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Autore: Roberto Turati    08/11/2020    1 recensioni
Laura, Sam, Chloe e Jack sono quattro neo-laureati di Sidney che, dopo aver trovato un libro segreto firmato Charles Darwin che parla di ARK, un'isola preistorica abitata da creature ritenute estinte da milioni di anni, da un intrigante popolo, protetta da una barriera che altera lo spazio-tempo e che nasconde un "Tesoro" eccezionalmente importante, decidono di scoprire di più... andando su ARK. Ma le minacce sono tante, siccome l'arcipelago arkiano non è certo il più accogliente dei posti... però, per loro fortuna, non saranno soli nell'impresa. Fra creature preistoriche, mostri surreali, nemici che tenteranno di fermarli o di ucciderli per diversi motivi, rovine antiche, incontri da ogni luogo, da ogni epoca e da altri universi e gli indizi sul misterioso passato dimenticato di ARK, riusciranno a venire a capo di un luogo tanto surreale?
 
ATTENZIONE: oggi, il 30/06/2021, è iniziato un rifacimento radicale della storia usando l'esperienza che ho fatto con gli anni e la nuova mappa di ARK usata per l'isola del mio AU. Il contenuto della storia sta per cambiare in modo notevole.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Un dilofosauro e un branco di compsognati stavano setacciando il terreno incenerito annusandolo con molta attenzione, nella speranza di trovare dei pezzi di carne ancora commestibile da mangiare dalle carcasse degli animali rimasti vittime dell’eruzione più recente dei due vulcani. Molti dei fossili più vecchi erano ancora lì, in quella landa desolata, mummificati dopo essere stati seppelliti sotto la cenere. Erano rimasti perfettamente conservati e il vento, col tempo, faceva tornare allo scoperto quelle carcasse bloccate in pose sofferenti e in preda al panico. I tronchi rinsecchiti degli alberi che avevano avuto la sfortuna di nascere nella regione infuocata dell’isola facevano da inquietante decoro a quell’ambiente lugubre.

Quel giorno, il vulcano non era stato generoso con gli spazzini: il dilofosauro e i compsognati scavavano col muso da ore, starnutendo per la sottile polvere che puzzava di zolfo, ma nessun pezzo di carne a ricompensarli: solo corpi talmente carbonizzati che si polverizzavano appena li mordevano. Ad un certo punto, ormai stizzito e affamato, il dilofosauro guardò i compsognati ed essi cominciarono a sembrargli alquanto appetitosi… così rivolse loro un verso intimidatorio e allargò il collare, per spaventarli. I piccoli teropodi, che stavano pattugliando i dintorni della mummia di un diplodoco, si voltarono allarmati e si radunarono di fronte a lui, sperando che la forza del numero li aiutasse a scoraggiarlo. Il dilofosauro non si fece intimidire e sputò al compsognato più vicino, accecandolo. Tutti gli altri, spaventati, indietreggiarono e lasciarono che il dilofosauro sgozzasse il loro simile. Lo osservarono pigolando mentre lo sollevava con la bocca. Una volta conquistato il pasto del giorno, il dilofosauro si allontanò verso il sito in rovina lì vicino, il posto ideale per mangiare indisturbato… ma la sua strada si incrociò con quella di un gruppo di umani con tre velociraptor, un tilacoleo e un pachicefalosauro.

«Guardate, è lo stesso che ha sputato in faccia a Jack quando siamo arrivati!» lo indicò Sam.

«Voglio proprio vedere se avrà voglia di sputarci, ora che abbiamo le bestie» ridacchiò Chloe.

«No, infatti: ignoratelo, scapperà» li rassicurò Acceber.

Come aveva detto, il dilofosauro cominciò ad indietreggiare appena loro furono più vicini, poi si arrese quando Hei gli rivolse un verso minaccioso e scappò con la sua preda. Mei-Yin, guardandolo, ripensò per un attimo ai suoi primi giorni su ARK, quando vi era naufragata due anni prima: aveva passato un mucchio di tempo sulla spiaggia, dove le uniche creature che si vedevano spesso erano dodo, listrosauri e compsognati. I dilofosauri erano la minaccia più grande che credeva di poter trovare… quanta strada che aveva fatto, nei mesi che erano seguiti, quanti ricordi malinconici… le riflessioni della guerriera cinese furono interrotte da Helena:

«Eccoci qua: le rovine del vulcano»

Lasciarono le creature ai margini del sito in rovina e cominciarono ad esplorarlo in silenzio, alla ricerca del piedistallo. Di tutti i resti pre-arkiani che avevano visto fino ad allora, quelli erano i meno conservati: non c’era altro che alcuni muretti fatti di blocchi di pietra nera, così erosi e distrutti da arrivare alle ginocchia, e le ultime tracce di alcune travi di legno che dovevano fungere da sostegno per le abitazioni. Helena affermò che quel poco che si vedeva dello stile architettonico faceva pensare ad una comunità neolitica e Laura era d’accordo: sembravano alcuni siti archeologici della tarda età della pietra dell’Europa centrale.

«Certo che sono messe male…» commentò Chloe.

«Sicuramente c’entrano le eruzioni: come vedete da quegli animali mummificati, arrivano fin qui. Hanno sepolto gran parte delle costruzioni» spiegò Helena.

«Be’, almeno gli indigeni di adesso l’hanno capita: stanno sul lato verde a pigiare l’uva!» esclamò Sam.

«Forse in passato era verde anche qui» ipotizzò Acceber, interessata.

Nerva spostò alcuni blocchi di pietra caduti dai muretti con un piede, poi si mise ad osservare la sagoma di un allosauro seppellito dalla cenere, ancora in una posa che esprimeva panico e terrore, e gli venne spontaneo condividere un altro aneddoto della sua vita da centurione:

«Tito, uno dei miei fidati compagni e amici della prima decuria, veniva da Pompei. Cum iter facimus con le legioni per le expeditiones dell’imperatore Traiano, ogni volta che ci accampavamo ci raccontava di nuovo la historia di come era sopravvissuto al Vesuvio con sua uxor. Ho sempre avuto l’impressione di non poter mai capire fino in fondo… credo che questa bestia si sia sentita come lui»

«Immagino che sia terribile. Chiunque morirebbe di paura, che ne esca vivo o no…» pensò Laura, inquietata.

Mei lanciò un’occhiata sorpresa a Gaius:

«Curioso: tornare su quest’isola ti ha fatto rivelare più segreti sulla tua vita che vivere e lavorare con me per due anni nell’epoca di Helena»

Nerva annuì, rendendosene conto:

«Lo so. Tu invece dici sempre molto poco di te e basta, regina bestiarum»

Mei stava per rispondere qualcosa, ma poi la loro attenzione fu richiamata da Sam e Laura: avevano visto il piedistallo, al centro dei resti di quello che forse era stata una torre. Allora si avviarono per raggiungere gli altri; mentre camminavano, Acceber si accostò a Gaius e gli domandò, interessatissima:

«Cos’è Pompei? Cos’è questo… Vesuvio?»

Il suo fascino per tutto quello che riguardava il mondo al di fuori di ARK non aveva tardato ad emergere, sentendo il breve racconto del Romano. Nerva e Mei si scambiarono un’occhiata imbarazzata, poi lui cercò di uscirne promettendole che le avrebbe spiegato con calma quando sarebbero tornati all’avamposto. Acceber fu un po’ delusa, ma decise di lasciar correre e accettare, anche se non confidava che il centurione mantenesse la promessa. Intanto Laura e gli altri, raggiunto il piedistallo, ci poggiò sopra il manufatto. Anche il piedistallo era conciato veramente male, al confronto con gli altri: il vulcano l’aveva messo a dura prova, in quei millenni. Già era un enigma come fossero conservati così bene dopo tutto quel tempo, il fatto che dopo sessantamila anni di colate di lava e tempeste di pomice non fosse ancora andato in frantumi. Osservata in silenzio da tutti, Laura ripeté la solita procedura e prelevò il tassello del mosaico che li attendeva.

«Tra poco avremo il quadro completo! Ma ancora non vedo punti di quest’immagine che indichino dove possa essere il Tesoro…» disse Chloe, un po’ delusa.

«Be’, è chiaro: è senz’altro fatta in modo che lo capiremo solo alla fine del viaggio» spiegò Helena.

«Allora che aspettiamo? Torniamo indietro! Mi ero dimenticata di farvi vedere l’allevamento di scarabei skua dei Teschi Ridenti, e poi è meglio rientrare prima che la prossima eruzione…» cominciò Acceber, entusiasta.

L’Arkiana fu bruscamente interrotta da una serie di versi che fecero trasalire tutti e allarmarono i velociraptor, che avevano cominciato ad agitarsi già da quando i padroni li avevano lasciati fuori dal complesso di rovine. Spaventati, i ragazzi misero subito mano alle nuove picche di metallo che Mei aveva preso per loro al mercato dei Teschi Ridenti, mentre i due guerrieri dal passato sfoderarono le spade. Acceber si affiancò ai ragazzi, pronta ad aiutarli con la lancia tra le mani.

«Ehi, cosa sono questi urli? Mettono i brividi!» esclamò Chloe, pallida.

«Uccelli del terrore…» mormorò Helena, allarmata.

«Che?» chiese Sam.

«Grossi uccelli corridori carnivori del Paleocene, molto forti e feroci» spiegò Laura, deglutendo.

«Sì, e con una beccata vi aprono la pancia, quindi occhio!» li avvertì la figlia di Drof.

«Dio mio…» balbettò Chloe.

Nerva esortò subito tutti a correre dalle cavalcature, cosa che nessuno esitò a fare. Si precipitarono dalle loro bestie, ma appena uscirono dalle rovine videro sette orrendi uccelli alti più di un uomo che correvano verso di loro, lungo la spiaggia annerita dalla cenere. Sembravano grosso modo degli struzzi, ma più tozzi, con zampe robuste armate di artigli adunchi, le ali piccole, un corto collo nudo e una testa da rapace, con uno spaventoso becco da tucano. Sembravano degli avvoltoi con un corpo da pollo gigante assassino. Appena li raggiunsero, si fermarono solo grazie ai ruggiti di Rexar e ai fischi intimidatori dei velociraptor. Cupcake, dal canto suo, stava dietro i predatori e sbuffava, scuotendo la testa e sfregando le zampe a terra.

«Li affrontiamo» affermò Mei.

«D’accordo, io sono pronto… credo» rispose Sam, spavaldo.

«No – lo contraddisse Nerva – Noi li affrontiamo, è meglio se voi andate via: ricordo che questi aves feroces erano molto pericolosi, quando ne ho affrontati due anni fa»

Gli uccelli del terrore cercavano di partire all’attacco, ma le cavalcature riuscivano ancora a farli esitare… almeno per il momento. Laura non era molto sicura, voleva fare qualcosa per essere d’aiuto:

«Sicuri? Potremmo darvi una mano! Anche coi troodonti eravamo…»

Helena, che stava imbracciando la balestra, alzò la mano per rassicurarla:

«No, tranquilli! Questi sono molto più ostici, lasciateli a noi: non fate nessuna brutta figura!»

«Benissimo, scappiamo!» esclamò Chloe, sollevatissima.

Acceber, allora, si offrì di accompagnarli nella fuga. Quindi montò in sella a Rexar e fece salire Sam dietro di sé, mentre Laura e Chloe salirono insieme sulla groppa del pachicefalosauro. Dopo un rapido “buona fortuna”, Acceber disse a Laura di seguirla e spronò il tilacoleo a correre verso l’entroterra, in direzione del vulcano più alto. Gli autori dei diari raggiunsero i velociraptor poco prima che lo stormo di uccelli del terrore si spazientisse e, con un altro urlo, partirono all’assalto. Uno di loro, però, si accorse dei due animali in fuga e, pensando di isolarne uno per farne una preda facile, si separò dagli altri e si lanciò all’inseguimento, mentre i suoi compagni iniziavano la sanguinosa battaglia contro i tre velociraptor e i loro padroni…

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Cavalcando di corsa lungo gli stretti sentieri tra le formazioni di tufo sul versante marittimo del Gran Forno, il vulcano maggiore, Acceber e i ragazzi non si accorsero subito che uno dei diatrima li stava inseguendo. Fu dopo alcuni minuti, quando raggiunsero una vecchia frana da cui sporgevano le cime di alcuni alberi rinsecchiti, che Laura ebbe l’impressione che qualcos’altro stesse smuovendo i sassi oltre a loro, alle loro spalle. Si voltò e trasalì quando vide quel mostruoso uccello che li inseguiva senza battere la fiacca, col becco spalancato. Ovviamente stava prendendo di mira Cupcake, siccome era un erbivoro, un cucciolo e più lento di Rexar.

«Oh, merda! Corri, Cuppy!» esclamò.

Spronò il pachicefalosauro coi talloni, mentre anche gli altri si accorgevano dell’uccello predatore. Dall’altra parte della frana, di cui ormai avevano raggiunto il centro, il terreno diventava più regolare e ospitava più piante morte. Acceber, a labbra serrate, sperò che Cupcake riuscisse ad arrivare fin lì, così lei avrebbe potuto mandare Rexar a salvarlo senza causare un ulteriore crollo della frana. Ma purtroppo andò diversamente: prima di raggiungere gli altri, Laura sentì un forte gracchio dietro di sé, così vicino che se lo sentì quasi sulla pelle. Improvvisamente, sentì qualcosa urtare con violenza Cupcake e in un attimo si ritrovò a vorticare nel vuoto… poi le sue costole sbatterono contro la friabile superficie sassosa del pendio, strappandole un gemito di dolore. Tutto il mondo vorticava. Per un breve istante in cui i suoi occhi furono allineati col terreno, vide che anche Chloe stava rotolando giù dalla frana.

«No! Ragazze!» esclamò Sam, sconvolto.

Per sua fortuna, Laura finì in un punto meno ripido e smise di rotolare, rallentando. Per istinto e anche un po’ per disperazione, affondò le dita nella ghiaia e fece il possibile per frenare la scivolata. L’attrito le raschiò le unghie e la pelle, facendole un dolore atroce, ma resisté e, alla fine, riuscì a fermarsi. Ora era lunga distesa e aveva un capogiro terribile, oltre che dolori ovunque. Non sapeva per certo se era ancora tutta intera. Chloe si era fermata a sua volta, poco più in alto di lei, distesa su un fianco… e priva di sensi. La sua testa sanguinava.

«No… Chloe? Chloe!» rantolò Laura, terrorizzata.

Cercò di strisciare verso di lei per capire se respirava ancora, ma all’improvviso due corpi ammucchiati che rotolavano giù dalla frana, lasciandosi dietro una scarica di pietre, la sorvolò e per poco non la schiacciò. Laura impallidì per lo spavento e, quando iniziò a sentire un fracasso di versi, si voltò a controllare: erano Cupcake e il diatrima. Si erano appena fermati e l’uccello del terrore era subito riuscito a scaraventare il pachicefalosauro a terra con un calcio che gli ferì il fianco e lo sovrastò, cercando di squarciargli la pancia scoperta a beccate. Il piccolo dinosauro cercava in tutti i modi di difendersi spingendo via l’aggressore con entrambe le zampe e mimando delle testate per tenerlo lontano, ma non mancava molto prima che rimanesse abbastanza esposto per permettere all’uccellaccio di sferrare l’attacco decisivo.

«Lascialo stare, bastardo!» esclamò Laura.

Cercando di stare in equilibrio, si alzò sulle ginocchia; afferrò con entrambe le mani il sasso più grosso che trovò e lo lanciò con tutte le sue forze, finendo col cadere in avanti per la spinta. La pietra colpi il diatrima su un’ala, attirando la sua attenzione. Infastidito, le rivolse un irritato urlo di minaccia, ma non si distrasse dalla sua preda. Stava per sventrarlo con una beccata… ma ecco che fu interrotto dall’inconfondibile ruggito del leone marsupiale. Laura non fece nemmeno in tempo a sorridere dall’entusiasmo, una fulminea sagoma rossa sfrecciò sopra di lei e atterrò direttamente sul diatrima, placcandolo. Afferò con precisione incredibile il suo collo rosa e grinzoso e, quando atterrò, strinse gli artigli nel terreno per non scivolare. Il diatrima fece per respingerlo a zampate, ma Rexar fu più veloce: con una stretta della mandibola, gli recise la carotide. In pochi secondi, l’uccello predatore morì soffocato.

«Appena in tempo… non avrai pensato che vi abbandonassi, spero!» sorrise Acceber, per sdrammatizzare.

Laura, incapace di parlare per tutta l’ansia e il cuore che le batteva a mille, si limitò a ricambiare il sorriso e ad alzare un pollice. Poi si ricordò di Chloe e corse subito da lei per vedere come stava. Anche Sam, fregandosene del terreno friabile che scivolava ad ogni suo passo, derapò lungo il pendio fino a raggiungere le ragazze. Allora Acceber, senza sapere del tutto perché, ebbe l’impulso di unirsi a loro e scese a sua volta cautamente, raggiungendo Rexar.

«Chloe? Mi senti?» domandò Laura, sorreggendola.

«Ehi, sveglia! Non farci brutti scherzi!» esclamò Sam, cercando di nascondere la paura.

Laura la scosse gentilmente, sempre più in ansia. Finalmente, con loro immensa gioia, Chloe strinse gli occhi prima di aprirli a fatica e si portò lentamente una mano alla ferita che aveva tra la fronte e la tempia sinistra.

«Che… cosa? Dove sono?» biascicò.

«Chloe! Meno male! Ci riconosci?» chiese Sam.

«Certo che vi riconosco… che è successo? Ero sul dinosauro di Laura e poi non ho capito più niente»

Con l’aiuto di Laura, si mise seduta e si guardò intorno, ancora stordita. Si guardò intorno e, a vedere la frana, il paesaggio vulcanico e il mare in lontananza, cominciò a rimettere insieme i pezzi e a ricordare l’accaduto. Sam le spiegò del diatrima indicando la sua carcassa e Rexar, che si stava ancora leccando via il sangue dalle gengive.

«Oh, capisco… quindi torniamo dagli altri?» chiese Chloe.

Acceber annuì:

«Be’, ora che non siamo più inseguiti potremmo: sono certa che hanno già sistemato gli altri diatrima, visto quanto sono abili! Così potremo tornare indietro uniti»

Allora Sam aiutò Chloe a rialzarsi e, facendo attenzione a non far crollare troppi pezzi del pendio sassoso, tornarono al lato della frana da cui erano venuti e cominciarono la strada per il ritorno. Tuttavia, appena superarono il primo tornante in discesa… cominciò l’Inferno. La terra cominciò a vibrare sotto i loro piedi così forte che per poco non li fece cadere sulle ginocchia. Dalle più profonde viscere del sottosuolo dell’isola del fuoco provenne un rombante tuono che sentirono anche nelle ossa.

«Oh no…» mormorò Acceber, terrorizzata.

«Ehm… è forse quello che penso?» chiese Sam.

«Eruzione!» esclamò Laura.

Il tremore aumentò ulteriormente e, pochi secondi dopo, sentirono un’esplosione provenire dalla cima della montagna. Da lì non potevano vedere le vette, ma notarono comunque due enormi esplosioni di lava che schizzarono verso il cielo, prima di scomporsi in centinaia di gocce incandescenti e ricadere come pioggia. L’esplosione più lontana, che veniva dal cratere più alto e largo, era stata più imponente. Negli istanti successivi, ci furono altri schizzi di lava, seguiti però da grossi frammenti di roccia magmatica che presero a solcare il cielo come comete e a schiantarsi nell’area circostante come se fossero asteroidi. Uno di essi cadde a poco più di centinaia di passi da loro, più a valle, strappando un’imprecazione a Sam.

«Dobbiamo trovare un posto riparato e aspettare la fine dell’eruzione, non è sicuro qui» affermò Acceber.

«E gli altri?» chiese Laura, dubbiosa.

«Non c’è tempo, pensiamo a noi!» replicò l’Arkiana.

Quindi, cercando di sbrigarsi, montarono sulle cavalcature e cominciarono ad esplorare la zona in cerca di un punto dove i lapilli non potevano raggiungerli. Acceber li avvertì anche delle colate che, di lì a poco, avrebbero formato una rete di fiumi di lava in tutta la regione carbonizzata, che avrebbero impedito loro di attraversare gli avvallamenti scavati dal magma quando scendeva verso il mare. Sam osservò un lapillo volare così lontano da cadere in mare e gli venne spontaneo fare un sorrisetto, smorzando la propria tensione dicendo che per i pesci era l’ora della sauna…Anche se Laura gli ribatté che probabilmente non c’erano pesci lì, se dal fondale fuoriuscivano gas vulcanici.

«Era per dire, secchiona!» sbuffò lui.

«Guardate là!» esclamò Chloe.

Si voltarono nella direzione che stava indicando e videro un branco di ienodonti che scappavano lungo un sentiero in salita… verso l’entrata di una caverna. Era chiaro che fossero abituati a rifugiarsi lì dentro dalle eruzioni, visto che sembravano sapere dove stavano andando.

«Ben fatto! Corriamo lì dentro!» esultò Acceber.

Senza esitare, spronarono Rexar e Cupcake e cominciarono a seguire gli ienodonti. Il pachicefalosauro era meno agile a salire sul terreno aspro e irregolare, ma gli bastava seguire a ruota il tilacoleo per capire dove si passava più facilmente. Quando furono in prossimità della grotta, alla loro sinistra notarono uno dei profondi solchi che si riempivano di lava quando i vulcani si risvegliavano. Il punto in cui si trovavano era rialzato e il letto del “fiume” era così profondo che pareva quasi una gola o uno squarcio; proprio in quel momento, l’inizio della colata magmatica iniziava a comparire da dietro una curva e a riempire lentamente l’incavo. Era una vista davvero affascinante: i ragazzi si sarebbero fermati volentieri ad ammirarlo, se solo non stessero rischiando la vita. Un lapillo si schiantò ad una dozzina di metri da loro, sollevando una polverone che li travolse e fece tossire sia loro, che le bestie.

«Merda!» esclamò Chloe.

«Presto, tutti dentro!» gridò Acceber.

Dopo un’ultima, disperata corsa, riuscirono finalmente a varcare l’ingresso della grotta, seguendo quasi a ruota gli ienodonti. Non si vedeva ad un palmo dal naso, una volta dentro. A quel punto, tirando un sospiro di sollievo, i ragazzi si voltarono e presero ad ammirare il panorama dalla bocca della caverna, che si estendeva fino alla spiaggia. Continuarono a fissare la pioggia di lapilli che infuriava, spaventati e ammirati al contempo.

«Bene, adesso che si fa?» chiese Laura.

Acceber fece spallucce:

«Non possiamo fare molto, quindi vi consiglio di riposarvi un po’»

Scese da Rexar e frugò nelle sacche appese alla sua sella, in cerca di paglia e legnetti con cui accendere un fuoco da campo con cui illuminare la grotta. Laura, pensando agli ienodonti, domandò se era il caso di essere preoccupati per loro, perché nell’enciclopedia di Darwin aveva letto che attaccavano i feriti e, dunque, il taglio alla testa di Chloe avrebbe potuto tentarli. La figlia di Drof, però, li rassicurò ricordando loro che Rexar era più che sufficiente per intimidirli.

«D’accordo, allora si aspetta» sospirò Sam, continuando a guardare fuori.

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L’ultimo diatrima cercò di colpire Hei con un salto, ma il velociraptor nero schivò con uno scatto e la Regina delle Bestie ne approfittò per tirare la lancia che aveva preparato dritta fra le costole dell’uccello del terrore, che cadde a terra e si dissanguò gemendo. Gli altri erano già stati uccisi dall’unione tra gli attacchi di Alba, Ippocrate e Usain e i colpi di Helena e Gaius. E così, dopo uno scontro impegnativo, ma non tremendo, i tre autori dei diari riuscirono a liberarsi degli ospiti indesiderati. Non avevano riportato quasi nessuna ferita, tranne Usain che era stato colpito ad una spalla con la punta di un becco che aveva schivato solo in parte: niente di grave, però.

«Ecco fatto. Ora torniamo dagli altri, i vulcani potrebbero attivarsi da un momento all’altro…» sospirò Mei-Yin.

«Gli animalia di questa insula sono davvero aggressivi! Riuscivo quasi a sentire la loro ferocia nelle ossa» commentò Nerva, sorpreso.

«Non c’è da stupirsi, Gaius: è la fame. Le risorse sono difficili da trovare qui e la zona rigogliosa è quasi tutta occupata dall’insediamento, quindi esitano ad andare a caccia lì… - spiegò Helena – Comunque, è ora di andare»

Dunque, seguendo le impronte lasciate dalle cavalcature dei ragazzi e dal diatrima che li aveva inseguiti, si avviarono lungo il sentiero che saliva sul vulcano. Lo percorsero a passo svelto per alcuni minuti in silenzio. Ad un certo punto, però, cominciarono a sentirsi osservati… non riuscivano a capire perché, ma avevano la netta sensazione che qualcosa o qualcuno stesse tenendo gli occhi posati su di loro. Di lì a poco, cominciarono anche a sentire un fischio nell’aria, un suono crescente che due guerrieri come Mei e Nerva avrebbero saputo riconoscere dovunque; anche ad Helena sembrò familiare… prima che un brivido potesse percorrere la schiena della biologa, una freccia che veniva dall’alto si conficcò nel fianco di Hei… e il velociraptor crollò a terra, senza un alito di vita. Prima era vivo, adesso era morto. In una questione di secondi, la stessa sorte toccò anche agli altri velociraptor. I tre autori dei diari rotolavano malamente a terra. Quando si rialzarono, osservarono impietriti le carcasse esanimi dei teropodi, stentando a credere che fosse successo così all’improvviso e così in fretta. La più sconvolta di tutti era Mei: quella scena le era familiare, troppo familiare. Le ricordava il giorno in cui aveva perso Wuzhui, la sua prima bestia domata su ARK ed il suo inseparabile amico, finché la Nuova Legione l’aveva ferito a morte. E adesso, a due anni di distanza, era successo ancora: aveva perso il suo velociraptor e non aveva potuto fare niente per impedirlo.

«Ma cosa... come?» balbettò Helena, così incredula da non essersi ancora riazata.

Mei non la ascoltò: era troppo distratta dalla rabbia che stava cominciando a consumarla, facendola sentire bruciare più del magma che scorreva sotto di loro. Strinse i pugni e i denti, giurando che appena si fosse trovata davanti chiunque avesse tirato quella freccia…

«Ops! Sono stato io? Muhuhuhaha!»

Quando sentirono quella stupida risata, si alzarono e si voltarono di scatto verso l’alto macigno da cui veniva e lo rividero: Mike Yagoobian, l’uomo con la bombetta. Ma questa volta era a cavallo di un bizzarrissimo essere che non sapevano descrivere, una sorta di centauro verde col muso da coccodrillo, le corna da ariete e le ali da pipistrello.

«Tu!» urlò Mei, diventando paonazza.

«Già, sono tornato, seccatori! Credevate che vi avessi perdonati per l’umiliazione a Sidney? Potrete anche esservi salvati dal mio T-rex manipolato mentalmente, ma ora ho un nuovo alleato da un altro universo e voi avrete la giusta punizione! Vero, Doris?»

«Sei consigliato di ordinare a Crar di finirli senza dare loro il tempo di organizzare una difesa» rispose la bombetta, poggiata sulla sua testa.

Mike rise:

«Hahaha! Non vedi che sono spacciati? Ho tutto il tempo…»

«Muori!»

Alla velocità di un fulmine, la Regna delle Bestie prese una lancia dalla sella del povero Hei e lo scagliò verso l’uomo con la bombetta. Ma lo strano essere, rapidissimo, spiegò leali e spiccò un alto balzo: la lancia volò sotto di esso e si spezzò contro le rocce della parete alle sue spalle. Crar tornò a terra e Mike, che si era quasi preso un colpo, si aggiustò la bombetta sul capo con gli occhi strabuzzati.

«Oddio! Che spavento! – esclamò – D’accordo, ve la siete cercata…»

Allora scese dalla schiena del suo bizzarro alleato, che lanciò un buffo grido di battaglia e incoccò un’altra freccia, dopo averne intriso la punta con la sua saliva velenosa. I tre si tennero pronti ad evitare il colpo, coi muscoli tesi, in attesa di scoprire chi sarebbe stato il primo bersaglio. Mike, con la sua solita teatralità, si mise in una posa da militare: piedi coi tacchi uniti, schiena dritta e petto in fuori. Prese fiato, sollevò lentamente l’indice per puntarlo su Nerva e cominciò a formulare a gran voce:

«Crar, come tuo capo e padrone, io ti comando di tirare verso il…»

E fu in quell’esatto momento che il vulcano, interrompendo la sua pagliacciata, si attivò: il suolo prese a vibrare così forte che tutti persero l’equilibrio e dovettero poggiare una mano a terra per non cadere. Si sentirono due esplosioni assordanti, subito dopo le quali le due colonne di fumo dei vulcani diventarono cinque volte più dense, scure e alte. Tutti si voltarono, spaventati, e da quel poco che si vedeva della vetta del vulcano più alto dalla loro posizione poterono ammirare l’inizio della colata di lava che scendeva lungo le pendici, disegnando una rete di fiumiciattoli rossi in mezzo alla roccia grigia.

«Ah! Quest’isola ci vuole morti!» esclamò Mike, osservando lo spettacolo.

Approfittando della distrazione del senzatetto, Mei attirò l’attenzione di Nerva toccandogli un braccio e gli fece segno di passarle la sua lancia, perché lei si era allontanata da Hei quando era barcollata a causa del terremoto e non poteva rischiare di impiegare troppo tempo per riavvicinarglisi e sfilarne un’altra dalle sacche sulla sella. Il Romano, senza pensarci due volte, obbedì e le consegnò la sua arma, mentre Helena li guardava fiduciosa della sua amica. La Cinese cominciò a prendere la mira puntando Crar, sperando di riuscire ad infliggere un colpo mortale al momento giusto. Poco dopo, il visore di Doris lampeggiò di rosso: la bombetta meccanica si staccò dalla testa di Mike e fluttuò in alto, scansionando un punto lontano dell’isola. Quando finì, tornò dal suo proprietario e lo avvertì:

«Mike, si sta verificando un’emergenza»

«Cioè?» chiese lui, senza ricordarsi per nulla di voltarsi verso i suoi “ostaggi”.

«Vicky, Phil e Allan sono in pericolo di vita: sulla riva del lago dove li abbiamo lasciati è cominciata una serie di violenti getti di vapore che emergono del terreno, a causa del contatto tra il magma e la falda acquifera che alimenta il lago nel lato rigoglioso di questo bioma. Necessitano di soccorsi immediati, o potrebbero non essere in grado di sopravvivere»

Mike impallidì e si mise le mani nei pochi capelli che aveva:

«Oh no! Le mie prove viventi che quest’isola esiste! Allora non perdere tempo a spiegarmi come stanno per morire e salvali! Sbrigati!»

«Eseguo in mantinente»

Dunque, la bombetta si allontanò rapidamente, scomparendo oltre il pendio. Helena tirò un sospiro di sollievo: visto che l’ultima volta era stata la bombetta a salvare Mike dalla cattura, adesso che si era separata dal loro pedinatore avevano molte più possibilità di vincere contro quell’imbecille: l’ultimo ostacolo da superare era quel mostro da un altro universo, il quale stava facendo scattare vari campanelli di allarme nella testa della biologa al ricordo del Godzilla nano. Mike, improvvisamente ricordandosi di loro, si rimise nella posa di prima e riprese il suo teatrino:

«Stavo dicendo… ah, giusto. Crar, io ti ordino di…»

ZAC

Appena Crar si voltò assieme a lui, la lancia di Mei gli perforò il petto e fuoriuscì dalla schiena, imbrattando il terreno, i vestiti e la faccia di Mike di viscoso sangue color lavanda. La creatura fissò la guerriera sbarrando i suoi occhioni sporgenti, gorgogliando, lasciò cadere l’arco e si rovesciò su un fianco, dissanguandosi. Mike rimase impietrito, con gli occhi strabuzzati e la bocca paralizzata sul punto di proseguire la frase. Incredulo, si voltò lentamente verso i tre esploratori, senza cambiare espressione. Ora sul volto di Mei-Yin era apparso un abbozzo di sorriso soddisfatto, anche se la sua rabbia non era scemata per niente. Helena si rilassò e si portò le mani sui fianchi, sollevata:

«Sembra che la situazione si sia rovesciata, Yagoobian» affermò.

«Meno male che quell’assurdo equus volans uscito dall’Oltretomba era magis stultus quam te» commentò Nerva.

Mike si pulì la faccia dal sangue violaceo e digrignò i denti, avvolgendosi nella sua giacca di pelle come se fosse in cerca di protezione. Helena guardò gli occhi bramosi di vendetta della Regina delle Bestie e decise di lasciare a lei il compito di stenderlo:

«Adesso sei solo. Solo contro Mei» lo ammonì.

«Ricordati che non è ancora tempo per eum necare» precisò Nerva alla Cinese.

«Solo perché Helena lo vuole vivo non significa che non soffrirà» sibilò Mei.

E così, la guerriera si tolse tutte le armi di dosso e le lasciò a terra, si fece avanti e si sciolse i muscoli e le articolazioni, prima di mettersi in posa da combattimento. Senza un minimo di esitazione, colto da chissà quale illusione di invincibilità, Mike strinse gli occhi in uno sguardo di sfida e saltò giù dal macigno, ritrovandosi a pochi metri dalla sua sfidante. Si arrotolò le maniche della giacca e si sputò sui palmi, prima di sfregarsi le mani e stringere i pugni. Ovviamente, non poté mancare una sceneggiata da baraccone:

«Molto bene, allora combatteremo, uomo bianco contro donna gialla! Guardate come mi avete ridotto… questo è indegno di me! Voi siete indegni di me!»

A quel punto, assunse svariate pose ridicole prese da film di arti marziali di serie B degli anni ’80 e prese a studiare Mei, aspettando la sua prima mossa. La scena era spiazzante: era come se credesse davvero di avere anche solo una possibilità di vincere in un corpo a corpo con lei, come se avesse dimenticato con chi aveva a che fare. Nerva si sbatté una mano in faccia per l’imbarazzo, mentre Helena si coprì la bocca per soffocare una risata:

«Oh no! Stai attenta, Mei: il signor cinquanta chili pelle e ossa ti fa il solletico!» scherzò la biologa.

A Mike caddero le braccia contro i fianchi per la frustrazione:

«Che avete da ridere? Sono serio! Ti straccerò, Mei-Yin-Li, con le mie sole mani! A-ha, ah-hu, wa-chaaaa, ahiii wa-tang! Aiiiiiiiiiiiiiiiii-ya!»

«Certo. Mei, spacca la faccia di questo demente»

«Volentieri» mormorò la guerriera.

Mike scattò in avanti e tentò di tirare un fiacco e goffo sinistro; Mei lo bloccò senza il minimo sforzo afferrandolo con la mano destra e strinse la presa, torcendogli il polso e strappandogli un gemito da femminuccia. Quindi, la donna cinese iniziò una rapida serie di colpi col pugno libero: prima lo colpì ad un occhio, poi alla mandibola e alle costole, facendole scricchiolare, infine sferrò una testata in pieno naso. Lo strattonò per il pugno che teneva ancora stretto e, con una gomitata, gli storse il braccio al centro, facendolo urlare. A quel punto, per concludere quella brevissima lotta vinta in partenza, gli tirò un calcio allo stomaco che lo fece cadere lungo disteso. L’uomo con la bombetta non si mosse più, restando a terra come un sacco di patate: aveva un occhio gonfio, il naso rotto e insanguinato e sei denti in meno per un singolo pugno, perché erano già così cariati e fragili da rompersi con pochissimo. Non riuscì ad alzarsi, non faceva altro che muovere le braccia in modo abbastanza convulso e rantolare parole strascicate e insensate.

«Per favore, Helena, permettimi di continuare – supplicò Mei – Non riesco a sopportare di aver perso di nuovo tutte le cavalcature che ho domato con impegno e fatica per… per mano di questa nullità!»

Nonostante lo sfogo, la sua ira non si era ancora placata. La biologa iniziò a preoccuparsi e decise che era il caso di chiuderla lì: Mike aveva l’aria di essere fragile a livelli penosi, non era il caso di tirare troppo la corda con una tortura gratuita.

«Mei, capisco bene come ti senti, ma…»

«Secondo me non del tutto» protestò l’altra, a denti stretti.

«Nunc sufficit» la riprese Nerva, fissandola torvo e poggiandole una mano sulla spalla per un istante.

La guerriera sembrò in vena di ribattere ancora per qualche momento, ma alla fine tentò di reprimere il suo impulso di vendicarsi e di accontentarsi di quella vittoria: i suoi pugni, finora stretti con tanto vigore che tremavano, alla fine si aprirono e la guerriera smise di serrare i denti. Helena la ringraziò con un sorriso, quindi passò alla fase che aspettava con ansia da quando era approdata su ARK: catturare l’uomo con la bombetta e fargli un altro interrogatorio più fruttuoso. Lo afferrò per i lembi della giacca, gli appoggiò la schiena contro il macigno per farlo rimanere seduto e si accovacciò di fronte a lui per guardarlo in faccia. Lui, tuttavia, non ricambiava lo sguardo: stordito com’era dalle botte, la testa gli ricadeva di lato o in basso e sembrava sul punto di perdere i sensi. Mormorava cose senza senso, strascicando le parole così tanto che non le si distingueva.

«Guardate com’è ridotto! E faceva pure il gradasso…» ridacchiò Helena.

«Immagino che ci debba raccontare una historia interessante su quel centauro verde» ipotizzò Nerva.

«Già. Se non avessimo già scoperto che ARK è connessa in qualche modo ad un Multiverso, forse sarei rimasta traumatizzata… specialmente pensando che sarebbe stato lui a scoprirlo» rispose la biologa.

Pensò di provare a dargli dei ceffoni o di versargli dell’acqua della sua borraccia per farlo riprendere, ma ecco che un nuovo frastuono interruppe tutti: delle esplosioni. Ma quelle non erano il magma che ribolliva e veniva gettato fuori dai camini dei due vulcani in tutta la loro potenza devastante, quelli erano degli scoppi brevi e secchi… delle granate. E provenivano dalla direzione che i ragazzi ed Acceber avevano preso quando il diatrima li aveva inseguiti. Helena si voltò verso i suoi due compagni e ritrovò in loro il suo stesso sguardo preoccupato: che si fossero imbattuti in una minaccia ancora peggiore dei predatori e dell’eruzione? Il nome della possibile minaccia si fece subito largo nelle loro menti.

«Dobbiamo andare a controllare» affermò Nerva.

«Bene, allora andate voi due, io mi occuperò del nostro amico, qui: tanto è fuori gioco»

«D’accordo. Non dimenticare di colpirlo ancora, ogni tanto» rispose Mei-Yin.

Dunque, dopo che la Regina delle Bestie ebbe raccolto di nuovo tutte le sue armi, lei e il centurione partirono di corsa verso il punto da cui provenivano gli scoppi di granata, che continuavano ancora senza cessare. Una volta sola, Helena tornò a concentrarsi sull’uomo con la bombetta rintronato.

“Allora, Yagoobian, come faccio a svegliarti?” si chiese.

Passò diversi minuti cercando in ogni modo di aiutarlo a riprendere i sensi: gli bagnò la faccia, gli schioccò le dita davanti agli occhi, gli sollevò le gambe e le agitò per far circolare il sangue… niente, quei pochi colpi di Mei per lui erano stati così devastanti che sembrava che fosse uscito da una decina di incontri di lotta libera, una cosa di cui Helena non riusciva a capacitarsi. Senza la sua bombetta, quel tizio non valeva davvero un soldo. Le faceva quasi pena, se ci pensava bene. Ma la sicurezza di ARK e del mondo veniva prima e Mike la stava mettendo a rischio: dovevano accertarsi che diventasse innocuo. Finalmente, mentre le esplosioni continuavano, Mike sembrò aprire gli occhi e svegliarsi poco a poco. Helena tirò un sospiro di sollievo, pronta a rimetterlo in riga se gli fossero venute idee stupide mentre lei lo interrogava. Peccato, però, che la natura avesse deciso di mettersi contro di loro ancora una volta: il vulcano rilasciò una seconda colata lavica, la terra tremò ancora. Helena traballò, ma riuscì a mantenersi in equilibrio fino alla fine delle scosse sismiche. Pensò che fosse tutto finito, quando però le parve di sentire il rumore di qualcosa di duro e pesante che rotolava sulle rocce del pendio e si avvicinava sempre di più… levò lo sguardo e vide una scarica di pietre grosse come palle da tennis che rotolavano verso di loro.

«Oh cazzo…» mormorò.

Con tutta l’energia che aveva, cercò di scattare in avanti e mettersi al riparo contro il macigno, accanto a Mike, ma non fece in tempo: uno dei sassi la colpì in testa, stordendola all’istante. Con un gemito, Helena crollò a terra a peso morto, mentre le immagini cominciavano a sfocarsi e sdoppiarsi e tutto diventava nero. Le orecchie le fischiarono e la donna poté sentire il tepore del sangue che cominciava a colare lungo il suo viso dal taglio che la pietra aveva inciso nella sua fronte. Ad un certo punto, subito prima di cedere, riuscì ad udire la risata “malvagia” di Mike e intravide la sua sagoma incespicante che si stagliava di fronte a lei, prima di non poter reggere più e di svenire.

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«Presto, tutti fuori!» esortò Acceber.

Durante la prima fase dell’eruzione, i ragazzi e la figlia di Drof erano rimasti in attesa che il disastro passasse in quella caverna, in compagnia di quegli ienodonti. Inizialmente, tutti loro rimasero immobili e quasi del tutto in silenzio, a parte gli uggiolii degli ienodonti e le fusa nervose di Rexar. Dopo un po’, i tremori finirono e gli ienodonti, annusando l’aria con fare diffidente, uscirono lentamente dalla caverna ignorando il gruppo e scendendo verso la costa. Chloe chiese all’Arkiana se era il caso che lo facessero anche loro; tutti puntarono lo sguardo sulla figlia di Drof, la quale rifletté mordendosi le labbra e maneggiando la collana in TEK di Diana per alcuni secondi, poi si persuase a dire di sì: avrebbero potuto approfittare dell’intervallo di calma tra le varie eruzioni per tornare dagli altri e andare via. Quindi i ragazzi annuirono e, confortando le cavalcature, uscirono dalla grotta. Ma si trovarono di fronte un ostacolo: alcuni canali di lava più a monte erano esondati e adesso i nuovi rigagnoli avevano formato delle nuove ramificazioni superficiali che si univano in nuovi corsi, sbarrando loro la strada: gli ienodonti, spiazzati quando loro, stavano davanti ad un corso di lava tenendo le orecchie abbassate e uggiolando, timorosi.

«Magnifico… non ci voleva!» esclamò Chloe.

«Che ne dite di tornare indietro? Sciogliermi nella lava non è il modo in cui mi piacerebbe morire» disse Sam, asciugandosi il sudore dalla fronte.

«E chi vorrebbe morire così?» domandò la mora.

«Allora torniamo indietro: ho visto della luce in fondo alla caverna, magari c’è un’uscita dall’altro lato!» suggerì Acceber.

«Perché no?» rispose Laura, fiduciosa, accarezzando il collo di Cupcake.

«Qualunque cosa pur di salvarmi da questo Inferno di lava e fumo!» esclamò Chloe.

Così, i quattro rientrarono nella grotta e iniziarono a percorrerla. Si rivelò essere uno stretto corridoio alto e largo qualche paia di metri, senza bivi, che procedeva quasi in linea retta con lievi e dolci salite e discese. La luce menzionata da Acceber era in realtà il Sole (ormai quasi oscurato dalle ceneri che salivano in cielo) che entrava da un’apertura nel soffitto, ma la galleria continuava oltre quel punto e loro proseguirono. Dopo alcuni minuti, raggiunsero un “ponte” di tufo sospeso sopra un fiume di magma sotterraneo che faceva un sacco di luce e produceva ancora più calore, tanto che si sentivano soffocare. Laura ebbe per un attimo la tentazione di guardare giù, ma se ne pentì subito appena il caldo le scottò la faccia come se l’avesse immersa nell’acqua di un pentolino su un fornello acceso: meglio lasciar perdere la roccia fusa in tutti i modi possibili. Le pareti, in quella conca scavata dal magma, erano molto più larghe: si trovavano in una specie di stanza sferica al centro dello stretto corridoio. Guardando ai lati, videro che in dei ripiani scavati nei muri riposavano delle megalanie, enormi varani di caverna dalla saliva velenosa e con robustissimi artigli. Se ne stavano rintanate in quegli incavi, sia per ripararsi dall’eruzione che per godersi il calore della grotta.

«Se vi mordono, vi attaccano la megarabbia: se si avvicinano, scappate!» li mise in guardia Acceber.

«Ehm… megarabbia?» mormorò Sam, sconcertato.

«Ricordo di averla letta nell’enciclopedia! I sintomi sembrano davvero orribili…» commentò Laura.

«OK, non sapevo che esistesse una versione “mega” della rabbia, ma ora lo so e ho ancora più voglia di trovare un posto sicuro» disse Chloe, agitatissima.

Acceber annuì comprensiva, spronando il suo tilacoleo coi talloni per fargli accelerare il passo. Per loro fortuna, quando imboccarono di nuovo il corridoio, raggiunsero una via d’uscita dopo alcune curve, come sperato dalla figlia di Drof. Il paesaggio che videro li rassicurò molto: davanti a loro c’era una discesa poco ripida, coperta da uno strato di morbida cenere profondo tre dita e, in fondo… una distesa verde: prati, cespugli, alberi e stagni. Erano riusciti a tornare alla regione lussureggiante passando sotto l’eruzione, evitando colate di lava, fumate tossiche e piogge di lapilli. Da lì in poi, tornare al villaggio sarebbe stato una passeggiata. Inoltre, vedere il cielo azzurro senza volute di fumo rese il loro sollievo ancora più grande. Se la puzza di zolfo non fosse ancora più pungente che mai, avrebbero avuto voglia di inspirare a fondo e buttare fuori tutta la tensione con dei larghi sorrisi. Laura, però, si perse subito nei suoi pensieri, cominciando a rimuginare sui loro attuali problemi lasciati in sospeso:

“Spero che Helena, Mei-Yin e Nerva capiscano che siamo riusciti a tornare qui… avranno già sconfitto quegli uccellacci? Be’, suppongo di sì: non sembravano in difficoltà. Magari troveranno le nostre tracce e ci seguiranno? Speriamo. Forse ci ritroveremo al villaggio, ma se ci fossero degli imprevisti? Potrei chiedere ad Acceber di tornare a cercarli, se non li rivediamo per troppo tempo”

«Ehi, secchiona! Ti sei incantata? Sei presa a chiederti se i dinosauri si sono estinti a causa dei vulcani?»

La voce distante di Sam la riportò coi piedi per terra, assieme ad un muggito di Cupcake: mentre era distratta, gli altri si erano riavviati senza notare che lei stava ferma e ora erano ad una decina di metri più a valle di lei. Laura si riscosse e spronò il pachicefalosauro, con un sorrisetto imbarazzato mentre preparava la sua solita predica per Sam:

«Per la cronaca, i dinosauri si sono estinti a causa dell’asteroide! E ti dirò di più: in realtà non cadde sulla Terra sessantacinque milioni di anni fa, ma sessanta…»

Prima che finisse e che si ricongiungesse al gruppo, qualcosa di piccolo e rotondo cadde dall’alto e rotolò nella polvere, fermandosi tra lei e gli altri. Tutti lo guardarono, ad occhi sbarrati: sembrava una piccola palla, grande come una da tennis, fatta di legacci di cuoio intrecciati tra loro come elastici. Ma c’era un piccolo oggetto sulla cima della palla, qualcosa che sembrava spezzato, come… come una spoletta. Appena capirono, tutti si sentirono mancare: quella era una granata. Una versione primitiva, improvvisata e realizzata con materiali trovati in natura e lavorati alla meglio, ma restava sempre una bomba a mano. Ed era innescata.

«Merda!» gridò Sam, cercando di afferrare Chloe e gettarsi a terra assieme a lei.

La granata esplose, scaraventando via Sam e Chloe e disarcionando Acceber da Rexar. Sam era riuscito a proteggere Chloe dall’esplosione coprendola col proprio corpo e ora giaceva disteso su un fianco, ancora avvolto a lei. Aveva dolori su tutta la schiena e in una gamba e, quando provò ad alzarsi, ricadde colto di sopresa per le fitte. Chloe si tirò su e sbarrò gli occhi: Sam aveva delle piccole schegge della granata incastrate nella pelle. Non sembravano entrare in profondità nella sua carne, ma erano comunque delle ferite serie. Acceber, incredibilmente, non si era fatta nulla: era confusa e impolverata, ma ancora senza neanche un graffio. Rexar aveva delle schegge nei fianchi e scuoteva la testa perché gli fischiavano le orecchie. Laura era la più lontana, quindi non subì danni, ma Cupcak si spaventò comunque e rischiò di imbizzarrirsi.

«Io… sono… sto bene! Ma come?» farfugliò Acceber, incredula.

Cercando di raccogliere le idee, si ricordò all’improvviso di un dettaglio: la collana di Diana. Se la guardò e vide che la piccola pietra rossa che decorava il ciondolo in TEK era luminosa. L’aveva protetta dall’esplosione come aveva fatto coi pugni di fratello. Suo fratello…

«Oh no...» mormorò, impallidendo, quando capì da dove veniva quella granata.

Poco dopo, uno pterosauro che i ragazzi non avevano ancora visto sull’isola planò verso il basso e atterrò in mezzo a loro: un tropeognato, dal caratteristico becco e con una sorta di balista montata sulla sella. A cavalcarlo, come volevasi dimostrare, c’era Gnul-Iat, con indosso dei semplici abiti di tessuto e armato fino ai denti al punto che sembrava che le sue armi fossero un secondo strato di vestiti. Era insolito che fosse accompagnato solo da una creatura e non da un intero contingente, ma riflettendoci poterono capirne il motivo: inseguendoli in fretta da un’isola all’altra, non aveva avuto tempo di radunare altre bestie. Il Ladro di Innesti guardò prima i ragazzi e poi Acceber con aria di sufficienza:

«Sai, sorellina, dopo tutte le volte che mi sei sfuggita pensavo che non potessi cadere più in basso di così. Ma su quel ghiacciaio è saltato fuori pure che sei diventata invulnerabile all’improvviso! Forse sono talmente furioso che non sono caduto in basso, ma sono tornato al punto di partenza» disse, stizzito.

Sam, stringendo i denti, per il dolore, si mise seduto reggendosi a Chloe e si rivolse ad Acceber:

«Ehi, è normale che parli così tanto?»

Gnul-Iat reagì all’istante: sfilò un piccolo coltello di pietra da una cinghia al polpaccio sinistro e lo lanciò in un lampo, colpendo Sam alla spalla destra. Il rosso gridò e finì di nuovo disteso, stringendosi la spalla ferita senza però togliere la lama.

«Zitto, tu! Ne ho anche per voi tre» minacciò.

«Sam!» esclamò Laura.

Fece galoppare Cupcake dai suoi amici e scese in fretta quando li raggiunse, atterrita, accucciandosi per aiutare Chloe a soccorrere Sam.

La figlia di Drof si alzò in piedi, mentre Rexar si posizionò al suo fianco e si mise in posa offensiva, coi muscoli tesi, le zanne scoperte e le orecchie abbassate, fissando il tropeognato: era pronto a scattare all’attacco da un momento all’altro, attendeva solo un ordine della padrona.

«È me che vuoi, Gnul. Non coinvolgerli» supplicò Acceber.

«Cosa? Sei stata tu a coinvolgerli, viaggiando con loro! Dovresti sapere che chiunque io veda diventa una preda» replicò lui, sprezzante.

Nel frattempo, approfittando della sua distrazione, Laura e Chloe avevano cominciato a trattare le ferite di Sam: avevano tolto le schegge della bomba e il coltellino di pietra e ora stavano tamponando e coprendo e disinfettando le ferite con delle bende e del muco di acatina che Chloe aveva comprato nel villaggio dei Teschi Ridenti. Andavano di fretta a causa della situazione, il trattamento non era affatto perfetto, però era sempre meglio che lasciar perdere le ferite. Mentre loro lo medicavano, Sam teneva d’occhio i due fratelli per vedere se lo psicopatico cercava di attaccare. Appena finirono il trattamento, Gnul-Iat scese dal tropeognato ed emise un fischio: lo pterosauro si alzò in volo e stuzzicò Rexar graffiandogli il dorso con le zampe e beccandogli la testa. Il tilacoleo ruggì e tentò di attaccarlo balzando. Le due creature cominciarono ad allontanarsi, con Rexar che compiva alti salti per prendere il tropeognato e il volatile che saliva e scendeva per schivarlo. Ad un certo punto, raggiunsero la foresta della regione florida e Rexar cominciò ad arrampicarsi sugli alberi per fare salti più alti, continuando però a fallire…

«Acceber, attenta!» esclamò Sam.

La ragazza si era distratta ad osservare il suo leone marsupiale che combatteva, un errore fatale: Gnul-Iat prese altre due granate da una bisaccia che aveva a tracolla, le innescò e le gettò ai piedi della sorella. Lei non ebbe il tempo di fare nulla quando esplosero: fu scaraventata violentemente fino al margine della foresta e rotolò sulla polvere.

«Oddio, no!» gridò Laura, terrorizzata.

Tuttavia, si accorsero presto che ancora una volta le esplosioni non avevano fatto neanche un graffio alla figlia di Drof. L’Arkiana, con le orecchie che fischiavano e vedendoci doppio, si guardò le mani e si toccò i fianchi e le gambe per confermare a se stessa di non essersi fatta nulla, poi guardò la collana TEK: la pietra rossa stava lampeggiando. Dopo qualche secondo smise, ma rimase accesa. Non capiva perché avesse cominciato a proteggerla solo a partire dallo scontro sul Dente Ghiacciato, ma era comunque contenta di quell’invincibilità.

«A quanto pare ho scoperto il tuo trucco…» ghignò suo fratello, intuendo cosa significasse la luce intermittente.

Acceber, sentendosi improvvisamente al sicuro, ebbe un lampo di coraggio e lo fissò a testa alta, sfidandolo:

«Esatto: non puoi più farmi del male. Lanciami contro tutto quello che hai, perderai solo tempo! Qui non c’è neve in cui affondarmi la faccia e soffocarmi!»

«No, ma questo non significa che gli scoppi non ti danno fastidio»

Allora, Gnul si scatenò del tutto: cominciò a prendere rapidamente tutte le granate che aveva e a lanciargliele, anticipando il punto in cui lanciarle quando lei tentava di scappare in una direzione. La figlia di Drof veniva continuamente scaraventata da un punto all’altro con a malapena il tempo di rialzarsi ogni volta, mentre l’area si riempiva di buchi e il polverone si sollevava e si infittiva. Ad un certo punto, Acceber non si rialzò più, troppo stordita.

«Oh, è così che si strapazzerebbero le uova se fossero persone! Prendi queste, stupida allergica alla morte! Sì!» la canzonava Gnul, con gli occhi sgranati e un’espressione da maniaco.

Chloe, che aveva osservato terrorizzata coi suoi amici fino a quel momento, ebbe improvvisamente l’impulso di fare qualcosa: non potevano lasciare che quel sadico torturasse Acceber così. Inoltre, era solo ed era distratto… di colpo, la mora si alzò e iniziò a camminare risoluta verso Gnul-Iat, che le dava le spalle.

«Chloe, no! Che stai…» tentò di fermarla Laura.

L’amica la ignorò. La bionda stava per seguirla, ma Sam la trattenne per un braccio, scuotendo la testa. Gnul era così distratto ad insultare Acceber da non accorgersi della straniera alle sue spalle. Chloe lo toccò alla spalla con un dito per attirare la sua attenzione, per poi sferrare un destro con tutte le sue energie sul naso del pazzo appena si girò a controllare. Gnul sobbalzò, grugnì e fece un passo indietro, perdendo una goccia di sangue da una narice: non si era fatto praticamente nulla. Si pulì il naso e fissò Chloe, quasi stupito. Non ci volle nemmeno un istante perché Chloe fosse di nuovo pervasa dalla paura:

«Ehm…» mormorò.

Subito dopo, Gnul-Iat le tirò un fulmineo pugno alla gola, togliendole il respiro. Chloe sgranò gli occhi quando si sentì come annegare all’improvviso; cadde a terra, tenendosi le mani sul petto e sforzandosi di inspirare, annaspando per riprendersi dalla botta. Laura e Sam si precipitarono da lei, cercando di aiutarla. La misero seduta, poco prima che lei riuscisse finalmente a tornare a respirare normalmente, anche se aveva il fiatone.

«Che ti è saltato in mente?! Quello ti ammazza!» esclamò Sam.

«Infatti, stranieri, è stupido correre in faccia alla morte invece di scappare: così mi rovinate il divertimento» affermò Gnul-Iat, sghignazzando.

Acceber, col respiro ancora affannoso e le orecchie fischianti, strinse i pugni nella polvere e, faticando a causa degli acciacchi dovuti alle onde d'urto, si alzò e si mise in ginocchio, fissando il fratello con odio e amarezza; lasciò andare tutto il suo dolore, perché nonostante tutte le volte che si era già sfogata contro di lui affrontandolo nei giorni precedenti non era mai abbastanza per la sua anima devastata:

«Gnul, tu sei più mostruoso di qualunque animale che vive sull'isola, in confronto a te Zanna Rossa è docile come un mesopiteco... mi vergogno di essere tua sorella! Tu sei pazzo, malato, isterico e perfido!»

Gnul-Iat si strinse nelle spalle, con aria innocente:

«Grazie, ognuno fa quello che può»

Detto ciò, prese l'ultima granata che aveva, la innescò e la lanciò. L’onda d’urto la mandò a sbattere contro l’albero più vicino e la giovane arkiana rimase seduta con la schiena poggiata sul tronco, ad un passo dallo svenimento. A quel punto, con tutta calma, Gnul cominciò ad avvicinarsi a lei; a metà strada, l’attenzione di tutti fu attirata da un ruggito da pantera e si voltarono verso sinistra: Rexar era riuscito a sbranare il tropeognato e ora si stava avvicinando di corsa a Gnul-Iat, scoprendo le zanne. Ma lui aveva previsto che sarebbe successo, era pronto: prese la sua fidata pistola a pietra focaia da una fondina sul fianco e fece fuoco: sparò a terra, a pochi centimetri dal tilacoleo, in modo da spaventarlo. Funzionò, infatti il marsupiale sobbalzò rizzando il pelo sulla schiena, soffiò e si precipitò nella foresta per lo spavento, svanendo tra le piante.

«Rexar…» mormorò Acceber, tentando invano di fermare il tilacoleo.

«Perché non l’ha ucciso? Avrebbe potuto colpirlo da lì!» si domandò Laura, a bassa voce.

«Che ne so? È un malato di mente, a volte non c’è un motivo» le rispose Sam, sussurrando.

Gnul-Iat li sentì confabulare e li fissò minaccioso, prendendo il suo famigerato falcetto, e intimò loro di non osare interromperlo, altrimenti avrebbe aperto le loro pance una ad una dopo aver mozzato le loro mani. I tre restarono in silenzio, limitandosi a scambiarsi sguardi intimoriti nel tentativo di incoraggiarsi a vicenda. Gnul-Iat andò da Acceber, la afferrò per i capelli e la gettò a terra. A quel punto, col falcetto, tagliò la cordicella della collana e gliela sfilò, quindi la sbatté a terra e la pestò col piede in segno di disprezzo.

«Ora niente può salvarti da me, sorellina» sibilò, rigirandola sul dorso per costringerla a guardarlo.

«No!» gridò Laura, sentendosi impotente.

Fece per commettere lo stesso errore di Chloe, ma i suoi amici la bloccarono, ricordandole le minacce appena fatte dall’assassino. Gnul-Iat trascinò Acceber fino a loro, fermandosi a pochi passi dai tre, e tenne sua sorella sollevata per i capelli. La figlia di Drof cominciò a strillare, sia di paura che di dolore, e cominciò a sbracciarsi e scalciare per liberarsi, cercando di graffiarlo e colpirlo per farsi liberare, ma invano. Lui rivolse un sorriso di soddisfazione a Laura, Chloe e Sam e chiese:

«Ditemi, avete mai visto di persona quanto è lungo un intestino? Che ne dite se ve lo faccio scoprire? Dubito che a mia sorella serva obiettare…»

«Lasciami!» strillò lei, quasi piangendo.

«No! Non farlo!» urlarono invece le ragazze.

«Fottiti!» sbraitò Sam, esasperato.

Fu in quel momento, però, che Laura si ricordò di un dettaglio fondamentale: scattò in piedi, prese fiato e fischiò mettendosi due dita in bocca. Tutti si voltarono sgomenti verso di lei, compresi i due fratelli Ydorb. Prima che le chiedessero che diamine stava facendo, sentirono dei passi e un muggito: era Cupcake. Il pachicefalosauro obbedì all’istante all’ordine di attaccare, facendosi passare il panico delle esplosioni che l’aveva tenuto fermo finora, e puntò Gnul tenendo il cranio abbassato. Il Ladro di Innesti, imprecando a denti stretti, gettò di lato sua sorella e poi rotolò nella direzione opposta: il dinosauro passò in mezzo a loro, inchiodando con le zampe quando capì di averli mancati. Gnul-Iat inveì ancora e si sfilò un arco lungo di tracolla, incoccando una freccia in ossidiana e mirando al petto dell’erbivoro. Quando il pachicefalosauro sbuffò e partì di nuovo alla carica, tirò il dardo. A causa della fretta, però, sbagliò la mira e la freccia colpì il cranio a cupola, frantumandosi. Tuttavia, una scheggia entrò nell’occhio di Cupcake di rimbalzo: l’erbivoro gemé dal dolore e inciampò, rotolando goffamente sul terreno cosparso di cenere prima di fermarsi e rimanere disteso su un fianco, ancora confuso.

“Merda! C’era così vicino…!” pensò Laura.

Gnul-Iat si voltò di nuovo verso di loro, questa volta era davvero furioso:

«Adesso avete rotto sul serio, maledetti…» ringhiò.

Anche questa volta, però, fu interrotto… quando una freccia giunta da monte gli trafisse la parte molle della spalla sinistra, rimanendo incastrata nella carne. Gnul-Iat gridò a gran voce per il dolore, mollando l’arco lungo e stringendo la punta della freccia, che sporgeva dal lato anteriore della sua spalla. I tre ragazzi e Acceber seguirono la traiettoria della freccia con lo sguardo, increduli, e tirarono un sospiro di sollievo quando videro da dove veniva quel dardo: in cima al pendio, all’uscita della grotta da cui erano venuti, erano apparsi Mei-Yin-Li e Gaius Marcellus Nerva. La Regina delle Bestie imbracciava la balestra, mentre il centurione brandiva la spada e il suo scudo.

«Sono arrivati! Grandioso!» esultò Chloe, sollevata.

«Bene bene bene, arriva la cavalleria…» commentò Sam, con le mani sui fianchi.

Acceber, invece, mentre i loro due soccorritori scendevano di corsa verso di loro, sorrise e cominciò a fare delle specie di brevi preghiere di ringraziamento ai quattro dèi arkiani nella sua lingua: Laura poteva vedere nel suo sguardo l’immenso sollievo per essere scampata di nuovo, per un soffio, alla follia omicida di Gnul-Iat. Era stato difficile, ma grazie ai loro insistenti diversivi erano riusciti a prendere abbastanza tempo per consentire a Mei e Gaius di giungere sul posto prima che fosse troppo tardi: ora erano salvi e potevano contare su di loro, la ragazza se lo sentiva.

   
 
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