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Autore: EleWar    14/11/2020    7 recensioni
Se la vita è un manga, noi siamo i protagonisti... L'ho già detto vero? Bene, allora viviamo i nostri sogni e divertiamoci con con poco!
Genere: Comico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Nuovo personaggio, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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In attesa di proseguire con i capitoli della long in corso, e di lanciare un’altra shot (ne ho terminata un’altra ancora ieri sera…) vi propongo questa. L’ennesima incursione/escursione nel mondo della fantasia, proprio quando la RL incombe sul tutto. E’ una storiellina senza pretese, scritta per puro divertimento e condivisa con voi. ^_^ Buona lettura EleWar


Breve premessa di Briz65
Ah, beh, cosa volete che vi dica? Ci siamo ricascate! Dopo la faccenda della scopa, (Vedi fanfiction “Della scopa scomparsa, ritrovata e altri misteri", by EleWar) anche stavolta complici due chiacchiere via Whatsapp mentre lavavo una stramaledetta scala, ecco che la superfervida fantasia della nostra Ele si è scatenata... Una sciocchezzuola, forse, che però io ho trovato molto divertente. È sempre piacevole far parte di sogni e fantasie come questi! Ma… saranno davvero sogni?
Quindi, bando alle ciance, e vi lascio a fare due risate, con un'altra shottina della nostra amata amica pazzerella! Ah, Ele… grazie, ovviamente, per avermi gentilmente presa in giro anche qui!
Buona lettura a tutte/i!
Briz65 😊


LA SCALA
 
La ragazza bionda, come tutte le settimane già da un po’, si recava sempre nello stesso palazzone di inizio novecento a svolgere un lavoro ripetitivo e noioso, ma necessario.
 
Il palazzo sorgeva incastonato in una teoria di costruzioni, risalenti tutti allo stesso periodo, che testimoniavano fasti da belle epoque, e che ora, ristrutturati, offrivano gli agi di abitazioni moderne complete di tutti i comfort, e la ragazza, molto prosaicamente, vi andava per… pulire la scala interna.
 
Le cinque rampe di scale, con i gradini in marmo e i corrimani metallici, non erano poi così tanto faticosi da pulire, non fosse altro che quell’incombenza capitava alla fine di una dura giornata di lavoro, per giunta disseminata di tante piccole rogne.
 
La bionda sospirò.
 
Ancora un’ultima rampa di lavaincera, e finalmente avrebbe potuto riprendere la via di casa, dove già pregustava di leggersi in santa pace fan fiction sui suoi beniamini preferiti.
 
Andava sempre alla stessa ora, sul tardo pomeriggio perché quello era il momento in cui gli abitanti generalmente erano già tutti rientrati e quindi non c’era pericolo che transitassero sopra i gradini bagnati, vanificando il suo operato.
 
Ad ogni piano occhieggiavano alle pareti curiosi quadretti raffiguranti vecchie locandine di film noir, e scalino dopo scalino, scendendo o salendo, ne compitava a mezza voce i titoli, e cercava di ricordarsi la trama, il cast, se lo avesse mai visto almeno una volta, se le fosse piaciuto.
Era un modo come un altro per distrarsi e rendere meno tedioso quel compito in solitaria, che ripeteva ormai meccanicamente senza tanto starci a pensare.
A volte faceva le voci, imitando Bogart o la Garbo e, se si ricordava una battuta epica, si fermava e la recitava alla stessa maniera, per poi scoppiare a ridere da sola.
Più di una volta aveva pensato che quel suo manga giapponese, di cui andava tanto matta, rifacesse il verso a quelle atmosfere noir, che però venivano puntualmente dissacrate dalla scena successiva, comica demenziale, che la faceva ridere come una scema.
Di certo il fumettista lo faceva apposta, quasi a voler dire che, nonostante i drammi della vita, non dovremmo prenderci troppo sul serio…
 
Quel pomeriggio era sceso il buio prima del solito, e la ragazza bionda, pur non vedendo bene dalle finestrelle lungo la scala, valutò che probabilmente ciò fosse dovuto ai nuvoloni che si stavano addensando sopra i cieli di R.
 
Ci mancava solo che piovesse! E addio alla scala pulita!
 
La bionda stava giusto scendendo la terza rampa quando, soffermandosi per l’ennesima volta a rimirare la locandina del film “Les enfants du paradis”, un vecchissimo film francese, andò via la luce di colpo.
 
“Ma che caz…” imprecò la ragazza, ma non fece in tempo a dire altro che si udì un tuono spaventoso rimbombare fuori e dentro la tromba delle scale.
Bene, ci mancava solo il temporale con tanto di blackout, visto che, nonostante i suoi occhi si fossero abituati all’oscurità, dalle strette finestre giungeva solo un tenue lucore, segno che anche le luci dei lampioni di fuori, erano saltate.
 
Stava già ragionando se scendere o salire, quando avvertì chiaramente una presenza alle sue spalle sovrastarla, e una bassa voce maschile intimarle all’orecchio destro:
 
“Chi sei?”
 
Quelle parole inattese, dure e minacciose, oltre a sentirsele vibrare dentro la cassa toracica le fecero venire la pelle d’oca, e fu quasi sicura che le si stessero rizzando i biondi capelli sulla testa dal terrore e dallo stupore.
Ma quando percepì la lieve ma decisa pressione sulla schiena, di qualcosa che aveva tutta l’aria di essere un oggetto metallico, si sentì morire, e assurdamente pensò che fosse la canna di una pistola.
 
La bionda era sull’orlo dello svenimento, quando la porta davanti a lei si spalancò, inondandola con il suo chiarore.
Istintivamente si portò una mano agli occhi, a ripararsi dal riverbero; non fece in tempo a capacitarsi di come quell’appartamento fosse comunque illuminato, che si sentì afferrare per un braccio da qualcuno che proveniva da dentro, mentre una dolce voce femminile ammoniva:
 
“Falcon, tesoro! Così spaventi la cliente!”
 
Cliente? Quale cliente?” si disse la bionda; lì c’erano solo appartamenti privati e non le risultava che ci fosse una qualche attività che presupponesse dei clienti.
 
Nel frattempo la ragazza bionda era già dentro quello che aveva tutta l’aria di essere un bar, o un locale simile, perché c’era un lungo bancone scintillante con degli alti sgabelli davanti, divanetti, tavolini e un’enorme vetrata nella parte opposta da dove era entrata lei!
E, soprattutto, fuori c’era il sole!
Sembrava mezzogiorno!
Ma com’era possibile?
 
Incredula, spostò lo sguardo sulla donna che l’aveva fatta entrare: indossava, sopra un’ampia felpa a righe orizzontali con tanto di collo a barchetta, un grembiule a pettorina, su cui era disegnato il musetto di un gatto stilizzato.
Non riuscì però a leggerne il nome in inglese, che di nuovo sentì quella presenza inquietante, e si voltò di scatto.
Si trovò a fissare un gigante pelato con occhiali scuri e baffetti, che indossava una tuta mimetica che, valutò, lei avrebbe potuto usare come tenda per andarci in campeggio in montagna, e ai piedi calzava lucidi anfibi che avrebbe visto bene ai piedi di Dumbo.
 
“Miki” disse l’armadio a muro, che sapeva evidentemente anche parlare, rivolto alla graziosa ragazza vestita da barista “l’ho trovata che gironzolava qui fuori”
 
“Ma-ma… io-io… veramente… gironzolare?” balbettò la bionda.
E mentre la sua fronte grondava di sudore freddo, indecisa se lasciarsi affascinare dal sorriso benevolo della barista o cedere alla tremarella che quel soldato in mimetica le stava provocando, si sentì un forte schianto e voltò di scatto la testa terrorizzata.
 
“Signorinaaaaaaaaaaa…! Ma che meravi…” e poi, non si sa come, apparve dal nulla un mega martello di legno massello che andò a schiantarsi sull’essere umano di sesso maschile che era appena entrato di corsa nel locale.
 
Nel giro di pochi secondi, la ragazza bionda era stata sopraffatta da una sorpresa dietro l’altra, e ogni volta che stava per riprendersi da una, ecco che ne arrivava un’altra ancora più sconvolgente.
 
Si sentì la gola improvvisamente  secca e, nemmeno le avesse letto nel pensiero, la bella barista, prendendola gentilmente per un braccio le disse:
 
“Venga, le offro un tè”
 
Ma la ragazza bionda non riusciva a staccare gli occhi da quel groviglio umano che ancora si dimenava sotto quel martello di svariate tonnellate, indicate con vernice bianca sul legno, come se fosse necessario specificarlo; stava assurdamente per andare in soccorso del povero sventurato quando si ritrovò davanti una bellissima donna, in minigonna e giacchino, con i corti capelli dai riflessi ramati, che, affannata e rossa in viso, prese ad inveire contro l’uomo:
 
“Ryo! Sei sempre il solito macaco in calore! Non cambierai mai!”
 
“Ka-Kaori-chan lo sai che amo solo te! È che ho visto entrare questa bella ragazza bionda, per giunta occidentale… dai dai ti prego, perdonami” piagnucolò quello che, sparito il martello così come era comparso, rivelò le fattezze di un giovane uomo attraente, in giacca celeste, maglia rossa e attillati pantaloni neri, che con occhi innamorati guardava questa certa Kaori-chan.
 
La nostra ragazza bionda non sapeva più cosa pensare: quei due erano così belli insieme, sembravano per giunta così innamorati, e soprattutto lui era così così… improvvisamente le sue ghiandole salivari iniziarono una super produzione e pensò che se non si fosse data una calmata, avrebbe avuto bisogno di un rotolone industriale, uno di quelli che usava quando puliva i vetri della… scala!
Ma certo!
Cosa ci stava facendo lì?
Non stava giusto passando il mocio quando…?
 
“Lasciati guardare, Darling… i tuoi capelli biondi mi fanno pensare alla mia natia California…”
 
“Kaori, prestami un martello per favore…” si sentì un’altra voce femminile, e la nostra bionda, già avviluppata dalle braccia possenti di un affascinante uomo dallo sguardo ipnotico, di un blu intenso, riuscì a malapena a voltarsi in direzione della nuova arrivata, che l’uomo l’aveva già spinta addosso alla rossa che, svelta, l’aveva afferrata al volo prima che si sbilanciasse e cadesse a terra.
 
“Kazue, luce dei miei occhi, ma che avevi capito???” ridacchiò l’uomo dal forte accento americano “È che non è così frequente incontrare persone occidentali e allora…”
 
“Sì sì, certo, come no?” rispose con aria sarcastica la donna che, evidentemente, rispondeva al nome di Kazue.
 
“Non faccia caso a loro” disse la rossa alla nostra bionda, ancora tenendola fermamente per le braccia, dopo che Mick gliel’aveva gettata contro “Piuttosto, è lei che ci ha lasciato un XYZ alla stazione?” le chiese dolcemente.
 
“A-alla stazione? Ma-ma io sono venuta in macchina, con la mia Wolkswagen Up” riuscì ad articolare quella.
 
In mezzo a quell’atmosfera surreale si sentì tintinnare un campanellino, e tutti i presenti si voltarono in direzione della porta; anche la nostra girò la testa nella stessa direzione, curiosa di vedere quale altro strambo personaggio sarebbe entrato in scena.
E stavolta fece il suo ingresso una donna affascinante, fasciata in un tailleur violetto che le strizzava le curve esasperandole: avanzava dondolando su alti tacchi a spillo e, quando fu ad un passo dagli uomini, con un gesto deliberatamente sensuale si scostò un ciuffo di capelli che negligentemente le ricadeva sull’occhio.
 
“Buona sera gente!” emise con la sua voce flautata.
 
La sua sola apparizione aveva provocato un’ondata di eccitazione generale, soprattutto nei due uomini più affascinanti e, a giudicare dal comportamento, più suineggianti del gruppo; le loro donne li tenevano a bada a stento.
La nuova arrivata si diresse direttamente dalla nostra ragazza bionda e, regalandole un sorriso abbagliante e malizioso insieme, le disse:
 
“Benvenuta. Sei nuova di questi parti?”
 
“Io-io… veramente…. Starei… cioè… verrei… da… lì” e farfugliando indicò la porta da cui era entrata, all’esterno della quale era ancora convinta si trovasse la sua scala.
 
“Non farti fregare da Saeko” la mise in guardia la rossa.
 
“Già, ti ricordi che mi devi ancora un sacco di bottarelle?” aggiunse il moro fascinoso, che in quel momento era uno strano mix di bellezza e perversione.
 
“Ragazzi, calma, calma. È così che accogliete una vecchia amica?” rispose la donna con aria fintamente angelica, per poi aggiungere: “E comunque lo sapete, mi basta un nulla e vi faccio arrestare tutti”
 
E questa sarebbe una poliziotta?” si chiese fra sé e sé la nostra bionda.
 
Poi successe una cosa strana, perché nonostante splendesse il sole, si udì chiaramente il rombo di un tuono temporalesco e, istintivamente, la nostra ragazza bionda si voltò verso la porta chiusa che aveva alle spalle, quella da cui non era più tanto sicura di essere venuta.
E in quel momento tutto il mondo ripiombò nell’oscurità più totale, fino a quando un lampo saettante ridisegnò i contorni della scala, con i suoi gradini di marmo e i corrimano in metallo; per un attimo il quadretto appeso al muro risaltò sul bianco della parete.
La bionda sbatté più volte gli occhi, sconvolta, fino a quando la corrente elettrica ritornò brutalmente ad illuminare la scala e l’unica persona che vi fosse in quel momento.
 
Eppure la ragazza sentiva ancora premere sulla schiena la canna di una pistola…
Lentissimamente ruotò su sé stessa per controllare che non vi fosse di nuovo quel gigante spaventoso, e quando si accorse che era invece il manico della scopa (della scopa!!!) che era caduta dalle scale e si era incastrata chissà come fra il muro e la sua schiena, proruppe in una risata isterica che la sconquassò tutta.
 
A quel punto la porta di fronte si aprì di nuovo e la bionda trattenne il fiato.
Una testolina bianca, fresca di messa in piega, fece capolino e una vecchina le sorrise benevola:
 
“Ah, è lei?” chiese, “Perché ho sentito delle voci…”
 
Signora mia, sapesse quelle che ho sentito io!” pensò ironicamente la nostra; ma le rispose:
 
“Sì, ero io… stavo ascoltando un messaggio vocale… di una mia amica…”
 
“Un voca… cosa?”
 
“Niente, niente, parlavo da sola” tagliò corto la bionda.
 
E quando la donnina si richiuse la porta alle spalle, tirò un sospiro di sollievo.
Poi però non poté impedirsi di ripensare alla strana avventura che aveva vissuto… ma… l’aveva vissuta veramente, o era stato un brutto scherzo che le aveva giocato la sua immaginazione?
Per la sua sanità mentale decise di non approfondire e che non ne avrebbe fatto parola con nessuno; ci mancava solo che la prendessero per visionaria!
E si ripromise di far analizzare quel lavaincera che chissà cosa conteneva veramente!
Di sicuro le esalazioni erano tossiche, sì sì sì.
 
E sentendo la pioggia scrosciare di fuori, pensò che questa proprio non ci voleva, ma quando abbassò gli occhi e vide il gradino davanti a lei, con su un’enorme pedata di quello che poteva essere un anfibio numero 51, come minimo, esclamò a voce alta:
 
“Eh, che cazzo! Ho appena lavato la scala!”



 
   
 
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