loro. Ma che, a conti fatti, si rivelò invece la loro perpetua dannazione.

Perché si odiavano tutti quanti a morte l'uno con l'altro, ecco qual'era la verità.

I figli si detestavano a vicenda per il fatto che ognuno di loro, in fondo ed in cuor suo, era intimamente convinto di essere il migliore. Migliore di tutti gli altri.

E Klug padre odiava tutti quanti i suoi figli, in toto e messi insieme. Dato che temeva che uno qualunque tra loro potesse un malaugurato giorno superarlo, fargli le scarpe ed usurpargli sia il trono che la fama.

Fece quindi apposta ad esaperare e ad esacerbare volutamente quei rancori, con la scusa che un poco di sana rivalità costruttiva e competizione li potesse spronare a dare il meglio di sé.

O forse soltanto per il gusto sadico di vederli litigare e darsi addosso vicendevolmente, chissà.

O magari pensava che, facendogli impiegare tutte quante le energie nel tentativo di scannarsi a vicenda, non le avrebbero usate per altri scopi.

Del tipo cercare di scavalcarlo, ad esempio. In modo da mantenere così intatto e al sicuro il suo prestigio.

Ma la cosa peggiore era che i suoi figli erano ben al corrente, delle sue nefaste intenzioni. Ed oltre a non sopportarsi, erano tutti uniti dal comune malanimo e disprezzo nutrito nei confronti del capofamiglia.

I lavori si svolsero quindi in un clima teso e prennemente conflittuale, all'insegna della disorganizzazione e dell'incomunicabilità più completa e totale tra le varie squadre ed i reparti che capitanavano.

Ognuno di loro si occupava di una specifica parte dell'intero complesso, e non matteva mai al corrente gli altri di quel che faceva. E neanche delle eventuali modifiche che apportava allo schema originale, in base all'ispirazione che seguiva al momento o anche fosse solo per far dispetto e ripicca al caro paparino o ad uno qualsiasi dei suoi tanto adorati ed amati fratellini.

Si vuol fare gli ironici, ovviamente. Per voler trovare il ridicolo in una faccenda che putroppo da ridere non aveva nulla, come si scoprirà tra poco.

Le gallerie presero a diramarsi ed a dipanarsi in ogni direzioni, molte delle quali impreviste. E addirittura preso ad estendersi verso il basso, con altri livelli inferiori situati ancor più in profondità.

Ancora oggi non si ha una chiara idea del complesso di quei condotti, e nemmeno della loro completa conformazione. Tant'era vero che iniziarono a fiorire senza alcun controllo ogni sorta di leggende metropolitane, a tal riguardo.

Una, particolarmente complottista, affermava che quelle gallerie collegavano Zootropolis con tutte le altre città del mondo, in modo che i vari governanti e capi di stato potessero incontrarsi a loro piacimento ed organizzare riunioni segretissime dove decidevano del destino degli abitanti della terra intera, tutti coperti da pesanti drappi e cappucci del medesimo colore.

Scarlatto o nero, questo non era dato saperlo.

E che suggellassero tali scellerati patti, tra una stretta di zampa e l'altra, con ripetuti scambi di doni e di favori. E che al termine di quei lunghi conciliaboli si dessero ad orge e festini della natura più sfrenata, che potevano durare sino all'alba ed anche oltra. O addirittura intere giornate o persino settimane.

Un'altra diceva che quei tunnel attraversassero tutta quanta la città, fino a raggiungere la parte opposta. In tal modo il sindaco o altri ricconi dello stesso stampo potevano utililizzarli per raggiungere qualunque punto a piacimento della metropoli, magari quando erano in ballo con affari particolarmente biechi e loschi. O per poter scappare e dileguarsi in un sol battito di ciglia, in caso di emergenza. O di sommosse particolarmente accese e violente, coi manifestanti che si dirigevano minacciosi e a passo fermo e marziale in direzione e all'indirizzo del municipio o delle altra residenza lussuose.

Teoria, questa, che risultava essere la più valida ed avvalorata. Visto che, in fin dei conti, in principio erano state costruite proprio con e per quello scopo. Prima di ogni altro.

Un'altra era piuttosto simile a quella appena descritta, con l'unica variante che invece di limitarsi ad attraversare la città, attraversassero tutta quanta la terra fino a giungere all'altro emisfero. Passando per il centro esatto del globo.

L'ultma infine, e senza alcun dubbio la più fantasiosa ed inquietante...sosteneva che passasse si per il nucleo, ma che lì si fermasse. Anzi, molto prima. E per la precisione in un luogo descritto da molte religioni sia monoteiste che politeiste come terra a dir poco orribile.

Un luogo oscuro ed ameno dalle altissime ed insopportabili temperature, dalle pessime ferequentazioni e dalla ancor più pessima e sinistra fama.

Un giorno e tempo dopo, parecchio tempo dopo, per voler smentire queste dicerie che non portavano certo onore a chi aveva compiuto e realizzato l'opera, l'ultimo ancora in vita di quei nove dannati fratelli o meglio l'unico rimasto in vita di quell'eccentrica famiglia, Elliott Klugh, assicurò di conoscere alla perfezione e a menadito quell'intricato dedalo di cunicoli. E decise di addentrarvisi personalmente per stilarne e realizzarne una mappatura che risultasse la più completa ed esauriente possibile.

Questo nonostante fosse ormai ottuagenario e mezzo rimambito. Oltre che suonato già di suo, che l'equilibrio in lui e nella sua intera stirpe non aveva mai costituito il punto di forza.

Beh, se ci si tiene a sapere come andò...quel poveraccio SPARI'.

Davvero. Si incamminò, si infilò là dentro e...non torno più. Punto.

Non fece mai più ritorno. E nulla più si seppe di lui.

Si smarrirono e se ne persero persino le ossa. Ed anche su di lui e sulla sua possibile o probabile sorte cominciarono a venirne fuori di ogni.

Ad esempio che dopo essere sbucato dall'altra parte, sia rimasto a spassarsela su qualche sperduto atollo tropicale. E a ridersela di gusto per tutto quanto il trambusto creato e provocato.

Altri invece dicono che abbia finalmente raggiunto il resto dell'allegra famigliola, e proprio nel ridente posto prima menzionato. E non ci si sta certo riferendo all'isolotto tropicale.

Un'ipotesi, questa, che risulta altamente improbabile. Per via del fatto che, con loro al gran completo, sia i responsabili che gli addetti ai lavori di quel luogo avrebbero già dovuto emigrare da tempo. Chiedendo asilo politico in uno degli altri due tra quelli che si suppone siano luoghi specializzati in transito e residenza permanente di anime errabonde e raminghe. O addirittura presso qualche diverso e differente piano spirituale, astrale o metafisico.

Metafisico. Che la metà fa schifo.

Ok, lasciamo perdere. Questa faceva letteralmente svomare, tanto per rimanere a tema.

Comunque...quella era gente già insopportabile da viva, figuriamoci da morta.

Ingegneri ed architetti così in gamba non ne fanno più, purtorppo. Ma nemmeno che riescano al contempo ad essere così in gamba e pure così cretini.

Di entrambi i soggetti si é ormai perduto da tempo lo stampo. O forse, almeno nel secondo caso, chi lo ha fatto si é reso conto ben presto del tremendo errore. E lo ha buttato via prima di poterlo ricommettere di nuovo, fosse anche solamente per sbaglio. Ed almeno in questo si può tirare decisamente un grosso sospiro di sollievo, una volta tanto.

Di cretini e basta, invece, se ne continuano a sfornare ad ogni pié sospinto e a quantità a dir poco industriali. Tanto da poterne vendere al chilo o all'oncia.

Ciò costituisce da sempre un mistero insondabile.

E' l'unica cosa, l'unico prodotto al mondo la cui produzione non conosce la benché minima pausa, sosta o interruzione. A dispetto di ogni crisi o recessione.

L'unico articolo che continua ad andare e che non passa mai di moda, nonostante l'offerta continui a superare la domanda.

Da SEMPRE.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tutte quel profondo ed intricato sistema di gallerie, col loro regno sotterraneo fatto di reconditi segreti e dolorosi misteri, rimasero quindi abbandonate ed inutilizzate.

Qualcuno arrivò pure a pensare di impiegare quel dedalo senza capo né coda, senz'arte né parte per impiantarvi al suo interno il dodicesimo ed al momento ultimo distretto. Almeno per ora.

Il NOCTURNAL DISTRICT.

Il distretto notturno, destinato ai mammiferi che durante il giorno se ne stavano chiusi e ben rintanati nelle caverne. E che uscivano in genere solo con il favore delle tenebre e dalla sola luce generata dalla luna e dalle stelle.

I chirotteri. Pipistrelli, vampiri, volpi volanti, vespertili, rossetti e cose così. Cose del genere.

Avevano stili, orari ed abitudini troppo diverse, dal resto della popolazione di Zootropolis. Anche se parecchi predatori al buio ci vedevano benissimo, e se la cavavano egregiamente pure loro.

Era una tipologia di abitanti che mal si amalgamava con gli altri. E difatti difficilmente li si vedeva in giro, a spasso o a zonzo per i quartieri già esistenti.

Il sole con il suo calore accecava, bruciava e distruggeva. Ed essi lo soffrivano.

Quel posto sarebbe stato perfetto per venire incontro alle loro particolari esigenze. Ma non ne vollero sapere.

Erano ben consci delle inquietanti leggende che circolavano su quel luogo, e rifiutarono in massa.

Fu dunque necessario costruire il loro habitat da zero, in un apposito distaccamento di zona situato ad Ovest, oltre il golfo di POLAR STRAIT ed appena sotto BEAVERDAM, la terra dei castori e delle dighe.

Tra l'altro il luogo di origine e di provenienza dei Klugh, guarda caso.

Una pura e semplice coincidenza? Noi si crede di no.

Quelle gallerie le consideravano maledette. E non può venire mai nulla di buono da un luogo dove con ogni probabilità ci é morto dentro uno di quelli che lo ha creato.

In genere nelle cattedrali vengono seppellite pure le spoglie dei creatori. Ma non ci vengono ammazzati dentro, in genere.

Porta male. Porta sfortuna.

Non si cementifica, col sangue. Al massimo si rende il tutto fragile, cadente ed incerto.

Pericolante.

Una simile credenza, quella di sacrificarci le vite dentro ad un mausoleo o ad un edificio sacro...risale a tempi e a religioni dimenticate. E che é meglio dimenticare.

Ai tempi delle piramidi, e delle ziqqurat, giusto per intendersi.

Cose su cui é più saggio sorvolare sapientemente. Che lì, giusto per stare sicuri, si andava nell'ordine delle migliaia potendo contare su una fornitura pressoché infinita costituita dagli schiavi provenienti dai popoli conquistati e soggiogati.

E chi non finiva ucciso in rituali crudeli e sanguinosi...ci lascaiva la pelliccia durante i lavori di costruzione e di messa a punto.

Tutto serviva. Tutto faceva brodo. Per sfruttare e mantenere il potere ed il prestigio mediante la paura ed il terrore.

Le gallerie vennero quindi abbandonate a sé stesse e al loro lugubre destino.

Caddero semplicemente in disuso.

Ed é purtroppo noto, si sa quel che accade ad un Dio quando viene rovesciato, scalzato dal suo piedistallo e e scacciato dal Pantheon e dall' Olimpo.

Si capovolge, per via della sua duplice ed inflessibile natura.

Cinquanta e cinquanta. O bianco, oppure nero. Non esistono vie di mezzo, parlando di divinità. E nemmeno l'atteggiamento o l'allineamento neutrale.

O legale, o caotico. Le zone grigie non vengono contemplate.

Se un Dio viene ribaltato...diventa un DEMONE.

Un demonio. Passa all'oscurità e al lato tenebroso del mondo.

Il suo culto, da solare e gioioso che era di colpo diventa e si tramuta in cupo e blasfemo.

E così accadde, anche in quell'occasione.

I condotti sotterranei finirono in mano al sottobosco criminale, che se ne impadronì e ne reclamò e rivendicò la paternità e la proprietà.

Diventarono il ricettacolo ed il terreno fertile per ogni genere di attività illecita e di cruento rito.

Perché cruenti e blasfemi erano quei riti, almeno stando agli occhi di chie esercitava e tentava di far rispettare la legge e l'ordine.

Ma che per chi aveva l'onore e l'ardire di parteciparvi, costituiva qualcosa di SACRO.

Sacro ed antico come ed almeno quanto il sangue che da sempre inonda e nutre la terra, con o senza la benedizione ed il benestare o il beneplacito del Signore del piano di sopra.

Ma non fu sempre così.

Non da subito, almeno.

Lo fu, lo diventò dopo che qualcuno, arrivato da chissà dove e chissà quando, si stabilì in pianta stabile e prese fissa dimora in quel luogo dimenticato.. E ne fece il suo regno, anche se per poco.

Realizzò un sogno. Creò la sua Camelot, prima di partire per Avalon. O per il Valhalla.

Diede vita alla sua Britannia prima dell'arrivo dei barbari Sassoni.

La sua Isola – Che – Non – C'é.

O che, meglio...c'era.

Che prima non c'era. E adesso...MAGIA!!

Come per magia adesso c'era.

Arrivò, un giorno. QUEL giorno.

Vide la tenebra. Vasta. Sconfinata.

E vi immerse le zampe superiori.

Vi si addentrò con le mani, senza esitare. Chissà perché.

Forse perché in tutto quel gran rimescolare di buio aveva saputo scorgere un bagliore limpido e splendente come un diamante. Come una gemma grezza, e forse anche di più.

La tirò fuori, e ne fece regalo al mondo. A quel che considerava il SUO mondo.

Grazie a quel qualcuno, un'orda di disperati e di canidi pazzi e sciolti senza Dio e senza alcuna bandiera diventarono un impero. Una nazione, dove ognuno di loro aveva diritto di cittadinanza ed erano tutti fratelli.

E sempre grazie a quel qualcuno...un piccolo mammifero, una piccola volpe del deserto dal manto color della sabbia, dalle iridi color del legno e dalle lunghe e grosse orecchie trovò finalmente quel che cercava. Quel che cercava da tanto tempo, e che ormai disperava di trovare.

Non lo ebbe per sempre, poiché nulla dura. Nulla dura o resiste per sempre e in eterno.

Ma gli bastò. E se lo fece bastare, per il tempo che durò.

Era un mercenario, un soldato di ventura reduce e sopravvissuto a mille e mille ed altre mille battaglie, che ormai viveva per la guerra.

Perché se si vuol scampare alla guerra...non vi é che da fare una cosa, ed una soltanto.

Bisogna DIVENTARE la guerra.

Era ormai in guerra da sempre. In guerra con tutti.

Ci viveva, per la guerra. La respirava, la annusava, la mangiava.

Combatteva e basta, senza neanche chiedersi il perché. Ma grazie a quel qualcuno, trovò una ragione per combattere. Forse per la prima volta in vita sua.

Quella piccola volpe aveva amato molte femmine, tante ne amava e tante ne avrebbe ancora amate, fino a che avrebbe potuto aggirarsi sulla terra e fino a che non avrebbe esalato il suo ultimo respiro. O lanciato il suo ultimo schizzo.

Di che cosa...potete ben immaginarlo.

Ne amava tante. Le amava tutte. Perché le femmine, ogni femmina possiede qualcosa di speciale. Ed è bella anche solo da guardare e da ammirare, fantasticandoci sopra. Eppure...

Eppure il colpo di fulmine, quello che gli fece perdere letteralmente la testa...gli arrivò da un suo simile.

Da un MASCHIO, come lui.

Quel qualcuno gli rapì, gli rubò e gli stregò il cuore, ed il tappo fu ben contento di lasciarselo fregare.

Ne valeva la pena.

Glielo rubò. E poi glielo spezzò. Perché l'amore, esattamente come i sogni, non sono destinati a duarre a lungo.

Ma non fu e non avvenne certo per colpa sua, o per sua precisa volontà.

Fu il destino.

Il maledetto, subdolo, infame destino.

Ma a quel punto non gli importava. Non gli importava più.

Con la sua fedeltà e la fiducia, la stima, l'amicizia e l'affetto reciproco che provavano l'uno nei confronti dell'altro glielo aveva innalzato, il suo cuore.

Gli aveva portato il cuore e lo spirito ad un livello tale che oramai non potevano essere più feriti da nulla.

Anzi...da quel momento in poi ogni graffio, ogni taglio, ogni squarcio non avrebbero fatto altro che fortificarlo e renderlo ancora più impenetrabile e resistente.

Non era più possibile scalfirlo, in nessun modo.

Non é certo da tutti. Le femmine che aveva conosciuto ed amato non ne erano state capaci.

Non erano state in grado, di riuscirci. Al massimo...

Al massimo gli avevano fatto innalzare QUALCOS' ALTRO.

Ed anche qui...lo si é senz'altro ben capito, di che cosa si tratta.

Anche la piccola volpe del deserto veniva da chissà dove, e d era in viaggio da chissà quanto.

Arrivò anch'essa a Zootropolis su uno di quei famosi bastimenti di cui si parlava in precedenza.

Ma non certo con l'animo atterrito del profugo, alla pari di tanti altri con cui aveva condiviso la sotto – coperta e la cambusa.

Piuttosto con l'animo del conquistatore.

Per lui, la città era una terra vergine ed inesplorata da fare sua. Come le varie femmine con cui era stato e con cui doveva ancora stare. Anche se ancora non lo sapevano.

Era una femmina. E una femmina ne vale un'altra, almeno all'inizio.

Un autentico ENNE – ENNE, per l'anagrafe.

Un figlio di nessuno almeno quanto lo era la terra dove avrebbe ben presto costruito e messo su la sua tana ed il suo rifugio, dopo tanto pregrinare e vagabondare a vuoto e a casaccio. Anche se lui ancora non lo sapeva e nemmeno poteva saperlo.

Anche quello non fu per sempre, purtroppo. E in ogni caso non durò nemmeno a lungo.

Non quanto avrebbe sperato o si sarebbe augurato, per lo meno. Dato che aveva scoperto una casa dove alloggiare. Una bandiera, un vessillo sotto a cui stare. Una patria da difendere. E per la quale arrivare pure a morire un giorno, all'occorrenza ed al bisogno.

La cosa più simile e vicina all'idea di famiglia che avessero potuto fornirgli, e che avesse saputo rimediare.

Ed era già fin troppo, per uno così e per uno come lui. Più di quanto sentisse di meritare.

Nato da madre ignota. E per quanto e quel che riguardava il padre...tanto sarebbe valso mettere e puntare un dito con entrambi gli occhi chiusi su di una lista o di un elenco comprendente almeno un minimo di cinquecento palpabili e potenziali candidati.

O li si sarebbe anche potuti prendere tutti quanti assieme, che tanto era pressappoco uguale.

Non attese nemmeno di sbarcare. E non aspettò nemmeno di entrare nel'insenatura che conduceva al porto.

Si gettò in tuffo dall'albero maestro della nave. Anche se nei moderni piroscafi l'albero maestro nemmeno esisteva più.

Sfruttò la ciminiera più alta, in sua vece. Dopo averla scalata senza mani. E da lassù si buttò nell'acqua, incurante che lo spaventoso impatto avrebbe potuto essergli quantomeno fatale.

E pure dalla parte delle eliche in movimento, che se non aggiungeva un po' di difficoltà non si divertiva.

Si fece tutto il tratto di mare a dorso, con calma. Un paio di mostri marini sbucati fuori dritti dritti dagli abissi provarono a dargli un'assaggiatina, ma le sue carni erano troppo dure per qualsiasi giro di denti.

Ma ciò non gli impedi di finire prima dentro al becco di uno dotato di giganteschi quanto sproprozionati tentacoli. E subito di seguito ad un altro munito di pinne, coda e fauci.

Dal primo venne fuori da una delle cavità oculari, dopo averne sradicato il bulbo a suon di pedate.

Mentre il secondo...lo espulse dallo sfiatatoio, con unpo schizzo denso e scarlatto guarnito da pezzi di polmone strappato direttamente a morsi.

Fu un volo a dir poco impressionante. Ed atterrò sul molo proprio così, coperto di sangue e budella ed interiora di cetaceo. Tra gli sguardi sconvolti, stravolti ed inorriditi delle guardie, degli sbirri e dei sorveglianti.

Fecero comunque a tempo ad accerchiarlo, nonostante la sorpresa e lo sbigottimento generali. E lui fece a tempo a stenderne a mani nude tre dozzine. E da solo. E quasi ne strangolò quattro, uno per ogni arto che possedeva, prima di darsi alla macchia e rimanersene bello nascosto. Fino ad andare ad infognarsi dove ben sapete.

Lasciò una bella firma di benvenuto, sul suo visto di immigrato, non c'é che dire.

Non che sia mai andato a ritirarlo, tra l'altro.

Così fece il suo ingresso a Zootropolis. E la sua gloriosa introduzione in società.

Fu così che andarono le cose. O almeno era così che la raccontava, tutte le volte che si piazzava al bancone di qualche localaccio e gli riusciva di attirare l'attenzione dell'avventore più vicino a suon di insistite gomitate rifilate nelle costole o di ripetuti colpetti sullo sterno, per deliziarlo col racconto delle sue origini. Oltre che per farsi offrire da bere a sbafo fino a stordirsi.

Sino ad accasciarsi o a cadere a terra, dopo aver tirato un lungo, sonoro e cavernoso rutto.

In quelle sere gli sarebbe servito un bel trapano per avvitarsi il braccio al legno, in modo da stare in piedi fino alla fine dei suoi deliri e delle sue ciance.

Perché andava avanti fino a che la lucidità e la schiena lo reggevano, che per lo stomaco ed il fegato non c'erano mai problemi.

Quei due sopportavano di tutto. Pure la nafta o il liquido refrigerante per il motore. O per i freni.

Comunque, vero o non vero che fosse...ciò che si sta e che ci si appresta a raccontare é assolutamente fondato.

Giurin giuretta. Croce sul cuore e parola di lupetto e di scout – ranger.

Ayouh.

Questa é la storia di un piccolo fennec e di una pantera nera. E di come le loro storie e le loro sorti si intrecciarono, sino a legarsi in modo indissolubile. Persino oltre la morte.

A dispetto e alla faccia di lei.

Prima di cominciare e dare inizio alle danze... vi si vuole avvisare il gentile pubblico che non ce ne sarà poi per molto, della storia in questione.

Ma che si sappia...ne vale assolutamente la pena.

O almeno si spera.

La si prenda come una piccola deviazione dal percorso principale. Che di quello ce n'é e ve ne sarà ancora. E per parecchio, pure.

Imprevista, forse. Voluta, altrettanto. Ma necessaria, indubbiamente.

Fidatevi.

Abbiate fede.

Si parte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Come va? Spero bene.

Per il resto...inutile aggiungere altro, che non é il caso.

Come molti di noi temevano, io compreso...ci risiamo, ragazzi.

Siamo ripiombati nell'incubo.

Sei mesi di morti, di sacrifici, di privazioni buttati completamente dalla finestra.

Ve lo confesso, gente.

Me lo aspettavo. Ma dopo aver visto certe cose non può fare a meno di assalirmi lo sconforto. Ma adesso ci arriviamo.

Non ho mai creduto al fatto che ne saremmo usciti migliori, dopo questa esperienza.

Oddio, forse un giorno ci riusciremo. Ma non certo alla prima occasione, figuriamoci.

Eh, sarebbe troppo bello.

Il fatto é che l'umanità é ottusa, come lo era una certa coniglietta di nostra conoscenza.

Gli uomini sono un po' duri di comprendonio, purtroppo. Evidentemente hanno bisogno di sbattere ripetutamente la testa contro al muro, prima di iniziare a capire.

Di più: devono arrivare fin quasi a rompersela.

Beh, che sia. Pur che serva per capire.

L'importante é non spaccarsela sul serio, come dico io!!

Comunque, la prima é andata.

Male. Malissimo.

Sotto con la prossima, una volta finita la nuova serrata.

Ritentiamo, forse saremo un po' più fortunati. O più responsabili, chissà.

Forse era inevitabile, chissà.

Nel corso di quest'anno abbiamo potuto constatare che il virus prolifera col freddo.

Durante i mesi caldi c'é stato un crollo progressivo dei contagi.

E con l'arrivo dell'autunno, le cifre sono cresciute di nuovo a dismisura.

Forse é davvero così. O forse no.

E' solo un ipotesi. Tanto ormai si sta andando alla cieca. E ho come l'impressione che chi debba gestire la cosa non sappia più che pesci pigliare.

Così come ho idea che si risolverà solo con l'arrivo di un vaccino.

Nel frattempo, come suggeriva un vecchio bufalo di nostra conoscenza...

 

NON CI RESTA CHE FARE APPELLO AL CARO, VECCHIO BUON SENSO.

 

Ricordate? Così diceva Bogo, nel secondo episodio della mia long, a proposito dei dardi venefici.

Che non é stata affatto debellata, come minaccia. E ben presto ci torneremo, non temete.

Già. Il buon senso. Che é decisamente mancato, di questi ultimi tempi.

Non appena la genete ha avuto il tanto sospirato via libera...si sono comportati peggio delle belve fuggite dalla gabbia.

Ricordiamoci anche delle parole di Re Stephen di Bangor, a proposito del suo romanzo L'OMBRA DELLO SCORPIONE.

 

Volevo che i personaggi del mio libro capissero che il buon Dio non gli ha salvato il culo dall'Apocalisse perché riprendessero a fare le stesse stronzate di prima.”

 

E infatti. Non abbiamo voluto capire. E rieccoci da capo.

No, ragazzi. Non prendetevela. Non mi riferisco certo a voi.

Una cosa l'ho imparata, da quando bazzico da queste parti.

E cioé che qui su EFP ci sono persone di buon senso, e con cervello.

Per questo mi trovo così bene.

Sapete già quel che dovete fare, ragazzi. Continuate a farlo come avete sempre fatto e non ci sarà nulla da temere.

Mascherina quando siete fuori. Disinfettate continuamente la mani. Uscite solo per necessità, contatti ridotti al minimo e se volete essere ancora più sicuri...doccia al volo quando rientrate a casa e lavate i vestiti.

Ok, quest'ultima forse é esagerata. Ma io faccio anche così, oltre alle norme previste dal protocollo sanitario.

Un precauzione in più. Che magari non serve, ma che di sicuro non guasta.

Perciò...mi raccomando. Continuate a fare ciò che ben sapete.

Ne usciremo anche da questa, dai.

Tornando a prima...forse era inevitabile. O forse ce la siamo andata a cercare.

Credo che sei mesi fa la situazione fosse davvero fuori controllo, e che fossimo tutti quanti a rischio.

Oggi come oggi, invece, se uno se lo piglia la colpa in gran parte é solo sua.

Peccato che dopo metta a rischio tutti gli altri.

Credo anch'io che gran parte della responsabilità sia da attirbuire a tutta quella brava gente che se n'é infischiata bellamente di tutto e ha continuato a fare i suoi comodi. Totalmente incurante delle conseguenze, sia sugli altri che su loro stessi.

Ma ritengo che una persona di buon senso non debba mai cercare scuse o giustificazioni.

Troppo comodo, scamparla per mettersi poi ad additare tutti gli altri come colpevoli.

E siccome mi ritengo tutto sommato una persona di buon senso...nel mucchio dei colpevoli mi ci metto pure io.

Sissignore.

Evidentemente, come tanti altri che hanno compreso sin da subito la gravità della situazione, non sono stato in grado di farmi capire dagli altri e a fare in modo che seguissero il mio esempio.

Non sono stato in grado, e me ne scuso.

Prima di chiudere il discorso, voglio ribadire una cosa.

Fate attenzione, ragazzi. E continuate a stare all'erta.

Vedrete che non ci saranno problemi.

E ora cambiamo decisamente argomento, che se n'é già parlato fin troppo.

Allora...che ne pensate di questo capitolo?

Lo ammetto, di primo acchito può spiazzare. E non poco.

Ha lasciato stupefatto pure me, che l'ho scritto!!

Credo che sia il primo e fino ad ora unico episodio dove non compare NESSUNO dei personaggi che si sono via via affaccendati lungo le pagine della mia storia.

Ma in realtà, se si presta bene attenzione...un personaggio C' E'.

Anche se é in veste un po' insolita, dato che si presenta sotto forma di IO NARRANTE.

Basti vedere a chi si allude nell'ultima parte, quando arriva a Zootropolis e fa un'entrata in scena trionfale che sta a metà esatta tra BEOWULF di Zemeckis e il leggendario Jack Sparrow della serie I PIRATI DEI CARAIBI (anche se gli ultimi film li ho trovati un po meh, a parer mio...).

Beowulf e Sparrow. Entrambi grandi avventurieri ma ancor più grandi pallonari, certe volte.

E su questi due aspetti credo abbiano parecchi punti in comune, col nostro Finnick.

Un ingresso, il suo, che é tipico dello stile che da sempre lo contraddistingue.

Esagerato, sopra alle righe ed oltre ogni limite.

Almeno é quel che racconta lui, a tal proposito.

Sarà poi vero che ha fatto tutto quel gran casino, il giorno stesso in cui ha messo piede da quelle parti?

Sapete come si dice, del resto.

Quando si deve parlare o narrare di qualcuno, se si deve scegliere tra la realtà e la leggenda...é sempre meglio scegliere LA LEGGENDA.

Perché il mito straccia sempre la verità mille a zero. Anche se magari le cose non sono proprio andate come le si racconta.

Ma soprattutto...QUANTI ANNI HA?

Chissà...

Dunque, ho fatto questa premessa per dirvi che, in altre parole, il buon vecchio Finn ci sta raccontando una storia. Anche se in terza persona.

Che storia?

Ma la storia delle sue origini, ovviamente!!

Diciamo che in tutti questi mesi ho lavorato anche su questo personaggio. Scavando e scavando, e lanciando alcune sonde nel suo passato (spero solo che non gli si infilino nella parte sbagliata, le sonde in questione...).

Ed é venuta fuori questa storia. Breve ma bella, che ci terra compagnia per un paio di episodi.

Una storia che si discosta lievemente da quelle principale, me che ne fa comunque parte.

Necessaria a scoprire alcuni retroscena sul nostro nanerottolo preferito, e sul suo passato.

E per meglio comprendere quale rapporto lo lega a quello psicopatico di Zed.

Perché é fin troppo chiaro che lo conosce.

O meglio, si conoscono. Ma almeno per adesso, e per sua fortuna, solo uno dei due ha riconosciuto l'altro.

Ma ne sapremo di più nel prossimo capitolo.

E ne vedremo delle belle, ve lo posso assicurare.

Beh, almeno spero. Questo dipenderà da voi, e da cosa ne penserete.

Questo e il prossimo costituiranno una sorta di DEVIAZIONE.

Ma prima é opportuno fare un piccolo passo indietro.

Come ho già avuto modo di ribadire più volte...il finale di questa storia ce l'ho ben presente.

E' già scritto, nella mia testa.

Volendo...potrei scriverlo oggi stesso!!

Ed é una cosa fondamentale, sapere come concludere un racconto e sapere dove si andrà a parare.

Sono due le cose che contano, in una storia.

Una é come iniziarla.

Spesso si dice che in un film i primi cinque minuti ne determinano tutto l'andazzo successivo, ed é esattamente così, fidatevi.

E vale anche per i libri.

Il primo capitolo, l'introduzione, il prologo sono determinanti, in tal senso.

Sono loro che convincono a proseguire con la visione e con la lettura, oppure a richiudere le pagine o ad abbandonare la sala.

L'inizio, si diceva. E poi...come concluderla.

E qui bisogna aprire un'altra opportuna parentesi (vi giuro che é l'ultima).

Ritengo che il non sapere come concludere sia il principale motivo per cui due o tre storie su Zootropolis pubblicate qui su EFP, e che tra l'altro mi piacevano molto...non vedranno mai la fine.

Purtroppo é quel che temo.

Come diceva qualche mese fa il grande Leo Ortolani, l'autore di quel capolavoro chiamato RAT – MAN, quando si inizia un viaggio non conta quanto tempo ci si impieghi a farlo. Ma bisogna sapere assolutamente la destinazione e dove si arriverà un giorno, indipendentemente da quanto ci si metterà.

Parole sante.

Mettiamola così, ragazzi.

Ho cominciato questo viaggio quasi cinque anni fa.

E sapevo che sarebbe stato lungo, lunghissimo.

Dopo qualche tappa ho avuto l'occasione di concluderlo e di potermi fermare. Ma...non l'ho fatto.

Sentivo che non era giusto. E che c'era ancora tanto da dire.

E allora sono andato avanti. E confesso che ci ho preso gusto, a viaggiare.

Dopotutto...non é che duemila chilometri devi per forza spararteli tutti in una botta sola.

Oddio, certe volte sì (stavolta ce l'ho messo, l'accento). Ma...non é questo il caso, fortunatamente.

Non ho alcuna fretta di arrivare, e mi sto godendo il viaggio.

E quando te la godi...puoi decidere di fermarti a una piazzola di sosta, o a un'uscita. O ad un autogrill. Oppure sostare in un paesino visto da lontano che ti ispira, ad una prima occhiata. E magari fermarti a pernottare lì. O decidere di stabilirti pure per qualche giorno.

Non ho fretta, dicevo. Ma so sempre qual'é la mia destinazione.

So sempre dove dovrò arrivare, un giorno.

L'importante, ciò che conta davvero...é non perdere mai di vista la rotta.

E quella...non l'ho mai persa di vista, ve lo posso assicurare.

Vi ho detto anche che la storia, almeno inizialmente, non era così lunga e complessa.

Ma poi, col passare dei mesi, si é progressivamente ingigantita.

Sono venute fuori nuove idee, personaggi inzialmente marginali hanno cominciato ad acquisire spazio ed importanza, e ne sono comparsi di nuovi e cruciali.

Certe volte, giusto per tirare di nuovo in ballo il grande Stephen King, faccio un paragone alquanto azzardato. Per non dire folle

THE PROMISE YOU MADE sta seguendo lo stesso destino della saga de LA TORRE NERA.

Credo che diventerà, come nel caso di quel lavoro a dir poco monumentale...la mia OPERA OMNIA.

Il mio OPUS MAGNUM.

Il mio racconto dei racconti, il punto e fulcro centrale da cui si dipaneranno tutte le storie successive. E a cui guarderanno e farnno riferimento quelle passate.

Di fatto, quel meta – verso di cui si parla nel ciclo di romanzi che lo compongono é l'iper – uranio da cui sono venuti fuori tutti i mostri che infestano gli altri suoi libri.

Arriva tutto da lì.

Certo, arriverà poi il momento in cui dovrò iniziare a tirare le fila, e le somme.

In cui districherò il fatidico bandolo della matassa.

E se tutti gli ingranaggi e i componenti si incastreranno alla perfezione (e farò in modo che lo facciano, non temete)...tutto, ogni cosa tornerà e si rimetterà a paosto, in modo da non lasciare falle o buchi.

A parte qualcuno voluto, in modo da preparare il terreno per un futuro, possibile sequel.

Come dico sempre io...meglio lasciare sempre una porta aperta.

O al massimo semi – chiusa. Non si sa mai.

In tal senso, nelle battute iniziali di questo episodio ne approfitto per compiere (o meglio lo faccio fare a Finn, che di meta – referenzialità se ne intende più di me, senz'altro) un'analisi della mia storia per come la conosciamo fino ad ora. Almeno fino al punto in cui siamo arrivati.

Perché intanto siamo alle prese con questa, prima di tutto. E vediamo di finirla.

Anche se non ho fretta.

Ci saranno comunque altre “deviazioni a ritroso” di questo tipo, prossimamente.

Su una punto davvero tanto, ed avverrà prima della resa dei conti tra Nick e Carrington.

Mentre un'altra...sarà legata alla famosa “scommessa” di cui vi accennavo parecchio tempo fa.

Ma ne riparleremo, a tempo debito.

Intanto occupiamoci del tappo malefico.

Conosceremo un altro grandioso personaggio, tra pochissimo. Anche se appartiene ormai al passato.

E vedremo i trascorsi tra lui e Finn, anche se qualcosa già lo accenno qui.

Ed immagino le perplessità.

Dunque...la persona che Finn ha amato più di ogni altra nel corso della sua vita sarebbe UN MASCHIO?!

Beh...mi ha sempre dato l'idea di essere una persona dalle inclinazioni piuttosto ambigue, nonostante la marea di femmine che si é ripassato.

Ma é opportuno precisare una cosa (un'altra!!).

Diciamo che il suo é l'amore che un guerriero, un soldato prova nei confronti del suo comandante.

Dopotutto...dicevano che la falange macedone era innamorata del suo grande condottiero, Alessandro Magno.

Oppure il Settimo Cavalleggeri nei confronti di Custer.

O l'esercito giapponese verso Oda Nobunaga.

O per fare un esempio di fantasia...la squadra dei Falchi per Grifis.

Eh. Bella inc...ehm, bella fregatura, in quest'ultimo caso. Vedendo come é andata a finire.

Ora, prima di concludere, voglio scusarmi per il ritardo a pubblicare.

Dev'essere la prima volta dopo quattro anni, che ci ho messo più dei trenta giorni canonici che mi sono auto – imposto.

Mi é spiaciuto parecchio, non rispettare la tabella di marcia. Ma é un periodo che sono parecchio incasinato.

Se ci riesco, vedrò di pubblicarne ancora uno prima di Natale. E poi, magari, potrei evitare la pausa delle festività e mettermi sotto.

Vedremo. Grazie per la pazienza, comunque.

Per l'angolo della colonna sonora...per meglio caratterizzare la rocambolesca comparsa di Finnick ho selezionato due pezzi dal gran ritmo, molto epici e trascinanti.

Uno é, ovviamente visto che l'ho citato...una colonna sonora.

E cioé il tema principale de I PIRATI DEI CARAIBI, a cura del grande HANS ZIMMER.

Mentre l'altro...é GALACTICA dei leggendari ROCKETS.

Pura musica materica, elettronica e strumentale dritta dritta dagli anni ottanta.

Ve li ricordate? Quei tizi tutti pittati di grigio e vestiti in modo assurdo, omaggiati tra l'altro da ELIO E LE STORIE TESE al Festival di sanremo durante il brano LA TERRA DEI CACHI.

E veniamo al consueto angolo dei ringraziamenti.

A proposito...sono quasi riuscito a rimettermi in pari, con le risposte alle recensioni!!

Meno male. Ci tengo, e molto.

Un grazie di cuore a hera85, Devilangel476 e a Sir Joseph Conrard per le recensioni all'ultimo capitolo.

E po a RyodaUshitoraIT per le recensioni ai capitoli 67, 68 e 69.

Bene, credo di aver messo tutti. E detto tutto.

E come sempre, un grazie a chiunque leggerà la mia storia e se la sentirà di lasciare un parere.

Grazie dai cuore ancora a tutti.

Tenete duro, mi raccomando. E...statemi sani e in gamba.

Sempre.

 

Alla prossima, e...

 

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

   
 
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