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Autore: _SbuffodiNuvola_    19/11/2020    3 recensioni
“ -Sei piena? -chiese Kōtarō quando la bambina respinse il biberon. Poi la porse a Keiji, che le fece appoggiare la testolina sulla spalla e iniziò a darle delle piccole pacche sulla schiena per farle fare il ruttino. Dopo una settimana, gli faceva ancora uno strano effetto sentire un corpicino così piccolo contro il proprio petto.
Diede un bacio sul minuscolo orecchio della neonata, sotto lo sguardo intenerito di suo marito.
-Non mi tratti mai così. -protestò. “
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando Keiji decise, per volere della sua vescica, di alzarsi per andare in bagno, notò che il letto era stranamente vuoto. Nella penombra della stanza, riusciva a scorgere le lenzuola tirate indietro e il cuscino in una posizione strana. Controllò se ci fossero le pantofole che suo marito lasciava disordinatamente accanto alla sua parte di letto, ma quelle erano sparite.

Forse il bagno era già occupato... “no” si disse guardando verso il piccolo bagno della camera da  matrimoniale, “la luce è spenta”.

Così decise che prima avrebbe messo fine alla sua sofferenza e poi avrebbe cercato suo marito. 

Si diresse verso il bagno e accese la luce quasi saltellando sul posto. Diamine, doveva bere così tanto a cena?

 

 

Quando tornò in camera, sbadigliando, si rese conto che suo marito non era ancora tornato. Perciò, come aveva deciso prima, lo andò a cercare. 

Il loro appartamento era abbastanza grande per loro due. Quando avevano deciso di vivere insieme Keiji aveva appena compiuto vent’anni e il suo allora quasi fidanzato ventuno. Grazie a quella convivenza avevano imparato a conoscersi, anche se, dato che entrambi avevano i loro ritmi e le loro abitudini, non era stato molto facile. Nell’arco di sei mesi, però, Keiji si era abituato alla presenza frequente del suo ragazzo e viceversa. Ora gli sembrava quasi anomalo non vedere le pantofole a forma di gufo sparse per il corridoio o il borsone da pallavolo non appoggiato accanto alla porta. 

Keiji percorse il corridoio. Suo marito diceva spesso che aveva un passo delicato e che non faceva mai rumore, facendolo spaventare quando gli arrivava alle spalle senza avvertire.

Passò davanti alla seconda camera da letto della casa, la cui porta socchiusa creava un piccolo spiraglio di luce che illuminava il muro di fronte e il pavimento. Keiji si accostò alla porta quel tanto che bastava per guardare nella stanza e quello che vide lo fece sorridere: Kōtarō era lì e camminava avanti e indietro. Tra le sue braccia c’era un piccolo fagotto di coperte rosa da cui spuntò una manina proprio in quel momento, facendo ridere suo marito.

-Oltre ad avermi svegliato mi dai anche i pugni? -chiese sottovoce. Non sembrava essersi accorto di Keiji, che lo osservava dalla porta.

Dalle coperte si sollevò un lamento che preannunciava un pianto.

-No, no, no, shhh... -mormorò Kōtarō. -Non svegliamo papà così presto. Poi sarà insopportabile per tutto il giorno!

I lamenti non sembravano smettere, così l’uomo si guardò attorno per cercare il ciuccio rosa che era sulla cassettiera poco distante da lui. Il piccolo esserino che aveva in braccio non accettò lo sforzo, perché si mise a piangere. 

Kōtarō sospirò, evidentemente stanco: -Va bene, vediamo se ti va il biberon.

Prese l’oggetto in questione dal comodino su cui era appoggiato. Non appena lo avvicinò al fagotto di coperte, il pianto cessò. 

A quel punto, Keiji entrò nella stanza, notando che la luce proveniva dalla abat-jour che proiettava delle stelle luminose sul soffitto. Quella lampada l’avevano scelta insieme, quando erano andati a fare compere in un negozio per neonati.

Suo marito lo notò subito e fece una faccia spaventata: -Ti ho svegliato?

Keiji scosse la testa. Amava quei piccoli gesti di Kōtarō, che, goffo e per nulla delicato, si preoccupava di non essere ciò che Keiji si aspettava.

Rincuorato dalla risposta, il pallavolista guardò il fagotto di coperte.

-Ha fame? -domandò Keiji avvicinandosi per guardare la bambina di tre mesi che era entrata a far parte della loro vita da appena una settimana. 

-A quanto pare. -rispose Kōtarō, che sorrise. -Mangia tantissimo.

La piccola, notò Keiji, osservava l’uomo che la teneva in braccio con aria curiosa. Aveva gli occhi dorati come Kōtarō e i capelli neri come Keiji. Coincidenza bizzarra, visto che l’avevano adottata.

Era stato Kōtarō, durante una passeggiata serale avvenuta in montagna per vedere le lucciole, a proporre l’idea. Erano sposati da circa un anno e forse poteva essere troppo presto, ma Keiji aveva accettato. Così, a novembre, si erano recati in un orfanotrofio e avevano scelto di adottare la piccolina, impressionati dalla storia che la direttrice aveva raccontato loro. La neonata era stata infatti lasciata davanti alla porta dell’orfanotrofio circa tre mesi prima senza nessun biglietto o qualche segno che facesse capire il suo nome. Solo il bracciale dell’ospedale aveva fatto capire che era nata da poche ore, il 31 di agosto.

Appena si erano affacciati alla culla bianca, la neonata aveva fatto un sorriso sdentato, Kōtarō aveva allungato una mano e la manina della piccola si era stretta attorno al suo indice. Keiji ricordava bene l’espressione che suo marito aveva fatto in quel momento.

-Sei piena? -chiese Kōtarō quando la bambina respinse il biberon. Poi la porse a Keiji, che le fece appoggiare la testolina sulla spalla e iniziò a darle delle piccole pacche sulla schiena per farle fare il ruttino. Dopo una settimana, gli faceva ancora uno strano effetto sentire un corpicino così piccolo contro il proprio petto. 

Diede un bacio sul minuscolo orecchio della neonata, sotto lo sguardo intenerito di suo marito.

-Non mi tratti mai così. -protestò.

Keiji rise: -Lei è una donna.

Kōtarō mise il broncio.

-Bokuto-san, sai che se vuoi che ti metta il pannolino, basta chiedere.

-Non fa ridere, Akaashi.

Ogni tanto si chiamavano ancora così, nonostante fossero sposati e avessero deciso di essere conosciuti come i signori Bokuto-Akaashi per non avere discussioni... anche se a Keiji non sarebbe dispiaciuto prendere il cognome di Kōtarō. 

La bambina fece un verso, attirando l’attenzione dei due uomini. Poi entrambi avvertirono un odore sgradevole.

-C’è bisogno di un cambio direi. -disse Bokuto tappandosi il naso.

-Vuoi farlo tu? -propose Akaashi lasciando la piccola sul fasciatoio decorato da dei piccoli gufi.

-Tengo ancora alle mie narici. -rispose il pallavolista.

Akaashi sorrise, mentre toglieva il pigiamino alla bambina. I gesti ormai gli venivano meccanici, ma la prima volta era stata una tragedia. Per fortuna Sugawara e Daichi, che a loro volta avevano adottato dei bambini, erano a casa loro come ospiti e Sugawara aveva “supervisionato” l’operazione. 

Bokuto si rifiutava categoricamente di cambiarla, a detta sua, perché non sopportava l’odore. Ma Akaashi sapeva che era perché aveva paura di farle male. Quando l’aveva presa in braccio la prima volta, infatti, sembrava avesse avuto in mano una bomba nucleare. 

-Domani verranno Kuroo e Kenma. -disse Akaashi quando terminò di rimettere il pigiama a sua figlia.

-È meglio dire oggi, ormai. -lo corresse Bokuto, che si era seduto sulla poltrona presente nella cameretta. -Sono le quattro del mattino.

Akaashi prese in braccio la bambina e si mise a cullarla per farla riaddormentare. Era impaziente di recuperare qualche ora di sonno prima di dover lavorare ad un manga per tutto il giorno.

Per fortuna, la piccola doveva essere stanca a sua volta perché si addormentò quasi all’istante e Akaashi poté metterla nella culla. Stava per accendere il carillon appeso sopra di essa, quando Bokuto scattò in piedi:

-Ci penso io! -esclamò a bassa voce. -Faccio io! Faccio io!

L’ex-alzatore della Fukurodani si fece da parte, mentre suo marito si avvicinava alla culla. Il carillon aveva dei peluche che simboleggiavano una palla da pallavolo e le squadre dei loro amici dei tempi del liceo: un gufo, un gatto, un corvo...

Non appena la musica del carillon si propagò nella stanzetta, Bokuto abbracciò Akaashi.

-Hotaru Bokuto-Akaashi. -mormorò quest’ultimo guardando colei che, come i piccoli insetti di cui portava il nome, aveva portato una luce quasi magica nelle loro vite.

 

 

-A me piaceva di più la versione “Akaashi-Bokuto” però... -disse Bokuto mentre tornavano in camera.

-Hai deciso tu di cambiare all’ultimo perché “suonava meglio”, Bokuto-san. -gli fece notare Akaashi.




*angolo autrice*
La mia prima Bokuaka.
Leggendo le varie storie su di loro ho notato che nessuno ha avuto un'idea del genere, così, pensando a come potessero essere i figli delle varie coppie di Haikyuu, ho scritto questa piccola one shot ☺️.
Il nome Hotaru significa appunto lucciola, un insetto che come i gufi esce solo di notte. 

   
 
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