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Autore: workingclassheroine    17/11/2020    0 recensioni
A soli vent'anni ha passato così tanto tempo tra i fiori, Paul, che ne ha imparato perfettamente il linguaggio.
E ha dimenticato quello degli uomini.
Non gli interessa, poter vantare solo degli amici che seccano e inaridiscono con il passare del tempo.
Anche per le persone in fondo è così, gli dice ogni tanto Ben, solo che loro non ti abbandonano per dispetto.
Non ci si può arrabbiare, con una corolla che appassisce.
È un amore che non comporta alcun tipo di rischio, e questo va bene, questo non fa male.
"Non ci perdiamo nulla" dice ogni tanto Ben "Credimi, non ci perdiamo nulla".
Non c'è neanche bisogno di spiegarlo, perché Paul è ormai rassegnato al fatto di aver dimenticato il linguaggio degli esseri umani, e la cosa non gli pesa.
Se non che, presto, John si rassegnerà al fatto di dover imparare quello dei fiori.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Convallaria majalis


Quando la dolce infermiera gli chiede se c'è qualcuno che vorrebbe chiamare, Paul ha un unico nome in testa.

Così lascia che le dita scorrano sui tasti, sfogliando una rubrica composta da fin troppi nomi inutili e, prima che possa pentirsene, chiama.

"Paul?"

La voce di John è guardinga, come se la stesse tirando dal guinzaglio per impedirle di slanciarsi in avanti.

Non si sentono da un po', da quando Paul ha deciso che non valeva la pena rischiare il proprio cuore e quello di qualcun altro solo per riempire un vuoto a cui è ormai abituato.

"John"

Non ha la forza di dire niente di più.

Gli occhi gli bruciano, e il mondo intorno a lui, attraverso il velo sottile delle lacrime, sembra un assurdo acquario.
L'unica cosa a cui riesce a pensare adesso sono gli scheletri dei gigli dorati che infestano il suo appartamento.

John gliene ha inviato uno al giorno, tramite Ben, e lui li ha guardati seccarsi e morire come se quello che prova, quell'orrendo tumulto nella sua testa, fosse destinato a morire con loro.
Non ha avuto, però, il coraggio di gettarli via.

Giglio dorato: perseveranza.

E Paul ha pensato che imparare a convivere con l'asfissiante odore dei fiori che marciscono fosse il minimo che potesse fare per premiare la perseveranza di John.

"Stai piangendo?"
Il tono dell'altro è ancora vagamente distante, a rendere evidente quanto gli costi ammettere la propria preoccupazione.

"Sono al King's"
Poche parole, realizzare d'improvviso quanto la presenza di John gli sia mancata, quanto sia difficile ora subire la sua ritrosia.

"Anch'io, ho lezione tra qualche minuto"

Questo è il momento in cui Paul potrebbe dire che non importa, chiudere la chiamata e tranciare per sempre il filo di carne e sangue che lo lega a John Lennon.
E questo, proprio questo, è il momento in cui si rende conto di non esserne capace.

"No, John" sussurra, "Sono al King's College Hospital"

Il suo anemone, il suo splendido anemone, non ha un attimo di esitazione.

"Arrivo".

***

Più che vederlo, Paul sente John arrivare.
È rimasto ad attenderlo su una panca, con il viso tra le mani, accartocciato su se stesso come una foglia arsa, e per qualche tempo ha dimenticato di esistere.
Si è affidato al suono ritmico e martellante del proprio cuore, che sembra battergli nel cervello, e ha lasciato che quei colpi lo estraniassero dalla realtà.
Ma i passi di John sono rapidi, pesanti, incoerenti, e lo costringono ad alzare gli occhi.
John corre, scansando come può chi gli intralcia la strada, e ha in mano un piccolo mazzo di fiori che va sfaldandosi nell'impatto con l'aria.
I petali dei fiori lo circondano, turbinano nell'aria e si posano a terra, marcando i suoi passi, e Paul è quasi certo che questa scena sia stata rubata da un dipinto rinascimentale.

Non deve neanche chiamarlo, non sente la necessità di farlo: in mezzo a tutti quegli occhi, ne è certo, John troverà immediatamente i suoi.

Pochi secondi gli sono sufficienti, lo vede arrestare la sua corsa, l'ombra di un inappropriato sorriso sul volto di John appena i loro sguardi si incontrano.

"Ciao" è trafelato, ma sorride ancora, e posa il mazzolino malconcio accanto a Paul. "Ho parlato con l'infermiera. Qui sotto c'è un piccolo negozio di fiori, sono per Ben"

Sono fiori da ospedale, senza profumo e senza grazia.
Sembrano imprigionati nella carta plastificata che li circonda, fuori posto, soffocati nel loro splendore.

I fiori non appartengono agli ospedali, e neanche Ben.

Lo sguardo di John si fa più serio, "Ho sbagliato? Sono mughetti, un augurio per una pronta guarigione. Ho solo pensato che gli sarebbe piaciuto trovare dei fiori al suo risveglio".

Paul scoppia a piangere.
Quel mazzo è stato confezionato di fretta, per essere venduto a conoscenti distratti che hanno dimenticato di comprarlo prima.
Ma John è quanto di più distante vi sia da un conoscente distratto.
Quanta attenzione deve esservi stata, in lui, nella selezione di quel brutto mazzolino, nella decisione di correre via dalle proprie lezioni per arrivare sin lì, nella delicata scelta di informarsi da un'infermiera sulle condizioni di Ben così da non costringere Paul a raccontarlo.

"Dio, Paul" mormora John, bonario.
Si china sui talloni, di fronte a lui, e racchiude le mani del giovane tra le sue.
"Va tutto bene, è passato. Si sveglierà presto"

Ma Paul non piange solo per Ben.
Piange perché quel giorno, nel sentire i lamenti del vecchio farsi più deboli e il fragore delle sirene farsi più forte, si è reso conto che Ben non è immortale.
Si è reso conto che un giorno se ne andrà, e Paul avrà perso l'unica famiglia che abbia mai conosciuto.
Ha avuto paura per Ben, terrore che quella fosse l'ultima volta che sentiva la sua mano rugosa tra le proprie, e si è sentito paralizzato alla sola idea di rimanere solo.
Piange perché John è lì, davanti a lui, ma non riesce ad amarlo perché per tutta la vita si è allenato in quella finta solitudine nella convinzione di stare bene.
E ha scoperto solo adesso che il vero vuoto, la solitudine e il silenzio lo terrorizzano oltremodo, ma non sa più come si combattano.

"Sei solo spaventato, ora passa" promette John, dolcemente.
Sta dicendo delle ovvietà, e se Paul potesse frenare i propri singhiozzi glielo direbbe.
E forse lo colpirebbe, se solo questo non significasse allontanare il calore delle mani dell'altro dalle sue.
John non lo ha mai toccato.
Se ne rende conto solo adesso che sente questo tepore tepore sconosciuto trasmettersi dalle sue dita al suo corpo, e si rende conto di averlo bramato, quasi con dolore, per tutta la vita.

"Aspetto qui con te" decide John, semplicemente.
Non sa quali parole usare, ed è un disastro, pensa Paul.
Ma l'altro si siede accanto a lui, e la sua sola presenza è balsamo sulle ferite sanguinanti.

Paul torna a chiudersi in se stesso, maneggiando ossessivamente il piccolo mazzo di mughetti.
John, per il nervosismo, continua a battere la punta della scarpa sul pavimento.
Il suono che ne deriva dovrebbe forse irritarlo, ma Paul lo trova rassicurante.
Ogni volta che la sua mente lo trascina via, nell'oscurità, gli basta concentrarsi su quella cacofonia, sulla presenza invadente di John accanto a lui, per tornare al mondo.

"Paul McCartney?"

John scatta in piedi insieme a lui, e Paul è grato nel sentirlo dietro di sé.

"Sì"

Il medico, la cui targhetta lo identifica come Dottor Clarke, è sorridente, gentile, e lo guarda con pietosa empatia.
"L'effetto dell'anestesia locale è terminato, il signor Woods è perfettamente vigile. Ho già provveduto ad avvisare anche il figlio, ma il paziente continua a chiedere di lei"

Paul sente il peso che ha sul petto dissiparsi a quelle parole.
"Come sta?"

"Sta bene. Sono cose che capitano a quest'età. Come le è stato detto, l'ECG aveva già indicato un infarto in atto. Abbiamo provveduto a effettuare una coronarografia e una volta individuata l'arteria ostruita siamo intervenuti con un'angioplastica per via radiale"

Paul non capisce una singola parola di quello che gli viene detto, ma la voce del dottor Clarke è calma e rassicurante, e desidera semplicemente che continui a parlare.

"Lo terremo qui fino a domattina. È semplicemente la procedura in caso di angioplastica, niente di preoccupante. Poi, potrà tornare a casa"

"Posso vederlo?" il tono di Paul è urgente, pieno di aspettativa.

"Mi permetta solo di spiegarle quali esercizi dovrà fare il signor Woods una volta a casa. Non può compiere sforzi, e la riabilitazione è parte della terapia-"

"Lo spieghi a me" lo interrompe John, prima che Paul possa farlo nuovamente, "Lui intanto può entrare"

Il dottor Clarke sorride, e inizia a parlare con John di pressione arteriosa, gradualità degli sforzi fisici e futuri test.

Paul stringe brevemente il braccio di John, per ringraziarlo, e si lancia verso la porta prima che il bravo dottore possa cambiare idea.

Ben sembra minuscolo nella veste ospedaliera celeste, e immensamente fuori posto in un letto che non sia il suo.
Eppure sorride a Paul, con infinita dolcezza, e tutto intorno a lui sembra riacquistare colore.

"Ti ho fatto preoccupare?" chiede, stancamente, e gli tende la piccola mano perché Paul la prenda.

Il giovane incontra le sue dita a metà strada, e deve sforzarsi per non stringere troppo.
"Per un attimo il mondo intero ha smesso di fiorire" confessa Paul, teneramente.

"Mi dispiace, figliolo" sospira Ben, "Anche Marcus era preoccupato, vorrebbe che smettessi di lavorare"

"Dovresti spiegare a Marcus che, se lo facessi, le api si rifiuterebbero di impollinare e i semi di germinare. E tutto il mondo diventerebbe un deserto, senza di te" lo consola Paul, e si lascia consolare a sua volta dal sorriso con cui Ben accoglie quelle parole.

"Sei buono con me" constata il vecchio, stancamente, "Ma nessun fiore ha bisogno di me per sbocciare. Neanche tu"

Paul solleva il piccolo mazzo di mughetti di John, e glielo posa gentilmente sulle ginocchia.
"E invece, guarda: appena qualche ora che non c'eri, e questi mughetti già si struggevano. Sono in condizioni terribili"

Ben ride, a fatica, "Oh, Dio. Come hanno fatto a ridursi così?"

Paul sorride, e sente gli occhi farsi lucidi per il sollievo di sentire ancora quel suono, quando già lo aveva dato per perso.

"Te l'ho detto, si struggevano per te. Sono un regalo di John"

"Ho fatto scomodare anche lui?" si rammarica Ben, "Dovrò dirgli che mi dispiace"

"Non dire sciocchezze. Lo ha fatto perché ti vuole bene" assicura Paul, con il suo tono più dolce.

Ben sembra calmarsi appena, "Sì. È una persona gentile. Mi vuole bene. Mi vuole bene perché sono importante per te, quindi sono importante per lui"

Paul sbuffa, senza essere realmente infastidito, "Ti vuole bene perché sei una persona che si fa voler bene"

Il vecchio fioraio sorride, e sfila la mano da quella di Paul per fargli una lieve carezza "Senza dubbio, John è il tipo di persona che anche senza conoscermi mi aiuterebbe ad attraversare la strada, solo perché mi ha visto in difficoltà. La differenza è che per te, figliolo, lui mi porterebbe in spalla attraverso tutto l'inferno"

Il piccolo colpo di tosse di John li fa sussultare.

"Scusatemi" mormora, vagamente in imbarazzo, "Non volevo interrompervi. Il dottor Clarke mi ha detto di avvisarvi che è bene che Ben riposi"

"Grazie, John" sorride Ben, "Mi dispiace aver creato questo scompiglio"

"Non dirlo neanche. È sempre un piacere vederti, sei il mio secondo fioraio preferito"

Il vecchio ridacchia, stancamente, poi si rivolge a Paul "Ti prego, torna a casa e riposa adesso. Non voglio che tu rimanga"

"Ben, io non posso lasciarti-"

"John" e il tono di Ben è categorico "Mi aspetto che te ne occupi tu"

Il ragazzo sorride "Ai suoi ordini, capitano"

Paul si astiene dal rispondere, e dopo aver augurato la buonanotte a Ben, segue John fuori dalla porta.

"Io devo restare qui" sussurra, appena questa viene richiusa.

"Non essere sciocco" lo rimprovera John, dolcemente, "Dormirà come un ghiro e domattina tu verrai a prenderlo. È circondato da medici"

Paul sa che ha ragione, e sente le proprie palpebre farsi improvvisamene pesanti.
L'adrenalina che lo ha tenuto insieme fino a questo momento, è prosciugata da una profonda ondata di stanchezza.

"Mi sembra di tradirlo"

"No, ti stai solo assicurando di essere in grado di guidare per venirlo a prendere, domattina" lo rassicura John, e gli circonda la vita con un braccio, trascinandolo gentilmente verso l'uscita.

Paul lascia che John lo guidi, che il calore del suo corpo lo influenzi, senza opporre resistenza. L'altro chiama l'ascensore, e neanche una volta entrati e premuto il pulsante del piano terra il suo braccio si slaccia dalla vita di Paul.

"Io voglio bene a Ben" mormora d'improvviso John, e tiene gli occhi fissi sui bottoni dell'ascensore, mentre lo dice, incapace di guardarlo, "Non voglio che tu creda che io lo usi come un mezzo per arrivare a te. Né voglio che lo creda lui"

Paul, che inizia a sentire la stanchezza offuscarlo come una bolla lattiginosa, si sforza di rispondere.
"Nessuno di noi due lo crede"

Il corpo di John contro il suo è ancora agitato, ne percepisce i più piccoli tremiti nervosi.

"È solo che, sai, ha ragione. Se servisse, per te io attraverserei l'inferno" ammette, "E ritorno"

Paul sorride, e si stringe un po' contro di lui.
È chiaramente troppo stanco, troppo ebbro di emozioni.
Deve pur esserlo, perché cede all'istinto irrefrenabile di nascondere la fronte nella linea elegante del collo di John, sfregandovi appena il naso.

"Se per te va bene" sussurra, "Io mi occuperei prima del ritorno a casa"



 
  
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