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Autore: ARed    15/11/2020    7 recensioni
Isabella Swan e Edward Cullen sono due agenti speciali del FBI, non si conoscono, non si sono mai visti, ma quando viene ritrovata una scatola incisa con i loro numeri di matricola di quando frequentavano Quantico, si ritrovano a lavorare assieme a New York; all’interno vi troveranno disegni, frasi, numeri, enigmi.. tutto avvolto nel mistero.
Ogni cosa ruota attorno al loro presente, al passato, al lavoro.. ma non ne capiscono il perché.
“Mi sentivo violata, come se qualcuno, in quel momento, avesse il controllo della mia vita”
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward, Emmett/Rosalie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Dove eravamo rimasti..
Al centro operativo arriva la notizia del ritrovamento di una bambina di pochi giorni avvolta in una coperta rosa, che riporta il disegno delle ali dell’angelo. Alice riesce a ricavare delle coordinate che portano al Sant Andrews Hispital, nel Massachusetts. Bella decide di occuparsi della piccola, mentre Jacob ritrova nel Hudson il corpo della madre della piccola. 


 
CAPITOLO 23
SUNDAY WOODS RD
WESTON - MA

4 aprile 2019
Le prime luci dell'alba si facevano strada tra le dense nuvole che quella mattina sovrastavano il cielo della grande mela. La primavera sembrava voler tardare il suo arrivo e l'inverno ricordare ancora la sua presenza. 
La piccola Elle dormiva pacificamente sul mio petto dalle quattro del mattino, si era agitata per tutta la notte, Edward l'aveva cullata e poi passata a me.
Era bravo con i bambini, io non avevo mai cambiato un pannolino in vita mia. 
« Dorme tranquilla », dissi  lasciandole piccole carezze sulla schiena.
« Anche tu hai dormito tranquilla, nessun incubo », sorrisi. Aveva ragione, da quando avevo Elle, James e la sua morte non mi avevano più tormentato.
« Le sedute con Rose funzionano »
« Elle funziona », disse avvicinatosi per lascarmi un bacio sulla guancia, era bella la routine che si era creata in così pochi giorni. Non avevo il coraggio di ammettere, che nonostante mi piacesse, mi faceva paura. Quella non ero io. Non l’avevo mai desiderata una famiglia tutta mia, il mio unico obiettivo era il mio lavoro. Non Elle, non Edward. 
« Che succede? », mi domandò Edward vedendomi così silenziosa. 
« Niente », mi alzai lasciando la piccola sul letto, dormiva ancora, una doccia mi avrebbe fatto bene.
« Sei abituata alla solitudine e tutto questo non fa parte di te », fissai Edward dal riflesso dello specchio, « Non sei obbligata ».
Elle non era un obbligo per me. Era il cambiamento a farmi paura. In pochi mesi la mia vita era stata rivoluzionata.  
« Lo so », dissi mostrando un leggero sorriso.
« É stata una scelta azzardata » 
« No.. Ho paura.. non sono sua madre. Ho il terrore di farle del male », confessai, Edward scosse la testa e prese il mio volto tra le mani. 
« Sono paure naturali. Tu sei bravissima. Ora vestiti abbiamo un aereo da prendere signora Cullen », mi fece sorridere.
« Smith.. tienilo a mente », risposi più tranquilla. Nel pomeriggio avremmo preso un aereo per Boston, era arrivato il momento di scoprire cosa legava la bambina con la clinica.
« Nell’ultimo anno quattordici studentesse della Maspeth High School hanno preso due voli andata e ritorno per Boston, con una distanza di trentotto settimane dal primo al secondo volo », ci informò Alice nel suo laboratorio. Tremai. 
« Hai avuto accesso alle loro cartelle cliniche? » 
« Si, qualche osso rotto ma niente gravidanze », come sospettavo. Quello non era un buon segno.
Avevo lasciato la piccola a mia madre, mi era pianto il cuore quando l’avevo salutata poco prima di uscire, mi ero affezionata. E questo non lo volevo.
« Emmett ti passo il testimone », dissi lasciandolo a capo dell’ufficio dell’FBI di New York. 
« Non c’è problema »
« Signori Smith ecco i vostri documenti, vi auguriamo buon viaggio », ci disse la hostess di terra restituendoci i documenti, che Alice ci aveva procurato.
Il volo non durò molto, all’incirca un oretta. Edward mi aveva tenuto la mano per tutto il tempo. Era pensieroso.
« Tutto bene? »
« Ho parlato con Linda.. non vuole che Chloe rimanga a New York », disse guardando verso il finestrino.
« Cambierà idea », conoscevo abbastanza Chloe da poter dire che sarebbe stata abbastanza convincente con sua madre.
« Non avevamo mai discusso per Chloe » 
« Ha paura.. è naturale », sorrise alle mie parole. 
« Impari in fretta » 
Non capivo i miei sentimenti per Elle, l’unica cosa che sapevo era che volevo proteggerla da tutti, non avrei permesso a nessuno di farle del male.
Emmett, a New York, seguiva assieme al capo Black le indagini sull’omicidio di Mariah Torres, la madre biologica della piccola. L’avevano ritrovata nell’Hudson con una ferita sulla parte posteriore del cranio. L’avevano uccisa e buttata in acqua. 
Il Saint Andrew Hospital tal si trovava in una zona verde, in mezzo agli alberi e alla campagna. La struttura era in stile vittoriano. Maestosa. Assomigliava più ad una residenza di campagna di un nobile europeo che ad una clinica.
Un’infermiera ci attendeva all’entrata. Così come l’esterno anche all’interno il tempo non sembrava essere passato. « Questo posto mi ricorda un manicomio degli anni trenta », commentó Edward, mentre seguivamo la giovane donna lungo il bianco corridoio che conduceva all’ufficio del direttore, il dottor Branner. 
« O il set di un film dell’orrore », continuó sussurrando all’orecchio, mentre mi stringeva per un fianco.
« Dottor Branner i signori Smith », ci presentò l'infermiera. 
« Benvenuti, prego accomodatevi », il dottore ci accolse con un gran sorriso nel suo ufficio. Era un luogo armonioso, dove il bianco veniva accompagnato da un mobilio in legno scuro, quercia probabilmente. 
« Ho analizzato la sua cartella clinica », disse sedendosi davanti a noi. Alice aveva creato delle false analisi e visite, che confermavano l’impossibilità della signora Smith di concepire. Dalle nostre ricerche avevamo scoperto che il dottor Branner era un ricercatore, dalla discreta fama, conosciuto per aver permesso a più coppie di avere figli. Su quel punto io e il mio vice avremmo insistito. 
Il dottore cominciò a farci una serie di domande, sia di ordine medico, che personale. Sosteneva, infatti, che non tutte le coppie fossero mentalmente pronte ad avere un figlio. Cercammo di essere il più convincenti possibili, quello che ci propose era tutto nella norma, legale. Cosa nascondeva? 
« Io e mia moglie avremmo pensato ad una madre surrogata »
« Si, ci sembra l’idea migliore »
« Molto bene, a questo proposito abbiamo una serie di possibili madri surrogate da proporvi. Ovviamente se non avete già chiesto a qualcuno di vostra fiducia », notai qualcosa cambiare nel suo sguardo. 
« No, non l’abbiamo chiesto a nessuno », dissi.
« Nessuno sa dei nostri problemi », intervenne “mio marito”. Edward aveva capito quello che, probabilmente, si nascondeva dietro la clinica. 
« Il Saint Andrews Hospital è noto per la sua discrezione, se mi date un attimo vi mostro le madri surrogate che sono disponibili », il dottore uscì dal suo ufficio lasciandoci soli. 
« Dobbiamo avere accesso al suo computer », dissi ad Edward avvicinandomi. 
« Collegate la chiavetta USB », Alice ci seguiva dal centro operativo, ma non era cauto procedere in quel momento. 
Il dottor Branner arrivò con in mano un fascicolo, lo presi e assieme a “mio marito” cominciammo a sfogliarlo, erano le schede delle madri surrogate.
Tutte ragazze giovani, nessuna delle studentesse della Maspeth High School, « Grazie, io e mio marito vorremmo del tempo per discutere », dissi alzandomi, Edward mi seguì. 
« Non c’è problema vi aspetto domani alle dieci », ci rispose, restituii il fascicolo e dopo una stretta di mano uscimmo dalla clinica. 
« Hai riconosciuto qualche ragazza? », chiesi ad Edward una volta rientrati nella nostra camera d’albergo. 
« Una delle ragazze assomigliava ad una delle insegnanti che ho interrogato alla Maspeth High School » 
« Alice mandaci la lista con le foto » 
« Potete visualizzarla subito », ci disse.
Edward guardò la lista sul computer, « Eccola è lei, Jessica Pratt, insegnante di sociologia ».
« Possibile che.. »
« Cosa? »
« Sia lei a portare le ragazze qui? », diedi voce ai miei pensieri. Provavo orrore. 
« Non è da escludere » 
« Emmett interroga Jessica Pratt, ma non ora. Domani mattina », non volevo fughe di notizie, « Io e Cullen entreremo nella clinica questa notte, quindi Alice avremo bisogno della planimetria ».
« Ve la invio subito. Quando siete lì inserite la chiavetta in un computer qualsiasi e poi ci penso io », ci informò Alice.
« Ciao amore, come va? », Edward guardava innamorato lo schermo del suo iPhone, Chloe teneva in braccio Elle, mi mancavano entrambe.
« Ciao papà, io e la piccola stiamo bene. La mamma di Bella è fantastica, mi ha parlato di Shakespeare oggi pomeriggio », parlava con entusiasmo, mia madre era una docente di letteratura inglese alla Columbia University. 
« Stai attenta Chloe una volta che comincia non la smette più! » 
« Figlia ingrata! », mi riprese mia madre. 
La cena che ci portarono in camera era sublime. Mi era piaciuto parlare con le bambine, come le chiamava Edward. 
« Ti manca? » 
« Si », ammisi appoggiandomi a lui, mi lasciò un bacio sulla fronte e si mise un dolcevita nera. Sembravano una coppia di ladri. A mezzanotte saremmo entrati nella clinica, quando i medici avrebbero concluso l’ultimo giro di viste. 
Il commento di Edward sul set dei film dei orrori non era poi così fuori luogo. La luce della luna proiettava sulla clinica strane e inquietanti ombre. Per entrare utilizzammo la porta di servizio sul retro, quella che usavano i dipendenti della cucina. Alice, in collegamento dalla centrale operativa.
Per entrare utilizzammo la porta di servizio sul retro, quella che usavano i dipendenti della cucina. Alice, in collegamento dalla centrale operativa, controllava le telecamere di sorveglianza che spegneva e accedeva dopo il nostro passaggio. 
Non fu difficile per Edward forzare la fragile porta in legno. Entrammo in una cucina professionale, tutta in allumino. Era inquietante.
Dalla cucina, attraverso uno stretto corridoio, arrivammo alla lavanderia, dove io e il mio vice ci cambiammo indossando l’uniforme degli infermieri.
« Sei molto sexy » 
« Ho il mio fascino », risposi uscendo dalla lavanderia.
« Il corridoi che porta all’ufficio del direttore è libero », comunicò Alice, che malamente nascose una risata. 
Feci segno ad Edward di andare, io avrei controllato le camere. 
« Alice ho inserito la chiavetta », disse Edward dopo pochi minuti, io avevo raggiunto il secondo piano. Un’infermiera uscì da una delle stanze. Mi nascosi dietro all’angolo per non farmi notare.
« Ora puoi toglierla.. ho i dati del computer », lo informò Alice.
Entrai nella prima camera, la numero 201, al suo interno c’erano due donne, dormivano. Una era molto giovane, presi la sua cartella clinica agganciata al letto e un dettaglio mi stupì. Era nata nel 1982, non dimostrava più di vent’anni.
Accanto a lei, nel secondo letto, c’era un’altra donna. Presi anche la sua cartella. Stesso nome, stessa data di nascita.
« Alice, cercami tra le pazienti Melodie Barlow », sussurrai.
Presi entrambe le cartelle e le lessi assieme, erano l’una la fotocopia dell’altra.
« Ha partorito il tre aprile una bambina con taglio cesareo », mi informò. Osservai le due donne, quella più giovane aveva un evidente gonfiore alla pancia , segno che aveva appena partorito. L’altra era in perfetta forma, per quanto riuscissi a dedurre, visto che era coperta.
« Alice ti mando una foto, prepara il riconoscimento facciale », presi il telefono e scattai una foto alla ragazza giovane.
« Bella sono nella stanza 208, ci sono due donne con la stessa cartella clinica », mi comunicò Edward. Non era un caso isolato.
« Segnati il nome e passa a quella successiva »
« La ragazza della foto che mi hai mandato è Jess Taylor, è nata nel 2001, vive a New York e frequenta la Maspeth High School »
« Non ci sono documenti su una sua presunta gravidanza vero? »
« No, non c’è nulla » 
Passai alla camera successiva e a quella dopo ancora, Edward faceva lo stesso. Su quel piano c’erano otto stanze. Secondo gli atti ufficiali c’erano ricoverate otto donne, ne avevamo contate il doppio. Cinque avevano partorito, le altre tre erano state ricoverate il quattro aprile e per loro era stato programmato un parto cesareo per il girono successivo.
« Le cartelle cliniche dicono che tutte le gravidanze siano opera di una fecondazione assistita », Edward ed io ci trovavamo al terzo piano, dove erano ricoverate altre donne.
« È bizzarro molte delle donne che dovrebbero partorire domani non hanno nemmeno la pancia », dissi entrando nella prima stanza del terzo piano.
La scena che ci si presentò davanti era uguale a quella del secondo piano, solo che la ragazza più giovane era sveglia. Tremava.
Mi avvicinai, le feci segno di non parlare, « Come ti chiami? », le domandai sedendomi accanto a lei.
« Camille » 
« Non sei Kim? », le chiese Edward, la ragazza scosse la testa e indicò la donna nell’altro letto.
« Hai paura? » 
« Vi prego non prendete il mio bambino », si strinse le mani sulla pancia.
« Quando è programmato il parto? » 
« Ddd.. domani alle tre », rispose.
« Va bene.. ora dormi, risolveremo tutto », le dissi lasciandole una carezza sul viso.
« Tu non ci hai visto, okay? » 
La ragazza annuì, quella era una clinica degli orrori, non avrebbe avuto lunga vita.
« Sono tutte madri surrogate, ma di loro non c’è traccia. I parti sono tutti programmati », dissi mentre uscivamo dalla clinica senza farci vedere, « Credo che Elle sia nata prematura, che la madre abbia nascosto la piccola a scuola. Si sia allontanata e che qualcuno della clinica  l’abbia trovata e uccisa », esposi la mia teoria.
Edward annuí, per l’indomani avrei chiesto un mandato e fatto chiudere quel posto.
La doccia fu un tocca sana per me, mi rilassò completamente, anche se mi era difficile dimenticare quello che avevo visto. Quando tornai in camera notai Edward sul letto, era senza maglietta. Era un bellissimo uomo. Dormiva. Sorrisi e mi misi accanto a lui.
Dormiva tranquillo. Mi piaceva guardarlo dormire. Ero sempre stata così giostra, non vedevo nessuno al di fuori di me stessa. Nemmeno nelle mie precedenti relazioni. 
Lui era diverso, mi aveva cambiata. Non aveva chiesto il permesso di entrare nella mia vita, lo aveva fatto e basta. Era è entrato, macchiando in modo indelebile la mia anima. Era me e l’opposto di me. Questo mi terrorizzava, mi portava a fare un passo indietro, a chiudermi in me stessa. L’alternativa sarebbe stato quella di stargli lontano. Avrei sofferto. Io non volevo soffrire, non ne ero capace. 
Lo volevo nella mia vita non mi interessava se dietro al suo arrivo ci fosse l’autore dei disegni. Mi ero compromessa. Andava bene così.
Il suo volto pareva sereno, la mancanza della sottile barba che solitamente teneva, lo rendeva più giovane. Tra le sue sopracciglia non c’era più quella ruga che lo segnava non appena mi ero risvegliata dal coma.
Era preoccupato per me. 
Sfiorai quel punto con le labbra. Il ritmo del suo respiro cambiò. Era sveglio.
« Mi piace guardarti dormire », sussurrai al suo orecchio, sorrise tenendo gli occhi chiusi. Mi sentii circondare la vita dalle sue braccia e mi ritrovai su di lui.
Aprii gli occhi e mi sorrise, « Non dormi? ».
« No », sfiorò il mio viso con tocco leggero, come se avesse paura di rovinarlo, « È da quando hai riaperto gli occhi che ti voglio dire una cosa », tremai alle sue parole. 
Tenendomi per i fianchi si alzò, appoggiando la sua schiena alla testiera del letto. 
« Cosa? », domandai curiosa. Lo vidi deglutire, era agitato. Allungò una mano verso il comodino e accese la calda luce della lampada.
« In verità te l’ho gà detta », mi lasciò una carezza sul volto, « Eri in coma, la tua unica risposta fu data dal macchinario che segnava i battiti », posò la mano all’altezza del cuore. 
Ero serena, anche se sentivo lo stomaco dolere, il respiro farsi irregolare, il cuore battere forte. Edward se ne accorse, sorrise.
« Ti amo » 
Tutto passò in secondo piano, praticamente si annullò. C’era solo lui, le mie paure erano svanite. Dentro di me tornò a regnare l’equilibrio. Lui era il mio punto d’inizio.
« Ti amo », sussurrai sfiorandogli le labbra. M sorrise felice. Scossi la testa imbarazzata, era il mio primo ti amo. Nascosi il volto nell’incavo del suo collo, ma a lui questo non piacque. Si voltò quel poco che bastava per arrivare alle mie labbra. Ricambiai il bacio, appropriandomi di lui.

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Buonasera fanciulle, come state?
Perdonate l’assenza, sono state giornate abbastanza piene per me. Sono in zona rossa 😓.
Mi raccomando fate attenzione e mettete la mascherina ♥️
Cosa succederà tra i due? Verranno interrotti? 
Alla prossima

Ps. Buon compleanno DCMA ♥️
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