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Autore: sunonthesea    09/11/2020    1 recensioni
Il bosco è da sempre centro dell'immaginario umano: una distesa immensa di alberi che si protraggono in altezza fino a rendere le loro cime invisibili, i rami che paiono mani scheletriche pronte ad afferrare i malcapitati e i sentieri sporchi di foglie, che si contorcono con il solo scopo di far perdere gli ospiti delle fronde.
Ma la cosa che sicuramente fa più paura, in una foresta, è ciò che può nascondere. Come nelle profondità dell'oceano, nessuno può sapere con certezza cosa possa nascondersi in mezzo alle foglie illuminate soltanto dalla luce della luna. Ci sono solo animali innocui, trappole di cacciatori oppure qualcos'altro?
Aziraphale non vede l'ora di scoprirlo.
Genere: Angst, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La luce del primo sole premeva sulle sue palpebre, facendogli sbattere per la prima volta dopo quasi un giorno intero di sonno.

Erano anni che non dormiva per così tanto tempo, era quasi emozionato, nello svegliarsi. Alzò il busto, portando i capelli ramati dietro le orecchie infreddolite e stanche da tutto ciò che aveva sentito. Nel sentire le ossa schioccare come dei legnetti rotti dalla suola di una scarpa, il suo sangue si ghiacciò nelle vene. Prese la sua tracolla con un movimento rapido, facendola penzolare dalla spalla. Era una sensazione nuova. Tutto era nuovo.

-Margot! Margot, esci fuori!- gridò poi, ricordandosi come era arrivato lì, in quel punto della foresta. E soprattutto, con chi. I suoi occhi si spalancarono, mentre incerto faceva i primi passi sul pavimento di foglie. Era scalzo, sentiva ogni cosa sulla sua pelle. -Non...non è divertente-.

Improvvisamente, da un cespuglio, emerse una bambina: era magra, scheletrica quasi, e il nido di capelli scuri le copriva per buona parte il volto coperto di terra. Vestita di stracci, poteva avere sia venti che otto anni, a giudicare dal suo sguardo. -Sono qui- squittì con poca convinzione, avanzando a tentoni verso l'altro. 

Il rosso le corse incontro, stringendola poi al petto. Era come se avesse appena ritrovato una cosa che temeva di aver perso. Sentiva il calore della bambina pervadergli il collo, le dita che correvano nei suoi capelli stopposi, come per provare che fosse davvero lei. -Dio sia lodato...eccoti qui- le strinse le spalle con le dita nodose, osservandola brevemente. L'aveva trascinata con lui, erano forse giorni che non mangiava. -Come stai? Ti sei fatta male da qualche parte?-

Margot scosse la testa, per poi stringere con le piccole e tozze dita la pelle della guancia del ragazzo. -Dov'è la mamma? Ti ha detto dove andava?- la voce tremolava, mentre gli occhi vagavano per la foresta alla ricerca di qualcosa di famigliare. Non era mai andata così lontana da casa sua, la mamma l'aveva sempre proibito.

Nel sentire quelle parole, il sangue di Crowley si gelò nelle sue stesse vene, al solo ricordo dei giorni passati. Sua madre, sua madre, sua madre. Dov'era, quella donna? Perché non era con loro? Ricordi confusi nella sua mente si accalcavano come ubriachi in una rissa da taverna: uomini che entravano in casa, nella loro casa, e subito trascinavano via quella donna. Lui che prendeva la ragazzina in braccio, sentendo il peso di quel medaglione sul collo e della bisaccia sulla spalla. Un'energia non sua nelle vene. Loro due che correvano, i cori e i canti nella piazza principale che riuscivano a vedere solo attraverso il filtro delle fronde.

Erano poche parole, una sola frase: "bruciate la strega".

La strega. Quella donna. La loro madre.

La gola si fece secca in un secondo, al solo pensiero di dover dire la verità alla bambina davanti a lui. Sua madre era morta, era morta, era morta. Non li avrebbe aspettati da nessuna parte, dovevano fuggire. Era questo il loro destino: quello di fuggiaschi.

Ma lui aveva ricevuto ordini precisi, e li avrebbe rispettati anche a costo della vita.

-È andata via- decise di ammettere, un sorriso amaro ad abbellirgli il viso. -Ma staremo bene. vedrai-.

Mentre l'espressione della bambina diventava sempre più confusa, dei passi lenti si sentirono in lontananza, a scrocchiare nelle fronde. Crowley si alzò, sapeva che qualcuno li stava cercando, e l'obiettivo era quello di non farsi prendere. Prese la bambina in braccio, sentendone di nuovo il peso, e la trascinò nuovamente nel fitto della foresta.

 

Si era svegliato sul letto di Aziraphale, sotto lo sguardo di Aziraphale, e con la mano di Aziraphale sulla fronte. Il mal di testa lo stava facendo impazzire, facendogli desiderare di nuovo di tornare a dormire.

Non era pronto per svegliarsi. Non era pronto per ritornare alla realtà. Voleva ancora restare nei suoi ricordi.

-Come stai?- appena gli occhi dell'altro si aprirono, Aziraphale si gettò subito come un'acqua su di lui, iniziando a tempestarlo di domande come al solito.

-Cos'è successo? Dov'è la ragazza?- la sua voce era impastata dal sonno e dalla nausea, ma era in qualche modo vigile, austera come al solito. -Dov'è la ragazza? Dov'è?- si alzò di scatto, per poi sentire nuovamente la mano del biondo freneticamente cercare di farlo tornare sul letto.

-Sei svenuto, hai battuto la testa- il labbro inferiore di Aziraphale stava tremando -e Anatema è andata via da poco-.

Crowley sospirò pesantemente, gettando nuovamente la testa sul cuscino. -Mi hai portato tu qui?- chiese ancora, il tono di chi sapeva già la risposta.

Come aveva previsto, Aziraphale annuì.

-Grazie per avermi preso, allora- si grattò la nuca, lo sguardo sfarfallante, per poi voltarsi sull'altro lato del letto. C'erano così tanti oggetti dall'uso a lui ignoto, così tante cose da vedere e percepire e toccare. C'era così tanto da fare. -Aziraphale- scandì il suo nome con precisione, evitando il contatto visivo.

L'interpellato sospirò paziente, sedendosi ai piedi del rosso. -Chi è Agnes, Crowley? E perché hai reagito così nel vedere Anatema?- la voce era simile a quella di una maestra d'asilo, mentre allungava la mano sulle coperte. Non si aspettava una risposta, ma valeva la pena tentare.

Crowley non rispose, limitandosi a sbuffare.

-Capisco che tu voglia mantenere i tuoi segreti-  continuò, abbassando lo sguardo solo per non incontrare anche solo lontanamente quello dell'altro. -Ma vorrei almeno...-

-Era mia madre- un flebile sussurro si udì nella stanza, assieme ad un breve movimento di coperte. -O meglio, era la donna che mi ha accolto quando nessun altro era disposto a farlo. Mi ha insegnato tutto quello che so e...- prese un profondo respiro, Aziraphale poteva scorgere il petto alzarsi dalle coperte spostate -e quella ragazza le assomiglia davvero molto-.

-È una sua discendente- aggiunse il biondo, lasciando che l'altro si rialzasse seduto sulle coperte. Ogni movimento era studiato, ogni singola cosa dava a lui il senso della fluidità delle spire di una serpe.

-Lo so-.

Vennero inghiottiti da un'imbarazzante silenzio. I due erano soli, il battito della pioggia improvvisa che batteva fuori dalla finestra nel primo pomeriggio. Le gocce risuonavano come un'oscura melodia, cercando di riempire il silenzio che si era creato.

-Io sono riuscito a sentire dell'energia, in lei- le dita del rosso andarono al medaglione, stringendolo nel palmo come a volerlo assorbire nella pelle. -La magia è destinata ad unirsi ad altra magia, è una delle cose che Agnes mi aveva insegnato-. La sua espressione pareva vacua, distratta. Il muro era l'obiettivo dei suoi occhi ambrati, le labbra semichiuse.

Aziraphale rifletté su quelle parole per un secondo: la magia era destinata ad unirsi ad altra magia. Anatema era una strega, era davvero come lui. Allora perché erano così diversi? Perché Crowley era così bello?

-Ma una cosa che non mi spiego è una sola- il monologo del rosso era destinato a continuare, a quanto pare -perché ho incontrato prima te, e non prima lei? Perché mi hai salvato tu e non lei?- il suo tono era quasi rabbioso, il sibilo di un serpente.

Era una gran bella domanda, non c'era nient'altro da dire. Forse troppo diretta, nel tono. Perché il biondo si alzò di scatto, uscendo rapidamente dalla stanza e lasciando il rosso da solo.

 

Perché aveva reagito così? Non lo sapeva nemmeno lui, forse. Non voleva più sentire la sua voce, non voleva più sentire le sue parole. Era orribile, era stupendo. Ma lì aveva toccato il fondo. Forse l'aveva ferito l'ultimo pezzo, l'ultima domanda.

Perché era stato lui a salvarlo, e non lei? Cosa aveva lui di speciale? Perché era arrivato a quel punto? Uno sconosciuto era nella casa che aveva affittato con i suoi guadagni, nel letto dove lui aveva dormito. Uno sconosciuto aveva i suoi vestiti, la sua maglietta di Elton Jonh e i suoi pantaloni. Uno sconosciuto aveva mangiato le sue uova, che lui aveva perfino cucinato.

Uno sconosciuto stava facendo parte della sua vita, e non poteva fare assolutamente nulla. Era davanti al frigorifero, riusciva a malapena ad osservare il suo riflesso in mezzo a tutte le calamite che ne adornavano la facciata metallica. Dio, quanto sembrava patetico. Sua madre gli aveva sempre detto di non fidarsi degli sconosciuti, di non accettare le caramelle dagli sconosciuti. E adesso, cosa stava facendo? Aveva deciso di adottare un mostro, ospitare uno spettro. Una creatura che fino a pochi giorni prima pensava non fosse nemmeno reale.

Era uno sbaglio. Cosa stava facendo? Cosa stava facendo? Ma soprattutto, cosa doveva fare? La stanchezza che percepiva nelle ossa non era minimamente comparabile a quella che sentiva nel cuore. A quella che sentiva nella sua anima. Doveva scacciarlo? Doveva mandarlo via? Era in grado di dire una parola secca, una frase per cacciarlo ufficialmente dalla sua casa e dalla sua vita. Farlo tornare di nuovo nelle nebbie del dubbio, dell'immaginario.

Però, era davvero in grado di fare una cosa simile? Non era mai stato in grado di essere così, era sempre stato un rammollito. Non poteva gridare, non poteva fare la voce grossa. E poi, dove poteva andare quel ragazzo solo come un cane, senza una famiglia e senza altri amici, da secoli considerato come un animale selvatico? Per Crowley non c'era riparo. Per Crowley non c'era casa.

Doveva avere pazienza. Doveva avere pietà.

Ritornò sui suoi passi, un sospiro pesante a lasciare le sue labbra ancora umettate di saliva, e poi cercò di incontrare lo sguardo di Crowley, seduto sul letto ad esaminare i capelli. Alla luce biancastra che entrava dalle finestre, sembravano quasi marroni, senza i riflessi sanguinanti che lo rendevano così etereo.

Cercava di farsi una treccia con le dita sottili, ma il tremore in esse e il sonno rendevano tutto complicato. Sembrava un bambino alle prime armi con un giocattolo, mentre cercava di smontarlo e rimontarlo senza successo. La sua irrequietezza era svelata attraverso gli occhi, che come dei gatti nella notte girovagavano nelle sue orbite.

Aziraphale non poté non tradire un sorriso, mentre si avvicinava al letto. -Vuoi una mano?- propose, allungando le mani con accoglienza. Aveva delle nipoti, sapeva come fare una treccia.

Crowley alzò lo sguardo, scrollando poi le spalle con indifferenza. -Sono capace, grazie- mormorò, gli occhi immediatamente bassi.

-Non mi sembra-

-Devo solo riprenderci la mano-

Dopo aver pronunciato quella frase caustica, il ragazzo ritornò a incastrare le sue dita nei capelli, sperando di riuscire a legarli in qualche modo. Passavano come liquidi sulla sua pelle, senza dare cenno di volersi legare l'un l'altro. Un grugnito di sconforto, seguito da un altro. Il ticchettio dell'orologio al muro  e i profondi sospiri di Aziraphale, i suoi occhi sulla scena come quelli di un'insegnante davanti ad una classe silenziosa.

Continuava a muovere le dita, a grugnire. Continuava a incrociare, legare, mettere assieme. I movimenti rapidi, i piccoli pugni sul materasso dovuti al nervoso. Continuava, continuava e continuava.

-Hai bisogno di una mano, Anthony?- ripropose il biondo, una risatina che lasciava le sue labbra rosate.

Uno sguardo truce a volte può dire più di mille parole.

 

-Non pensavo che fossi così bravo a fare le acconciature- la voce del rosso era alta, estasiata nel sentire le dita tozze del biondo passare attraverso le sue ciocche. Da dove veniva lui era raro che gli uomini sapessero padroneggiare certe abilità.

-Ho delle nipoti, a Londra. Figlie di mia sorella maggiore- rispose l'altro con semplicità, le gambe incrociate sulle coperte. -Quando ero piccolo ho imparato molte cose, sui capelli-.

Le ciocche si stavano raccogliendo sui suoi palmi aperti, una vecchia spazzola che aveva trovato in uno dei cassetti a fare da guida per eliminarne tutti i nodi al suo interno. 

-Capisco- il rosso posò la testa sul ginocchio, beandosi di quel contatto. Erano secoli che nessuno lo sfiorava così, in modo talmente calmo. L'ultima volta che qualcuno gli aveva toccato i capelli non era stata un'occasione molto piacevole.

-Tu avevi dei fratelli? Delle sorelle?- Aziraphale voleva iniziare una conversazione, odiava il silenzio che si creava ogni volta che erano assieme.

-Avevo una sorella, si chiamava Margot- rispose, lo sguardo lontano diretto a chissà quale luogo oltre la porta di legno. Un sorriso malinconico, gli occhi chiari che tradivano l'alone di tristezza che Aziraphale aveva imparato a riconoscere. -Era così dolce, così...pura- una risata amara -l'unica luce in questo mondo di tenebre-.

-Immagino-

-Era curiosa, intelligente. L'ho vista andare via da un giorno all'altro senza nemmeno averle dato il tempo di essere una bambina- la sua voce si incrinava come il vetro posto al gelo. -Era la mia gioia, la mia famiglia- un ultimo sospiro, le lacrime che andavano a sciogliere il sorriso. -E poi, è andata via. È andata via per sempre, mentre io sono qui. Come nostra madre prima di lei, è andata via da me. È andata via da me per sempre- non si accorse di aver trasformato la sua voce in un grosso singhiozzo, le braccia che andavano a richiudersi sulle ginocchia. Quelli che sembravano ruggiti erano solo semplici rantolii tremanti di un ragazzo spaventato, i capelli sfuggiti dalla presa del biondo poiché portati assieme al cranio in mezzo alle esili braccia.

Le lacrime andavano a bagnare il ciondolo scuro, che pareva pulsare come fosse il suo stesso cuore.

-Ehi, ehi- Aziraphale notò l'avanzare della scena con confusione, non capendo come reagire. Avrebbe dovuto sinceramente aiutarlo? Lasciarlo sfogare? Era troppo, era troppo. Ma lui doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa. Si piegò su di lui, cercando di coprirlo con il suo stesso corpo. Era mostruosamente piccolo, in confronto a lui. Così fragile, così minuto. Forse la sua magia riusciva a ricucire le ferite della carne, ma dell'animo...niente riusciva. -Ci sono qui io, va tutto bene-. Sentiva sul petto la sua schiena che si inarcava con i suoi profondi respiri. -Qui sei protetto, qui sei al sicuro-.

Lasciò che le sue lacrime continuassero incessanti, mentre le carezze non si fermavano mai sulla sua nuca. L'aveva capito, ormai.

Sarebbe stato compito suo proteggerlo, da adesso in poi.

   
 
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