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Autore: Yunomi    17/11/2020    1 recensioni
Zacky chiamava incessantemente, ma sia il cellulare di Brian che quello di Beth risultavano spenti. “Rispondi, lurido pezzo di-”
“Un momento di attenzione, prego.” , fece Matt, piantandosi al centro della navata e con le braccia aperte come un predicatore.
L'officiante lo guardò male.
Tutti gli occhi, compresi quelli gocciolanti di disperazione di Michelle, gli si appiccicarono addosso. “Jimmy qui ha qualcosa da dire.”
Jimmy qui lo guardò come se avesse voluto scuoiarlo e fare paralumi da soggiorno con la sua pelle. Matt, sconvenientemente solenne, gli fece spazio, e si piazzò di fianco a lui con le mani giunte all'altezza della cintura: sembrava un bodyguard di Madonna.
“Ehm...” , iniziò Jimmy, schiarendosi la voce, trovandosi a cercare le parole per la prima volta in vita sua. “Dunque... praticamente, in sostanza, essenzialmente, in concreto, alla luce dei fatti, effettivamente, realment-”
“JAMES OWEN PARLA, per cortesia.” , ululò Valary.
“L'unica cosa di cui siamo certi al centodieci per cento è che Brian ha abbandonato la cappella e mi ha fottuto la macchina.”
Genere: Avventura, Azione, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, The Rev
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 3
A corpse named Gustavo
 
 
 Svariati mesi prima…

 
 
“Merda. Ho perso di nuovo i riassunti di diritto costituzionale.”
“Un giorno di questi in obitorio troverò la tua testa, invece di quella di Gustavo.”
Beth alzò lo sguardo dalle cartelle che aveva sventrato sul pavimento. “Gustavo? Chi diamine è Gustavo?”
“Il cadavere che stiamo studiando in università”, rispose Celeste, senza distogliere gli occhi dal libro, come se la sua migliore amica le avesse appena chiesto scusa, dove teniamo lo zucchero di canna?
“Ovviamente. Gustavo.” , disse Beth tra i denti. Sbuffò, e pensò che effettivamente avrebbe preferito prendere il posto di Gustavo piuttosto che rifare quei riassunti. Le venne un’idea.
“Tu hai finito gli esami, giusto, Celi?”
“Per un po’ tutta la mia attenzione sarà concentrata su una graziosa metastasi nel pancreas di Gustavo.”
Celeste sollevò lo sguardo verso Beth, e alzò un sopracciglio: “Non ci pensare nemmeno. Ti ho già fatto quelli di diritto penale minorile, e non hai neanche dato quell’esame, ancora. Sono là sulla mensola a prendere polvere.”
Beth sbuffò, lievemente infantile. “Sei sempre stata una secchiona. Che ti costa?”
“Cosa credi di imparare se i riassunti te li faccio io? E poi, perché non chiedi a un compagno di corso? Sono certa che Berkley gorgoglia di giovanotti prestanti che non aspettano altro che tu gli chieda un favore”, la prese in giro, e per poco Beth non le tirò una ciabatta.
“Poi dovrei andarci a letto.”, rispose l’altra, accasciandosi stanca sul divano accanto a lei.
“Ah giusto,” , disse Celeste, leccandosi un dito per girare la pagina, “e tu invece sei consacrata all’altare di coso, come si chiama, Synyster Gates.”
“Non incominciare.”
“Beth. È tutta l’estate che non ti chiama. E l’ultima volta che ti ha chiamato, non si faceva sentire da quattro mesi. Forse è il caso di andare avanti?”
Beth sospirò, distogliendo lo sguardo, e Celeste allungò una mano sul braccio dell’amica. Anche se era troppo orgogliosa per ammetterlo, sapeva quanto ci stesse male. Un giorno erano in chiamata Skype SanFran-Dublino, e Beth diceva di star vivendo i mesi migliori della sua vita, e il successivo Brian era partito per la tournée senza neanche avvisare, senza rispondere ai messaggi né alle chiamate.
E Celeste si ritrovava a gestire quel casino che Beth diventava dopo ogni delusione d’amore, ovvero una palla di pile che infestava il loro divano, e che non guardava niente che non fosse stato girato da Nora Ephron; e ogni tanto, se si era fortunati e abbastanza cauti, dall’unico spiraglio della coperta emetteva un lugubre lamento, che tradotto avrebbe dovuto significare ha chiamato?, ma che a un orecchio inesperto non mostrava alcuna differenza da certi versi che fanno i trichechi quando devono accoppiarsi. O quando muoiono trafitti da una fiocina. Questo la dice lunga sulla qualità di vita dei trichechi.
“A proposito, stasera viene il clan al gran completo. Cosa abbiamo da offrire?”, chiese Beth, giocherellando con un lembo del maglione, dopo aver passato lunghi attimi di parco silenzio.
“Mmh… Credo ci sia del bourbon avanzato dal compleanno di Matt, tequila, forse vodka…”
“Intendevo per la cena…”
“Da quando vengono qui per la cena?”
Calò, di nuovo, un lungo silenzio; non di quelli imbarazzanti o tesi, ma del tipo talmente dilatato che va riempito con qualcosa, qualsiasi cosa, un tè o uno slancio di irrazionale fregola sessuale.
Ma siccome né l’una né l’altra erano interessate alle sperimentazioni saffiche, Beth si alzò e mise su il bollitore.
Mentre aspettava, estrasse una sigaretta dal pacchetto di Celeste, accendendola. Sul bancone della cucina, un’edizione di Pathologic Basis of Disease, e di fianco, una pila di vecchie riviste. Beth le sfogliò, per vedere se ci fosse qualcosa da buttare, quando scoprì, alla base della torre, un numero di Kerrang!, vecchio di qualche mese.
Una delle pagine era stata piegata, a mo’ di orecchia, all’altezza di un articolo sugli Avenged Sevenfold. 
“Questo cos’è?”, chiese Beth, monocorde, alzando la rivista. Il gruppo ghignava strafottente dal paginone centrale, compatto e inossidabile come sempre, ma agli occhi di Beth era come se in quella pagina ci fosse una gigantografia di Brian.
Celeste si mosse inquieta, ma in una maniera talmente impercettibile che nessuno avrebbe notato, a colpo d’occhio: ma Beth la conosceva fin troppo bene, e aveva imparato a riconoscere i suoi automatismi, le sue lievi smorfie di disappunto e il modo peculiare in cui manifestava disagio. Un vago piegare la testa da un lato, un lento sollevamento del petto di pochi, trascurabilissimi millimetri, come per nascondere il suo umano bisogno di inspirare e diffondere ossigeno nei propri tessuti.
Poi, come se fosse stata improvvisamente svegliata da una trance, guardò negli occhi l’amica, e dopo un cruciale secondo, le sorrise. “Una rivista.”
Beth aprì il frigorifero bruscamente. Tirò fuori il cartone del latte e lo piantò sul bancone con veemenza tale da imperlare il manuale e le riviste di minuscole gocce bianche. Milky way.
Il bollitore emise un fischio isterico, ma venne prontamente ignorato.
“Esattamente,” , iniziò Beth, senza curarsi di suonare posata, “quanto pensi che io sia cretina?”
L’amica la guardò attraverso il soggiorno. Il temperamento burrascoso di Beth esplodeva sempre nei momenti meno adatti, ma di solito il suo arrivo si faceva sentire con un certo anticipo. L’ultima tromba squillerà, e i morti risusciteranno incorruttibili, e noi saremo trasformati. Davvero incoraggiante.
“Ti piace Brian, non è così?”
Celeste chiuse il libro. “Sai cosa? Parliamo quando ti sei data una calmata.”
Beth non riuscì a trattenere un ringhio di frustrazione. “Perché scappi sempre dalle discussioni? Perché non mi dici la verità? Cazzo, sono la tua migliore amica!”
Celeste, che aveva già un piede sul gradino per ritirarsi al piano di sopra, fece dietrofront e andò in cucina. “Il problema non sono io, e lo sai bene. Sei frustrata.”
“Non dirmi quello che pensi che io senta! E non sono frustrata, voglio solo che tu mi dica la verità per una volta.”
Il bollitore continuava a gridare.
“Vorrei ricordarti che non gira tutto intorno a Brian, anche se potresti non essertene resa conto, dato che quell’uomo è il centro del tuo universo.”
“Potevi startene all’UCLA. Non ti ho chiesto di seguirmi. Sarebbe stato tutto più facile.”
Celeste sorvolò saggiamente le frecciatine di Beth. “Cosa sarebbe stato più facile?”
Beth sospirò irritata, prese le riviste e le scaraventò nell’immondizia. Scrollò la sigaretta, mancando il posacenere, e poi, avvilita, la schiacciò sul povero, innocente Pathologic Basis of Disease.
Sbuffò, posando lo sguardo in qualsiasi angolo dell’appartamento che non fosse la figura dell’amica, glaciale ed indifferente.
Quanto la detestava quando assumeva quell’atteggiamento di superiorità, e quanto si detestava per non essere mai in grado di trattenersi dallo scoppiare. Ma Beth era costantemente un fascio di nervi che si contorceva sotto la pelle; sempre pronta a saltare, una freccia incoccata nell’arco, tesa e dritta, appuntita, pronta a colpire chiunque fosse a tiro.
Si sentiva una bambina capricciosa, e all’improvviso, di fronte all’imperturbabilità regale dell’amica, dovette trattenersi dal mettersi a piangere.
Così inesperta di tutto, così accoccolata nel suo caldo giaciglio di bambagia, ogni volta che discuteva con Celeste si sentiva nuda e vulnerabile, senza la possibilità di rannicchiarsi e proteggersi – e quel che è peggio, senza la capacità di contrattaccare.
Poteva dunque biasimare Brian per averla lentamente dimenticata? O forse per preferire Celeste a lei?
Dopotutto, lui era un uomo adulto, con  una carriera, una fidanzata che gli avrebbe dato dei figli: la sua vita, come un masso staccatosi dalla montagna, puntava inesorabilmente verso un’unica direzione. Lei non era nemmeno così vicina al laurearsi, aveva appena compiuto ventidue anni e l’idea di una gravidanza le provocava dei cupi tremiti lungo la colonna vertebrale. 
“Avrei solo preferito che fossi stata più sincera con me.”, sputò, velenosa.
Salì in camera sua, sbattendo la porta.
 
 
 
And I can easily understand
How you could easily take my man
But you don't know what he means to me, Jolene
 

 
 
Celeste stava affettando finocchi per la cena.
Era nervosa, irritata e stanca di finire sempre a litigare con Beth, sempre per gli stessi motivi; considerò un miracolo non essersi amputata neanche un dito.
Li scaraventò nella teglia e poi scaraventò la teglia nel forno.
“Tutto ok?” , chiese Zacky, facendo capolino dal soggiorno. Aveva le gote rosse perché James aveva avuto la brillante idea di preparare margarita per tutti, prima di cenare; e questo significava solamente che St. James, protettore dei fegati e della sbronza infrasettimanale, voleva farli ubriacare prima ancora che si sedessero a tavola.
Celeste sorrise. “Sì, grazie. Sono solo un po’ stanca.”
Appoggiò il coltello sul tagliere con la mano che tremava leggermente: “Ecco che se ne a ramengo la mia nomea di migliore tirocinante del corso.” Mostrò la mano a Zacky.
Lui, che di tirocini ne sapeva poco, e di migliore del corso in vita sua ne aveva sentiti ancora meno, le sorrise, affettuoso come un fratello maggiore: “Sicuramente Gustavo non avrà niente da dire se sbagli a guardargli nelle budella.”
Celeste lo guardò colma di gratitudine. Prese il bicchiere e ne svuotò il contenuto, strizzando gli occhi. Era certa che, approfondendo tali frequentazioni, il suo futuro, di lì ai prossimi mesi, si sarebbe potuto riassumere con due parole: cirrosi epatica.
“Ti sei ricordato che lo chiamiamo Gustavo…”, disse teneramente.
“Ma ovvio! È difficile dimenticarsi qualsiasi cosa dica!”, sbottò Johnny, spuntando come un fungo allegro in cucina.
Qualcuno, in soggiorno, aveva acceso lo stereo, e ora che Super Freak di Rick James veniva sparato fuori dalle casse l’atmosfera di quell’uggioso pomeriggio iniziò a intiepidirsi.
“Dove li tieni i lime, cara?”, chiese Matt, ancheggiando a ritmo in cucina.
“Non abbiamo lime, temo. Ma dovrebbe esserci un limone incartapecorito in fondo al cassetto della verdura.”
“Non lo vendi bene, lascia che te lo dica.”, esclamò Brian, allegro come un corvo su una lapide, sorseggiando il terzo margarita. A lui, di solito, prendeva la sbronza nichilista.
James, seduto sulla poltrona a gambe larghe, beveva alternando tra la bottiglia di tequila e quella di Cointreau; Celeste lo guardò dal bancone della cucina su cui si era appollaiata. Sembrava nervoso, come se gli formicolassero le mani dal bisogno che aveva di prendere a ceffoni qualcuno. Celeste saltò giù dal suo trono e si diresse verso di lui. Ora Matt aveva messo Blondie.
“Come va?” chiese languidamente. Si sentiva comunque molto a disagio in mezzo alla cricca, soprattutto se non c’era Beth a darle appoggio; ma era da quel pomeriggio che Beth aveva chiuso i porti con tutti e si rifiutava di spicciare parola. E con il livello etilico nel sangue che non faceva che alzarsi, Celeste non si sentiva certo nella sua forma migliore.
Jimmy le rivolse uno sguardo gentile, e le sembrò che per un attimo smettesse di vibrare. Anche il ronzio nella sua testa cessò per una frazione di secondo, ma di questo ovviamente se ne accorse solo James.
“Splendidamente, angelo.”, rispose, buttando giù un altro sorso di tequila. “Tu, piuttosto, mi sembri tesa come una corda di violino.” Si fermò di colpo e la guardò fisso, quasi spiritato. “Vuoi un altro margarita?”
“Sono a posto.”, sorrise lei. Percepiva con una precisione inquietane il movimento del sangue scorrere giù, fino alle gambe, e ritornare su, in particolare sulle guance, scaldandole. La sua dannata carnagione gaelica, quando arrossiva era davvero difficile mantenere il suo aplombe.
James, dal canto suo, faceva fatica a staccarle gli occhi di dosso; non riusciva a smettere di pensare alle sue gambe, sotto il vestito sottile che portava. Ebbe un fremito.  
“E’ il suo modo di flirtare, lascialo stare.” , sopraggiunse Brian, “Quando capisce che da sobrio non riesce ad abbordare cerca di blandire le sue prede con i distillati.”
“Brian: sei un deficiente. Celeste: dov’è Beth?”, disse James, tergiversando.
“Su. Abbiamo litigato, oggi. A proposito, Brian,”, asserì Celeste, prendendolo con malagrazia per un braccio, “due parole? Grazie. Qualcuno controlli i finocchi!”, urlò.
Si avviarono, entrambi barcollanti, lungo il corridoio, e si chiusero in bagno.
Quando sentì la chiave scattare nella serratura, Jimmy scattò in piedi, creando un piccolo tsunami di tequila nella bottiglia. Matt, che da quando era diventato padre aveva acuito i suoi sensi da capobranco, si avvicinò alla poltrona. Poteva quasi vedere il fumo che usciva dalle narici di James.
“Stavolta lo ammazzo.”
“Jimmy, il cuore.”
“E’ la volta buona che lo scotenno. Lo faccio a pezzi e lo seppellisco nel giardino di Johnny Christ.”
“Hey!”
“Jimmy?”
“Sì.”
“Caro Jimmy.”
“Sì.”
“Non mi piace quando rispondi a monosillabi.”
“Sì.”
“Non pensare subito male.”
“Sì.”
“Magari vogliono solo organizzarti una festa a sorpresa.”
“A chi?”
“A te, Jimmy.”
“Synyster Gates mi organizza una festa a sorpresa? Gliela faccio io la festa.”
“Calmo.”
“Un ricco cazzo. Io entro.”
“Non fare cagate, non sta proprio a te.”
“Vogliamo vedere come stai tu con quel diffusore su per il-”
“IL FORNO! I finocchi!”
 
           
Want me to love you in moderation?
Do I look moderate to you?
(Florence + the Machines)
 
 

“Bastava dirlo, bambina.”, ridacchiò Synyster – che da sbronzo era ancora più importuno, se possibile – premuto contro la porta del bagno.
Celeste lo squadrò con un velo di compassione. “Sei un uomo pietoso, Brian. Nel senso che mi susciti solo che pensieri compassionevoli.”
“Meglio che non suscitare nulla.”
“Beth e io abbiamo litigato.”
“Ebbene?”
“Per colpa tua. Non so come si è messa in testa che mi piaci.”
“Non è così incomprensibile, bamb- AHIO!”, strillò, tenendosi lo stomaco che Celeste aveva appena perforato con una gomitata. “Sei manesca.”
“Cristo!”, esclamò lei, esasperata, “Si può sapere che intenzioni hai?”
“Ma cosa vuoi dire?”
“Cosa voglio dire… Dio santo, a volte mi sembri un bambino speciale. Hai passato tutta l’estate scorsa a illudere Beth di essere la donna della tua vita, poi appena se ne torna a San Francisco basta, amici come prima? Ma sei capace di scegliere una direzione nella tua vita e seguirla coerentemente?”
Brian rimase zitto, osservando le piastrelle.
“Se non sei innamorato di Beth, o se lo eri ma non lo sei più, o se volevi solo un passatempo per l’estate, devi dirglielo. Devi dirglielo, perché mi sta facendo uscire di testa, e io ho bisogno, della testa. Devo laurearmi.”
“Cosa ti fa credere che io non sia innamorato di Beth?”
Celeste lo guardò, basita, esasperata. “Stai scherzando? No… sei serio. Oddio, sei serio. Brian. Ascoltami, ma davvero: se sei innamorato di Beth, perché sei scomparso senza dirle niente? Dio, se solo accettassero volontari da esaminare all’obitorio, vorrei vedere esattamente quante volte tua madre ti ha fatto cadere da piccolo. Dev’esserci una qualche lesione, un’abrasione del lobo front-”
“Sono tornato con Michelle…”
“Ah.”
“Più o meno.”
“Sei senza speranza.”
“L’ho sentito spesso.”
“Cristo. Cristo. Okay. Devi dirglielo. No, ascolta, non fare quella faccia da totano bollito. Devi dirle che sei innamorato di lei, ma che ti sei messo con Michelle. Oppure lascia Michelle.”
“La ucciderò.”
“Lo stai già facendo, e stai trascinando anche me nel mentre.”
“Dille che ti piace Jimmy, così si leva ogni dubbio su di me.”
“Non mi piace Jimmy.”
“No, certo, e io in realtà sono Lady Diana, Johnny Christ è un leprecano, e questo spazzolino qui cura il cancro.”
“Non sono affari tuoi chi mi piace. Il punto, qui,”, continuò Celeste, sentendo la pazienza venirle meno, “il punto è che devi capire che cazzo vuoi, Brian.”
Lui scivolò con la schiena fino ad accasciarsi per terra, come una bambola di pezza. Si strofinò gli occhi e sospirò. “Non so neanche io cosa voglio. Insomma, Michelle è la mia ragazza dai tempi del liceo, ci tengo a lei… Ma Beth… è un’altra cosa.”
Celeste si sedette di fianco a lui, sospirando. “Io voglio solamente che tu prenda le tue scelte senza falcidiare chiunque si trovi nel raggio di un chilometro da te. La peste del ‘48 è un colpo d’aria in confronto a te.”
Brian ridacchiò sommessamente. “Mi piaci, Celeste. Mi piaci perché hai due tette da paura e riesci a tenere tutti a bada.”
Celeste alzò gli occhi al cielo, ma in realtà sorrideva. “Promettimi solamente che sarai sincero, qualunque sia ciò che deciderai.”
“Mh.”
“Non fare nulla perché credi di dovere.”
“Mh. Okay. Grazie, credo.”
Celeste sorrise, gli diede una pacca sul ginocchio e si alzò. “Jimmy fa davvero dei margarita micidiali.”, disse, appigliandosi ad un accappatoio per non cadere rovinosamente a terra.
Altrimenti sarebbe stata lei a trovarsi sdraiata sul tavolo autoptico, l’indomani.
 
 
I've never made it with moderation
No, I've never understood
All the feeling was all or nothing
And I took everything I could
Can't hold it back, I can't take the tension
Oh, I'm trying to be good
Want me to love you in moderation
Well don't you know, I wish I could.
(Sempre Florence, Florence la saggia, l'immensa.)



Ebbene,
riapprodo anche in questa storia, che avevo lasciato in un angolo della mia mente come un orfano dickensiano, lasciata a macerare nei suoi umori per quattro anni.
Riapprodo non completamente certa che a qualcuno importi ancora qualcosa di questa manica di derebrati; tant'è, che se non li lascio uscire a prendere un po' d'aria e a sgranchirsi le gambe mi revocano l'affido. E io ho bisogno di loro.
Sono passati quattro anni, e io resuscito con un mese di ritardo dalla festa dei morti perché questo qui è un periodo proprio strano, in cui penso decisamente troppo, rimugino, piango, leggo gialli dozzinali e cucino. 
e questi qui - gli A7X, dico - questi qui sono sempre stati un'insostitubile copertina di Linus, come anche la scrittura lo è sempre stato. E devo dire che stanno aiutando.
Come sempre.
Di cosa mi sorprendo? Dannati.
Oh beh, sapete come funziona: se vi è piaciuta, fatemelo sapere. se non vi è piaciuta... meglio di no, che sono anche io avvolta in pile a piangere e guardare i film della cara Nora.
Baci stellari,
Valeria Marini
y.
   
 
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