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Autore: Eliot Nightray    18/11/2020    1 recensioni
26 agosto 55 a.C. le truppe di Giulio Cesare muovono dalla Gallia verso la Britannia in missione esplorativa, in risposta all’aiuto militare fornito dai britannici agli alleati gallici.
Genere: Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Antica Roma, Britannia, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Beati monoculi in terra caecorum
 
26 agosto 55 a.C. le truppe di Giulio Cesare muovono dalla Gallia verso la Britannia in missione esplorativa, in risposta all’aiuto militare fornito dai britannici agli alleati gallici.
 
Tuscia sedeva sulla poppa della Bireme* intenta a far girare il gladio sulla punta, come fosse stata una ruzzola, come era suo uso poco prima della battaglia. Stava ferma a fissare la punta che scavava avidamente il legno della nave.  Avida, come era stata lei in battaglia, bramosa di sangue e conquista. Non era cambiato molto dalla sua alleanza con Roma, il suo spirito così bellicoso ed indomabile era rimasto tale e di tanto in tanto la spingeva a compiere follie, come decapitare la testa di Roma nel sonno. 
 
Accanto a lei, avvolto in un manto purpureo spiccava il generale Gaio Giulio Cesare il volto rivolto alla terra ormai vicina, così vicina che se solo avesse allungato il braccio avrebbe potuto afferrarla nel vento. Il generale era entusiasta, dopo le vittorie riportate contro i Daci e la conquista della Gallia, la Britannia con i suoi misteri ed i suoi tesori era ormai ad un passo. Tuscia sapeva bene che il suo generale bramava la vittoria con la stessa sua foga e proprio per questo, proprio per quelle virtus che aveva dimostrato in battaglia lo rispettava.  Anche se entusiasta, il generale non riusciva a celare l’ansia per la tempesta che li stava scuotendo da un po'. Avrebbero riportato danni alla flotta e questo avrebbe portato grossi problemi. 
 
  • Florentia – il generale la chiamò, la voce un poco scossa portava con sé un carico di dubbi ed affanni che assomigliavano in tutto e per tutto a quella tempesta che si stavano trascinando dietro – pensi che gli dei ci siano avversi? Che questa terra sia forse protetta da qualche creatura mostruosa? guarda come cede il legno e si gonfia la prua.
  • Gli dei vogliono la nostra vittoria, mio generale non vedi come queste acque così torbide si rimescolano agitate? Nettuno è così gonfio di orgoglio per le nostre gesta, che come un giovane alla prima battaglia non riesce a trattenere la sua indomabile eccitazione. – Tuscia si sollevò, per seguire lo sguardo del generale. – non temere, Roma avrà la sua vittoria ed i romani gioiranno grassi e sazi dei nostri tesori- Cesare si allontanò, rassicurato dalle parole della donna che di rimando tornò a sedersi composta. 
 
Come era uso nella moda romana dell’epoca, Tuscia portava i capelli legati in una treccia che avvolgeva una crocchia dietro il capo, che ogni mattina si preoccupava di farsi, non aveva mai richiesto la presenza di una serva. Aveva imparato presto ad essere autosufficiente, una serva in battaglia sarebbe stata inutile ed avrebbe distratto i suoi commilitoni. Lei invece, le cui fattezze erano ben celate sotto la lorica* non portava alcuna distrazione. Molte delle sue azioni avevano il fine ultimo di agevolare i suoi commilitoni e questi in cambio le portavano rispetto e premure, alcuni persino da tempo avevano preso a chiamarla Minerva contro il suo volere. La dea delle armi, della guerra e degli artigiani per molti si celava infatti in Tuscia. Immortale, fedele, saggia, la vergine di ferro era da sempre imbattuta e proprio per le sue abilità in battaglia e per le sue capacità artigianali molti al suo passaggio abbassavano lo sguardo chiamandola Minerva o pregando a bassa voce che ella volgesse le sorti della battaglia a loro favore.
 
Nel merito delle arti artigianali, Tuscia aveva mostrato sin dalla più giovane età una impareggiabile manualità. Lei stessa aveva infatti decorato personalmente gli intarsi della sua armatura prendendosi cura di ogni minimo dettaglio. Cesare stesso le aveva commissionato la sua lorica e lei aveva acconsentito con gioia, amava essere apprezzata per le sue doti.
 
Tirò un poco il freno del carro sui cui viaggiavano i suoi pensieri , quando scorse con la coda dell’occhio una figura a lei particolarmente familiare. Accanto a lei si fece largo Roma, il passo fermo, solido e possente. Nel vederla seduta in contemplazione della battaglia ormai vicina, Roma le sorrise e lei di rimando sollevò un poco l’angolo della bocca.
 
  • Guarda Tuscia, come si gonfia l’acqua. Non sei eccitata? Non ti fa tremare il solo pensiero di quelle ricchezze, una terra vergine da prendere a nostro piacimento
  • Temo che l’inebriante sapore della vittoria non abbia ancora lasciato le tue spoglie
  • Niente di cui temere, anzi!
  • La flotta rimarrà di certo danneggiata da questa tempesta
  • Temo che tu abbia ragione
 
Come Tuscia era stata consacrata con il nome Minerva, Roma di rimando era stato ribattezzato Marte. Una divinità come lei in guerra, aveva però un ardore che lo contraddistingueva, qualcosa di feroce. Così come Roma era sangue, morte, guerra e sesso, Tuscia era saggezza, devozione, purezza. Entrambi lontani dalla tanto temuta luxuria* rappresentavano i due volti dell’uomo romano. Uomo per entrambi poiché Tuscia mancava in uno degli aspetti fondamentali dell’essere donna a Roma: avere figli. Le sue beltà erano note a molti, aveva lunghi capelli color grano, occhi d’oro, un ventre piacente, un seno prosperoso, era alta e sinuosa, ma Tuscia era nata e cresciuta come un uomo e nessuno mai attorno a lei l’aveva fatta sentire una donna. La vita casta le si addiceva di più, non che non avesse notato le insistenti premure di Roma, ma Marte e Minerva erano fratelli e di certo lei non sarebbe mai stata la sua Venere.
 
Tuscia frenò i pensieri per un poco, la terra era vicina, la nave arrancò fino a fermarsi, tutti i suoi pensieri piombarono nel più profondo della sua anima.  Non era più il tempo delle parole.
 
Gli uomini erano stanchi, in parte intimoriti, ma come nelle precedenti battaglie parevano rinsavire alla vista del loro generale. Delle ottanta imbarcazioni con cui erano partiti, molto risultavano danneggiate e Tuscia temeva che alla vista di tale scempio il nemico non avrebbe esitato ad attaccare.
 
Il nemico, perché i britannici avrebbero rappresentato una nuova sfida? Dopotutto la loro era una semplice spedizione osservativa, voluta da Cesare per scoprire chi fossero i tanto odiati alleati dei vicini gallici. Tuscia si domandò se avessero qualche tratto in comune con gli alleati, che fosse il pallido colore delle membra o il rossore dei capelli. Era sufficientemente certa che condividessero lo stesso barbarico stile di vita, privo di struttura e società. I galli si erano appunto presentati ai romani come un popolo barbarico, indolente alla resa, ma che in breve si era piegato come un giovane giunco alla potenza romana. Alcuni di loro si erano dimostrati inizialmente più arrendevoli, ma barbari restavano ed in quanto tale il sangue era l’unica via per comunicare.  Aveva visto così tanto sangue negli anni precedenti che avrebbe potuto decapitare un uomo, senza provare alcun sentimento. Riguardo a quest’ultimo punto, Tuscia aveva da sempre tentato di comprendere quali sentimenti umani era riuscita a provare o semplicemente comprendere.  
 
Conosceva tutto ciò che era legato alla gioia della battaglia, dall’ardore della pugna al dolce ritorno a casa, dalle sue serve e dal suo focolare. In casa si comportava come un uomo, gestiva gli affari della casa, imbandiva banchetti ad ogni festività ed accoglieva gli ospiti quando di tanto in tanto si presentavano alla porta. I sentimenti umani gli erano tuttavia ancora oscuri, ad esempio non aveva mai provato paura, mai neppure durante la battaglia più disperata aveva sentito le membra cedere ed il sangue raggelarsi.  Tuttavia, sentiva dentro di se farsi largo un moto turbolento che spesso aveva provato dopo anni di battaglia.
 
Non temeva l’inizio di quella che era ormai una inevitabile guerra con le popolazioni dell’isola, tantomeno nutriva preoccupazioni per i suoi uomini che mano a mano che scendevano dalle navi riprendevano sempre più colorito alla vista della terra, no le sue uniche preoccupazioni erano difatti rivolte a sé stessa. Sentiva la mancanza della propria casa, della sua terra, quella inebriante sensazione di calore che il suolo le dava quando vi camminava a piedi nudi, sua usanza abituale. Nudi, come è nuda la terra, spoglia di armatura ed armi. La sua terra era calda, rigogliosa, verde e prosperosa. Secondo Roma quella terra così prosperosa non poteva che essere un felice presagio della sua fecondità; “i tuoi figli saranno panciuti e felici, con capelli riccioluti neri come il carbone degli Inferi “ripeteva spesso Roma soffermandosi con accanito ardore sul colore dei capelli. Si, perché se i capelli di Tuscia parevano gambi di grano bruciato, quelli del commilitone erano di un nero corvino, scuri come la notte, il che faceva evidentemente intendere che quei figli tanto adorati dal romano erano i loro. Tendeva sempre a ridere ogni qual volta il pensiero tornava a far capolino. Come già detto in Roma vedeva un fratello e come tale provava un tenero affetto, alternato ad astio il che a detta sua era un comportamento del tutto umano. Non gli avrebbe mai dato dei figli, in generale non pensava che alcun uomo le si sarebbe accostato al fine ultimo di procreare. Roma era un caso a parte, avrebbe violato la sua stessa madre se ne avesse avuta una. Tutte le donne gli si concedevano felici di poter essere, anche se per una sola notte, la Venere di Marte. Gli uomini dal canto loro, benché nutrissero un certo ardore simile in tutto e per tutto a quello di Roma nel vederla camminare per strada, restavano in disparte spaventati dall’idea di essere mutati in gorgoni; Roma, dal canto suo, di certo non temeva la sua potenza, si accostava spesso a lei nelle sue passeggiate serali marciando al suo fianco con passo fermo e deciso. Era deciso da tempo a farla sua, ma Tuscia sperava che la sua insistenza sarebbe un giorno cessata e che il tutto fosse incalzato dai suoi continui rifiuti. Doveva essere questo il motivo che spingeva Roma a corteggiarla o coricarsi la notte con donne con tratti simili ai suoi, di certo non era amore.
 
Ecco, l’amore era un sentimento che non aveva mai avuto la fortuna di provare, in parte per la paura che incuteva in parte per sua scelta, consapevole che tutti attorno a lei si sarebbero dissolti mentre lei sarebbe rimasta, retta come una statua.  Non una volta, si era persa nella contemplazione di un volto, non una volta aveva bramato il tocco di un altro individuo.
 
  • Dunque è questa la Britannia. – Roma accanto a lei inspirò profondamente per poi volgere lo sguardo attorno. – il pallore di queste scogliere ricorda il tuo
  • Mi stai forse associando alla nuda pietra? Perché in tal caso, sarebbe il complimento più riuscito che tu mi abbia mai rivolto
  • Non era questo ciò a cui stavo alludendo, tuttavia sono lieto di sapere che almeno per una volta ho soddisfatto i tuoi gusti. - il romano accanto a lei si guardò nuovamente attorno pensieroso. – riguardo al castrum*?
  • Il problema è la flotta, se ci allontaniamo troppo finiremo con il farci sopraffare e non avremo modo di richiamare il rimanente delle truppe. Non possiamo comunque sostare sulla spiaggia, finiremmo sulle loro picche dopo una sola notte. L’unica soluzione è insediarsi un poco all’interno, mantenendosi a breve distanza dalla flotta. – Roma accanto a lei si afferrò il mento massaggiandosi il pizzetto
  • Sperando che non ci stiano già aspettando ovviamente
  • Ovviamente. – concluse secca
 
Tuscia e Roma si portarono avanti, con l’esercito a seguito lasciando che la prima centuria iniziasse i preparativi per la costruzione del castrum. Si separarono appena dagli uomini per osservare da lontano l’operato dei soldati, entrambi trovavano particolarmente entusiasmante osservare i propri soldati affannarsi per appagare il proprio centurione. Tuscia si scostò appena all’arrivo di Cesare che sembrava avere finalmente ritrovato tutto l’entusiasmo che aveva mostrato in Gallia. Forse avrebbe persino scritto di quelle gesta. Per un poco cercò di rilassarsi, il paesaggio attorno a lei era florido e benché fosse Sextilis* l’aria era fresca a tal punto da alleggerire il pesante carico dell’armatura, persino il Sole sembrava più tiepido. Forse Apollo aveva preferito non sostare troppo a lungo su quelle terre, che fosse un segno nefasto?  
 
Cesare e Roma avevano preso a discorrere ed il discorso si era ormai fatto così contorto che le risultò difficile tenere il passo. Quando Tuscia stava per insinuarsi, furtiva nel filone di parole ecco un suono sordo, che tutti i presenti conoscevano fin troppo bene. Si perché il rumore di una freccia, un soldato lo conosce assai.  Dal momento in cui abbandonava la mano del padre, squarciava l’aria circostante come una spada nemica o come il nero inchiostro fende la vergine carta. Il sibilo si fece tuono e poi urlo e quando finalmente stava per colpire il bersaglio, Roma afferrò la freccia senza alcuna difficoltà.
 
  • Suppongo, che la nostra spedizione non sia ben vista. – decretò il generale, affatto scosso da quanto accaduto.
  • Posso occuparmene da sola.
 
Tuscia si allontanò dai due compagni, calma, pesando attentamente i propri passi. Trovava particolarmente divertente l’ostinazione che molti soldati mostravano nel cercare di colpirla. Si perché il barbaro, si ostinava ancora a colpirla ignaro che stava portando a segno ogni freccia ed ognuna di esse si scagliava su Tuscia senza brandirne le carni, ma spezzandosi in due. L’arciere non lo aveva di certo notato perché aveva continuato imperterrito a colpirla. Aveva contato venti frecce, il barbaro aveva di certo dimostrato una degna ostinazione. Si era ormai portata sotto gli alberi della foresta in cui si nascondeva l’arciere, quando udì un brusio di parole ed urla provenire dalla pancia silvana. Che stessero scappando? Si portò ancora avanti, abbastanza da poter rilevare con calma la posizione dell’arciere ed osservare i dintorni. L’uomo era solo, ma di certo qualcun altro se ne stava ben celato da occhi indiscreti e con ogni probabilità si trattava di Britannia stessa.  Tuscia si sistemò un poco il gambale, noncurante del nemico che di rimando sembrò sentirsi insultato da quel gesto così femminile e tranquillo, volto a mostrare che la donna non temeva alcunché da lui. Quando infine ebbe sistemato il gambale, Tuscia balzò in alto raggiungendo l’uomo che rimase tanto sconvolto da lasciare cadere l’arco a terra. Una volta trovata una posizione di equilibrio si rizzò mostrandosi in tutto il suo splendore, si portò una mano al petto e con calma e voce sufficientemente alta da essere udita anche a distanza si presentò
 
  • Sono Tuscia, assieme a Roma rappresento la terra dei vitelli* e sono qui per portare la pace nel vostro barbarico mondo
  • .. – l’uomo davanti a lei rimase in silenzio, non riusciva a capirla questo era evidente-
  • Non ti mostri, Britannia? vuoi davvero restare nell’ombra come un fantasma? - non vi fu alcuna risposta. Patetico e codardo ecco che cosa era il popolo britannico. Portate quindi le braccia al petto, Tuscia si guardò un poco attorno speranzosa di essersi fatta un’idea sbagliata.
 
 Il barbaro davanti a lei, forse spaventato o piuttosto umiliato dalla situazione estrasse un pugnale e lo rivolse a Tuscia.
 
Buffo, pensare a quanto potesse essere stupido un solo uomo.  
Buffo, come sarebbe stato divertente esporre la sua testa sopra una bella picca. 
Buffo, come la sua bocca si era tirata in un grottesco sorriso che aveva impedito all’altro di muoversi terrorizzato.
 
La paura, era un sentimento così devastante da guardare negli occhi della propria vittima, così affascinante e delicato. La faceva sentire viva, vedere lo sguardo dei propri nemici farsi sempre più confuso, poi spaventato ed infine terrorizzato. Così si portò avanti, lasciando che l’uomo scivolasse verso il tronco con la schiena mentre la mano teneva sempre il coltello ben saldo. Tuscia afferrò la mano del uomo che istintivamente tentò di liberare la destra con la mancina libera. Senza perdere il contatto visivo, Tuscia trascinò il coltello del britannico sulla propria gola come a volersi sgozzare con l’arma nemica con le sue stesse mani. Tuttavia, diversamente dall’aspettative dell’uomo, non vi fu sangue, ma solo brandelli di ferro della lama, furono loro a danzare nell’aria e non la purpurea linfa vitale della romana. La paura negli occhi dell’uomo si fece sgomento e la gioia di Tuscia crebbe a tal punto da ampliarne ancora il sorriso. Se prima l’uomo aveva tentato di liberarsi, ora stava conficcando il resto del coltello nella mano imprigionata nel folle tentativo di fuggire via.  La paura era davvero un sentimento incredibilmente affascinante da osservare con i propri occhi.  Con la mano libera spezzò di netto il braccio destro del britannico, la mano parzialmente amputata penzolava come un ramo spezzato assieme all’arto. Le urla del nemico si erano ormai fatte assillanti, quasi noiose e così il sorriso abbandonò il volto di Tuscia , sostituito da un broncio annoiato.
 
Gli fece cenno di fare silenzio e quando quello volle continuare ad urlare, si limitò a colpirlo sulla testa così da farlo svenire. Il brusio attorno a lei si fece nuovamente largo nella foresta ed era già pronta ad affrontare Britannia, mano sull’impugnatura di osso del suo gladio, quando Roma apparve alle radici dell’albero con un ciprigno preoccupato stampato sul volto. Sconsolata, Tuscia si caricò l’uomo sotto l’ascella preoccupandosi di non macchiarsi in alcun modo ed abbandonò l’ormai muta selva alla volta del castrum ancora in costruzione.
 
  • Le tue abilità in battaglia sono leggendarie, ma non dovresti dimenticare che quelli sono barbari ed in quanto tale sono privi di rispetto, nessuno di loro avrebbe titubazioni nel colpirti alle spalle.
  • Ne sono ben consapevole, ma non vedo perché lamentarsi tanto. Britannia è una codarda, se ne è stata nascosta
  • Avrà voluto studiare il suo nemico
  • O forse non si cura abbastanza dei propri uomini, sarà il tempo a dare ragione ad uno di noi due
 
I due rimasero a lungo a discorrere nella tenda di Cesare, parlavano di come quello schiavo gli sarebbe stato di aiuto mentre un medico curava la ferita. Al solito, il problema era riuscire a comunicare il che portava ad una serie di snervanti tentativi di comunicazione. Passarono alcune ore e quando finalmente il castrum fu finito l’uomo rinvenne del tutto.  Il barbaro si ritrovò quindi in una fortezza di legno, che sembrava assai lontana dalla sua tanto amata foresta. Tuscia e Roma sedevano composti accanto a loro in attesa di un soldato che aveva appreso un poco il gallico e che speravano sarebbe stato d’aiuto.  Quando si furono infine tutti raccolti il soldato ruppe il silenzio della tenda e Tuscia si accomodò accavallando le gambe, in attesa. Benché il britannico sembrasse capire il monologo del soldato, non proferiva risposta anzi aveva ormai perso il contatto visivo con tutti se non con Roma. Seguì quindi un nuovo silenzio, il soldato sembrava alquanto frustrato all’idea di poter risultare così inutile. E quel silenzio avrebbe continuato a persistere fino a tarda sera, se nonché il barbaro, tiratosi un poco in piedi, biascicò qualcosa che il soldato capì da come abbassò il capo rosso in viso.
 
  • Quindi? – Roma si accostò al soldato mettendogli una mano sulla spalla. Il soldato si guardò attorno confuso, con un rossore che piano a piano cresceva
  • Mio signore, temo che non possa dire ciò che questo schifoso barbaro mi ha appena detto
  • Perché no? – Tuscia, che nel mentre si era alzata, si frappose tra il soldato ed il prigioniero. – cosa c’è di tanto disgusto in ciò che questo barbaro ti ha rilevato? Che sia forse un incanto di qualche stregone a frenare la tua lingua?
  • No, mia signoria – il soldato scosse il capo per sottolineare che niente e nessuno si era insinuato nella sua mente. – ecco, mia signoria…il barbaro ha detto che e la prego di scusarmi mentre le riporto le sue parole “che non parlerà con la – e qui seguì nuovamente un breve silenzio- con la puttana romana”
  • Ha dello spi.. – Tuscia non ebbe il tempo di finire la frase che già la testa del barbaro già ne aveva lasciato il collo per calzare il gladio di Roma, che furente lo aveva decapitato senza dare modo ai presenti di dire alcunché. La voce di Tuscia si fece da lieve sempre più adirata – perché mai lo hai fatto?
  • Indipendentemente da ciò che credi e dici, ti porto rispetto e pretendo che ti sia portato. – Roma si voltò, livido di rabbia allungò una mano per sfiorarle la guancia . – non si devono permettere di toccarti
  • Con tutto questo tuo fracasso non hai fatto che rallentare le nostre scoperte. – lasciando che la mano del romano la sfiorasse appena, Tuscia calciò appena il cadavere del prigioniero quel poco che bastava per farlo uscire dalla tenda. – adesso la tenda sarà appestata di sangue
  • Nessun problema, posso restarci io.
  • Poteva portarci da Britannia
  • Non era cooperativo
  • Adesso di certo nessuno di loro sarà cooperativo, possiamo solo aspettarci il peggio.
 
Ed il peggio non tardò ad arrivare, non appena fu terminata la costruzione del castrum, i britannici attaccarono speranzosi di poter cacciare quel nemico mostruoso.
 
 
 
Il peggio era giunto, ma per i soli britannici. L’attacco di quest’ultimi era stato lieve, un goffo tentativo di cacciare i romani. Goffo e senza speranza, volle appuntarsi mentalmente Tuscia. La romanda stava ritta in mezzo al campo di battaglia, l’erba aveva ormai abbandonato il suo colore di speranza immersa in un rosso scintillante. Ogni qual volta poggiava lo sguardo sulla terra macchiata di sangue viaggiava lontano, tornando a Roma, ai tessitori ed i loro laboratori colorati.
 
 
 
   
 
 
 
 
 
 
 
 
*bireme : nave da guerra romana
* lorica: pettorale dell’armatura romana
* luxuria: il concetto di luxuria era inteso come eccessivo spreco. Per i romani era infatti uso festeggiare con grandi banchetti, unici momenti in cui era “consentito” sprecare denaro
* castrum: accampamento romano
*sextilis: sesto mese = agosto
*terra dei vitelli : Tuscia si sta riferendo all’Italia
  
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