Crossover
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Autore: Registe    15/11/2020    3 recensioni
Quarta storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
La guerra tra l'Impero Galattico e la famiglia demoniaca si è conclusa, ma non senza un costo. Vi è una cicatrice profonda che attraversa mondi e persone, le cambia, rimane indelebile a marchiare i frammenti di tutti coloro che hanno la fortuna di essere ancora vivi. Qualcuno decide che è il momento giusto per partire, cercare di recuperare qualcuno che si è perso. Qualcuno decide di dimenticare tutto e lasciarsi il passato alle spalle.
Qualcun altro decide invece di raccogliere i frammenti di una vita intera e metterli di nuovo insieme, forse nella speranza che lo specchio rifletta qualcosa di diverso.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Film, Libri, Videogiochi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 10 - "The things we do for love"







Cos Sheev Palpatine








“Sono ridicola”.
“Smettila” sussurrò Jango, dandole il braccio. “Sei bellissima”.
Zam si morse il labbro per evitare che la coppia di anzellan in marsina potesse sentire il suo sospiro. Sospiro che sarebbe uscito probabilmente più simile ad un fischio strozzato, perché l’abito che aveva indosso le stringeva all’altezza del petto e le avvolgeva entrambe le gambe fin sotto le ginocchia. Con quell’affare ogni passo si stava rivelando un’agonia, specie perché le decorazioni ingioiellate all’altezza delle caviglie erano connesse con tanta precisione ai suoi sandali che dubitava che sarebbe riuscita a scioglierle da sola senza bisogno di una vibrolama.
Il ristorante non era ancora pieno, ma i tavoli pieni del più sontuoso buffet che avesse mai visto erano già pronti. Se fino a quel momento aveva creduto che nel palazzo di un Hutt si potesse trovare qualsiasi tipo di leccornia della Galassia, lo spettacolo che si parò davanti ai suoi occhi era qualcosa di inimmaginabile: l’intero piano era stato diviso in tre settori, uno dedicato ai pianeti del Nucleo, uno all’Orlo Intermedio ed uno all’Orlo Esterno, separati tra loro da delle fontane con luci al neon che mutavano colore non appena un invitato metteva piede nell’area. Il personale non prevedeva droidi, e soltanto inservienti umani si muovevano con grazia tra un tavolo all’altro, con dei gesti così affettati che non facevano sentire affatto la mancanza dei loro colleghi meccanici. Un gruppo di almeno dieci rhodiani si alzò dal tavolo per avvicinarsi ad una vasca dove un inserviente prese con delle enormi pinze dei molluschi ancora bagnati, li sgusciò nei loro piatti e vi aggiunse sopra una strana salsa.
Jango aveva prenotato uno dei tavoli migliori, accostato all’immensa parete di vetracciaio.
Il loro committente non aveva badato a spese.
Si sedettero, entrambi con lo sguardo perso nel settore A di Coruscant.
A quell’altezza nemmeno gli speeder volavano quasi più. Più in basso si poteva scorgere il viavai di veicoli che sfrecciavano nel traffico serale, ma a quell’altezza soltanto alcuni droni diplomatici fluttuavano tra un piano all’altro con le luci spente per non disturbare il panorama mozzafiato che soltanto l’élite di Coruscant poteva gustarsi. I grattacieli erano studiati per illuminare le finestre ad intervalli regolari, e Zam sapeva che vi erano persino ingegneri pagati per organizzare per i livelli alti giochi di luce sempre diversi. Le facciate dei palazzi non erano più tappezzate da olografie pubblicitarie al neon, ed in alcune aree di ristoro si aprivano persino dei balconi con intere aree verdi. Alla loro destra, le indicò Jango, fluttuava a migliaia di chilometri dal terreno un intero parco costruito su una piattaforma ad impulsi senza emettere la minima oscillazione; oltre, riconoscibile per le alte guglie bianche, svettava il Tempio Jedi.
Ancora oltre, distante ma ben visibile in linea d’aria, la sagoma di uno dei palazzi senatoriali si stagliava nel tramonto artificiale. Zam si passò un dito all’altezza dello zigomo, quasi a simulare un gesto vezzoso, e la microcamera innestata nella lente a contatto che Jango le aveva detto di indossare si attivò. Per un attimo l’ingrandimento eccessivo la fece sobbalzare, ma quando guardò oltre la facciata di vetracciaio il palazzo senatoriale era diventato enorme, quasi vi si fosse trovata davanti con lo speeder.
Jango fece un gesto analogo, ed entrambi si ritrovarono a fissare l’edificio. Lui le prese la mano, accarezzandola come ormai faceva da anni.
Un gesto delicato che avrebbe scoraggiato qualsiasi cameriere dall’avvicinarsi ad una coppia teneramente intenta a fissare la magnificenza della capitale della Galassia da uno dei luoghi più costosi e panoramici esistenti.
“Gli alloggi della senatrice Amidala occupano tutto il piano 3012” fece lui. Lei tamburellò di nuovo le dita vicino all’occhio sinistro, adattando la visuale della microcamera fino ad avere una visione nitida del loro obiettivo. Lo strumento illuminò di un tenue colore arancione tutte le finestre, evidenziando la presenza di sudi deflettori a parete che ad occhio nudo sarebbero stati indistinguibili; oltre il vetracciaio di quelle finestre riuscì a scorgere quella che sembrava una stanza da letto. Qualcosa si mosse, e quello che aveva tutta l’aria di essere un piccolo droide astromeccanico -un R2 o un R3- scivolò sul pavimento sostando in alcuni punti.
“Cosa ci fa un droide astromeccanico nella stanza di un senatore?” chiese lei. Ancora faticava a pronunciare correttamente l’idioma kaminoano, ma anni al fianco di Jango le avevano insegnato che quella lingua era praticamente sconosciuta in qualunque angolo della Galassia, e giusto i droidi protocollari più aggiornati e costosi sarebbero riusciti ad interpretare quella lingua parlata da un pianeta lontano da qualsiasi rotta civile.
Ancora più utile in un locale dove nessun inserviente era un droide.
“Il mio contatto ha detto che quel droide è un vezzo della senatrice. Se lo porta dietro da oltre dieci anni e lo ha programmato come suo assistente. Ma, come tutti i droidi, è stupido” disse. “E ripete sempre lo stesso percorso”.
Si alzò, e qualche altra coppia era entrata nel ristorante. Zam rimase a fissare il palazzo della senatrice, memorizzando il percorso che il droide svolgeva. Era chiaro che lo avessero dotato di una scansione ad area di sicurezza, ma doveva avere un raggio piuttosto corto perché i suoi spostamenti erano brevi e misurati. Il ciclo di controllo della stanza durava esattamente trentasette secondi e due decimi, ed in quel lasso di tempo attraversava i quattro lati della stanza girando intorno al letto ed all’enorme specchiera. Al termine del giro usciva, e ne riemergeva dopo tre minuti e ventuno secondi: dalla sua postazione Zam non riusciva a capire dove andasse il droide durante quella pausa, ma era verosimile che controllasse il corridoio e lo studio annesso. Quando Jango tornò con due piatti colmi di un cibo che non aveva mai visto gli riportò quello che aveva visto, e lui annuì. “Tre minuti e ventuno secondi. Si può fare”.
“Cosa ti fa pensare che domani sera adatterà lo stesso schema? E se cambiasse?”
“Gli abitanti di Naboo non sono come quelli di Eriadu, Zam. Hanno un concetto di sicurezza piuttosto elementare” mormorò, impugnando la forchetta. “Non sono paranoici”.
Dietro a loro si sedettero tre donne molto eleganti, di mezza età. Una di loro, una signora con i capelli tinti di un verde acceso come imponeva la moda di Gatalenta, prese a commentare con fervore la dichiarazione che il Conte Dooku, il leader dei Separatisti, aveva lasciato proprio quel pomeriggio in olovisione.
La aveva vista anche lei a bordo della Slave I proprio quando erano entrati nell’atmosfera di Coruscant. Zam avrebbe ucciso volentieri qualunque di quei politici pagliacci che si erano lavati le mani durante i massacri di Zolan, ma Jango sosteneva che nessuno finanziasse i cacciatori di taglie tanto quanto facevano i politici ed i cartelli criminali -e a suo dire il Senato non era altro che un cartello criminale più alla luce del sole di altri.
Erano almeno dieci anni che il Senato della Repubblica stava vivendo uno dei suoi peggiori periodi di crisi. Era stata proprio la senatrice Padmé Amidala di Naboo a denunciare all’epoca uno dei più scandalosi casi di malfunzionamento e corruzione della macchina politica, con una mozione di sfiducia che causò la destituzione anticipata dell’allora Cancelliere Supremo Finis Valorum; un evento politico ancora piuttosto chiacchierato, perché da quegli eventi era stato nominato Cancelliere Supremo nient’altro che Cos Sheev Palpatine, portavoce proprio del pianeta Naboo e grande alleato politico della senatrice Amidala.
Jango prese a mangiare quello strano cibo, ma Zam era in grado di riconoscere quando il suo compagno stava in realtà facendo tutt’altro. I suoi occhi guardavano oltre la sua spalla, in quella che era proprio la direzione da cui veniva la discussione delle donne: stava ascoltando, ed anche lei fece altrettanto mentre cercò di capire come raccogliere sulla punta della forchetta quegli strani filamenti giallastri che aveva nel piatto.
“Credete che il Cancelliere Palpatine ratificherà la formazione di un esercito della Repubblica? Perché, siamo sincere, è chiaro che i Separatisti sono sul piede di guerra. Il settore Abrion ha abbandonato il Senato per unirsi a loro nemmeno tre giorni fa”.
“Figuriamoci” fece la voce della donna di Gatalenta. “La senatrice Amidala ha già espresso di essere contraria alla creazione di qualsiasi corpo militare. Pensa di risolvere la questione con la diplomazia, che ingenua …”
“E quando la bella senatrice solleva la gonna …”
Ne seguì una serie di risatine sciocche che diedero a Zam l’esaurimento nervoso, reso ancora più fastidioso dal fatto che quello strano cibo non riusciva a rimanerle fermo sulla forchetta. Nessuna clawdita avrebbe mai interrotto una conversazione seria per sparlare di simili stupidaggini, e Jango dovette notare la sua frustrazione perché le prese di nuovo la mano dal tavolo mentre con l’altra le versò del vino di Alderaan. Erano lì dentro ormai da più di un’ora, ed il loro obiettivo ancora non si era fatto vedere.
Jango era convinto che chiunque lo avesse ingaggiato per quel lavoro fosse uno dei Separatisti. Zam ancora non riusciva a capire come il suo uomo potesse accettare incarichi delicati da persone di cui non conosceva né il vero nome né la faccia, ma i soldi che arrivavano sul suo conto coperto erano reali. Non ne avevano mai discusso molto, ma il committente che aveva investito migliaia di crediti per farli mangiare in quel ristorante di lusso era lo stesso che aveva ingaggiato il suo compagno per fungere da matrici di cloni su Kamino. Un “qualcuno” che si era fatto sentire due settimane prima ed aveva offerto a Jango un lavoro a cui il cacciatore di taglie non avrebbe mai potuto rinunciare.
Sin dalla crisi del vecchio Cancelliere Valorum era chiaro che la Repubblica fosse a pezzi. Non ci voleva uno studioso di economia planetaria per capire che i sistemi del Nucleo avevano accentrato tutto il potere e che il Senato avallasse qualsiasi richiesta dei pianeti centrali a scapito di quelli dell’Orlo Esterno. I senatori avevano voltato le spalle al massacro della sua gente perché Zolan non aveva alcun valore ai loro occhi, e negli ultimi tempi Zam si era resa conto, viaggiando ogni tanto con Jango, che situazioni simili si moltiplicavano con l’allontanarsi dal cuore della galassia.
Ormai erano anni che i pianeti Separatisti chiedevano l’indipendenza dalla Repubblica per una gestione autonoma delle proprie risorse, e quello che all’inizio era sembrato l’ennesimo movimento di protesta si era trasformato in una crisi di proporzioni planetarie da quando il Conte Dooku, il volto pubblico dei Separatisti, aveva ricevuto finanziamenti dal Clan Bancario e dalla stessa Federazione Mercantile di Nemoidia.
Una crisi che era pronta a degenerare dopo che il Conte, quel pomeriggio, aveva dichiarato che i Separatisti sarebbero stati pronti a rivendicare la propria libertà con le armi, se necessario.
La senatrice Padmé Amidala, forte del supporto del Cancelliere, si era schierata con la Repubblica nel tentativo di trovare una soluzione pacifica, ma era evidente che i nuovi pianeti indipendenti considerassero le sue proposte quantomeno inconsistenti ed irrisorie.
Dunque quando a Jango era giunta la richiesta di assassinare la senatrice dai consueti canali con cui aveva sempre preso contatto per il lavoro dei cloni soldato avevano capito entrambi che i soldi che giungevano loro erano sempre stati di matrice separatista.
Non che questo cambiasse qualcosa.
Il denaro, come lui le diceva sempre, non aveva alcun colore.
“È una specialità della Terra I, Zam” disse lui, che si era alzato e si era servito un secondo piatto mentre origliava la conversazione delle loro vicine di tavolo. “Si chiama pasta. Davvero non la hai mai mangiata?”
“Non sono mai stata sulla Terra I”
“Nemmeno io” fece. Prese la sua forchetta e con uno strano movimento della mano afferrò quegli strani fili gialli e li avvolse lungo i rebbi. Le parve un modo inutile e marchingegnoso di prendere il cibo. “Ma ormai la fanno in un sacco di locali etnici. Anche se chi è stato lì dice che il cibo del posto sia tutt’altra faccenda. Magari potremmo andarci dopo questo ingaggio”.
Zam non ebbe il coraggio di dirgli che probabilmente in quel mondo sarebbe morta di fame. “Jango, forse dovremmo iniziare a preoccuparci. La senatrice non è ancora arrivata, e …”
“E siamo venuti qui con più di un’ora di anticipo perché volevo almeno godermi qualcosa di buono prima di lavorare. Inoltre oggi dobbiamo solo osservare”.
Mandò giù il primo boccone che lui le aveva messo sulla forchetta.
In effetti aveva un sapore delizioso.
Ormai era trascorso più di un anno da quando lei e Jango si erano conosciuti, e lui si era dimostrato molto più esperto negli usi e nei costumi dei vari pianeti di quanto la sua faccia truce da Mandaloriano consumato potesse dare a vedere. Indossava una tunica scura ed un mantello di Alderaan con la stessa fluidità con cui si muoveva in armatura, una sicurezza che non avrebbe mai pensato di trovare in un umano.  Incrociarono l’uno le dita nell’altra, senza dire altro, e fu con una certa stizza che lei si separò nel momento in cui il chiacchiericcio alle loro spalle riprese e capirono entrambi che il loro obiettivo era arrivato.
La senatrice Amidala era una donna davvero molto bella.
Si diceva che le donne di Naboo usassero dei trucchi molto elaborati per evidenziare il loro rango sociale, ma la figura che apparve lungo la soglia del ristorante sfoggiava soltanto dei belletti leggeri, forte soltanto della propria giovinezza e dei lineamenti marcati ma non eccessivi che l’avevano resa uno dei volti più noti della Galassia. Portava i capelli raccolti in due reti luminose che le ricadevano dietro le spalle quasi come i lekku di una Twi’lek, e da esse pendevano delle decorazioni preziose di cui alcune cadevano fino a terra, tintinnando un po’ ad ogni suo passo. L’abito color verde chiaro scintillava fiocamente alle luci del ristorante mentre la gonna lunghissima si divideva in numerosi veli come i petali di un fiore e ondeggiava come mossa da un vento invisibile. Le dava l’idea che stringesse il petto ancora più del proprio, ma la senatrice sembrava a suo agio, camminando con grazia senza mai precedere la figura che le si muoveva accanto, la cui andatura pacata non tradiva i numerosi anni.
Lontano dalle olocamere il Cancelliere Supremo Palpatine aveva un dedalo di rughe molto più accentuato del normale. Anche se i capelli erano già bianchi sia nelle immagini che nella realtà, all’ologiornale apparivano più folti ed arrivavano almeno all’inizio della fronte, e le labbra erano più sottili e chiare di quanto fosse pronta a ricordare.
Anche il naso, a guardare meglio, era leggermente più marcato di quanto non lo si vedesse nei comunicati ufficiali.
L’uomo anziano incedeva lentamente, discutendo con la senatrice con dei sorrisi affabili. Indossava un abito molto semplice, forse il più misero in quel locale dove anche il cameriere addetto alle bevande trasudava opulenza, ben lontano da quello che sapeva essere la moda maschile di Naboo, elaborata almeno quanto quella delle loro donne. Zam notò che spostava il peso più sulla gamba destra che sulla sinistra, e forse la tunica scura fino ai piedi serviva per nascondere questo piccolo difetto del Cancelliere. La senatrice non lo sopravanzava, e mentre metà dello staff si lanciò nella loro direzione per scortarli al tavolo, l’uomo anziano le porse con galanteria il braccio e si avvicinarono insieme nel luogo indicato.
Il tavolo subito alla loro sinistra.
“Il tuo contatto è stato ben informato” fece a Jango, continuando a discutere in kaminoano. Fece scorrere le dita sulla carta delle bevande, quasi come se stesse dissertando se scegliere un secondo giro di vino di Alderaan o provare il sapore dolce di quello di Iloh. “Sapeva persino che tavolo avrebbero prenotato”.
“Questo ci facilita il lavoro. Ma ti ricordo che siamo qui perché ci manca un’informazione. Chi mi ha ingaggiato ha detto che la senatrice ha effettuato all’ultimo istante una modifica nella sua scorta umana” mormorò “Il che è insolito negli standard di sicurezza di Naboo”.
“E la cosa ti preoccupa?”
“Non tutte le variabili delle mie cacce sono piacevoli come te”.
Zam vide il proprio riflesso nel calice vuoto e vide di essere arrossita fino alla punta dei capelli. Si presero per mano, volgendo alla coppia accanto a loro uno sguardo incuriosito, proprio come due normali civili che si fossero accorti proprio in quel momento che l’uomo più potente della Repubblica e la sua alleata si fossero appena seduti al loro fianco. Tutt’intorno a loro anche gli altri commensali facevano lo stesso, ed il commento della gatalentana sul pazzesco paio di scarpe della senatrice probabilmente lo avrebbero sentito anche nel settore adiacente. La donna fece per alzarsi ed avvicinarsi al buffet, ma il Cancelliere la fermò con un gesto gentile della mano e l’attimo dopo due camerieri si materializzarono al loro fianco, raccogliendo l’ordine con una rapidissima serie di inchini.
Gli ennesimi politici che giocano ad essere i padroni della Galassia, pensò tra sé.
“Cancelliere, io non ammetterò mai una linea politica che possa condurre la Repubblica ad una guerra. La dichiarazione del Conte Dooku …”
“Mia cara, ho tenuto una discussione di gabinetto con il Maestro Yoda giusto quattro ore fa. Ha conosciuto personalmente il Conte e concorda con me che non sia una persona che minacci una guerra a vuoto. È evidente che sia in possesso di una flotta che nemmeno i nostri informatori sono riusciti ad individuare, e se davvero la Federazione dei Mercanti si è unita a lui potrebbero averla celata in qualsiasi angolo dell’Orlo Esterno”.
L’uomo si rivolse alla senatrice con un tono pacato, sorridente, come se stesse parlando dell’ultima marachella dei suoi nipotini; al contrario la donna era affettata, ed il tono acuto della sua voce normale non nascondeva un discreto nervosismo.
I camerieri tornarono con due antipasti dall’origine a Zam sconosciuta, ma la senatrice Amidala aspettò che gli inservienti si fossero allontanati per riprendere la parola. “Io credo che il Conte ed i Separatisti vogliano proprio giungere ad uno scontro. Votando a favore di un esercito della Repubblica sono convinta che faremo solo il loro gioco”.
“Non posso che darti ragione su questo” disse lui. Ad un suo cenno del capo un altro cameriere giunse e versò un liquore color giallo acceso. “Ma, d’altro canto, i pianeti sono inquieti. La regina di Hapes ha reso noto che se concederemo l’indipendenza ai mondi separatisti anche il suo sistema farà domanda per uscire dalla Repubblica”.
“Cancelliere, con Hapes potrei mediare io stessa. Se mi aprisse un canale privato con la loro maestà potrei …”
Zam alzò gli occhi verso la distesa di grattacieli. Nemmeno due minuti di politica galattica e già le sarebbe venuta voglia di prendere sia il Cancelliere che la senatrice e lanciarli oltre il vetracciaio per il semplice gusto di scoprire quanti minuti ci avrebbero impiegato a toccare il suolo. Al contrario Jango sembrava molto interessato, e Zam si ritrovò ancora una volta meravigliata su come gli umani riuscissero così bene a fingere di fare qualcosa mentre ne stavano pensando un’altra. Aveva acceso il pad sul tavolo, e chiunque vi avesse dato un’occhiata avrebbe visto solo foto di lui e Boba a pesca.
Sospirò, stizzita, pensando alla misteriosa scorta della senatrice. Forse non si sarebbe presentata per quella cena, pensò, visto che persino le guardie del Cancelliere erano rimaste fuori dalla sala ristorante e non davano cenno di muoversi. I due politici si sentivano invulnerabili, e per un istante si chiese perché avrebbero dovuto attendere il giorno successivo per far fuori la donna quando avrebbero potuto ucciderla in quel preciso momento e scappare rompendo la vetrata. Fece per chiederlo a Jango, ma lui parlò per primo. “Settore Orlo Intermedio, vicino al tavolo dove servono la carne di Almak. È in piedi, sta vicino alla cameriera di Bothan, lo vedi?”
Zam aguzzò lo sguardo, ingrandendo di poco lo spazio della microcamera oculare, e cercò nella direzione indicata dal suo uomo.
“Un gran bel problema, Zam”.
Impiegò qualche secondo a metterlo a fuoco. Aveva trascorso una vita a nascondersi e ad osservare la gente che le stava intorno, eppure sarebbe stata pronta a giurare sul proprio onore che la persona che Jango le stava indicando non fosse mai stata lì. Guardò in quella direzione, e per un attimo sentì il forte bisogno di distogliere lo sguardo, come se uno strano mal di testa le scattasse dietro gli occhi non appena provava a dare una forma più concreta a quella figura vestita di scuro.
“Guardalo attraverso il vetracciaio …” sussurrò Jango.
Spostò la sedia e si mise a sedere accanto a lei. Si avvicinarono entrambi all’immensa vetrata che dava sulla città e lui le strinse un braccio intorno alle spalle, tirandola a sé. Fece scivolare la mano libera tra i suoi capelli, e gentilmente le ruotò il viso fino a fissare entrambi un punto in cui il vetracciaio rifletteva la scena proprio alle loro spalle, la senatrice ed il Cancelliere ancora presi nella loro discussione. Jango le mormorò di guardare meglio, e tra i tavoli del Settore Intermedio vide benissimo la figura che prima non era riuscita ad afferrare.
Un ragazzo umano, molto alto, vestito di scuro. Era immobile alle spalle di una cameriera che non sembrava nemmeno accorgersi della sua presenza, una mano immobile dietro la schiena ed una leggermente sollevata in aria; dal riflesso non riuscì a vederne il colore degli occhi, ma era chiaro che fossero puntati sul tavolo della senatrice e non lasciarono la figura di lei nemmeno quando la donna si chinò in avanti per sussurrare qualcosa al suo interlocutore. Intorno al ragazzo i camerieri andavano e venivano, lo evitavano nei movimenti ma nessuno gli rivolgeva nemmeno una parola.
“Sì. Lo vedono, non temere” mormorò Jango.
Con la testa poggiata contro la sua spalla, Zam riuscì a sentirne i muscoli in tensione. “Ma nella loro mente passa più o meno inosservato. Come un oggetto comune, un mobile, o una pianta. Lo vedono, ma non lo vedono davvero. Convincono i nostri occhi a guardare altrove, ma per fortuna il vecchio trucco del riflesso funziona sempre”.
“Chi può fare una cosa simile?”
“Il peggior problema che possa capitarti tra capo e collo” disse. “Uno Jedi”.
Zam si strinse contro di lui. Aveva preso a respirare più intensamente, ed aveva unito entrambe le mani davanti a sé stringendosi lentamente le dita.
“Credi che ci abbia letto nel pensiero? Che sappia che noi vogliamo …”
“No, non ti leggono la mente. Ma se ne accorgerà se ci sentirà innervositi per causa sua”.
Un brivido le corse lungo la schiena.
Non aveva mai avuto a che fare con i Jedi, ma sapeva benissimo quanto anche i mercenari migliori tremassero davanti a quegli strani guerrieri. Jango ogni tanto le aveva raccontato che i Mandaloriani più famosi avevano sconfitto dei Maestri Jedi in degli scontri che sembravano usciti da qualche cantastorie delle corti Hutt, ma vederne uno dal vivo … Si diceva che fossero bastati solo due cavalieri Jedi per concludere la crisi che aveva scosso la Repubblica all’epoca della Federazione dei Mercanti dieci anni addietro, e l’idea che un ragazzo così giovane riuscisse a distogliere lo sguardo di una sala ristornate piena di gente la diceva lunga sulle sue capacità.
Uccidere la senatrice sarebbe stato un suicidio.
Osservò di nuovo la figura attraverso il vetro, e stavolta vide che aveva lo sguardo puntato nella sua direzione.
“Pensa ad altro” le disse Jango.
“Se fosse facile!”
“È facile, in realtà. Se sai a cosa pensare …”
La avvicinò a sé, e l’attimo dopo ne sentì le labbra sulle sue. Si lasciò circondare dalle sue braccia, mandando al diavolo la senatrice, il Cancelliere e persino lo Jedi.
“Te l’ho già detto che sei bellissima?”
 
 
Quella notte Zam non riuscì a prendere sonno.
Appoggiò più volte la testa tra il torace e la spalla di Jango, cercando di farsi calmare dai battiti del suo cuore, ma nemmeno quel calore riuscì a placarla. Si tirò il lenzuolo fin sopra la testa per isolarsi, ma il problema non era né il leggero ronzio del condizionatore della stanza del loro albergo, né le luci che venivano dall’enorme vetrata che si affacciava sul quartiere governativo di Coruscant.
Si alzò senza far rumore e si coprì con la veste da camera.
Il palazzo che ospitava gli alloggi della senatrice Amidala svettava in lontananza. Appoggiò la fronte al vetro, cercando di scrutare qualche luce accesa nelle stanze del loro obiettivo, ma si accorse di fissare l’edifico senza davvero prestarci attenzione.
La sensazione dei poteri dello Jedi dentro la sua testa pizzicava come uno strumento musicale bloccato su una sola nota.
“Non dormi?”
Dal riflesso del vetracciaio osservò Jango allontanare con un calcio le lenzuola e mettersi seduto contro la spalliera del letto.
Era l’uomo più bello della Galassia.
“Nemmeno tu”.
Si alzò, sopprimendo uno sbadiglio, e venne verso di lei senza nemmeno preoccuparsi di mettersi qualcosa addosso. Solo qualche anno prima avrebbe ucciso all’idea di concedere ad un maschio umano di venirle alle spalle, ma l’abbraccio e il calore che le attraversarono le spalle chiusero quei pensieri in un cassetto. Aderì contro di lui, ascoltando il suo respiro vicino alle orecchie. La strinse a sé all’altezza del ventre, e Zam ancora una volta intrecciò quelle dita enormi tra le sue. Fissarono insieme il panorama mozzafiato del pianeta più importante della Galassia immerso in un traffico pigro, regolamentato, ben diverso da quello rumoroso e sregolato dei livelli inferiori. Sulle piattaforme a gravitazione dei giochi di luce invitavano ogni anima ad abbandonare il sonno e ad osservare estatica quello spettacolo silenzioso, ed i loro visi si specchiavano lungo quelle scintille.
Zam vide dei profondi segni neri sotto i propri occhi.
Prese la mano di Jango, la avvicinò alle labbra e prese a coprirla di baci. “Lasciami venire con te”.
“Non se ne parla”.
“È uno Jedi, Jango. Un dannatissimo Jedi”.
“Lo so”.
Liberò l’altra mano dalla sua stretta, e prese con calma a passarle le dita tra i capelli. “Ma posso gestirlo”.
Zam, deglutì, sentendosi però la gola asciutta. Sentì un gran bisogno di bere. “Abbiamo sempre combattuto insieme. Perché adesso non mi vuoi?”
Lui sospirò.
Lei si strinse ancora contro il suo torace, ma la risposta non arrivò.
Davanti a loro, oltre il vetro, un paio di speeder si lanciarono a tutta velocità tra gli spazi vuoti in un turbinio di luci.
Sarebbe stata pronta a giurare che quel silenzio fosse durato più di tutta la sua vita.
Quando Jango sciolse l’abbraccio sentì qualsiasi parola stesse cercando di formare morirle sulla punta della lingua, ma si lasciò prendere lo stesso per mano e tornarono sul letto.
Appoggiata sul comodino del suo compagno la fiala di estratto di mirodi riluceva leggermente di azzurro nella luce artificiale della stanza: un sonnifero abbastanza potente da stendere un gundark che Jango aveva acquistato per abbattere la scorta della senatrice, ma che probabilmente sarebbe stato inutile contro uno Jedi. E lo stesso poteva dire dei due kouhuns, i due artropodi velenosi che si erano fatti arrivare direttamente da Indoumodo e che si agitavano ferocemente dentro la capsula di vetracciaio.
I suoi occhi erano ancora fissi sulle minuscole creature quando si ritrovò qualcosa tra le mani: Jango le aveva appoggiato una confezione rotondeggiante, metallica, grande più o meno quanto entrambi i suoi palmi. Lo guardò, interrogativa, ma con un cenno lui la invitò ad aprirla.
Lo scintillio del beskal per poco non la fece sobbalzare.
Le due collane erano stupende.
Minuscoli anelli d’acciaio erano intrecciati l’uno all’altro, formando delle sottili catene che si sovrapponevano per tutta la lunghezza dei gioielli. Piccole sfere ne interrompevano la corsa, e le catene si ancoravano su di essere su degli anelli così sottili da essere invisibili ad occhio nudo. Ne prese una in mano, incantata, sentendo quelle catene leggerissime scivolarle lungo le dita senza emettere il benché minimo suono. Da entrambe ricadeva un pendente rotondo, anch’esso in beskal, con due cristalli kyber incastonati medianti sottili ramificazioni in acciaio.
Non avrebbe mai immaginato che l’acciaio sacro di Mandalore potesse venir lavorato in modi simili.
Jango prese la collana ancora riposta nella scatola, e con gentilezza gliela fissò intorno al collo. Zam trattenne il fiato sentendo lo strano calore di quel metallo sulla pelle.
“Finita questa missione …”
Il suo tono si fece basso, quasi un sussurro. Un tono diverso da quello che aveva imparato a conoscere. “… vorrei rivedere le Forge di Mandalore. Con te, intendo …”
Le prese le mani, e Zam notò che i suoi occhi saettavano da tutte le parti tranne che su di lei. Le loro dita unite si avvicinarono alla sua bocca, e lui le baciò lentamente. Un gesto delicato ma formale, che culminò quando sciolse il bacio e se le portò a livello del cuore. “Quel giorno … accetteresti di diventare la mia compagna … per il resto delle nostre brevi vite? Accetterai di forgiare i nostri nomi nel beskal del Primo Fuoco?”
Un secondo sospiro, più forte.
Quando riprese, stavolta le sue iridi scure erano dritte nelle sue. “Non posso completare questa missione senza una tua risposta, Zam. Qualunque essa sia” disse “E, in ogni caso, sappi che non ti esporrò al pericolo per nessun motivo al mondo”.
Quella volta fu Zam a dover abbassare lo sguardo.
Sul suo petto il gioiello d’acciaio adesso pulsava, quasi fosse dotato di vita propria; o forse era il suo cuore a pulsare, e il beskal rispondeva a quel ritmo forsennato con una luce tutta sua.
Non aveva mai amato nessuno come Jango, né credeva che sarebbe mai stato possibile per lei amare qualcun altro anche solo la metà di quello che provava per quell’uomo scuro, coperto di cicatrici, che in quel momento le stava offrendo la parte più importante della sua anima. Mille parole cercarono di formarsi sulla sua lingua, ma vide solo la propria espressione nel riflesso del vetracciaio della stanza.
Un viso così sorridente che non poteva essere il suo, e che non svanì nemmeno quando le luci degli spettacoli esterni per un attimo abbagliarono quel vetro e il corpo di Jango.
“È il più grande onore che potrei mai ricevere. E mi renderesti la donna più felice della Galassia”.
Fu un unico, repentino movimento.
Il braccio di Zam si tuffò all’indietro, afferrando la siringa di mirodi, e prima che Jango potesse dire altro lei gli affondò l’ago alla base del collo.
Fece effetto in meno di un paio di secondi, e l’uomo che amava crollò contro di lei in un sonno pesante, profondissimo, che non sarebbe durato meno di dieci ore in un umano della sua taglia.
Tutto il tempo di cui aveva bisogno.
“Ma sappi che nemmeno io ti esporrò al pericolo. Per nessun motivo al mondo”.
Lo appoggiò gentilmente contro il cuscino, e prima di rivestirsi prese la collana ancora libera e la avvolse intorno al collo dell’uomo.
Lo baciò un’ultima volta, afferrò i kouhuns, le proprie armi, ed uscì dalla stanza col cuore che strillava nella lingua più oscura che conoscesse.
  
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