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Autore: NeverEndingYouth    20/11/2020    1 recensioni
Anni '60.
Seconda fase delle lotte femministe negli USA.
La lunga e determinata lotta di una ragazza indiana per far valere i suoi diritti, in una vita fatta di segreti tenuti fin troppo stretti.
" Sono Amala. Sono donna. Sono Indiana. Questa è stata la mia, o forse dovrei dire la nostra, battaglia. "
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Il Novecento
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Salve a tutti!
Sono tornata dopo quasi 5 anni con una nuova storia, questa volta inventata completamente da me.
Ho fatto molte ricerche sull'argomento e chiedo scusa in anticipo se alcune cose potrebbero non essere completamente veritiere, ho fatto del mio meglio!
Spero che gradiate questo primo capitolo e lasciate qualche recensione, mi farebbe molto piacere!



 

" Sono Amala. Sono donna. Sono Indiana. Questa è stata la mia, o forse dovrei dire la nostra, battaglia."

 
12 Giugno 1967

Quella mattina avevo impostato la sveglia ben 2 ore prima. Sapevo che sarebbe stato un giorno importante e avevo deciso anche di marinare la scuola, un evento che capitava spesso, se vogliamo essere sinceri, e di cui non mi pentivo affatto. Le lezioni di Mrs. Smith erano fin troppo noiose e l'unico motivo per cui non avevo ancora abbandonato la mia educazione era perché i miei genitori ci tenevano molto - o forse dovrei dire mi obbligavano- e ogni giorno, mi ricordavano che se fossi voluta diventare una brava moglie, era mio diritto ma soprattutto dovere, avere una solida educazione.
Quel giorno di inizio estate il cielo era cupo, il vento soffiava e le nuvole stavano per scontrarsi l'una contro l'altra: il cielo si stava preparando per una battaglia e anche io. Guardai fuori dalla finestra e con un sorriso determinato stampato in faccia, mi andai a preparare. Non ero di certo una ragazza che si interessava di moda, anzi: mi infilai le prime cose che trovai sulla sedia davanti alla mia scrivania, mi legai quei terribili capelli che mia madre amava tanto e sgattaiolai fuori dalla mia camera. Non avevo parlato ai miei genitori di quello che stavo per fare, non sarebbero stati d'accordo, Anzi!.. Mi avrebbero messo in punizione, come centinaia di altre volte in cui avevo deciso di marinare la scuola e non avrebbero capito l'importanza di ciò per cui combattevo.
Uscii silenziosamente dalla porta di casa e, appena fui fuori, mi misi a correre più forte che potevo, con il vento che mi schiaffeggiava il viso. Non ricordo bene cosa stavo pensando, mi ricordo solamente che in quel momento, come mai prima di allora, sentivo di avere un obiettivo e una guerra da vincere.
Passai di corsa accanto al mio liceo e con la coda dell'occhio guardai le sue finestre, mi bloccai di colpo: era lei.
Quei suoi capelli biondo cenere non mi sarebbero mai potuti sfuggire e lei era l'unica persona che avrebbe potuto interrompere la mia corsa. Colei di cui vi sto parlando era la mia compagna di classe, Lucy. Lei era il motivo per cui ogni settimana finivo l'inchiostro di una penna e dovevo andare di corsa a comprarne una nuova:  dovevo finire assolutamente di scriverle. Le scrivevo almeno una lettera a settimana, le parlavo di me, di quanto fossero noiose le lezioni di inglese di Mrs. Smith e di quanto trovassi graziosi i fiocchi che portava ai capelli. Erano piccole cose, ma sentivo un immenso bisogno di parlarle, di sapere cosa lei ne pensava. C'era solo un problema: quelle lettere non gliele ho mai consegnate. Le nascondevo sotto il mio letto, in una piccola scatola, così che mia madre non le potesse leggere, aspettando il giorno in cui avrei trovato il coraggio per consegnargliele. Ricordo che mi sentivo una stupida ogni volta che guardavo dentro quella scatola e le vedevo: "Perché le stavo ancora scrivendo?!"
Probabilmente lo facevo per evadere, fuggire da una realtà che non sentivo mia, una vita piena di bugie e di segreti tenuti fin troppo stretti, perché nell'epoca in cui vivevo certe cose era meglio non dirle.
Un sorriso mi irradiò la faccia, e sventolai la mano per salutarla, lei ricambiò timidamente e ripresi a correre. Lucy non sapeva di quello per cui avevo deciso di combattere, o meglio, non ancora. Le avevo raccontato tutto in una lettera, dal libro che mi aveva illuminata al manifesto attaccato nella bacheca della scuola che annunciava l'evento,  perché sapevo che lei avrebbe capito, più di chiunque altro. Lucy apparteneva ad una famiglia profondamente cristiana e attaccata alle tradizioni, me lo aveva raccontato un giorno mentre ci mandavamo bigliettini nell'ora di inglese, e loro non avrebbero mai accettato la profonda amicizia che c'era tra noi due, una ragazza straniera e un'americana. Probabilmente era anche questo che mi tratteneva dal consegnarle quelle lettere.
Assorta nei miei pensieri, non mi ero accorta che ero arrivata: la piazza più grande della città. Lì un centinaio di donne erano già radunate e stavano finendo di preparare dei cartelli e di pitturarsi il viso. Sentivo l'adrenalina crescere dentro di me, mentre mi avvicinavo al gruppo. Appoggiai il mio zaino a terra e tirai fuori il mio cartellone, con scritto a grandi caratteri " Equality: the time is now! ". Ne andavo molto fiera e quando due ragazze se ne accorsero mi vennero incontro e iniziarono a chiedermi se ero davvero convinta di quello che avevo scritto e se ero pronta a urlare per far sentire la nostra voce. Non potei che sorridergli.
  
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