Anime & Manga > Yuri on Ice
Ricorda la storia  |      
Autore: Wolstenholme    11/11/2020    5 recensioni
{Otabek/Yuri}
Yuri Plisetsky ha vinto e, dopo numerosi sacrifici, è arrivato il momento di tornare in Russia.
Con una medaglia d'oro nel cuore, e non solo.
Dal testo:
"[...]
Sorrise appena ai ricordi, spostando finalmente lo sguardo sul suo letto sfatto, dove Otabek riposava arrotolato tra le coperte che toccavano terra.
Che Yuri non sentisse quella immane stanchezza dopo la sudata competizione, non era così atipico. I suoi nervi erano ancora intrisi di adrenalina, il suo corpo esile vibrava.
Osservò con attenzione i lineamenti del viso del suo amico: sembravano forti, decisi, a tratti perfino duri, ma quella non era altro che una maschera.
E Dio, se faceva bene. Il mondo comune non merita di vedere davvero chi sei, o quanto meno ne ha diritto solo in parte.
La vera essenza, è per pochi."
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Otabek Altin, Yuri Plisetsky
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

♥ Я хочу быть с тобой 


Se ne stava appollaiato sulla finestra della sua stanza, con le gambe vicine al torace e il mento sostenuto dal palmo della mano destra. Lo sguardo annoiato vagava sulla stradina sterrata sotto la struttura, alla periferia di Barcellona. I capelli biondi e sottili legati in una coda bassa e disordinata, la mano sinistra infreddolita in grembo.
Sbuffò sonoramente, osservando poi il cerchietto, posto sul tavolino basso in legno di noce, con le orecchie da gatto che le sue fans, le Yuri's Angels, gli avevano regalato pochi giorni addietro.
Imposto senza il suo consenso, più che altro, dato che se l'era ritrovate sulla testa e ben ancorate ai capelli senza alcuna possibilità di replica, aimé. Be', poteva sempre considerarlo un portafortuna, seppur non avesse la benché minima intenzione di indossarlo in futuro. Il mondo era fin troppo saturo di finte orecchie pelose da gatto.
Un posto nella sua valigia dalle stampe leopardate, e successivamente sulla scrivania della sua camera a San Pietroburgo, era più che sufficiente per il momento.
Otabek dormiva. Quella sera, dopo la finale del Grand Prix, quasi istintivamente si erano incamminati verso la provvisoria dimora di Yuri, mentre gli altri festaggiavano in un piccolo ristorante locale.
Una medaglia d'oro in una mano, e un dignitoso quarto posto che a stento garantiva a Otabek una piccola coppa dal colore scuro, nell'altra. Non l'avrebbe comunque esibita più del dovuto in pubblico, quei momenti erano suoi e di nessun altro; due interviste non richieste erano abbastanza.
Yuri, in ogni caso, meritava più di chiunque altro la sua lucente medaglia che, complice la luce calda dei lampioni interrati ai lati della stradina, a tratti rifletteva la sua immagine distorta su di essa.
Era importante, certo, ma pur sempre un oggetto.
Non avrebbe posato il sedere su una grossa poltrona, adesso. Quella medaglia d'oro non significava di certo la fine della sua carriera, anzi, ne rappresentava unicamente l'inizio.
Quella medaglia non era lì per essere ammirata, no, aveva l'unico scopo, obiettivo, di spronarlo giorno dopo giorno, mese dopo mese, fino al prossimo campionato mondiale.
Non come faceva quel Yūri, perennemente seduto sugli allori, tsk.
Victor gli aveva comunicato la loro partenza con destinazione San Pietroburgo quella stessa sera.
Era incredibile.
Perfino là, nella sua casa, avrebbe dovuto fare i conti con quel bamboccio con gli occhiali e i capelli che parevano lappati da una mucca. Perché non restare in Giappone, luogo galeotto del loro così profondo interesse? 
Nonostante questo pensiero, Yuri venne cullato per le ore a seguire proprio dalla luce calda e invitante dei lampioni sotto la sua finestra; gli donavano una sorta di protezione, come un abbraccio stretto, sicuro.

Ancora non riusciva a capacitarsi di aver vinto, di aver sbaragliato la concorrenza con la sua bravura ed eleganza, di aver stretto con forza quella medaglia tra le dita magre sul gradino più alto del podio, uno status. Il mondo era in visibilio, sì, ma piuttosto la loro attenzione verteva più su quel lardoso e quel traditore di Nikiforov.
Tutto sommato, aveva intuito una cosa poco tempo dopo il suo ritorno forzato in Russia: Victor con il suo abbandono, per quanto discutibile e in un modo del tutto contorto, desiderava aiutarlo. Inoltre, per lui e per il suo grandissimo ego, che i suoi due allievi più importanti si fossero aggiudicati il primo e il secondo posto, era più che un semplice motivo d'orgoglio. Questo era ormai limpido.
In ogni caso, la folla non ambiva a un mero vincitore; voleva qualcosa in più, come un sentimento appena sbocciato per riempire i loro cuori. Ciò che Yuri non poteva fornirgli, nonostante finalmente avesse compreso il suo Agape.
Di sicuro, il suo comportamento non era tanto eclatante, anzi, le telecamere puntate lo rendevano nervoso.
Eppure, era stato impeccabile. Per questo motivo, la vittoria era stata sua. Lilia e Yakov avevano fatto di lui, un ragazzino immaturo e inesperto, un campione degno di una cazzo di medaglia d'oro, all'età di appena quindici anni.

Sorrise appena ai ricordi, spostando finalmente lo sguardo sul suo letto sfatto, dove Otabek riposava arrotolato tra le coperte che toccavano terra.
Che Yuri non sentisse quella immane stanchezza dopo quella sudata competizione, non era così atipico. I suoi nervi erano ancora intrisi di adrenalina, il suo corpo esile vibrava.
Osservò con attenzione i lineamenti del viso del suo amico: sembravano forti, decisi, a tratti perfino duri, ma quella non era altro che una maschera.
Dio, se faceva bene. Il mondo comune non merita di vedere davvero chi sei, o quanto meno ne ha diritto solo in parte.
La vera essenza, è per pochi.
Infatti, dietro quello sguardo tagliente, quel volto tirato da un'espressione rigida, vi era un amico; un amico che l'aveva sottratto alla furia delle sue discutibili fans, - seppur accadeva non di rado che prendesse le loro difese, specialmente con quel pallone gonfiato di JJ e le sue JJ's Girls - consentendogli di salire sulla sua preziosa moto nera. 

Mai aveva sentito una tale libertà in ogni fibra del suo corpo e della sua mente; il vento fresco tra i capelli che quasi lo obbligava a chiudere gli occhi, alzare il capo al cielo attraverso i palazzi stretti per godersi quella sensazione, il profumo della pioggia tra le narici; una sensazione che nemmeno la campagna russa dove suo nonno lo portava da piccolo sapeva dargli.
Comunque, almeno Otabek dormiva.

Solamente poche ore più tardi e i loro aerei sarebbero decollati da quella terra ricca di tradizione. Yuri nella sua amata Russia e Otabek in Kazakhstan per una pausa dal mondo del pattinaggio di figura.
Sapeva che non l'avrebbe più rivisto fino alla gara successiva, ammesso che Altin riprendesse la sua carriera, che tornasse a essere l'Eroe del Kazakhstan.
Così, balzò giù dalla finestra chiusa, afferrò il suo cerchietto con le orecchie da gatto e calciò la felpa con la stampa della bandiera russa, malamente abbandonata sul pavimento, per poi inginocchiarsi al lato destro del letto, il lato occupato dal ragazzo.
Lo guardò a lungo, prima di posare l'indice sul viso rilassato dell'altro, e chiuse gli occhi. 
Era dannatamente strano.

Delineò lentamente la guancia destra, mentre la sinistra era infossata nel morbido cuscino, poi trascinò il dito a seguire la linea dritta del naso, il contorno occhi e infine si soffermò insicuro e confuso, forse troppo a lungo, sul labbro inferiore.
Di primo acchito, s'era stupito che un suo rivale gli rivolgesse delle parole così amichevoli.
Proprio a lui, così concentrato sul suo lavoro da non perdere tempo con le futili amicizie, né tantomeno con sfidanti da sconfiggere con le sue capacità.
Quella volta, era stato diverso.
Quel discorso, quelle parole, e poi la mano tesa, aspettando la decisione di Yuri.
Si chiedeva, seppur di rado, che sensazione potesse dare una interazione umana non dominata dall'avarizia o dall'invidia.
Forse la risposta era proprio lì, davanti ai suoi occhi verdi adornati da alcune pagliuzze azzurre.

Era così dannatamente… strano, si ripetè.

Quando Otabek aprì le palpebre e rivelò i suoi profondi occhi scuri, non poté non notare la presenza di Yuri così vicino al letto, con la guancia sinistra che riposava sul materasso, gli occhi chiusi e quelle folte e perfette ciglia chiare a fare da cornice.
Parlò, ma solo dopo aver sorriso appena a quell'immagine. “Ti donano, sai?” 
“Uhm?” rispose il biondo con la voce impastata dal sonno, prima di realizzare cosa aveva mormorato l'altro. “Vaffanculo. Non è vero.” continuò, stropicciandosi gli occhi stanchi. “Dormivo?” chiese poi, tirando su la testa confusa. 
“Che dici, micetto?” continuò così, ad osservarlo e provocarlo, tenendo l'avambraccio piegato sotto la testa.
“Smettila!” affermò sbuffando infastidito, prima di far forza sulle ginocchia e alzarsi. Tentativo che fu prontamente fermato da Altin. “Dormi ancora un po', feya” mormorò, senza più alcuna traccia di divertimento nella sua voce.
Dopodiché, con una presa leggera sul polso, lo fece stendere sul letto, facendogli un po' di spazio.
“Ti ho detto di non -” provò a opporsi con un debole e discutibile tentativo. Stare tra le sue braccia è troppo bello, vero?
Infatti, venne zittito prima che potesse completare la frase dal pollice dell'altro sulle sue labbra, e poi dalla mano sinistra che iniziava ad intrecciarsi ai suoi fili dorati, facendogli adagiare il capo nell'incavo del suo braccio. Prima che potesse realizzare, cullato da quei tocchi, richiuse gli occhi e si lasciò finalmente andare.
Prima di riaddormentarsi, percepì chiaramente le labbra morbide di Otabek sul suo collo niveo.
A lui piaceva prenderlo in giro in quel modo, con quegli assurdi soprannomi. E dopotutto, Yuri non ne era così infastidito, seppur non l'avrebbe mai ammesso a alta voce.

La mattina successiva, appena poche ore più tardi in realtà, Yuri si risvegliò ancora tra le braccia dell'altro con un gran mal di testa dovuto all'insonnia. Una volta in piedi, dopo aver sciolto quel contatto, e sulle gambe poco sicure, prepararono le loro valigie in religioso silenzio.
Parlare era uguale a ricordare e, soprattutto, immaginare cosa ne sarebbe stato di loro una volta raggiunte le rispettive città natali, così distanti l'una dall'altra. Un aereo era sufficiente per ricongiungerli, ma nelle loro menti uno scomodo pensiero iniziò prepotentemente a farsi largo: desideravano ancora vedersi?
La tensione della competizione era stata alle stelle, e ognuno aveva bisogno del supporto dell'altro, ma una volta terminata la sfida, l'adrenalina caricata al massimo nelle vene, tutto sarebbe rimasto uguale a… prima? A quando Yuri neanche rammentava il loro primo incontro, al corso estivo di Yakov?
In ogni caso, solamente pochi giorni erano trascorsi, quindi non vi era alcun diritto di illudersi, o crearsi una qualsiasi aspettativa futura.

Poteva accadere, poteva non farlo, la differenza e il confine tra questi due epiloghi rendeva il tutto ancora più pesante.
Alla fine, però, fu Otabek a fare il primo passo verso Yuri.
Più che altro, al termine del checkout e prima di riunirsi con i rispettivi coach e compagni di viaggio, gli posò con forza le mani sui fianchi stretti, attirandolo a sé: nessun centimetro a spezzare quella collisione, il cuore in gola a battere furiosamente e senza sosta.
Un miscuglio di… tutto.
Lo guardò fin dentro l'anima e lo baciò. Un bacio casto, lento, permettendo a entrambi di assaporare il momento.
Il primo.

“Yuri Plisetsky.” disse solamente, prima di posare le mani sulle sue gote accaldate e baciarlo nuovamente, per l'ultima volta.
Il biondo allacciò istintivamente le braccia dietro al suo collo e chiuse gli occhi, senza opporsi, sentendo il suo corpo liquefarsi nel suo nuovo Paradiso personale. Ah, il suo primo bacio superava di molto ciò che riusciva solamente a immaginare: era come morire affogati e salvarsi allo stesso tempo. Otabek era tutto questo.
Poi, lo squillo fastidioso di un cellulare a interrompere quell'attimo. Yuri sentì una stretta allo stomaco e una in gola mai conosciute prima di quel momento.
Credeva fermamente di star per svenire, fino a quando Otabek gli prese una mano nella sua e la strinse forte, confortandolo prima di rispondere e di comunicare in kazako il suo immediato arrivo.

Lasciò l'hotel, e prima ancora la sua mano, alle sue spalle guardandosi indietro solamente una volta, inchiodando ancora il suo sguardo in quello dell'altro, producendo dentro di lui come un'esplosione termochimica.
Sorrise, prima di voltarsi e urlare in direzione di Yūri, che stava gustando uno strano panino. Era perfino sporco sulla fronte, che schifo!
Victor posò una mano sulla sua spalla, prima di sorridergli e iniziare a incamminarsi alla ricerca del primo autobus verso l'aeroporto.
Gli orari di partenza erano così diversi che Yuri incassò il fatto che non avrebbe avuto occasione di vedere un'altra volta Otabek.
Dietro di loro, un po' sorridenti e un po' malinconici, il timido sole di un nuovo giorno faceva capolino all'orizzonte.

 
* *


Atterrò dopo un lungo viaggio all'aeroporto di San Pietroburgo. Aveva i muscoli doloranti a causa della posizione scomoda e le palpebre pesanti.
Dopotutto, si era sorbito le chiacchiere senza logica di Yūri e di Victor al suo fianco.
Sbraitò contro di loro un paio di volte, prima di perdere le speranze e sbuffare. Le loro velate effusioni, oltretutto, erano alquanto disturbanti.
Durante il viaggio di ritorno in taxi verso la sua casa, ripercorse con la mente gli ultimi mesi.
Quando Victor aveva tradito la loro promessa, la terra sotto ai suoi piedi aveva vacillato.
L'idea che un suo connazionale del calibro di Nikiforov l'avesse abbandonato al suo destino per seguire uno sfigato giapponese, a tratti bruciava ancora come un fuoco dentro di lui.
La forza che ne era derivata, messa in pratica poi con Yakov e Lilia proveniva proprio da lì: rabbia.
Non che qualcuno non credesse nelle sue capacità; aveva Yakov, Lilia e suo nonno. Certo, non la schiera di persone di quel porcello, ma non importava: la qualità superava la quantità.
E forse l'idea che proprio Yūri avesse entrambe lo mandava su tutte le furie. Eppure, non poteva certo lamentarsi. Il problema, tuttavia, restava l'atteggiamento di Victor nei suoi confronti.
Se non avesse deciso di seguirlo, di scoprire la sua posizione in Giappone, cosa sarebbe accaduto?
E poi, aveva perso contro Katsuki.
Con un giudice così di parte come Victor, doveva immaginarselo. Eppure, credeva in lui.
Non ne era intimorito, non crollava di fronte alla sua fama.
E mentre lui custodiva ancora la sua medaglia d'oro al riparo, Yūri e Victor esultavano come se avessero vinto l'intera competizione, l'intero mondo.
Una parte remota di lui, lo ringraziava. Il ruolo di Victor nella sua vita era ora ben stabilito.
Il tradimento aveva appiccato un fuoco, una forza imbattibile. Sui pattini e nel cuore.
“Allora, Yurio. Il gatto ti ha mangiato la lingua?” domandò d'un tratto il coach dai capelli argentei.
Scacciò così i suoi pensieri in un angolo lontano della sua memoria e iniziò a battibeccare con entrambi come di consueto.

Quando l'autista giunse alla sua prima destinazione scaricando Yūri e Victor, che lo salutarono calorosamente, tirò un sospiro di sollievo.
Così, in piena tranquillità, la parte restante del viaggio trascorse indisturbata, mentre osservava curioso il paesaggio circostante. Così familiare.
Ciò poteva essere sia positivo sia negativo.
Varcò la porta di casa senza fretta, lasciando la sua valigia in un angolo dell'ingresso. Il gatto gli fece le fusa, muovendosi tra le sue gambe, mentre constatava che il nonno doveva essere fuori casa in quel momento. 
Strano, l'aveva sempre accolto a braccia aperte e senza ritardi al suo ritorno in Russia.
Sospirò, dirigendosi direttamente in camera sua, una volta lanciato le scarpe in un punto imprecisato del corridoio. Cadde sul letto con un tonfo, portando le braccia in alto e distendendo le gambe stanche.
I viaggi in aereo lo distruggevano ogni volta, se in più li trascorreva con i suoi nuovi colleghi, ancor di più assomigliavano a un inferno. 
Per il momento, sapeva che alloggiavano in un hotel poco costoso in città. Bene, almeno erano distanti.
Il silenzio era totale, il suo respiro tranquillo risuonava nella stanza.
Cadde in un sonno profondo poco dopo, con il gatto accoccolato sul suo stomaco e il cappuccio ancora sulla testa. 
I suoi sogni furono confusionari, alternando il ghiaccio ad un paio di occhi scuri e affilati.


* * 


Solamente tre dannate ore più tardi si svegliò e gli venne in mente il suo telefono dalla cover leopardata ancora chiuso nella valigia all'ingresso.
Non l'aveva più riacceso, immerso com'era stato nei suoi pensieri e sogni.
Scese al piano di sotto talmente di corsa che il gatto fu costretto a un balzo improvviso per schivare la sua furia.
“Yuri! Sta' attento!” urlò suo nonno, che nel frattempo era tornato, dalla cucina, intento a cucinare il suo piatto preferito: i piroshki.
“Scusa!” rispose in automatico, oramai totalmente distratto dalla sua missione.
Portò le dita veloci sulla zip e aprì la cerniera della sua valigia, scaraventando vestiti e accessori, tra cui le sue orecchie da gatto ovviamente, ovunque.
In fondo, finalmente lo trovò.
Lo accese in fretta e furia e aspettò che si connettesse alla linea internet.
“Dai, cazzo. Muoviti!” imprecò ad alta voce, mordendosi il labbro.
“Yuri! Modera i termini!” fu ancora ripreso dal nonno, ma a stento percepì la sua voce severa.

Battè nervosamente l'indice sullo schermo, mentre decine e decine di notifiche invadevano il cellulare.
Instagram popolava di post pubblicati dalle Yuri's Angels, che noia. La sua casella di posta elettronica era sul punto di esplodere e facebook era ormai intasato da ore.
Per ultimo, come se dovesse farsi attendere a lungo, un singolo messaggio:
 
 
 
Yura.
 
 
 
Si sedette a terra incrociando le gambe e sorrise, digitando poi la sua risposta.
 
 
  
  
Beka.


* *


Dopo una profonda notte di ristoro e un pasto sostanzioso, uscì di casa e andrò in palestra, allenandosi con una nuova carica, una medaglia d'oro appesa al muro e un biglietto aereo datato lo stesso giorno del mese successivo.


* *



FINE



Spazio autrice:
Ciao a tutti, primo esperimento in questo fandom.
Ho finito da poco l'anime e be', scriverci su era d'obbligo. Soprattutto qualcosa su Otabek e Yuri. Ho pensato a un possibile scenario nella vita di Yuri dopo il finale ed è uscito questo, sì. Non so se sia strano o accettabile.
Spero possa piacervi, che sia abbastanza plausibile e, nel caso, ogni parere a riguardo è ben gradito.
Alla prossima!

Я хочу быть с тобой 





Se ne stava appollaiato sulla finestra della sua stanza, con le gambe vicine al torace e il mento sostenuto dal palmo della mano destra. Lo sguardo annoiato vagava sulla stradina sterrata sotto la struttura, alla periferia di Barcellona. I capelli biondi e sottili legati in una coda bassa e disordinata, la mano sinistra infreddolita in grembo.
Sbuffò sonoramente, osservando poi il cerchietto, posto sul tavolino basso in legno di noce, con le orecchie da gatto che le sue fans, le Yuri's Angels, gli avevano regalato pochi giorni addietro.
Imposto senza il suo consenso, più che altro, dato che se l'era ritrovate sulla testa e ben ancorate ai capelli senza alcuna possibilità di replica, aimé. Be', poteva sempre considerarlo un portafortuna, seppur non avesse la benché minima intenzione di indossarlo in futuro. Il mondo era fin troppo saturo di finte orecchie pelose da gatto.
Un posto nella sua valigia dalle stampe leopardate, e successivamente sulla scrivania della sua camera a San Pietroburgo, era più che sufficiente per il momento.
Otabek dormiva. Quella sera, dopo la finale del Grand Prix, quasi istintivamente si erano incamminati verso la provvisoria dimora di Yuri, mentre gli altri festaggiavano in un piccolo ristorante locale.
Una medaglia d'oro in una mano, e un dignitoso quarto posto che a stento garantiva a Otabek una piccola coppa dal colore scuro, nell'altra. Non l'avrebbe comunque esibita più del dovuto in pubblico, quei momenti erano suoi e di nessun altro; due interviste non richieste erano abbastanza.
Yuri, in ogni caso, meritava più di chiunque altro la sua lucente medaglia che, complice la luce calda dei lampioni interrati ai lati della stradina, a tratti rifletteva la sua immagine distorta su di essa.
Era importante, certo, ma pur sempre un oggetto.
Non avrebbe posato il sedere su una grossa poltrona, adesso. Quella medaglia d'oro non significava di certo la fine della sua carriera, anzi, ne rappresentava unicamente l'inizio.
Quella medaglia non era lì per essere ammirata, no, aveva l'unico scopo, obiettivo, di spronarlo giorno dopo giorno, mese dopo mese, fino al prossimo campionato mondiale.
Non come faceva quel Yūri, perennemente seduto sugli allori, tsk.
Victor gli aveva comunicato la loro partenza con destinazione San Pietroburgo quella stessa sera.
Era incredibile.
Perfino là, nella sua casa, avrebbe dovuto fare i conti con quel bamboccio con gli occhiali e i capelli che parevano lappati da una mucca. Perché non restare in Giappone, luogo galeotto del loro così profondo interesse? 
Nonostante questo pensiero, Yuri venne cullato per le ore a seguire proprio dalla luce calda e invitante dei lampioni sotto la sua finestra; gli donavano una sorta di protezione, come un abbraccio stretto, sicuro.

Ancora non riusciva a capacitarsi di aver vinto, di aver sbaragliato la concorrenza con la sua bravura ed eleganza, di aver stretto con forza quella medaglia tra le dita magre sul gradino più alto del podio, uno status. Il mondo era in visibilio, sì, ma piuttosto la loro attenzione verteva più su quel lardoso e quel traditore di Nikiforov.
Tutto sommato, aveva intuito una cosa poco tempo dopo il suo ritorno forzato in Russia: Victor con il suo abbandono, per quanto discutibile e in un modo del tutto contorto, desiderava aiutarlo. Inoltre, per lui e per il suo grandissimo ego, che i suoi due allievi più importanti si fossero aggiudicati il primo e il secondo posto, era più che un semplice motivo d'orgoglio. Questo era ormai limpido.
In ogni caso, la folla non ambiva a un mero vincitore; voleva qualcosa in più, come un sentimento appena sbocciato per riempire i loro cuori. Ciò che Yuri non poteva fornirgli, nonostante finalmente avesse compreso il suo Agape.
Di sicuro, il suo comportamento non era tanto eclatante, anzi, le telecamere puntate lo rendevano nervoso.
Eppure, era stato impeccabile. Per questo motivo, la vittoria era stata sua. Lilia e Yakov avevano fatto di lui, un ragazzino immaturo e inesperto, un campione degno di una cazzo di medaglia d'oro, all'età di appena quindici anni.

Sorrise appena ai ricordi, spostando finalmente lo sguardo sul suo letto sfatto, dove Otabek riposava arrotolato tra le coperte che toccavano terra.
Che Yuri non sentisse quella immane stanchezza dopo quella sudata competizione, non era così atipico. I suoi nervi erano ancora intrisi di adrenalina, il suo corpo esile vibrava.
Osservò con attenzione i lineamenti del viso del suo amico: sembravano forti, decisi, a tratti perfino duri, ma quella non era altro che una maschera.
Dio, se faceva bene. Il mondo comune non merita di vedere davvero chi sei, o quanto meno ne ha diritto solo in parte.
La vera essenza, è per pochi.
Infatti, dietro quello sguardo tagliente, quel volto tirato da un'espressione rigida, vi era un amico; un amico che l'aveva sottratto alla furia delle sue discutibili fans, - seppur accadeva non di rado che prendesse le loro difese, specialmente con quel pallone gonfiato di JJ e le sue JJ's Girls - consentendogli di salire sulla sua preziosa moto nera. 

Mai aveva sentito una tale libertà in ogni fibra del suo corpo e della sua mente; il vento fresco tra i capelli che quasi lo obbligava a chiudere gli occhi, alzare il capo al cielo attraverso i palazzi stretti per godersi quella sensazione, il profumo della pioggia tra le narici; una sensazione che nemmeno la campagna russa dove suo nonno lo portava da piccolo sapeva dargli.
Comunque, almeno Otabek dormiva.

Solamente poche ore più tardi e i loro aerei sarebbero decollati da quella terra ricca di tradizione. Yuri nella sua amata Russia e Otabek in Kazakhstan per una pausa dal mondo del pattinaggio di figura.
Sapeva che non l'avrebbe più rivisto fino alla gara successiva, ammesso che Altin riprendesse la sua carriera, che tornasse a essere l'Eroe del Kazakhstan.
Così, balzò giù dalla finestra chiusa, afferrò il suo cerchietto con le orecchie da gatto e calciò la felpa con la stampa della bandiera russa, malamente abbandonata sul pavimento, per poi inginocchiarsi al lato destro del letto, il lato occupato dal ragazzo.
Lo guardò a lungo, prima di posare l'indice sul viso rilassato dell'altro, e chiuse gli occhi. 
Era dannatamente strano.

Delineò lentamente la guancia destra, mentre la sinistra era infossata nel morbido cuscino, poi trascinò il dito a seguire la linea dritta del naso, il contorno occhi e infine si soffermò insicuro e confuso, forse troppo a lungo, sul labbro inferiore.
Di primo acchito, s'era stupito che un suo rivale gli rivolgesse delle parole così amichevoli.
Proprio a lui, così concentrato sul suo lavoro da non perdere tempo con le futili amicizie, né tantomeno con sfidanti da sconfiggere con le sue capacità.
Quella volta, era stato diverso.
Quel discorso, quelle parole, e poi la mano tesa, aspettando la decisione di Yuri.
Si chiedeva, seppur di rado, che sensazione potesse dare una interazione umana non dominata dall'avarizia o dall'invidia.
Forse la risposta era proprio lì, davanti ai suoi occhi verdi adornati da alcune pagliuzze azzurre.

Era così dannatamente… strano, si ripetè.

Quando Otabek aprì le palpebre e rivelò i suoi profondi occhi scuri, non poté non notare la presenza di Yuri così vicino al letto, con la guancia sinistra che riposava sul materasso, gli occhi chiusi e quelle folte e perfette ciglia chiare a fare da cornice.
Parlò, ma solo dopo aver sorriso appena a quell'immagine. “Ti donano, sai?” 
“Uhm?” rispose il biondo con la voce impastata dal sonno, prima di realizzare cosa aveva mormorato l'altro. “Vaffanculo. Non è vero.” continuò, stropicciandosi gli occhi stanchi. “Dormivo?” chiese poi, tirando su la testa confusa. 
“Che dici, micetto?” continuò così, ad osservarlo e provocarlo, tenendo l'avambraccio piegato sotto la testa.
“Smettila!” affermò sbuffando infastidito, prima di far forza sulle ginocchia e alzarsi. Tentativo che fu prontamente fermato da Altin. “Dormi ancora un po', feya” mormorò, senza più alcuna traccia di divertimento nella sua voce.
Dopodiché, con una presa leggera sul polso, lo fece stendere sul letto, facendogli un po' di spazio.
“Ti ho detto di non -” provò a opporsi con un debole e discutibile tentativo. Stare tra le sue braccia è troppo bello, vero?
Infatti, venne zittito prima che potesse completare la frase dal pollice dell'altro sulle sue labbra, e poi dalla mano sinistra che iniziava ad intrecciarsi ai suoi fili dorati, facendogli adagiare il capo nell'incavo del suo braccio. Prima che potesse realizzare, cullato da quei tocchi, richiuse gli occhi e si lasciò finalmente andare.
Prima di riaddormentarsi, percepì chiaramente le labbra morbide di Otabek sul suo collo niveo.
A lui piaceva prenderlo in giro in quel modo, con quegli assurdi soprannomi. E dopotutto, Yuri non ne era così infastidito, seppur non l'avrebbe mai ammesso a alta voce.

La mattina successiva, appena poche ore più tardi in realtà, Yuri si risvegliò ancora tra le braccia dell'altro con un gran mal di testa dovuto all'insonnia. Una volta in piedi, dopo aver sciolto quel contatto, e sulle gambe poco sicure, prepararono le loro valigie in religioso silenzio.
Parlare era uguale a ricordare e, soprattutto, immaginare cosa ne sarebbe stato di loro una volta raggiunte le rispettive città natali, così distanti l'una dall'altra. Un aereo era sufficiente per ricongiungerli, ma nelle loro menti uno scomodo pensiero iniziò prepotentemente a farsi largo: desideravano ancora vedersi?
La tensione della competizione era stata alle stelle, e ognuno aveva bisogno del supporto dell'altro, ma una volta terminata la sfida, l'adrenalina caricata al massimo nelle vene, tutto sarebbe rimasto uguale a… prima? A quando Yuri neanche rammentava il loro primo incontro, al corso estivo di Yakov?
In ogni caso, solamente pochi giorni erano trascorsi, quindi non vi era alcun diritto di illudersi, o crearsi una qualsiasi aspettativa futura.

Poteva accadere, poteva non farlo, la differenza e il confine tra questi due epiloghi rendeva il tutto ancora più pesante.
Alla fine, però, fu Otabek a fare il primo passo verso Yuri.
Più che altro, al termine del checkout e prima di riunirsi con i rispettivi coach e compagni di viaggio, gli posò con forza le mani sui fianchi stretti, attirandolo a sé: nessun centimetro a spezzare quella collisione, il cuore in gola a battere furiosamente e senza sosta.
Un miscuglio di… tutto.
Lo guardò fin dentro l'anima e lo baciò. Un bacio casto, lento, permettendo a entrambi di assaporare il momento.
Il primo.

“Yuri Plisetsky.” disse solamente, prima di posare le mani sulle sue gote accaldate e baciarlo nuovamente, per l'ultima volta.
Il biondo allacciò istintivamente le braccia dietro al suo collo e chiuse gli occhi, senza opporsi, sentendo il suo corpo liquefarsi nel suo nuovo Paradiso personale. Ah, il suo primo bacio superava di molto ciò che riusciva solamente a immaginare: era come morire affogati e salvarsi allo stesso tempo. Otabek era tutto questo.
Poi, lo squillo fastidioso di un cellulare a interrompere quell'attimo. Yuri sentì una stretta allo stomaco e una in gola mai conosciute prima di quel momento.
Credeva fermamente di star per svenire, fino a quando Otabek gli prese una mano nella sua e la strinse forte, confortandolo prima di rispondere e di comunicare in kazako il suo immediato arrivo.

Lasciò l'hotel, e prima ancora la sua mano, alle sue spalle guardandosi indietro solamente una volta, inchiodando ancora il suo sguardo in quello dell'altro, producendo dentro di lui come un'esplosione termochimica.
Sorrise, prima di voltarsi e urlare in direzione di Yūri, che stava gustando uno strano panino. Era perfino sporco sulla fronte, che schifo!
Victor posò una mano sulla sua spalla, prima di sorridergli e iniziare a incamminarsi alla ricerca del primo autobus verso l'aeroporto.
Gli orari di partenza erano così diversi che Yuri incassò il fatto che non avrebbe avuto occasione di vedere un'altra volta Otabek.
Dietro di loro, un po' sorridenti e un po' malinconici, il timido sole di un nuovo giorno faceva capolino all'orizzonte.

 
* *


Atterrò dopo un lungo viaggio all'aeroporto di San Pietroburgo. Aveva i muscoli doloranti a causa della posizione scomoda e le palpebre pesanti.
Dopotutto, si era sorbito le chiacchiere senza logica di Yūri e di Victor al suo fianco.
Sbraitò contro di loro un paio di volte, prima di perdere le speranze e sbuffare. Le loro velate effusioni, oltretutto, erano alquanto disturbanti.
Durante il viaggio di ritorno in taxi verso la sua casa, ripercorse con la mente gli ultimi mesi.
Quando Victor aveva tradito la loro promessa, la terra sotto ai suoi piedi aveva vacillato.
L'idea che un suo connazionale del calibro di Nikiforov l'avesse abbandonato al suo destino per seguire uno sfigato giapponese, a tratti bruciava ancora come un fuoco dentro di lui.
La forza che ne era derivata, messa in pratica poi con Yakov e Lilia proveniva proprio da lì: rabbia.
Non che qualcuno non credesse nelle sue capacità; aveva Yakov, Lilia e suo nonno. Certo, non la schiera di persone di quel porcello, ma non importava: la qualità superava la quantità.
E forse l'idea che proprio Yūri avesse entrambe lo mandava su tutte le furie. Eppure, non poteva certo lamentarsi. Il problema, tuttavia, restava l'atteggiamento di Victor nei suoi confronti.
Se non avesse deciso di seguirlo, di scoprire la sua posizione in Giappone, cosa sarebbe accaduto?
E poi, aveva perso contro Katsuki.
Con un giudice così di parte come Victor, doveva immaginarselo. Eppure, credeva in lui.
Non ne era intimorito, non crollava di fronte alla sua fama.
E mentre lui custodiva ancora la sua medaglia d'oro al riparo, Yūri e Victor esultavano come se avessero vinto l'intera competizione, l'intero mondo.
Una parte remota di lui, lo ringraziava. Il ruolo di Victor nella sua vita era ora ben stabilito.
Il tradimento aveva appiccato un fuoco, una forza imbattibile. Sui pattini e nel cuore.
“Allora, Yurio. Il gatto ti ha mangiato la lingua?” domandò d'un tratto il coach dai capelli argentei.
Scacciò così i suoi pensieri in un angolo lontano della sua memoria e iniziò a battibeccare con entrambi come di consueto.

Quando l'autista giunse alla sua prima destinazione scaricando Yūri e Victor, che lo salutarono calorosamente, tirò un sospiro di sollievo.
Così, in piena tranquillità, la parte restante del viaggio trascorse indisturbata, mentre osservava curioso il paesaggio circostante. Così familiare.
Ciò poteva essere sia positivo sia negativo.
Varcò la porta di casa senza fretta, lasciando la sua valigia in un angolo dell'ingresso. Il gatto gli fece le fusa, muovendosi tra le sue gambe, mentre constatava che il nonno doveva essere fuori casa in quel momento. 
Strano, l'aveva sempre accolto a braccia aperte e senza ritardi al suo ritorno in Russia.
Sospirò, dirigendosi direttamente in camera sua, una volta lanciato le scarpe in un punto imprecisato del corridoio. Cadde sul letto con un tonfo, portando le braccia in alto e distendendo le gambe stanche.
I viaggi in aereo lo distruggevano ogni volta, se in più li trascorreva con i suoi nuovi colleghi, ancor di più assomigliavano a un inferno. 
Per il momento, sapeva che alloggiavano in un hotel poco costoso in città. Bene, almeno erano distanti.
Il silenzio era totale, il suo respiro tranquillo risuonava nella stanza.
Cadde in un sonno profondo poco dopo, con il gatto accoccolato sul suo stomaco e il cappuccio ancora sulla testa. 
I suoi sogni furono confusionari, alternando il ghiaccio ad un paio di occhi scuri e affilati.


* * 


Solamente tre dannate ore più tardi si svegliò e gli venne in mente il suo telefono dalla cover leopardata ancora chiuso nella valigia all'ingresso.
Non l'aveva più riacceso, immerso com'era stato nei suoi pensieri e sogni.
Scese al piano di sotto talmente di corsa che il gatto fu costretto a un balzo improvviso per schivare la sua furia.
“Yuri! Sta' attento!” urlò suo nonno, che nel frattempo era tornato, dalla cucina, intento a cucinare il suo piatto preferito: i piroshki.
“Scusa!” rispose in automatico, oramai totalmente distratto dalla sua missione.
Portò le dita veloci sulla zip e aprì la cerniera della sua valigia, scaraventando vestiti e accessori, tra cui le sue orecchie da gatto ovviamente, ovunque.
In fondo, finalmente lo trovò.
Lo accese in fretta e furia e aspettò che si connettesse alla linea internet.
“Dai, cazzo. Muoviti!” imprecò ad alta voce, mordendosi il labbro.
“Yuri! Modera i termini!” fu ancora ripreso dal nonno, ma a stento percepì la sua voce severa.

Battè nervosamente l'indice sullo schermo, mentre decine e decine di notifiche invadevano il cellulare.
Instagram popolava di post pubblicati dalle Yuri's Angels, che noia. La sua casella di posta elettronica era sul punto di esplodere e facebook era ormai intasato da ore.
Per ultimo, come se dovesse farsi attendere a lungo, un singolo messaggio:
 
 
 
Yura.
 
 
 
Si sedette a terra incrociando le gambe e sorrise, digitando poi la sua risposta.
 
 
  
  
Beka.


* *


Dopo una profonda notte di ristoro e un pasto sostanzioso, uscì di casa e andrò in palestra, allenandosi con una nuova carica, una medaglia d'oro appesa al muro e un biglietto aereo datato lo stesso giorno del mese successivo.


* *



FINE



Note:
Ciao a tutti, primo esperimento in questo fandom.
Ho finito da poco l'anime e be', scriverci su era d'obbligo. Soprattutto qualcosa su Otabek e Yuri. Ho pensato a un possibile scenario nella vita di Yuri dopo il finale ed è uscito questo, sì. Non so se sia strano o accettabile.
Spero possa piacervi, che sia abbastanza plausibile e, nel caso, ogni parere a riguardo è ben gradito.
Alla prossima!Я хочу быть с тобой 




Se ne stava appollaiato sulla finestra della sua stanza, con le gambe vicine al torace e il mento sostenuto dal palmo della mano destra. Lo sguardo annoiato vagava sulla stradina sterrata sotto la struttura, alla periferia di Barcellona. I capelli biondi e sottili legati in una coda bassa e disordinata, la mano sinistra infreddolita in grembo.
Sbuffò sonoramente, osservando poi il cerchietto, posto sul tavolino basso in legno di noce, con le orecchie da gatto che le sue fans, le Yuri's Angels, gli avevano regalato pochi giorni addietro.
Imposto senza il suo consenso, più che altro, dato che se l'era ritrovate sulla testa e ben ancorate ai capelli senza alcuna possibilità di replica, aimé. Be', poteva sempre considerarlo un portafortuna, seppur non avesse la benché minima intenzione di indossarlo in futuro. Il mondo era fin troppo saturo di finte orecchie pelose da gatto.
Un posto nella sua valigia dalle stampe leopardate, e successivamente sulla scrivania della sua camera a San Pietroburgo, era più che sufficiente per il momento.
Otabek dormiva. Quella sera, dopo la finale del Grand Prix, quasi istintivamente si erano incamminati verso la provvisoria dimora di Yuri, mentre gli altri festaggiavano in un piccolo ristorante locale.
Una medaglia d'oro in una mano, e un dignitoso quarto posto che a stento garantiva a Otabek una piccola coppa dal colore scuro, nell'altra. Non l'avrebbe comunque esibita più del dovuto in pubblico, quei momenti erano suoi e di nessun altro; due interviste non richieste erano abbastanza.
Yuri, in ogni caso, meritava più di chiunque altro la sua lucente medaglia che, complice la luce calda dei lampioni interrati ai lati della stradina, a tratti rifletteva la sua immagine distorta su di essa.
Era importante, certo, ma pur sempre un oggetto.
Non avrebbe posato il sedere su una grossa poltrona, adesso. Quella medaglia d'oro non significava di certo la fine della sua carriera, anzi, ne rappresentava unicamente l'inizio.
Quella medaglia non era lì per essere ammirata, no, aveva l'unico scopo, obiettivo, di spronarlo giorno dopo giorno, mese dopo mese, fino al prossimo campionato mondiale.
Non come faceva quel Yūri, perennemente seduto sugli allori, tsk.
Victor gli aveva comunicato la loro partenza con destinazione San Pietroburgo quella stessa sera.
Era incredibile.
Perfino là, nella sua casa, avrebbe dovuto fare i conti con quel bamboccio con gli occhiali e i capelli che parevano lappati da una mucca. Perché non restare in Giappone, luogo galeotto del loro così profondo interesse? 
Nonostante questo pensiero, Yuri venne cullato per le ore a seguire proprio dalla luce calda e invitante dei lampioni sotto la sua finestra; gli donavano una sorta di protezione, come un abbraccio stretto, sicuro.

Ancora non riusciva a capacitarsi di aver vinto, di aver sbaragliato la concorrenza con la sua bravura ed eleganza, di aver stretto con forza quella medaglia tra le dita magre sul gradino più alto del podio, uno status. Il mondo era in visibilio, sì, ma piuttosto la loro attenzione verteva più su quel lardoso e quel traditore di Nikiforov.
Tutto sommato, aveva intuito una cosa poco tempo dopo il suo ritorno forzato in Russia: Victor con il suo abbandono, per quanto discutibile e in un modo del tutto contorto, desiderava aiutarlo. Inoltre, per lui e per il suo grandissimo ego, che i suoi due allievi più importanti si fossero aggiudicati il primo e il secondo posto, era più che un semplice motivo d'orgoglio. Questo era ormai limpido.
In ogni caso, la folla non ambiva a un mero vincitore; voleva qualcosa in più, come un sentimento appena sbocciato per riempire i loro cuori. Ciò che Yuri non poteva fornirgli, nonostante finalmente avesse compreso il suo Agape.
Di sicuro, il suo comportamento non era tanto eclatante, anzi, le telecamere puntate lo rendevano nervoso.
Eppure, era stato impeccabile. Per questo motivo, la vittoria era stata sua. Lilia e Yakov avevano fatto di lui, un ragazzino immaturo e inesperto, un campione degno di una cazzo di medaglia d'oro, all'età di appena quindici anni.

Sorrise appena ai ricordi, spostando finalmente lo sguardo sul suo letto sfatto, dove Otabek riposava arrotolato tra le coperte che toccavano terra.
Che Yuri non sentisse quella immane stanchezza dopo quella sudata competizione, non era così atipico. I suoi nervi erano ancora intrisi di adrenalina, il suo corpo esile vibrava.
Osservò con attenzione i lineamenti del viso del suo amico: sembravano forti, decisi, a tratti perfino duri, ma quella non era altro che una maschera.
Dio, se faceva bene. Il mondo comune non merita di vedere davvero chi sei, o quanto meno ne ha diritto solo in parte.
La vera essenza, è per pochi.
Infatti, dietro quello sguardo tagliente, quel volto tirato da un'espressione rigida, vi era un amico; un amico che l'aveva sottratto alla furia delle sue discutibili fans, - seppur accadeva non di rado che prendesse le loro difese, specialmente con quel pallone gonfiato di JJ e le sue JJ's Girls - consentendogli di salire sulla sua preziosa moto nera. 

Mai aveva sentito una tale libertà in ogni fibra del suo corpo e della sua mente; il vento fresco tra i capelli che quasi lo obbligava a chiudere gli occhi, alzare il capo al cielo attraverso i palazzi stretti per godersi quella sensazione, il profumo della pioggia tra le narici; una sensazione che nemmeno la campagna russa dove suo nonno lo portava da piccolo sapeva dargli.
Comunque, almeno Otabek dormiva.

Solamente poche ore più tardi e i loro aerei sarebbero decollati da quella terra ricca di tradizione. Yuri nella sua amata Russia e Otabek in Kazakhstan per una pausa dal mondo del pattinaggio di figura.
Sapeva che non l'avrebbe più rivisto fino alla gara successiva, ammesso che Altin riprendesse la sua carriera, che tornasse a essere l'Eroe del Kazakhstan.
Così, balzò giù dalla finestra chiusa, afferrò il suo cerchietto con le orecchie da gatto e calciò la felpa con la stampa della bandiera russa, malamente abbandonata sul pavimento, per poi inginocchiarsi al lato destro del letto, il lato occupato dal ragazzo.
Lo guardò a lungo, prima di posare l'indice sul viso rilassato dell'altro, e chiuse gli occhi. 
Era dannatamente strano.

Delineò lentamente la guancia destra, mentre la sinistra era infossata nel morbido cuscino, poi trascinò il dito a seguire la linea dritta del naso, il contorno occhi e infine si soffermò insicuro e confuso, forse troppo a lungo, sul labbro inferiore.
Di primo acchito, s'era stupito che un suo rivale gli rivolgesse delle parole così amichevoli.
Proprio a lui, così concentrato sul suo lavoro da non perdere tempo con le futili amicizie, né tantomeno con sfidanti da sconfiggere con le sue capacità.
Quella volta, era stato diverso.
Quel discorso, quelle parole, e poi la mano tesa, aspettando la decisione di Yuri.
Si chiedeva, seppur di rado, che sensazione potesse dare una interazione umana non dominata dall'avarizia o dall'invidia.
Forse la risposta era proprio lì, davanti ai suoi occhi verdi adornati da alcune pagliuzze azzurre.

Era così dannatamente… strano, si ripetè.

Quando Otabek aprì le palpebre e rivelò i suoi profondi occhi scuri, non poté non notare la presenza di Yuri così vicino al letto, con la guancia sinistra che riposava sul materasso, gli occhi chiusi e quelle folte e perfette ciglia chiare a fare da cornice.
Parlò, ma solo dopo aver sorriso appena a quell'immagine. “Ti donano, sai?” 
“Uhm?” rispose il biondo con la voce impastata dal sonno, prima di realizzare cosa aveva mormorato l'altro. “Vaffanculo. Non è vero.” continuò, stropicciandosi gli occhi stanchi. “Dormivo?” chiese poi, tirando su la testa confusa. 
“Che dici, micetto?” continuò così, ad osservarlo e provocarlo, tenendo l'avambraccio piegato sotto la testa.
“Smettila!” affermò sbuffando infastidito, prima di far forza sulle ginocchia e alzarsi. Tentativo che fu prontamente fermato da Altin. “Dormi ancora un po', feya” mormorò, senza più alcuna traccia di divertimento nella sua voce.
Dopodiché, con una presa leggera sul polso, lo fece stendere sul letto, facendogli un po' di spazio.
“Ti ho detto di non -” provò a opporsi con un debole e discutibile tentativo. Stare tra le sue braccia è troppo bello, vero?
Infatti, venne zittito prima che potesse completare la frase dal pollice dell'altro sulle sue labbra, e poi dalla mano sinistra che iniziava ad intrecciarsi ai suoi fili dorati, facendogli adagiare il capo nell'incavo del suo braccio. Prima che potesse realizzare, cullato da quei tocchi, richiuse gli occhi e si lasciò finalmente andare.
Prima di riaddormentarsi, percepì chiaramente le labbra morbide di Otabek sul suo collo niveo.
A lui piaceva prenderlo in giro in quel modo, con quegli assurdi soprannomi. E dopotutto, Yuri non ne era così infastidito, seppur non l'avrebbe mai ammesso a alta voce.

La mattina successiva, appena poche ore più tardi in realtà, Yuri si risvegliò ancora tra le braccia dell'altro con un gran mal di testa dovuto all'insonnia. Una volta in piedi, dopo aver sciolto quel contatto, e sulle gambe poco sicure, prepararono le loro valigie in religioso silenzio.
Parlare era uguale a ricordare e, soprattutto, immaginare cosa ne sarebbe stato di loro una volta raggiunte le rispettive città natali, così distanti l'una dall'altra. Un aereo era sufficiente per ricongiungerli, ma nelle loro menti uno scomodo pensiero iniziò prepotentemente a farsi largo: desideravano ancora vedersi?
La tensione della competizione era stata alle stelle, e ognuno aveva bisogno del supporto dell'altro, ma una volta terminata la sfida, l'adrenalina caricata al massimo nelle vene, tutto sarebbe rimasto uguale a… prima? A quando Yuri neanche rammentava il loro primo incontro, al corso estivo di Yakov?
In ogni caso, solamente pochi giorni erano trascorsi, quindi non vi era alcun diritto di illudersi, o crearsi una qualsiasi aspettativa futura.

Poteva accadere, poteva non farlo, la differenza e il confine tra questi due epiloghi rendeva il tutto ancora più pesante.
Alla fine, però, fu Otabek a fare il primo passo verso Yuri.
Più che altro, al termine del checkout e prima di riunirsi con i rispettivi coach e compagni di viaggio, gli posò con forza le mani sui fianchi stretti, attirandolo a sé: nessun centimetro a spezzare quella collisione, il cuore in gola a battere furiosamente e senza sosta.
Un miscuglio di… tutto.
Lo guardò fin dentro l'anima e lo baciò. Un bacio casto, lento, permettendo a entrambi di assaporare il momento.
Il primo.

“Yuri Plisetsky.” disse solamente, prima di posare le mani sulle sue gote accaldate e baciarlo nuovamente, per l'ultima volta.
Il biondo allacciò istintivamente le braccia dietro al suo collo e chiuse gli occhi, senza opporsi, sentendo il suo corpo liquefarsi nel suo nuovo Paradiso personale. Ah, il suo primo bacio superava di molto ciò che riusciva solamente a immaginare: era come morire affogati e salvarsi allo stesso tempo. Otabek era tutto questo.
Poi, lo squillo fastidioso di un cellulare a interrompere quell'attimo. Yuri sentì una stretta allo stomaco e una in gola mai conosciute prima di quel momento.
Credeva fermamente di star per svenire, fino a quando Otabek gli prese una mano nella sua e la strinse forte, confortandolo prima di rispondere e di comunicare in kazako il suo immediato arrivo.

Lasciò l'hotel, e prima ancora la sua mano, alle sue spalle guardandosi indietro solamente una volta, inchiodando ancora il suo sguardo in quello dell'altro, producendo dentro di lui come un'esplosione termochimica.
Sorrise, prima di voltarsi e urlare in direzione di Yūri, che stava gustando uno strano panino. Era perfino sporco sulla fronte, che schifo!
Victor posò una mano sulla sua spalla, prima di sorridergli e iniziare a incamminarsi alla ricerca del primo autobus verso l'aeroporto.
Gli orari di partenza erano così diversi che Yuri incassò il fatto che non avrebbe avuto occasione di vedere un'altra volta Otabek.
Dietro di loro, un po' sorridenti e un po' malinconici, il timido sole di un nuovo giorno faceva capolino all'orizzonte.

 
* *


Atterrò dopo un lungo viaggio all'aeroporto di San Pietroburgo. Aveva i muscoli doloranti a causa della posizione scomoda e le palpebre pesanti.
Dopotutto, si era sorbito le chiacchiere senza logica di Yūri e di Victor al suo fianco.
Sbraitò contro di loro un paio di volte, prima di perdere le speranze e sbuffare. Le loro velate effusioni, oltretutto, erano alquanto disturbanti.
Durante il viaggio di ritorno in taxi verso la sua casa, ripercorse con la mente gli ultimi mesi.
Quando Victor aveva tradito la loro promessa, la terra sotto ai suoi piedi aveva vacillato.
L'idea che un suo connazionale del calibro di Nikiforov l'avesse abbandonato al suo destino per seguire uno sfigato giapponese, a tratti bruciava ancora come un fuoco dentro di lui.
La forza che ne era derivata, messa in pratica poi con Yakov e Lilia proveniva proprio da lì: rabbia.
Non che qualcuno non credesse nelle sue capacità; aveva Yakov, Lilia e suo nonno. Certo, non la schiera di persone di quel porcello, ma non importava: la qualità superava la quantità.
E forse l'idea che proprio Yūri avesse entrambe lo mandava su tutte le furie. Eppure, non poteva certo lamentarsi. Il problema, tuttavia, restava l'atteggiamento di Victor nei suoi confronti.
Se non avesse deciso di seguirlo, di scoprire la sua posizione in Giappone, cosa sarebbe accaduto?
E poi, aveva perso contro Katsuki.
Con un giudice così di parte come Victor, doveva immaginarselo. Eppure, credeva in lui.
Non ne era intimorito, non crollava di fronte alla sua fama.
E mentre lui custodiva ancora la sua medaglia d'oro al riparo, Yūri e Victor esultavano come se avessero vinto l'intera competizione, l'intero mondo.
Una parte remota di lui, lo ringraziava. Il ruolo di Victor nella sua vita era ora ben stabilito.
Il tradimento aveva appiccato un fuoco, una forza imbattibile. Sui pattini e nel cuore.
“Allora, Yurio. Il gatto ti ha mangiato la lingua?” domandò d'un tratto il coach dai capelli argentei.
Scacciò così i suoi pensieri in un angolo lontano della sua memoria e iniziò a battibeccare con entrambi come di consueto.

Quando l'autista giunse alla sua prima destinazione scaricando Yūri e Victor, che lo salutarono calorosamente, tirò un sospiro di sollievo.
Così, in piena tranquillità, la parte restante del viaggio trascorse indisturbata, mentre osservava curioso il paesaggio circostante. Così familiare.
Ciò poteva essere sia positivo sia negativo.
Varcò la porta di casa senza fretta, lasciando la sua valigia in un angolo dell'ingresso. Il gatto gli fece le fusa, muovendosi tra le sue gambe, mentre constatava che il nonno doveva essere fuori casa in quel momento. 
Strano, l'aveva sempre accolto a braccia aperte e senza ritardi al suo ritorno in Russia.
Sospirò, dirigendosi direttamente in camera sua, una volta lanciato le scarpe in un punto imprecisato del corridoio. Cadde sul letto con un tonfo, portando le braccia in alto e distendendo le gambe stanche.
I viaggi in aereo lo distruggevano ogni volta, se in più li trascorreva con i suoi nuovi colleghi, ancor di più assomigliavano a un inferno. 
Per il momento, sapeva che alloggiavano in un hotel poco costoso in città. Bene, almeno erano distanti.
Il silenzio era totale, il suo respiro tranquillo risuonava nella stanza.
Cadde in un sonno profondo poco dopo, con il gatto accoccolato sul suo stomaco e il cappuccio ancora sulla testa. 
I suoi sogni furono confusionari, alternando il ghiaccio ad un paio di occhi scuri e affilati.


* * 


Solamente tre dannate ore più tardi si svegliò e gli venne in mente il suo telefono dalla cover leopardata ancora chiuso nella valigia all'ingresso.
Non l'aveva più riacceso, immerso com'era stato nei suoi pensieri e sogni.
Scese al piano di sotto talmente di corsa che il gatto fu costretto a un balzo improvviso per schivare la sua furia.
“Yuri! Sta' attento!” urlò suo nonno, che nel frattempo era tornato, dalla cucina, intento a cucinare il suo piatto preferito: i piroshki.
“Scusa!” rispose in automatico, oramai totalmente distratto dalla sua missione.
Portò le dita veloci sulla zip e aprì la cerniera della sua valigia, scaraventando vestiti e accessori, tra cui le sue orecchie da gatto ovviamente, ovunque.
In fondo, finalmente lo trovò.
Lo accese in fretta e furia e aspettò che si connettesse alla linea internet.
“Dai, cazzo. Muoviti!” imprecò ad alta voce, mordendosi il labbro.
“Yuri! Modera i termini!” fu ancora ripreso dal nonno, ma a stento percepì la sua voce severa.

Battè nervosamente l'indice sullo schermo, mentre decine e decine di notifiche invadevano il cellulare.
Instagram popolava di post pubblicati dalle Yuri's Angels, che noia. La sua casella di posta elettronica era sul punto di esplodere e facebook era ormai intasato da ore.
Per ultimo, come se dovesse farsi attendere a lungo, un singolo messaggio:
 
 
 
Yura.
 
 
 
Si sedette a terra incrociando le gambe e sorrise, digitando poi la sua risposta.
 
 
  
  
Beka.


* *


Dopo una profonda notte di ristoro e un pasto sostanzioso, uscì di casa e andrò in palestra, allenandosi con una nuova carica, una medaglia d'oro appesa al muro e un biglietto aereo datato lo stesso giorno del mese successivo.


* *



FINE



Note:
Ciao a tutti, primo esperimento in questo fandom.
Ho finito da poco l'anime e be', scriverci su era d'obbligo. Soprattutto qualcosa su Otabek e Yuri. Ho pensato a un possibile scenario nella vita di Yuri dopo il finale ed è uscito questo, sì. Non so se sia strano o accettabile.
Spero possa piacervi, che sia abbastanza plausibile e, nel caso, ogni parere a riguardo è ben gradito.
Alla prossima!
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yuri on Ice / Vai alla pagina dell'autore: Wolstenholme