Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: ONLYKORINE    20/11/2020    3 recensioni
Prompt suggerito da Barby_Ettelenie_91 sul gruppo "Il giardino di Efp" di Facebook.
Mario lavora come fiorista nel negozio di suo nipote Ivan e conosce il significato di tutti i fiori. Iris è una donna che ordina sempre camelie rosa per la tomba del marito, ma non è mai riuscita a portarglieli. Finché un giorno...
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Camelie rosa, giacinti porpora e tulipani rossi

Camelie rosa, giacinti porpora

e tulipani rossi



“Io le proporrei delle gerbere. Una bella composizione di gerbere di vari colori. Lo sa che ogni colore simboleggia qualcosa di diverso? Quelli gialli rappresentano benessere e lusso, mentre queste arancioni gioia e allegria. Le guardi, non sono stupende? Anche quelle rosa hanno un bel significato: ammirazione sincera. Io farei un cesto con tre vasetti di fiori di colore diverso...”

L’uomo ascoltò distrattamente i consigli del fiorista e annuì velocemente, alzando appena la testa dallo smartphone.

“Sì, sì, ci metta quelli che vuole, tanto non fa differenza.”

Mario, il fiorista, sbuffò e non lo fece neanche discretamente. “I fiori non sono un regalo senza importanza! Se non è in grado di apprezzarli, dovrebbe andare a comprarli al supermercato!”

Così, un po’ stranito, l’uomo lasciò perdere il suo telefono e guardò Mario con curiosità mista a nervosismo. “Sta scherzando?”

“Assolutamente no! Anzi, le chiedo di uscire dal negozio al più presto.”

Il mancato cliente, ancora scocciato, si infilò in tasca il telefono e borbottando si avviò verso l’uscita.

“Nonno!” La voce di Ivan fece girare Mario verso l’altro bancone del negozio. “Non dovresti trattare così i clienti… Ricordi? Ne abbiamo già parlato…”

“Guarda che sarò anche vecchio, ma non sono rincoglionito. Certo che mi ricordo che ne abbiamo parlato. Ma, come ti ho già detto, non servirò un damerino che non sa che differenza ci sia fra un cactus e il cu…”

“Nonno!” 

Mario sbuffò all’ennesimo richiamo. I giovani non capivano niente. Regalavano fiori per farsi perdonare e non per corteggiare, passavano il tempo sui loro aggeggi luminosi e non guardavano più in faccia nessuno, non riconoscevano le sfumature dei colori e avevano il cervello pieno zeppo di macchie grigie con contorni ben definiti. Scosse la testa.

“Potresti almeno essere più gentile? Se qualcuno non ti piace, lo servo io, va bene? Non possiamo permetterci di perdere i clienti, altrimenti dovremo chiudere!”

Mario annuì un po’ seccato e si girò borbottando.

“Guarda, sta arrivando la matta” disse Viviana, la ragazza di Ivan, che si era avvicinata al fidanzato, indicando fuori dalla vetrina. Mario sbuffò di nuovo, ma lo sguardo del nipote, che aveva afferrato il suo disappunto, lo riportò al suo posto: non gli piaceva quella ragazza e non lo nascondeva al nipote che si innervosiva quando ne parlavano, così cercava di non aver motivi di discussione in negozio. Secondo Mario, comunque, Ivan meritava di meglio.

L'anziano si girò verso la vetrina e osservò la donna indicata dalla ragazza: più vicina ai sessanta che ai settanta, la ‘matta’, come la chiamavano in negozio, altri non era che una signora dall’aspetto antico, curato e custodito come un tesoro. Una donna d’altri tempi, con un linguaggio appropriato e una fantastica cultura floreale. I suoi capelli bianchi e grigi, di una sfumatura che Mario non aveva ancora definito e che sembrava cambiare a seconda della luce, erano corti e liberi, e le circondavano il viso ovale, stropicciato dal tempo, ma elegante e bellissimo. I suoi occhi chiari si intonavano con l’argento dei capelli e Mario era sicurissimo che avrebbero brillato del sorriso giusto, prima o poi.

Lei chiedeva sempre le camelie. Camelie rosa. Veniva considerata matta perché ogni settimana, da tre mesi a quella parte, comprava i fiori per portarli al cimitero sulla tomba del marito e poi, sulla soglia del giardino, non riusciva a entrare. Appoggiava dunque i fiori al cancello e scappava via in lacrime. Loro lo sapevano perché il negozio di Ivan era poco lontano dall’ingresso del campo santo e l’avevano vista farlo più volte.

“Non dovresti chiamarla ‘matta’, poverina. È solo una persona molto emotiva. Mi fa tanta tenerezza…” La voce di Milena, la commessa, era dolce e lei molto carina.

Mario pensava che lei sarebbe stata la fidanzata perfetta per Ivan, ma quel ragazzo non capiva un accidente.

Quando la donna attraversò la strada diretta verso di loro, Milena si avvicinò alla vetrina, pronta per accoglierla e servirla.

“No, Milena, vai dietro a preparare le rose. Servo io la matta” disse Viviana, quasi ridacchiando.

“Perché? L’ho sempre servita io, ogni volta le do…”

“Sì, le dai sempre camelie rosa. Non sarà così difficile” ribatté, scocciata, l’altra, che non lavorava in pianta stabile al negozio ma, essendo la fidanzata di Ivan, il proprietario, si sentiva la padrona.

“Ma… Magari oggi… E se volesse qualcos’altro? Tipo... Tipo…” La ragazza si guardò intorno in cerca d’aiuto. Neanche lei voleva che la signora fosse lasciata nelle grinfie di Viviana.

“Forse oggi vuole una pianta di elleboro” si intromise Mario.

Il viso di Milena si illuminò in un sorriso: l’elleboro era il simbolo del cambiamento, della rinascita e del coraggio.  “Oh, sarebbe fantastico!”

Viviana, che non aveva capito lo scambio di battute fra i due, scosse le spalle stizzita e alzò le mani al soffitto, nervosa. “Ivan, ma non dici niente a questi due?” Poi si avviò verso il fondo del negozio e rimase a guardarli con le braccia incrociate sul petto. Gli altri aspettarono che la donna aprisse la porta della vetrina.

“Buongiorno” esordì la cliente.

“Buongiorno, signora…” Milena, poverina, non aveva capito se dovesse servirla o meno e lanciò un’occhiata a Ivan che annuì.

La donna, però, in quel breve momento di silenzio, mal interpretò la sua interruzione e sorrise, presentandosi. “Iris, mi chiamo Iris”.

Mario spalancò occhi e bocca. “Il nome di un fiore! E che fiore, signora Iris, se mi permette!”

La donna abbassò lo sguardo e poi lo rialzò, come se fosse arrossita. “Immagino che lo conosca, vero?” chiese, con l’aria di chi sapesse tutti i segreti del mondo,  avvicinandosi al suo bancone.

“L’Iris, o giaggiolo, è un fiore elegante, simbolo di fede e di speranza. Direi che è proprio il nome giusto per lei!” La sua voce era sincera e il suo sorriso smagliante.

“La ringrazio” disse ancora, poi gli chiese se avesse delle camelie. Voleva un mazzo di camelie rosa.

Mario andò a prenderle nel retro del negozio e scelse personalmente la sfumatura giusta: le camelie erano simbolo di devozione eterna e amore romantico. Quelle rosa, poi, si vestivano di nostalgia e volontà di ritrovarsi. Mario pensava che fosse il fiore giusto per una vedova che aveva perso il cuore lungo il cammino della vita.

Iniziò a preparare il piccolo bouquet: ci mise parecchia cura a scegliere la carta intonata e mise anche un po’ di velo da sposa per renderlo più consistente e grazioso, senza coprire troppo le camelie. Quando legò il fiocco scelse un colore chiaro e innocente, che si intonava magnificamente ai capelli della donna.

Mentre glielo consegnava, con un sorriso le disse: “Chissà che oggi non sia la giornata giusta, signora Iris, che non riesca a varcare finalmente quel cancello”.

Iris spalancò gli occhi alle sue parole e lasciò cadere per terra il portafoglio, con cui stava pagando, i suoi occhi si riempirono di lacrime, si girò e uscì dal negozio, lasciando lì fiori e borsellino.

Mario rimase immobile, con gli occhi sbarrati e il mazzo di fiori per aria. Poi si voltò verso gli altri due: Milena premeva la mano sulla bocca e i suoi occhi verdi erano spalancati, mentre Ivan, sorpreso quanto Mario, non sapendo che dire, provò a rimproverarlo: “Nonno! Ma…”

Non finì la frase perché si rese conto di non sapere cosa dire, così scosse le spalle e raggiunse Viviana, che brontolava nervosa. “Quel vecchiaccio ha colpito ancora…”

Mario, questa volta, non rispose alla provocazione di Viviana perché veramente non aveva capito cosa era successo. Lui non l’aveva fatto apposta, come con il cliente dello smartphone, ma qualcosa doveva aver sbagliato, visto la reazione che aveva avuto Iris.

“Io… Io… non volevo… non…” cercò di giustificarsi Mario. Fece il giro del bancone, vi appoggiò sopra il mazzo e si chinò per raccogliere il portafoglio di Iris. Lo prese e lo diede a Milena, dicendo: “Tienilo lì, se torna a prenderlo…”

Per tutto il pomeriggio Mario guardò la porta del negozio e, per tutto il pomeriggio, venne deluso ogni volta che il campanello posto in alto suonava avvisando l’entrata di un cliente: Iris non tornò.

***

Quella sera, dopo la chiusura del negozio e aver sbirciato i documenti nel portafoglio di Iris, Mario bussò alla porta di una casetta gialla appena prima della periferia della città.

“Sì?” gli chiese l’uomo biondo, ben vestito, che gli aprì la porta.

“Buonasera” disse, quasi piccato. “Abita qui Iris Moratti?”

Il biondo alzò un sopracciglio e lo guardò da capo a piedi, poi rispose: “È mia suocera, lei chi è?”

Mario, nonostante non gli piacesse il tono del genero di Iris, decise di passarci sopra e sorridere. “Iris sta bene?”

Lui scosse le spalle. “Come al solito. Perché la sta cercando?”

“Sono Mario, del negozio di fiori. Ha lasciato questi in negozio” spiegò, consegnandole il portafogli e il bouquet di camelie.

“Quella donna non si può lasciarla da sola! Dafne!” La sua voce non tradiva per niente il fastidio che sentiva e Mario iniziò a innervosirsi.

“Sì?” Una donna sulla quarantina abbondante apparve sulla soglia e Mario riconobbe i tratti di Iris sul suo viso: doveva essere la figlia.

“Il fiorista dice che tua madre ha dimenticato i fiori e i soldi in negozio. Te lo dicevo che ha bisogno di una badante!”

“No, mi scusi. C’è stato un errore. Iris non ha fatto niente di…” Mario provò a difendere la donna, ma il marito di Dafne se ne andò gesticolando nervoso.

“Ci scusi lei, mio marito è un po’ nervoso ultimamente… Grazie per aver restituito le cose di mia madre. Gliele faccio avere subito.”

La donna sorrise e, dopo essere stato rassicurato sul fatto che Iris stesse meglio, Mario la lasciò sulla porta di casa e tornò verso la sua dimora, molto più sereno e contento del fatto che anche la figlia avesse il nome di un fiore: doveva essere un segno.

***

“Buongiorno…”

Iris fece capolino nel negozio due giorni dopo, portando un sorriso imbarazzato e reggendo un vassoio della pasticceria che c’era in fondo alla strada.

“Signora Iris!” la salutò Milena, andandole incontro e lasciando a metà il lavoro che stava facendo. Si asciugò le mani sul grembiule che aveva legato in vita e le sorrise chiedendole come stesse.

“Grazie, sto bene. Mi spiace per l’altro giorno, io…” La sua voce si affievolì un po’, mentre si guardava intorno.

“Non si preoccupi, non è successo niente” la rassicurò Ivan.

Lei annuì senza dire niente e gli porse il cabaret di pasticcini. “Ho pensato di farmi perdonare e vi ho portato un pensiero…”

“Oh, ma non doveva… Che gentile!” Milena sorrideva alla donna, mentre Ivan le prendeva dalle mani il vassoio.

“Volevo anche ringraziare il signor Mario che è venuto a casa…” disse ancora Iris, guardandosi intorno, ma senza vedere la persona per cui si era presentata in negozio.

“Oh, mio nonno sta arrivando, vuole accomodarsi e aspettarlo? Intanto così assaggiamo queste meraviglie!” Ivan le porse uno sgabello e sistemò il vassoio sul bancone pulito, quello vicino alla cassa, aprendone la carta.

Iris si sedette ringraziando e i tre iniziarono a chiacchierare. Fu così che Mario, quando arrivò, vide Iris sorridente e serena, seduta sul suo sgabello.

“Signora Iris!” esclamò quando aprì la porta.

“Nonno! Vieni a prendere un pasticcino che ci ha portato la signora Iris” lo invitò Ivan, ma Mario si avvicinò alla donna seduta e non degnò nessun altro di attenzione.

“Sono contento che sia tornata. Vorrei farle le mie scuse per…”

“No, no. Sono io che dovrei scusarmi…”

Quando Ivan tentò di avvicinarsi ai due per parlare con il nonno, Milena lo tirò per un braccio. “Cosa c’è?” chiese lui, stranito.

“Lasciali fare!” sussurrò Milena, indicando con la testa. Ivan annuì e stette a guardare.

“Mario, perché non porta la signora Iris a prendere un tè al bar in fondo alla strada?” propose la ragazza, pensando che presto avrebbero avuto clienti e probabilmente lei se ne sarebbe andata per non disturbare.

“Oh, sì, buona idea. Mi farebbe l’onore della sua compagnia?” le chiese Mario, porgendole il braccio piegato come a un ricevimento di gala.

Iris annuì sorridendo e infilò la mano nell’incavo del suo gomito.

Quando uscirono dalla vetrina, Milena sospirò. “Tuo nonno è così galante!” disse, con occhi sognanti. “Chissà com’era bello da giovane…”

Ivan prese un pasticcino e disse, prima di addentarlo: “Dicono tutti che ci assomigliamo”. Milena rise e lui si voltò a lanciarle un’occhiataccia. “È vero!” esclamò.

Ma la ragazza ridacchiò ancora. “Forse…” lo accontentò. Ma lui capì che lo stava assecondando e arricciò il naso.

“Vorresti dire che non sono bello?”

“O magari che non sei galante…”

“E quand’è che non sarei stato galante?” sbottò, infastidito.

“Ma, non so, c’è solo l’imbarazzo della scelta… Forse con Giulia in terza media. O con Anita in seconda superiore. Con Claudia al campo da calcio o anche con…”

“Sì, vabbè ho capito”. Ivan se la prese un po’ e le girò le spalle.

“Dai, non prendertela!” Ma Milena rise mentre glielo diceva e Ivan si arrabbiò un po’ di più. Quando la ragazza lo capì, tornò seria e gli si avvicinò. “Ehi… Dai…”

Quando capì che lui c’era rimasto male davvero, Milena si sentì in colpa. “Ok, scusa… non dovevo esagerare…” Gli mise una mano sulla spalla, cercando di farlo girare verso di lei e, nonostante la sua resistenza, riuscì a guardarlo in viso e notare quanto l’aveva ferito la sua affermazione.  Il campanello della porta annunciò un cliente, ma nessuno dei due alzò il capo verso l’entrata e rimasero a fissarsi negli occhi.

“Che cazzo sta succedendo qui?” trillò Viviana e tutti e due i ragazzi trasalirono.

***

“Volevo scusarmi per come sono scappata via…” iniziò Iris, quando si sedettero a un tavolino.

“Non è lei a doversi scusare, Iris, anzi, sono io che non mi sarei dovuto permettere…” la interruppe Mario.

“No, no, assolutamente! Lei non ha fatto niente. Mi ha anche riportato a casa i fiori e il portafoglio. Lei è stato gentilissimo!”

“Sa cosa dovremmo fare? Accettiamo tutti e due le scuse dell’altro e magari…” Mario prese fiato e poi fece quella che per lui era una proposta azzardata: “Potremmo darci del tu?”

Iris abbassò gli occhi, ma sorrise. “Volentieri” disse. Quando la cameriera portò le ordinazioni tutti e due rimasero zitti, ma continuarono a guardarsi sorridendo.

Dopo due tè e tante, tantissime chiacchiere, Mario si offrì di accompagnarla a casa e Iris accettò.

 

Quel pomeriggio fu il primo, il primo in cui Iris stette fuori di casa per più di tre ore e in cui chiacchierò con qualcuno che non avesse conosciuto Franco, suo marito. Qualcuno che non glielo ricordasse, che non era triste per la sua scomparsa e la guardava male se tentava di ridere per qualcosa di leggero.

 

Fu il primo di una serie di pomeriggi indimenticabili, fatti di risate, cappuccini, tè e occhiate velate.

***

“Oggi vorrei comprare delle camelie rosa…” disse un bel giorno Iris, mentre in negozio osservava Mario fare magie e rendere anche una semplice gerbera un regalo prezioso e intimo.

“Oggi ho proprio delle camelie bellissime, sai?” la informò Mario, ammiccando. “Vuoi vederle?” Iris annuì e seguì l’uomo nel retrobottega.

Ivan guardò i due anziani sparire oltre l’uscio e si affrettò a spiarli dalla porta a vetri: suo nonno accarezzava i fiori come se fossero stati il corpo di una bella donna, mentre li mostrava a Iris e lei era molto tranquilla, annuiva e sorrideva.

“Mil…” esclamò, chiamando l’amica per condividere con lei quel segreto, ma si interruppe quando si ricordò che lei non lavorava più lì con loro.

Sospirò e guardò ancora nel retro: suo nonno Mario e Iris ora chiacchieravano fitto, come se fossero amici da anni o addirittura da secoli. Ivan tornò al suo posto sospirando e riprese in mano le forbici.

“Cosa c’è?” La voce di Viviana, dal fondo del negozio, gli ricordò di non essere solo.

“Niente, niente…” Ivan abbassò lo sguardo e la sua ragazza fece una smorfia di disprezzo.

“Cercavi Milena, vero?” Quando il ragazzo non parlò, si avvicinò a lui. “Rispondimi! Volevi dire a Milena che la pazza ha deciso di provare ad andare al cimitero!” La sua voce era dura, ma almeno sussurrava per non farsi sentire nel retrobottega. “Perché hai cercato lei e non me?” Viviana prese per un braccio Ivan e lo strattonò. “Perché?”

“Perché tu sei una stronza, ecco perché! Contenta?” Il ragazzo sbottò e scappò fuori dal negozio.

“Dov’è andato Ivan?” Viviana si girò alla voce di Mario che domandava dove fosse il nipote. Lei scosse le spalle e fece finta di niente. “Non lo so”.

Mario guardò la porta del negozio aggrottando la fronte, ma decise di lasciar perdere e si voltò verso Iris. “Vieni, facciamo un bel mazzo e poi ti accompagno”.

***

“Preferisci andare da sola o vuoi che ti accompagni?” La voce di Mario per un attimo aveva tentennato quando, davanti al cimitero in quel tardo pomeriggio, aveva posto la domanda a Iris.

“Vado da sola. Oggi è il giorno giusto” rispose la donna. Le sue mani tremarono, mentre afferravano meglio la base del mazzo e i suoi occhi si inumidirono guadando il giardino del riposo eterno, prima di voltarsi di nuovo verso Mario in una muta richiesta.

L’uomo si avvicinò alla donna e le prese una mano, la baciò e poi posò un fiore essiccato sul suo palmo. “Ti aspetterò qui, Iris, prenditi il tempo che ti serve”.

Lei sgranò gli occhi. “Cos’è?”

“Un elleboro. È un fiore simbolo di rinascita, si dona a qualcuno che ha bisogno di coraggio per affrontare un cambiamento.”

Gli occhi di Iris questa volta lacrimarono davvero. Una piccola, tonda e lucida lacrima lasciò i suoi occhi e scivolò sul suo viso, quando lei annuì.

“Grazie.”

Mario gliela asciugò con un dito e si chinò a darle un bacio sulla guancia. Quando lei si girò per inoltrarsi nel cimitero, lui infilò le mani in tasca e la guardò oltrepassare il cancello e la seguì con lo sguardo finché non sparì dalla sua vista.

Pazientemente si preparò ad aspettare.

*

Milena aveva osservato la scena mentre puliva il marciapiede davanti al bar dove lavorava da tre mesi, sospirò quando Iris riuscì a varcare l’ingresso e sorrise commossa, riprendendo a lavorare. Non guardò mai verso la vetrina del negozio di fiori proprio in fondo alla strada, dall’altra parte della via, non la guardava da due mesi.

Quando Viviana l’aveva accusata di aver manipolato Ivan alle sue spalle, e lui non aveva detto una parola per difenderla, Milena aveva capito di provare veramente qualcosa per il ragazzo e che continuare a lavorare con lui gomito a gomito non sarebbe stata una buona idea. Così si era licenziata; sapeva che il bar dell’angolo cercava da tempo un aiutante, e lei non aveva avuto difficoltà a farsi assumere: tutti nella via la conoscevano e sapevano che era una brava lavoratrice.

All’inizio aveva pensato che Ivan sarebbe andato a cercarla, non perché sperava che lui ricambiasse i suoi sentimenti, ma proprio in onore della loro amicizia, ma Ivan non si era mai presentato al bar.

Dopo le pulizie giornaliere, Milena chiuse il locale, tirò giù le saracinesche e si incamminò verso casa. C’era buio, ma lei abitava vicino e le piaceva tornare a casa a piedi.

“Milena!” La ragazza si voltò quando si sentì chiamare: era quasi entrata dal portone di casa.

“Ivan, che ci fai qui?” gli chiese, perplessa, quando lo riconobbe.

“Volevo dirti che oggi Iris è entrata al cimitero.”

Il sorriso della ragazza illuminò la sera. “Sì, ho visto lei e tuo nonno davanti al cancello. Lui è stato molto…” La ragazza si interruppe, non volendo raccontare come si era commossa a vedere Mario che accarezzava le guance della donna, sapendo che l’ultima volta aveva portato un litigio fra di loro.

“È stato molto galante” concluse per lei il ragazzo, usando le stesse parole dell’altra volta. Milena si innervosì quando capì che lui lo aveva fatto apposta.

“Cosa vuoi, Ivan?” chiese, un po’ dura.

“Oggi, dopo averli visti, ho pensato che…” iniziò lui, ma la ragazza lo interruppe: “Non pensavo fossi capace di pensare…”

Ivan capì che lei era ancora arrabbiata, così le porse il bouquet che aveva dietro la schiena: tre giacinti viola. Anzi, color porpora.

Milena spalancò gli occhi e la sua bocca formò una O perfetta; Ivan sorrise ma cercò di non sembrare troppo vittorioso.

“Sono per me?” chiese lei, ancora stupita. Il ragazzo riuscì solamente ad annuire con il capo.

“Giacinti porpora. Tre giacinti porpora.”

“E perché… Oh!” Quando capì il significato del mazzo Milena arrossì.

“Devo farmi perdonare” spiegò. Indicò il primo fiore. “Per non averti difeso con Viviana, quando ti ha accusato di volerci provare con me…” Si morse il labbro e indicò il giacinto di fianco. “Per non essermi fatto vivo dopo che te ne sei andata e…” Toccò quello sotto: era il più bello e il più grande, lo sfilò dal mazzo e si avvicinò a lei, porgendoglielo. “Per non averti mai detto quanto tengo a te…”

La ragazza sorrise e i suoi occhi si colmarono di felicità. “Ivan…” disse prendendo il fiore. “E Viviana?”

“Le ho detto che voglio stare con te.”

“E se io ti dicessi di no?”

Lui sbarrò gli occhi. “Non cambia niente. Io volevo solo che lo sapessi…” rispose, ma abbassò il braccio che reggeva il mazzo con i due fiori e si voltò, imbarazzato, consapevole della sua sconfitta.

“Ivan, anch’io voglio stare con te!” esclamò Milena quando vide che lui stava per andarsene. Il ragazzo si girò e lei si buttò fra le sue braccia.

***

“Oggi esco prima.”

Ivan alzò la testa dal ricevitore di cassa e guardò il nonno. “Dove vai?”

“Porto Iris a cena fuori. Che dici?”

“Mi sembra un'ottima idea” disse, guardando il bouquet che stava preparando. “Tulipani?”

Mario sorrise. “Già...”

“Una dichiarazione seria, eh?” Mario non disse niente, ma sorrise ancora. Ivan era contento. Da quando aveva conosciuto Iris suo nonno sembrava un’altra persona: era più socievole con i clienti e non borbottava più contro chi non apprezzava i fiori. Oh, forse un po’ lo faceva, sì, ma meno di prima.

Il campanello sopra alla porta suonò e il ragazzo si avviò verso l’entrata per tenere aperto l’uscio alla ragazza che stava entrando con il vassoio e i caffè.

“Buongiorno! Vi ho portato i cappuccini!” Milena entrò con un sorriso e portando l’aria della primavera. Posò il vassoio sul bancone e, mentre Mario si avvicinò al suo cappuccino, Ivan la trascinò nel retrobottega per rubarle più di un bacio.

Quando uscirono lei aveva fra i capelli il bocciolo di una rosa rossa dai petali vellutati. Mario la conosceva: era la più raffinata di tutte, un esemplare bellissimo. Sorrise perché sapeva che Ivan era consapevole di ciò che faceva, questa volta.

***

“Dovrai perdonarmi, ma sono stata da un altro fiorista, oggi.”

La voce di Iris lo accolse sulla porta, ma lei era ancora in camera, quando Mario entrò in casa sua. Nascondeva dietro la schiena un mazzo di cinque tulipani, ma rimase di sasso quando lei gli fece quella confessione.

“Dove sei stata?” le chiese, entrando in salotto e aspettandola.

Iris abbottonò il golfino di lana rossa mentre faceva il suo ingresso e gli sorrise, mostrando un piccolo bouquet di tre fiori: erano tulipani rossi, proprio come i suoi.

Mario rimase a bocca aperta: lei aveva comprato dei tulipani! Quando le mostrò il suo mazzo, Iris rise, rise di quella risata che riempiva il cielo, il tempo e il cuore di Mario da un bel po’ di tempo.

“Abbiamo avuto la stessa idea!” esclamò lei, per niente turbata e contenta. Iris era cambiata negli ultimi mesi: il suo sorriso era radioso e i suoi occhi non erano più costantemente velati di malinconia o lacrime, i suoi capelli ora erano sempre acconciati anche se avevano ancora il colore della neve, come se lei ci tenesse particolarmente e si facesse bella per Mario.

Mario aveva notato tutte queste cose, e le adorava. Gli piaceva tenerle la mano quando parlavano e accarezzarle le dita quando lei raccontava di qualcosa che la faceva ridere o la inteneriva.

Iris invece pensava che Mario fosse l’uomo più gentile del mondo, colui che l’aveva accompagnata nel viaggio più difficile della sua vita, che le aveva concesso di essere triste e nostalgica senza mai farle pesare quando lo era o quando non lo era. Era semplicemente se stessa. Sulla sua spalla lei aveva pianto e riso e, in quel momento, pensava di essere pronta per stare al suo fianco per sempre. Una cosa che mai aveva provato, lei che aveva conosciuto solo un uomo in tutta la sua vita, voleva andare avanti, voleva vivere.

Si scambiarono i mazzi ancora ridendo e Mario le chiese se fosse pronta per uscire.

“Io sono pronta per molto più di questo.”

Iris appoggiò il bouquet sulla credenza e si avvicinò a lui. Le loro labbra si incontrarono in un bacio leggero e delicato.

“Sei sicura? Io posso…” iniziò a dire lui.

“Mai stata più sicura di così”. E così dicendo, chiuse di nuovo gli occhi.

Mario non ebbe bisogno di altre spiegazioni: si chinò su di lei, le prese il viso fra le mani e baciò il suo Iris, il fiore che racchiudeva tutto l’arcobaleno.

-
-

-

***Eccomi qui, sono tornata con un'altra OS, questa volta volevo scrivere di due persone 'mature' e non di adolescenti, ma non riuscivo a trovare un'idea per partire e ho chiesto aiuto sul gruppo di Facebook, dove una ragazza è stata veramente gentile a darmi questo prompt:

"Lei è vedova, e va dal fioraio per comprare dei fiori da portare al marito al cimitero, quando scoppia a piangere. Lui fa il fioraio, assiste alla scena e in qualche modo cerca di consolarla."

Io ci ho provato, ma non sono contentissima del risultato, i personaggi avrebbero meritato molto di più, ma non riuscendo a scriverla, alla fine ho deciso di chiuderla e basta, mi dispiace tantissimo (e ho dovuto cmq metterci una coppia giovane, mannaggia!! 😅)  spero che non faccia troppo schifo.

ps. il significato dei fiori è così ampio come argomento che alla fine ho scelto un sito e tenuto buono solo quello, scusate, ma non so niente di piante, a casa mia si suicidano anche quelle di plastica 😅

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: ONLYKORINE