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Autore: crazyfred    19/11/2020    1 recensioni
{FRANCESCO & EMMA} "La neve aveva assunto l'odore dei suoi baci sotto i portici, del cioccolato, della cannella e delle arance che aromatizzavano i bicchieri bollenti di vin brûlé"
Prosieguo ideale della storia d'amore di Emma e Francesco, dove li abbiamo lasciati alla fine della quinta stagione. La voglia di ricominciare da zero, ma anche di non cancellare quello che è stato, il ricordo indelebile di errori da non commettere più. E chissà, magari coronare il loro amore con un nuovo arrivo...
Ma anche la storia di quella banda di matti che li circonda: Vincenzo, Valeria, ma anche Isabella, Klaus e naturalmente Huber.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 20 - Confidenze e conoscenze





 
Finita la lezione del corso preparto Francesco aveva chiesto ad Emma di passare in caserma prima di andare a prendere Leonardo per andare a casa.
"C'è una cosa che devo darti" le aveva detto, alla richiesta di spiegazioni.
Arrivati, trovarono un camioncino di fronte all'ingresso della caserma e un paio di poliziotti intenti a far su e giù per le scale con scatoloni e imballaggi vari.
"È oggi?" domandò Emma. "L'ultimo giorno?! Sì".
L'indomani, il nuovo commissariato di San Candido avrebbe aperto finalmente i battenti, anche se era da una settimana che gli uffici erano già operativi nella nuova sede e restavano da trasferire gli archivi e qualche attrezzatura e suppellettile che non era stata sostituita.
E se Francesco e gli altri forestali si erano ormai abituati all'idea di riavere la caserma tutta per loro, ad Emma fece un certo effetto vedere l'ingresso senza più il cartellone bilingue della Polizia, né le volanti parcheggiate nei paraggi. Era tutto un po' più vuoto, più tranquillo e il paesaggio ne beneficiava, ma questi cambiamenti tutti insieme mettevano un po' di inevitabile malinconia. Si voltò verso la sponda nord del lago, verso la palafitta spoglia e sola.
Ai suoi occhi non sembrava ancora abbandonata, solo chiusa per un po', come se i proprietari, loro, si erano presi una vacanza. Si trovava bene nel maso, nell'attuale situazione era tutto ciò di cui avevano bisogno e sentiva che, poco alla volta, stava diventando veramente il suo mondo ma, nel suo cuore, quella casetta sul lago in lontananza era ancora casa sua.
"Che rè chella faccia, France'?" Emma sentì il commissario chiedere a suo marito, mentre andava loro incontro scendendo le scale "aaaaah tenevi il corso preparto oggi, ve'? Mo si spiega quella faccia …"
"Perché che faccia ho?" domandò Francesco, perplesso "Emma ho una faccia diversa?"
"Ma non starlo a sentire, che sei bellissimo come sempre" lo rincuorò, prendendogli il mento con la mano e stampandogli un bacio sulle labbra.
"Seh vabbeh…buonanotte..." Vincenzo alzò gli occhi al cielo "hai proprio la faccia di chi ha visto cose che noi uomini non dovremmo vedere neanche per sbaglio" "Senta lei, commissario Nappi" esordì Emma "facciamo finta che non so chi è entrato sulla sedia a rotelle in ospedale e chi invece ci è entrata con le sue gambe quando è nata Mela"
"E a questo punto io me ne andrei a sbrigare una faccenda su in caserma. Ce la fai a salire le scale amore?" "Le salgo tutti i giorni a casa amore" rispose Emma, sarcastica.
"Cagasotto" urlò Vincenzo al suo compare. "La prudenza non è mai troppa" ammise, divertito, le mani in alto in segno di resa,  strizzando l'occhio ad Emma. Conosceva troppo bene sua moglie per sapere aveva qualcosa da scontare con Vincenzo ed erano giorni che ne parlava. Erano stati loro per primi a chiedere di non avere ingerenze nella gravidanza, ma Emma non riusciva a non ficcare il naso negli affari privati dei loro amici. Aveva provato a farla desistere, lei però era dell'opinione che una spintarella al momento giusto aveva fatto bene a loro due, quindi la stessa cosa valeva per quei due testoni. Inoltre, non voleva rischiare di doverli vedere separatamente per colpa di un ennesimo fallimento. "Arrivederci commissario! È stato un piacere!" salutò Francesco, davanti alla porta d'ingresso della caserma. "No, Comandante! È stato un onore. Arrivederci!"
Emma si incamminò verso una delle panchine posizionate di fronte alle stalle e di spalle alle staccionate del paddock. Per lei quel pancione non era un ingombro, ma solo un dolcissimo peso che non avrebbe mai voluto abbandonare; tuttavia i piacevolissimi calcetti sul fegato le ricordavano di tanto in tanto di prendersi una pausa da tutto il resto e sedersi un attimo.
"Non andiamo da nessuna parte così, Vincenzo!" "Che succede?" domandò l'uomo, confuso, rimanendo in piedi di fronte a lei.
"Quella battuta che hai fatto a Francesco non è affatto divertente. Non è solo bello e normale che Francesco mi sia vicino durante tutto il percorso di questa gravidanza … lo sai quanto è importante questo bambino, per me e per lui"
Emma aveva sperato che le fosse vicino anche un solo un quarto di quanto alla fine stato presente, e neanche nei suoi sogni aveva immaginato di vivere la gravidanza come se quel bambino non fosse solo lei a portarlo in grembo. Forse era anche quella la ragione per cui non sentiva così grande la fatica, né l'ansia per l'ormai imminente arrivo.
"Lo so, perdonami, mi sono lasciato trascinare. Ma vedervi così sereni fa dimenticare quello che avete passato, come se foste andati avanti" "Eppure non è così. Per noi è come una ferita fisica: si può curare, si può guarire, ma rimane sempre una cicatrice e ogni tanto può far male ancora o dare prurito" "Scusami ancora, mi sono lasciato prendere. Non sono bravo con le battute"
"Non si tratta solo di una battuta Vincenzo, né voglio rinfacciarti alcunché. Mio marito dice che non devo impicciarmi, ma se non fosse stato per te a quest'ora io non sarei qui e Francesco starebbe ancora in palafitta da solo a leccarsi le ferite e piangersi addosso perché sono tornata a Milano. Sei un brav'uomo, anche tu meriti di trovare la serenità che ho trovato io, quindi permettimi di ricambiare il favore."
"Sentiamo" disse Vincenzo, sbuffando "cosa ti ha detto Valeria? Non te l'ha detto l'amica tua che ci siamo riavvicinati, che le porto la bambina una volta al giorno e l'ho pure invitata a casa per una cena?"
Emma detestava quel tono un po' strafottente che ogni tanto veniva fuori in Vincenzo. Forse era solo l'inflessione regionale che ci metteva, forse un meccanismo involontario, e cercava sempre di non dargli peso, di passarci sopra. "Sì me l'ha detto" rispose "e sono molto contenta per voi ed è per questo che vorrei che andasse tutto bene. Queste battutine, alcuni discorsi che fai … ho solo paura che alla lunga possano farvi del male, portandoti a commettere di nuovi degli errori da cui non hai imparato nulla" "In una relazione non si sbaglia mai da soli però" "Dici bene … e infatti l'altra metà è stata già ammonita, stai tranquillo"
Il telefono di Emma iniziò a vibrarle in borsa. Sbirciando dalla lampo, lesse il nome di Valeria e qualche faccina arrabbiata nelle anteprime dei messaggini. Mise il telefono in modalità silenziosa.
"Valeria ti vuole bene, ma davvero. Quel bene speciale che cambia la vita delle persone e io lo riconosco perché è la stessa cosa che è successa a me. Ma quando stai con una persona vorresti stare sulla sua stessa lunghezza d'onda, avere dei progetti in comune … di certo non vivere tra gli anni '50 e il presente" "Stai insinuando che io sarei retrogrado? Che vivo negli anni '50?"
"Devi dirmelo tu. O meglio, devi dirlo a te stesso. Devi chiederti se va bene che la tua compagna possa uscire con le sue amiche di sera invece che stare a casa con te, se ti da fastidio che vada in giro con una gonna troppo corta o i tacchi troppo alti, se con un bebè in arrivo le suggeriresti di lasciare il lavoro, cose del genere …" Emma, neanche troppo velatamente, aveva elencato tutte le cose avevano incrinato il rapporto con Eva. Vincenzo aveva sentito anche Valeria lamentarsi, spesso si era fatta risentire quando le aveva fatto notare che, secondo lui, il suo look era troppo azzardato. Ma lui pensava di appartenere ad un altro mondo e ad un'altra epoca.
"E non perché sono scelte antiquate" chiarì Emma "ma perché non devono partire da te"
"E tu vorresti che io cambiassi, lo so. E la stessa cosa Valeria" ammise, sedendosi accanto all'amica "non me lo ha mai detto direttamente, ma lo so che è così"
"Non possiamo cambiarti, né vogliamo farlo. Non funziona mai. Pensi che mio marito sia diventato l'uomo che è perché l'ho voluto io? Stavo fresca …" Ad entrambi scappò un leggero sorriso. Conoscevano tutti e due quel testone di Francesco da sapere che, se una decisione non veniva da lui, non avrebbe mosso un dito. "E per quanto riguarda Valeria" spiegò Emma "si è innamorata di te come sei ora, non lo pretenderebbe mai."
Si è innamorata di te. Vincenzo non poteva credere di aver sentito quelle parole ed Emma di averle dette. Si morse la lingua, ma non poteva rimangiarsi quelle parole. Lo sapevano tutti, forse anche gli stessi interessati, che quei due si amavano, e forse quel lapsus era la spintarella giusta e necessaria a farli capitolare dopo oltre un anno di tira e molla. C'era solo da sperare che Vincenzo non ne avesse fatto parola con Valeria, o l'avrebbe scuoiata viva per una tale intromissione. Il commissario invece, dal canto suo, pensò che la cosa migliore fosse non dare  vedere ad Emma quanto la cosa lo avesse colpito. Sì, lui provava qualcosa di forte per Valeria e sentiva di essere ricambiato, ma nessuno dei due aveva mai dato una definizione ai propri sentimenti.
"Devi essere tu a pesare le cose e le persone a cui tieni e a capire se certi comportamenti ti permettono di vivere pienamente una relazione" continuò Emma "indipendentemente dal fatto che sia un'amicizia o qualcosa di più. Se vuoi il salto di qualità o preferisci andare avanti a singhiozzo …"
Le relazioni a singhiozzo le conosceva bene Vincenzo. Con Silvia, con Eva era andata proprio così. Non si fidava, faceva il moralizzatore e poi finiva per farle scappare. Riusciva a riconquistarle, a riacquistare la loro fiducia con frasi ad effetto, ma l'idillio durava il tempo di un'altra scenata di gelosia. Sono un uomo del Sud, era la giustificazione che aveva dato a sé stesso per anni. Ma erano passati dieci anni da quando aveva lasciato Napoli, aveva quasi cinquant'anni, viveva lontano da comari pettegole e mamme invadenti. Era arrivata l'ora di lasciare il nido e crescere.
"Non è facile per me, Emma, sono cresciuto in un certo modo e con certi valori. Voi appartenete ad un'altra generazione" "Parli come se avessi 80 anni, Vincenzo. Quanti anni hai più di Francesco, 2?" "3" "Appunto, potresti essere un mio fratello maggiore, non mio padre. Non ti buttare giù …" gli disse, sorridendo. Si tirò su, appoggiandosi alla gamba di Vincenzo che le sostenne la schiena. Per tante volte che Francesco le aveva ripetuto di essere una mamma papera, alla fine aveva iniziato a sentircisi anche lei: si alzava in maniera goffa e quando camminava lo sentiva di essere ridicola, ma non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di ammetterlo. Anche perché era un segno della gravidanza che correva spedita verso il termine e la rendeva immensamente felice e orgogliosa.
"Comunque, io non dico più niente. Ora sta a voi … ma sono sicura che sarete bravi" "Abbiamo solo da prendere esempio dai migliori, no?" "Vacci piano con le sviolinate, commissario!" gli disse, dirigendosi verso la caserma.
 
"Cosa vi siete detti?" domandò Valeria, che impaziente aspettava Emma all'ingresso. "Niente di che, non ti preoccupare" "Emma non giocare con me. Non ho bisogno di un avvocato difensore, faccio benissimo da sola" "Questo è poco ma sicuro. Comunque stai tranquilla, abbiamo parlato un po' di lui" "Di lui?" Emma si serrò le labbra come fossero una zip, mettendo le mani avanti. Lavorava alla luce del sole, ma fino ad un certo punto. Valeria sbuffò ma si arrese, sapeva che se Emma si metteva in testa una cosa era impossibile averla vinta.
"Mio marito?" domandò l'etologa. Valeria indicò l'ufficio di Vincenzo. Ah già, con la polizia che aveva levato le tende, l'ufficio principale era tornato ad essere del Comandante di stazione. L'ufficio di Francesco. Suona bene, pensò con una punta d'orgoglio.
Mentre si avvicinava, Emma riusciva ad intravedere tra le lamelle delle veneziane alle vetrate la sagoma di suo marito che si muoveva dall'armadio sulla destra verso la scrivania, perfettamente visibile grazie alla porta lasciata aperta. Stava in piedi al lato della scrivania, come faceva sempre quando assieme a Vincenzo si trovava ad assisterlo negli interrogatori, ma non più defilato. Tastava con la mano il legno che probabilmente da anni non vedeva la luce del sole, oberato dalle scartoffie che Vincenzo aveva il vizio di lasciare sparse dovunque. Francesco notò, tra il telefono fisso e il portapenne, un temperamatite, quello che Vincenzo non avrebbe fatto toccare neanche a sua madre, pena taglio delle mani. Accanto, un post-it: leggendolo si lasciò andare ad un leggero sorriso.
La vita tempera. E noi siamo matite. L'importante è continuare a scrivere.
Con ancora il piccolo foglietto giallo tra le mani, Francesco trovò il coraggio di sedersi alla scrivania, prendendo finalmente possesso della sua nuova postazione. Fino a quel momento era stato primo tra pari, ora la prospettiva stava cambiando. Se fosse stato un gioco, sarebbe stato come passare a bordo campo ad allenare. Alzando lo sguardo, per soddisfare la sua curiosità sulla visuale da quel punto di osservazione, trovò sua moglie sulla porta d'ingresso, appoggiata allo stipite, che l'osservava con aria trasognata, compiaciuta.
"Da quanto tempo sei lì?" domandò lui, in imbarazzo. "Non molto, ma abbastanza da farmi piacere quello che sto vedendo. Ti sta molto bene addosso questo ufficio" commentò Emma, facendogli l'occhiolino. "Siediti, dai, non stare in piedi" scattò in piedi per tenerle ferma una delle due sedie girevoli poste di fronte alla sua scrivania. "Dobbiamo solo personalizzarlo un po'" precisò Emma, guardandosi un po' intorno "è spoglio e un tantino impersonale" "Non metterti in testa strane idee. È un ufficio, non casa nostra. Tendine ricamate qui non sono permesse" le disse, chiudendo la porta dell'ufficio e accertandosi che le veneziane schermassero al meglio la vista all'esterno.
"Ma no scemo!" rise lei, mentre Francesco le scostava i capelli per lasciarle un veloce bacio sul collo "pensavo ad una cornice con una foto. Nei film i capi hanno sempre una foto di famiglia sulla scrivania" "Aspettiamo ancora un po' allora" rispose, mentre prendeva una scatola dallo scaffaletto dietro alla scrivania "voglio una foto di tutti e quattro noi insieme"
Emma quasi perse un battito quando Francesco prospettò quell'immagine. Il loro sogno stava per diventare reale, stava per avere un corpicino da prendere in braccio e un visino da guardare. Si chiedeva come si potesse pensare di condurre una vita normale  quando nella tua vita c'è un esserino capace di rapirti il cuore e tutto il tempo che hai da offrirgli.
"Allora. Veniamo a noi" disse Francesco, sedendo di fronte a sua moglie, poggiando la scatola sulla scrivania "a proposito di quello di cui abbiamo parlato ieri…" "Parliamo di tante cose, devi essere un tantino più specifico" "Le tue passeggiate" "Ah."
Emma, seguendo le indicazioni della sua ginecologa, aveva preso l'abitudine di camminare ogni giorno sulla pista ciclabile che, passando per il centro di San Candido, percorre tutta la Val Pusteria fino ad arrivare in Austria. Per lei naturalmente solo pochi chilometri a passo leggero, tra prati, meleti e fiumi, per scaricare le tensioni e fare il pieno di energia. Ma con l'avvicinarsi del parto, allontanarsi dalla città e dai soccorsi non era un comportamento responsabile. Sono pazza ma non così pazza, aveva detto a Francesco quando gli aveva comunicato l'intenzione di voler continuare a fare attività fisica nei boschi attorno casa o attorno alla caserma, per sentirsi sempre al sicuro.
"Non puoi andare sola nel bosco … lo sai, nel tuo stato è pericoloso, puoi scivolare, inciampare …" "… mi può cadere una pigna in testa …" "Non ci scherzare Emma, per favore" "No, scusa, però tu smettila di preoccuparti per me. A questo piccolino ci tengo pure io e non mi allontanerei, né uscirei fuori dai sentieri" cercò di convincerlo, tirandosi in avanti nella sedia, sedendo quasi sul bordo, e poggiando la mano sulla gamba del marito, per scuoterlo. "Lo sai, è più forte di me, non ci riesco …"
Emma sbuffò, contrariata, girando lo sguardo altrove. Aveva appena finito di sgolarsi con Vincenzo e suo marito si stava comportando alla stessa maniera. Con la coda dell'occhio, però, poteva scorgere il suo sguardo sornione. "Emmaaa.." la chiamò, estraendo dalla scatola una ricetrasmittente "sei proprio una bella fregatura. La mia bella fregatura. Certo che puoi andare a passeggiare, secondo te sono capace di dirti di no?"
Il viso di Emma si illuminò istantaneamente. Era quel sorriso a fregare Francesco, ogni volta.
"Ma devi tenermi sempre aggiornato, su tutti gli spostamenti. Sempre." "Sì. Promesso."
Non era la prima volta che usavano la radio per comunicare. Quando aveva iniziato il suo progetto per la tutela del lupo, era l'unico mezzo per comunicare dalle cime più alte o dai boschi più fitti e remoti. Allora lo considerava un misto tra un gioco e una seccatura, dover stare lì a rassicurare quel forestale petulante. Ma adesso sentiva di non dover più rispondere solo a sé stessa: aveva una famiglia che si preoccupava per lei e la creatura.
"Avranno finito con la festa?" "Sono le quasi le 6, direi di sì."
Una festa era stata organizzata alla Baita Speranza per festeggiare l'addio di Leonardo, come succedeva per tutti i bambini che finalmente potevano lasciare la casa famiglia per andare a stare in una vera casa, con una vera famiglia. Finalmente, con il trasferimento nella nuova casa, il giudice minorile aveva disposto, prima che le ferie d'agosto chiudessero le aule dei tribunali, l'affidamento familiare.
Da quando avevano comunicato la notizia a Leo, il piccolo non stava più nella pelle, avrebbe voluto subito andar via con loro, ma per sbrigare alcuni dettagli burocratici avevano avuto qualche giorno per preparare l'arrivo a casa ed Emma e Francesco lo avevano coinvolto nella sistemazione degli ultimi dettagli di una cameretta che era, in realtà, già pronta per lui: la scelta della biancheria per il letto, la sistemazione dei vestiti nell'armadio e l'acquisto di qualche libricino e giocattolo per riempire le mensole. Né la familiarità di Leonardo con i suoi affidatari e con la casa in cui avrebbe abitato, né i giorni di preparativi, però, riuscirono a togliere di torno l'emozione e la gioia dell'arrivo al Maso. Tutti e tre, infatti, percepivano che non era un giorno come gli altri, come quando a sera, prima, il piccolo veniva riaffidato alle cure delle educatrici. Ora sarebbero stati Emma e Francesco a rimboccargli le coperte, a svegliarlo dal sonno la mattina o ad accertarsi che i denti fossero ben puliti. Non avrebbe avuto più da condividere la stanza, né si sarebbe dovuto preoccupare di nascondere i suoi giochi dagli altri bambini.
Quando lo avevano messo a dormire, Emma aveva potuto constatare quanto Francesco fosse naturale con il bambino, proprio come se stesse riprendendo confidenza con qualcosa che aveva fatto per tanto tempo. Era normale: per quanto poco tempo il suo precedente lavoro gli concedesse con suo figlio, Francesco le aveva raccontato di non perdersi un momento della giornata con Marco quando era a casa. Lei invece era più impacciata, ma non era gelosa: aveva solo da imparare.
 
Il caldo, quella notte, era implacabile. Chiunque venisse dalla città probabilmente avrebbe trovato la temperatura gradevole, ma per gente di montagna, quale erano diventati loro ormai, era assolutamente anomalo per quelle quote. O forse era solo per via del suo stato, che ogni tanto le dava qualche noia giusto per ricordarle di essere incinta, perché una gravidanza così da manuale come quella, forse, non si era mai vista.
Emma si girava e rigirava nel letto, ruotando il cuscino nella speranza di trovare la stoffa della federa più fresca. Francesco l'aveva aiutata ad abbassare la temperatura con degli impacchi freddi prima di andare a dormire, ma ben presto anche l'asciugamano bagnato che aveva messo sul pancione era diventato tiepido. In altri tempi avrebbe rimosso anche l'intimo, ma con Leonardo nella stanza di fianco provava un certo pudore.
"Tutto bene?" sussurrò Francesco nel buio, svegliato dalla smania della moglie nel letto. "Sì, ho solo molto caldo" "Posso fare qualcosa?" "No amore non preoccuparti" gli disse, posandogli un bacio sulla guancia mentre si tirava su "vado a darmi una rinfrescata".
Prima di tornare a dormire, Emma scese in cucina a bere un sorso d'acqua. Nonostante la sua vescica avesse ormai la resistenza di un palloncino bucato, il caldo e l'arsura erano più forti di lei.
Mentre beveva direttamente dalla bottiglia, al buio, con la sola luce del frigo ad illuminare la stanza, una sagoma mise piede in cucina.
"Ehi! Che ci fai tu qui?" sarà stata mezzanotte e Leo stava in piedi davanti a lei, con il suo pigiamino estivo, coprendosi gli occhi dalla luce bianca dell'elettrodomestico. "Non riesci a dormire?" domandò Emma. Il piccolo scosse la testa. Aveva già preso confidenza con la casa e i nuovi spazi, ma Emma ci avrebbe scommesso che la prima notte sarebbe stata un po' dura anche per lui, in una camera nuova, troppo grande e buia per un bambino solo. Gli avevano lasciato l'abatjour accesa, ma chiaramente non era bastata.
"Mmm…andiamo a vedere se Francesco ci aiuta a risolvere questo problema. Non puoi certo restare sveglio tutta la notte"
"Giovanotto … che ci fai in piedi?" Francesco stava in cima alle scale. Non vedendo tornare sua moglie in camera era andato ad affacciarsi in bagno per sincerarsi che fosse tutto apposto ma, trovando vuoti sia questo che la camera di Leonardo, stava per andare a controllare al pian terreno.
"Francesco, abbiamo un problema." esclamò Emma, 
strizzando l'occhio a suo marito, mentre salivano le scale "Questo bimbo non riesce a dormire. Aiutaci a trovare una soluzione perché io non so proprio come fare!" 
Francesco, appena  piccolino ebbe raggiunto il pianerottolo, lo prese in braccio. "Io un'idea ce l'avrei" esordì, mentre andavano verso la loro camera "ma devi dirmi tu se va bene perché non è proprio una cosa per i bimbi grandi come te. E se dormissi con noi nel lettone?"
Leonardo fece spallucce. Lui non lo aveva mai saputo cosa significava essere bimbi grandi o piccoli. Sentiva di non essere come i bambini dei cartoni animati che vedeva in tv, non aveva mai fatto le cose che facevano loro, o almeno fino a che non aveva conosciuto Emma e Francesco. Non poteva sapere com'era dormire in una stanza da soli di notte, visto che la sua l'aveva sempre condivisa con altri bambini. Che dormire con i grandi nel lettone fosse da bambini piccoli non poteva saperlo: non sapeva nemmeno che fosse permesso; dai Moser, doveva stare attento a non fare i capricci di notte, altrimenti papà Bruno si sarebbe arrabbiato e mamma Ingrid poi avrebbe pianto. Era bella ed era buona e lui non lo voleva.
"Non fa niente che è per i piccoli. Io mica sono grande grande" era un compromesso accettabile per lui che voleva provare quella nuova esperienza. C'erano tante cose che aveva fatto per la prima volta con Emma e Francesco, di sicuro sarebbe stata bella anche quella, ormai si fidava totalmente di loro.
Entrambi lo incitarono a correre nel lettone, in mezzo a loro. "No in mezzo! Tu in mezzo" disse, affinché Francesco si portasse al centro, affianco ad Emma. "Ehi! Cos'è questa storia? Sentiamo, perché non vuoi dormire vicino a me?" domandò la donna, fintamente offesa, le mani sui fianchi. "Ha ragione Leonardo, io sono tuo marito e tocca me stare vicino te, papero-" Francesco strozzò quell'ultima parola in gola, prima che Emma lo fulminasse con lo sguardo.
"Perché sei strana" rispose Leonardo, piegato in due dalle risate sul torace di Francesco che, con una finta mossa di wrestling lo mise al centro del letto. "Che cosa mi tocca sentire!" esclamò Emma indignata da questa alleanza maschile contro di lei "come sarebbe a dire strana?" "Hai la pancia grande" "Certo che ha la pancia grande … è una mamma papera" "Tu di ancora mamma papera e lo so io dove ti mando! Leo" si rivolse al piccolo, stendendosi al suo fianco "lo sai perché la mia pancia è grande?" "Perché c'è il bimbo?" Emma annuì. Non era più capitato di avere una vera e propria conversazione sull'argomento con Leonardo, da quando gli avevano dato la notizia della gravidanza. Sembrava averla accettata bene, o forse era solo una specie di tolleranza, di muta rassegnazione visto che loro erano così buoni e generosi con lui. Emma ne aveva parlato con lo psicologo dei servizi sociali che li seguiva nel percorso di affidamento, ma alla fine entrambi convenivano che la loro situazione era talmente anomala che la strada da percorrere avrebbero potuto trovarla solo loro, rispettando i tempi e i modi che il bambino stesso avrebbe dettato.
"Tu come te lo immagini?" "Boh" rispose Leo, con tutta l'innocenza dei suoi 4 anni. Emma gli aveva fatto vedere qualche foto di neonato o qualche video e se li immaginava così, piccoli, rossicci e piangenti. Non il massimo della compagnia. Si mise in ginocchio sul letto e con le manine provò, titubante, a toccare la pancia di Emma. Emma fece una leggera pressione su un lato, per provocare il movimento del bambino che era sveglio, anche la sua attività non era visibile dall'esterno. Alla sua pressione, il gomito del bebé venne fuori sul fianco destro, più o meno dove Leonardo stava appoggiato, tanto che il bimbo sobbalzò per lo spavento. "Non devi avere paura" gli disse Francesco, tra le cui braccia si era rifugiato "ti sta solo salutando. Prova di nuovo."
Ripeté di nuovo il gesto, questa volta con decisione, sapendo già cosa aspettarsi. Questa volta dalla pancia un pugnetto si mosse dal basso verso l'alto, per sparire di nuovo verso l'interno. Leonardo si fece coraggio, iniziando a seguire quei movimenti con la mano, sorpreso e divertito. "Ancora!" esclamaò, parlando al bambino, avvicinandosi alla pancia con la bocca, le manine a creare una specie di megafono, quando il piccolo non volle saperne più di muoversi, solo qualche piccolo movimento interno che solo Emma poteva percepire.
"Credo si sia rimesso a fare la nanna" dichiarò Emma ad un Leonardo dispiaciuto. "Dovremmo farlo anche noi … è quasi l'una" affermò Francesco, spegnendo tutte le luci. Leonardo, rannicchiato in posizione fetale rivolto verso Emma, giocherellava con le dita sulla pancia. Lei si girò verso di lui, accarezzandogli lievemente la testa.
 
"You are my sunshine, my only sunshine
You make me happy when skies are gray
You'll never know dear, how much I love you
Please don't take my sunshine away"
 
Canticchiò questi pochi versi a bassa voce, mentre le palpebre di Leonardo, strette con forza per obbligarsi a dormire, si rilassavano lentamente, segno evidente che anche lui si era appisolato. Dalla finestra aperta, oltre ai raggi argentati della luna, iniziò finalmente ad entrare un venticello, leggero come un soffio, portando frescura e pace in quella calda notte d'estate.
   
 
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