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Autore: Restart    09/11/2020    0 recensioni
Caterina vive il suo grande amore con Stefano. Lo sa, è certa che passerà il resto della sua vita al suo fianco. Ma lui se ne va troppo presto. Caterina si sente affondare in una spirale di dolore che rischia di risucchiarla completamente, se non fosse per l'aiuto di Andrea. Insieme cercheranno di affrontare la vita dopo la perdita di Stefano.
Secondo capitolo della serie "Per le vie di Firenze". Trovate la prima parte sul mio profilo.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Andrea ed Eva accennarono all’idea del matrimonio in una mattina di maggio. L’aria era già calda, il sole filtrava dalle persiane scrostate e scolorite dai raggi e dalla salsedine. Eva teneva la testa sul petto di Andrea, ascoltando il ritmo accelerato del suo cuore: era facile percepire la sua tensione, era facile percepire che voleva chiederle qualcosa di importante. Alzò la testa, obbligandolo a guardarla negli occhi color cioccolato. «André, tu ci pensi mai a sposarti?» l’aveva anticipato, fortunatamente. Lui si lasciò scappare un piccolo sospiro di sollievo accompagnato da un debole sorriso.
«La mia prima avventura col matrimonio non è stata proprio il massimo» Eva gli accarezzò la guancia, fermandosi sulla fossetta che segnava la guancia sinistra. «Io non voglio farlo, André. Io non ci credo. È solo un pezzo di carta» Andrea fece passare il suo braccio attorno alla vita nuda della ragazza, avvicinandola ancora di più a sé. Il contatto della pelle morbida di lei sulla sua lo faceva sentire sicuro. Lo faceva stare bene. «Non ci dobbiamo pensare allora» lo disse piano, in un sussurro, un sospiro solo loro. Sarebbero stati bene ugualmente.
*
Luglio 2013
Caterina era seduta sul bordo della piscina, i piedi immersi nell’acqua fresca, il sole che le bruciava la pelle candida, le faceva risaltare le lentiggini sul viso. Con la coda dell’occhio guardò Giacomo steso al suo fianco: la sua pelle si stava scurendo, mettendo in risalto il colore delle iridi. Sembrava un modello uscito da Vogue. Tenevano le mani intrecciate come due giovani innamorati. Il vociare dei bambini faceva loro da sottofondo, insieme al leggero sciabordio dell’acqua della piscina. Erano tutti riuniti a festeggiare i trent’anni di Viola. Erano passati dieci anni dall’ultima volta in cui erano così tanti. Dieci anni. Fu doloroso per Caterina ricordare quanto fosse cambiata la sua vita in una decade. E fu doloroso notare che l’unica persona che mancava era proprio Stefano. Nessuno dei suoi amici era riuscito ad apprezzare ed accogliere appieno Giacomo, non quanto Andrea. Perciò era stato invitato anche lui. Non lo vedeva da un anno e mezzo. Era sempre attento nello scegliere i giorni in cui andare a trovare Giulio e Lucrezia. L’estate precedente li aveva portati con sé una settimana nella sua casa ad Amalfi. Erano tornati contenti, abbronzati e con gli occhi colmi di eccitazione. E quando lo zio aveva promesso loro che li avrebbe portati anche quell’anno, non si erano trattenuti nella gioia.
Caterina si rese conto dell’arrivo di Andrea dai gridolini di Lucrezia. La bambina era schizzata fuori dalla piscina in un lampo e aveva raggiunto le braccia forti dello zio. Lo abbracciò talmente forte da farlo diventare paonazzo. Accanto a lui Eva guardava quella scena con un sorriso smagliante, pieno di emozione. Caterina li guardò da lontano, con un misto di contentezza e di vaga invidia. Erano così belli, così affiatati. Accanto ad Eva, Andrea sembrava perfino più giovane. Era cambiato: i capelli scuri erano più lunghi del solito, una leggera barba copriva il suo viso.
Lui fece finta di non vedere Caterina, ma era la prima persona che aveva cercato con lo sguardo. Era più bella di quanto ricordasse: i capelli schiariti dal sole, l’abito di lino che le arrivava alle ginocchia, il verde degli occhi messo in risalto dai gioielli smaltati di color smeraldo. Cercò in tutti i modi di fermare quell’immagine nella sua mente, preservarla nel tempo.
Si salutarono con due leggeri baci sulle guance. Quel contatto fu sufficiente a riattivare tutti gli scombussolamenti del passato. Ma ormai erano sentimenti appartenenti al passato stesso. Non potevano più riportarli alla luce. Dovevano proseguire nelle loro vite.
*
Mantennero un rapporto discostato, formale per tutto il giorno. Solamente nel primo pomeriggio, quando erano tutti a riposare all’ombra di due grandi querce, poterono conversare da soli, aggiornarsi sulle loro vite. Era strano anche il solo pensare che erano tornati ad essere estranei, dopo aver convissuto per tre anni. Per tre anni avevano imparato ogni aspetto dell’altro, ogni difetto, ogni preferenza. Una parentesi anomala nelle loro vite.
Si erano stesi sulle poltroncine di vimini sotto il pergolato, il profumo della lavanda a circondarli, il leggero chiacchiericcio che proveniva dal giardino misto al cinguettare di alcuni uccellini.
«Come stanno i bambini?» fu Andrea a rompere il ghiaccio: questo sorprese Caterina, visto che lui non lo faceva mai. Doveva essere trascinato in una conversazione. Ma decise di non farci caso.
«Bene, grazie. Anzi, aspettano che tu chieda loro di venire da te» Andrea sorrise, spostando lo sguardo su di lei.
«Per me possono starci tutta l’estate lo sai. Possono venire giù con me ed Eva nei prossimi giorni» una strana eccitazione si avvertiva nella sua voce: sembrava ansioso di dire qualcosa a Caterina. Lei se ne rese conto, rivolgendogli un’occhiata interrogativa.
«Eva è incinta, Caterì. Siamo al settimo cielo» il viso di Andrea sprizzava gioia da ogni punto. Finalmente poteva avere anche lui la famiglia che aveva sempre desiderato. Una famiglia sua, un figlio suo. Si era ripromesso che avrebbe tenuto il segreto finché la compagna non si fosse sentita pronta, ma con Caterina non riusciva a non essere sincero. Lei si spinse in avanti, stringendolo in un abbraccio di sincera gioia. Sentirla nuovamente vicina lo fece stare perfino meglio. Caterina, così stretta a lui si sentì nuovamente sicura. Andrea era il suo porto sicuro. E le ci erano voluti anni per comprenderlo.
*
Eva strinse delicatamente tra le sue dita la piccola mano paffuta e rosea di suo figlio. Sorrise. Non riusciva a quantificare la gioia che sentiva in quel momento, sperando che durasse all’infinito. Era nella sua bolla felice. Andrea la abbracciava, la baciava sul collo, passava il pollice sulla guancia del bambino. Era tutto perfetto. Era tutto perfetto.
Era tutto perfetto.
Se lo ripeté troppe volte.
I contorni si fecero sfumati, la luce sempre più chiara, accecante. Un sogno.
Aprì gli occhi: la mattina era già inoltrata. Sentiva la mano di Andrea stringere debolmente la sua. Non c’era nessun bambino. Non ci sarebbe stato.
L’odore di disinfettante era pungente, il candore attorno a lei, fastidioso. Le lenzuola che le si erano appiccicate addosso erano ruvide, la grattavano la pelle nuda delle gambe. Andrea la guardava con una tale pietà negli occhi che la fece stare perfino peggio. Strinse più forte la mano, cercando di tirarsi su il morale. Per tirarlo su un po’ anche a lui.
«Vuoi qualcosa da bere?» Eva riuscì a malapena annuire piano. Andrea si alzò con delicatezza, facendo attenzione a non svegliare né Giulio né Lucrezia, crollati addormentati addosso a lui.
Quando uscì da quella stanza d’ospedale riprese a respirare in maniera regolare. Il pensiero della notte appena passata lo tormentava, gli faceva venire il voltastomaco. Gli occhi di Eva ricolmi di lacrime, le sue braccia strette al collo, la voce che si faceva così fine, così debole da non riuscire a riconoscerla. Attraversò la via per raggiungere il bar. Mentre aspettava il suo turno chiamò Caterina.
Lei fu svegliata dal suono della sua suoneria. Per la prima volta dopo anni era riuscita a dormire fino a tardi. Pioveva a Firenze, facendo sì che l’aria fosse improvvisamente più fresca, vivibile. Giacomo dormiva ancora profondamente al suo fianco.
«Caterì» la voce di Andrea era spessa, profonda, rauca. Sentì un brivido salirle lungo la schiena, come se percepisse che c’era qualcosa che non andava. «Caterì, devi venire a prendere i bambini il primo possibile»
«Hanno fatto qualche danno? Stanno bene?» Silenzio. Un respiro lungo.
«Loro stanno bene, sì. È stata male Eva stanotte. È meglio se vieni a prenderli, per favore» era facile capire che Andrea era sul punto di crollare, sul punto di lasciarsi andare in pianto.
«Va bene, cerco di arrivare il prima possibile». Andrea chiuse la chiamata. Caterina rimase a fissare la parete vuota davanti a lei. Non era giusto. Non era giusto che per chissà quale scherzo del destino Andrea fosse costretto a soffrire così, ogni giorno sempre di più.
*
A Eva servì molto tempo per recuperare. Non era più la stessa persona. Era diventata un fantasma che si aggirava per i corridoi della casa che condivideva con Andrea. Ma la maggior parte del tempo lo passava seduta al tavolo del terrazzo, guardando il mare e l’orizzonte per lunghissimi pomeriggi. Evitava Andrea in ogni modo: che fosse uno sguardo o una carezza. E per lui era lo stesso. Erano diventati due stranieri che condividevano un tetto, un letto.
Una mattina nessuno dei due trovò il coraggio di alzarsi dal letto. Si davano le spalle, respiravano piano, rimanendo soli nelle loro proprie isole. Ma un singhiozzo interruppe il silenzio: Andrea era crollato. Aveva cercato di soffocare, sperando che il crollo arrivasse più tardi possibile, come era successo con Stefano. Ma era stata proprio la sua storia a farlo sbarellare. Eva, presa alla sprovvista agli inizi, abbracciò il compagno, affondando la testa nell’incavo del collo, cercando di inspirarne il profumo intenso.
«Non possiamo continuare così. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro» lo sussurrò al suo collo, lasciandoglici un bacio leggero. Andrea si limitò a restare in silenzio e osservare il mare che si intravedeva fuori dalla finestra.
«Ti amo» lo disse piano, ma lei sentì alla perfezione. Sorrise, baciandogli la spalla. «Anche io».
*
Febbraio 2014
Andrea si presentò alla casa di Caterina in tarda serata. Erano dieci anni che si conoscevano, erano dieci anni che aveva preso in braccio Giulio per la prima volta. Ora il nipote era cresciuto, era cresciuto somigliando sempre di più al padre di quanto non ci si aspettasse anche solo guardandolo: i capelli chiari e gli occhi verdi erano il calco di Caterina, ma il desiderio di conoscenza, la curiosità erano di Stefano.
Caterina sorrideva con una luce negli occhi che era totalmente nuova. Andrea non la vedeva così felice da anni. Ed era sicuro che non fosse solo per il compleanno del figlio.
La risposta non tardò ad arrivare: l’anello al suo anulare era fin troppo chiaro. Si sarebbe sposata. Si sarebbe sposata di nuovo, a sei anni dalla morte di suo fratello. Avrebbe avuto una nuova famiglia con un altro uomo. Andrea cercò di mostrarsi il più contento possibile per lei. Ma c’era qualcosa che lo tratteneva e sperava che lei non se ne rendesse conto.
Solo tornando a casa il giorno dopo si rese conto quale fosse il problema. Quel sentimento che provava dal primo momento in cui aveva posato gli occhi su di lei era così profondo, così viscerale che non poteva essere catalogato come semplice affezione.
Ma era tardi. A lui non rimaneva altro che guardare la vita di Caterina andare avanti senza di lui.
*
Ma Andrea non poteva comprendere quanto fosse stato difficile per Caterina accettare quella richiesta. Andrea non conosceva il peso che lei si portava dietro, la consapevolezza che Stefano faceva seriamente parte del suo passato, che nel suo presente e futuro ci sarebbe stato un altro uomo. Un’altra esperienza. Caterina sentiva come se stesse tradendo Stefano. L’aveva accettato per timore di ferire i sentimenti di Giacomo, aveva accettato per il timore che sarebbe stata sola per tutta la vita. Era quella la sua paura più recondita, più oscura. Aveva paura della solitudine. C’era sempre stato il marito a riempirle la vita, a riempirle le giornate e ora che lui non c’era, sentiva un vuoto incolmabile.
Solamente in pochi momenti della sua vita da vedova non si era sentita sola. Dei piccoli attimi che custodiva nel suo cuore e che non avrebbe rivelato a nessuno.
Forse Giacomo non era la persona che l’avrebbe aiutata. Forse Giacomo non era la persona giusta. Ma era la strada sicura. E lei sceglieva sempre la strada sicura.
*
Gennaio 2015
Caterina passò la mano sui maglioni di Stefano e cercò di captarne l’odore che nascondevano. Si sentiva a malapena, ma a lei bastava per stare meglio, per sentirsi meno in colpa. Le piaceva credere che il marito la supportasse. Che supportasse la sua intenzione di rifarsi una vita, una vita con un altro uomo. Un altro marito, un’altra casa. Era stato difficile per Giacomo convincerla a lasciare la casa in centro per la sua villa appena fuori Firenze, sulle colline. Gli ci erano voluti mesi. Alla fine, lei aveva ceduto.
Mettere tutto quello che rimaneva di Stefano in qualche scatolone fu un’impresa di indicibile sofferenza. Ogni elemento le ricordava un momento della loro vita insieme, dell’uomo che lui era stato, l’uomo meraviglioso che aveva amato come nessuno mai. Come non avrebbe mai amato nessuno. Quel maglione blu che indossava la prima volta che l’aveva portato agli Uffizi. La camicia bianca che indossava il giorno del primo bacio, il 25 aprile di quindici anni prima. Il completo del matrimonio. I terribili occhiali da vista che si era comprato poco prima dell’uscita del suo primo libro. La giacca che indossava la sera in cui gli aveva detto di essere incinta di Lucrezia. La maglietta che aveva indosso il giorno prima dell’incidente. A quella era particolarmente legata. La prese tra le mani, stringendo forte, proprio come se lui fosse là, davanti a lei. Non si rese conto delle lacrime agli occhi, o forse fece finta di non interessarsene. Avrebbe lasciato quella casa, quelle pareti che nascondevano una vita passata, vissuta accanto all’amore della sua vita.
Con la coda degli occhi, notò una piccola scatola nera nel fondo dell’armadio. Fu una sorpresa immane: in sette anni non si era mai resa conto di quella scatola, nonostante aprisse l’armadio costantemente, giusto per fare un tuffo nel passato, per sognare di avere Stefano davanti a sé.
La presa con le mani che le tremavano. Aveva scoperto un tesoro. Al suo interno c’erano dei quaderni buttati alla rifusa. Dei diari. Tutta la vita di Stefano messa nero su bianco.
Ma quella che vi era raccontata era una storia che lei non conosceva. Una storia d’amore. Una seconda. Una parallela alla propria. L’ultima pagina annotata era del 4 ottobre 2007. Un incontro.
Sentì una ferita lacerarla all’interno. Sperò che fosse tutta un’invenzione, che quel nome fosse solo frutto dell’inventiva del marito. Eppure, era pienamente cosciente che si stava solamente illudendo.
Quell’uomo, suo marito, era uno sconosciuto. «Alla fine ci sei riuscito a farmi male, Ste’» una costatazione terribilmente dolorosa fu quella che uscì dalle sue labbra.
Si perse tra quelle parole per tutto il pomeriggio, soffrendo pagina dopo pagina, parola dopo parola, lasciandosi scivolare il tempo addosso.
Quando fuori era già buio da un pezzo, Caterina riemerse dalla lettura. C’era solo un nome che le ronzava in mente. Marcello. L’altra vita di Stefano. La vita nascosta di suo marito. Ed era pronta a conoscerla.
*
Andrea sentì il telefono squillargli mentre stava uscendo dall’ufficio. Aveva fatto tardi, terribilmente tardi. Si era perso in un mare di carte e non era riuscito a venirne a galla.
«Ciao Andrea, come stai? Puoi parlare? Ti devo chiedere qualcosa di importante» la voce di Caterina era ferma, risoluta. Si era decisa che non avrebbe lasciato trasparire nessuna emozione. Nessuna. A costo di lacerarsi l’interno della bocca.
«Sì, certo, dimmi pure» Silenzio. Caterina stava misurando le parole per evitare di risultare inopportuna.
«Sai chi è Marcello?» questa volta fu Andrea a non rispondere. Il silenzio che si era creato tra loro era inquietante. Andrea sapeva e Caterina ne era certa.
«Caterì, perché vuoi sapere?»
«Andrea, per favore, rispondimi. Non girarci attorno. Voglio un nome, voglio un recapito» la sua voce era estremamente dura, come mai l’aveva sentita Andrea.
«Ok, Marcello era il nostro vicino di casa. Ti posso mandare il suo numero per messaggio. Ma per favore, qualunque cosa tu voglia chiedergli non lo importunare. Comunque io ho il numero di casa sua, non l’ho più visto. Magari cerco di parlare con sua madre, me lo faccio dare»
«Grazie» e chiuse la chiamata.  
Parlare con quell’uomo divenne la sua ossessione per quel giorno, per il giorno dopo, e per tutti quelli successivi. Sapeva che non si sarebbe data pace fino a che non l’avesse visto.
Andrea la richiamò la mattina dopo. «Vive a Roma, ti mando il numero. Mi raccomando Caterì» il suo tono accondiscendente, preoccupato la fece innervosire ancora di più. Respirò a fondo, cercando di soffocare tutti le emozioni sotto uno strato di apatia, durezza.                              
«Non sono una bambina che deve essere accudita Andrea. Mi so gestire. So cosa faccio. Grazie per tutto» la sua voce era diventata spessa, profondamente rauca. Irriconoscibile.
Tutta lei era cambiata negli anni. Aveva perso buona parte dell’insicurezza che aveva a vent’anni. Era una donna cresciuta, matura. Aveva imparato a vivere nel mondo. E non aveva più peli sulla lingua. Per nessuno. Andrea l’aveva realizzato per la prima volta dopo quella chiamata. E la nuova Caterina non gli dispiaceva.
«Va bene, ci sentiamo. Stammi bene Caterì».
   
 
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