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Autore: Miawolf    20/11/2020    1 recensioni
“[...] Ben presto mi fu chiaro che restare non era più un compito, una necessità. Era un capriccio, e dovevo vincerlo per suo bene, o forse, egoisticamente, per il mio. Perché speravo con tutto il cuore, ogni volta per tornavo a casa, di leggere in lei un segnale, un piccolo indizio che mi suggerisse che anche lei cominciava, finalmente, a guardarmi con occhi diversi. E ci speravo anche questa volta, come una sdolcinata ragazzina, che questo Natale mi regalasse finalmente il segnale che attendevo da anni.”
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Renesmee Cullen | Coppie: Jacob/Renesmee
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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“Signor Black, mi duole doverglielo dire, ma la sua preparazione è alquanto insufficiente.” esordì il professore non appena ebbi finito, con la sua parlata lenta e il suo lessico così perfettamente cattedratico.

“La prego Prof, se non passo il suo esame andrò in fuoricorso, proprio l’ultimo anno non potrei permettetemelo”. 

Sfoderai tutto il mio appeal da bravo ragazzo di periferia, cosa che alla fine ero, ma con un pizzico di sfacciataggine che, se saputa usare, salva il culo.

“Domani tornerò a casa, e non sarei capace di trovare le parole per dire alla mia famiglia di aver perso la borsa di studio per un soffio”

 Tentai di sfoderare un sorriso e un paio di occhi da cucciolo nello stesso tempo, e rimasi in attesa di vedere se avesse funzionato. 

Il professore aveva già cominciato a scrivere data e materia sul mio libretto, poi si fermò, alzo lo sguardo sopra gli occhialetti, e mi fissò un paio di lunghissimi secondi. 

Gli occhi da cucciolo funzionarono, perché gli scappò un piccolo sorriso, e con la stessa mano che stringeva la penna decise di togliersi gli occhiali e guardarmi meglio. 

“E sia. A Natale siamo più buoni. Per questa volta se la caverà con un 18, signor Black, ma si ricordi che ci rivedremo per l’esame di Economia Gestionale, e non sarò così clemente”. 

“Grazie professore, le assicuro che non la deluderò assolutamente!” 

Mostrai tutta la mia sincera gratidudine, mentre lui indossò di nuovo gli occhialetti tondi per terminare la registrazione del voto sul libretto. 

Sì, stavo esagerando con tutta quella gratidudine risultava penosa, ma ero elettrico dall’inizio della giornata, e non per l’ansia da esame. Firmò con uno scarabocchio e mi porse il libretto.

“E ora vada, sparisca dalla mia vista, prima che cambi idea” 

Capii che la sua era una esortazione assolutamente bonaria. Scoppiai a ridere afferrando il libretto che mi stava restituendo e gli tesi l’altra mano in segno di saluto. Lui la strinse di rimando.

“La ringrazio infinitamente, professore. Le auguro Buon Natale”

Mi fece un cenno con il capo e un sorriso divertito, era chiaro che avevo conquistato le grazie di quel simpatico uomo dai capelli bianchi. 

Mi catapultai fuori dall’aula chiassosa, quel pesante brusio di gente che ripeteva e quell’aria calda e viziata mi stavano santo alla testa. Quasi di corsa mi diressi verso l’uscita. Ma perché correvo? Il volo era fissato per domani, ma ero eccitato come un bambino. Scesi le scale della metropolitana a ritmo frenetico, non riuscivo a restare calmo. Sarà stata l’atmosfera Natalizia che si respirava nell’aria, o la felicità di aver passato l’esame. Oppure sarà stata la contentezza di poter finalmente passare due settimane a casa mia, con il mio branco, i miei fratelli. Ma soprattutto, o forse soltanto, erano le farfalle nello stomaco a sol pensiero di poter finalmente rivedere la mia Resmie. 

“Hey Jake!” 

Una voce femminile mi fece trasalire. 

“Oh, ciao Pamela! Stai andando in facoltà?” 

“Si, ho appuntamento col mio prof per discutere dell’ultimo capitolo della tesi. Superato l’esame?” 

Strizzai un occhio accompagnando l’espressione schioccando le labbra trionfante.

“Alla grande!” La biondina di diede il cinque, rise frivola e poi mi passo una mano sulla spalla. 

“Esci stasera? Festeggiamo” suggerii, malizioso, ma non troppo.

Le si accesero gli occhi verdi e annnuì.

“Ma certo, oggi è l’ultimo giorno in città”

“Ci sei vede al pub allora” le strizzai l’occhio e mi incamminai verso la linea 7.

 Ero assolutamente consapevole del fatto che non fossero esattamente i pensieri di un gentiluomo quelli che mi stavano passando per la testa in quel momento. Il mio nè nemico nè amico Edward non avrebbe esitato un momento a farmelo presente con quel tono di  rimprovero da vecchietto ottantenne. Anzi, cento - tredicenne, per l’esattezza. Un angolo della mia bocca si sollevò in su. La metro arrivò e fischiò forte nelle orecchie. Un vento carico di smog e polvere si sollevò spostandomi i capelli, e feci una smorfia di disgusto. Mi mancava casa mia, i boschi, il verde, l’aria limpida e la natura incontaminata. 

Comunque Pam lo sapeva, e le stava bene così. Era una ragazza... libera. Viveva la sua vita come meglio credeva, si divertiva senza lasciarsi influenzare dal giudizio di qualche mente di provincia. Era una tosta, in fondo. Certo, nulla in confronto alla mia dolce Resmie, lei era decisamente più tosta. Anzi, Resmie era “più” tutto, più di tutte.  Era la più bella, più intelligente, dolce, genuina, meravigliosa creatura mai creata dal creato.  La più brillante, e ahimè, la più attraente, si miei occhi. Mi chiesi per l’ennesima volta se l’avrei trovata cambiata rispetto all’ultima volta che l’avevo vista. Ciò che avevo lasciato era una acerba ragazzina, troppo grande per essere chiamata bambina, troppo piccola per essere denifita donna. Durante quell’ultimo soggiorno per le vacanze estive presi coscienza del fatto che aveva definitivamente abbandonato l’età dell’innocenza, qundo per caso scoprii una confezione di assorbenti nel bagno dei Cullen. Appoggiato al palo al centro del vagone saturo di gente mi tuffai dentro al ricordo dì quell’episodio, e a tutte le emozioni che mi si scatenarono dentro. Il mio primo pensiero fu: “è diventata donna!” Quasi sentii una morsa allo stomaco, provai una specie di dispiacere nel vederla crescere, come un genitore nostalgico che realizza di non essere più indispensabile per il suo piccolo. Subito dopo pensai: “è fertile? Può diventare madre?” La malinconia fu sostituita immediatamente dalla gioia. Non che ne sapessi molto, da poter creare vita doveva essere un’emozione indescrivibile. E sapere che avrebbe potuto viverla mi riempì il cuore. Subito dopo mi chiesi: “cosa sarebbe stato, quel bambino? Un vampiro per un terzo? O un quarto? E se fossi stato io, un ibrido tra licantropo, umano, succhiasangue?” Per forza di cose la mia mente finì lì per la prima volta, dove non doveva finire. Immagini sostituirono domande senza che me ne rendessi conto.Quella fantasia mi risucchiò in un vortice di pensieri, e quando risalii a galla mi ricordai improvvisamente di essere nel bagno dei Cullen da almeno 10 minuti, e che suo padre al piano di sotto doveva aver sentito tutto. Mi ricomposi velocemente e raggiunsi in fretta Resmie che attendeva il mio ritorno. Prima di sprofondare e nascondermi nel divano guardai Edward, per controllare la sua reazione. “Scusa” gli dissi col pensiero, e lui mi fece ceno impercettibile col capo. Mi venne di nuovo da ridere, pensando a quella sua reazione. Decisi dal quel momento in poi che distrarmi con nuove compagnie sarebbe diventato un rituale quasi necessario, anche se non sarebbe bastato per fermare le mie speranze. Durante questi ultimi mesi, come le fiamme di un incendio divampavano libere e velocissime, così erano cresciuti i miei desideri verso di lei. Mi sorprendevo sempre più spesso a fantasticare su lei: mentre studiavo, mentre ero a lezione, perfino quando uscivo, tra un mare di altre distrazioni. Provavo a soffocarli con tutte le mie forze. Io dovevo, e non tanto per suo padre e quello snervante dono, che poi era talmente lontano da me che non avrebbe potuto neanche sentirli, per fortuna. No, io li soffocavo per lei. Mi sentivo terribilmente colpevole, come se avessi sporcato una creatura così pura e ingenua soltanto per averla immaginata come volevo io, storpiando la sua essenza. In fondo, anche se mancava ormai poco al raggiungimento della sua maturità, fisicamente parlando, questa non combaciava con quella anagrafica. La sua anima viveva da meno di sei anni, decisamente troppo pochi. Ed io ero diventato un uomo ormai, non potevo considerarmi più neanche un adolescente. Dovevo, per il suo bene, domare quelle fiamme impazzite dentro di me, soffocarle. Eppure, come avevo constatato negli ultimi mesi, non sempre ci riuscivo. Forse ero riuscito solo a indebolirle, a ridurle a una flebile piccola fiamma fatta di speranza. Speranza che prima o poi lei avrebbe smesso di considerarmi una specie di zio, o fratello, o amico. Speranza che sarebbe stata lei, un giorno, a voler alimentare quella piccola fiamma. 

Del resto, la decisione di allontanarmi era stata dettata proprio da questo miraggio. Conoscendomi, se fossi rimasto lì non sarei riuscito a starle lontano neanche per ventiquattro ore filate, e questo l’avrebbe portata a vedermi come una figura familiare, talmente familiare da considerarmi un suo familiare. Sembrava un paradosso, ma decisi di starle lontano nel presente per poterle stare vicino nel futuro. Era una cosa contro natura allontanarsi dal proprio imprinting, e i miei fratelli me lo fecero presente più e più volte. Io invece cercavo di vedere la cosa con razionalità, cercando di vincere il mio stesso gene che mi attirava a lei come una calamita. Mi sembrava un buon compromesso in fondo, quello di poter essere presente nella sua vita, senza diventare una presenza fissa che avrebbe inesorabilmente imparato a dare per scontato. L’unico che mi capiva e mi appoggiava era Quil, che poverino, aveva avuto l’imprinting con una piccola di soli sei mesi. E un’umana si sa, non ci avrebbe impiegato 6 o 7 anni per crescere, ma ben più del doppio. Questa sofferenza in comune ci avvicinò ancor di più di quanto non lo fossimo già, fin quando non ci balenò questa idea in testa dopo soli un paio d’anni dalla nascita di Nes. Partire, studiare lontano, tornare di tanto in tanto. Sempre razionalmente parlando, non era così necessaria la nostra protezione verso i nostri rispettivi imprinting: vampiri e licantropi erano andati oltre le loro stesse nature, opposte e antagoniste tra loro, e avevano imparato a volersi bene, rispettarsi e addirittura frequentarsi. Le ostilità tra le due parti si appianano non solo a causa della legge della tribù, secondo cui l'oggetto dell'imprinting di un lupo del branco è intoccabile, ma anche perché, come dice Bells, è impossibile non affezionarsi a Resmie. E poi il branco era diventato l’unico contatto col mondo per lei, costretta a nascondersi alla società a causa della sua crescita anomala. Aspettando di non cambiare più, loro erano diventati i suoi unici amici, e loro col tempo avevano cominciato a considerarla parte della tribù Quileute e, se mai si fosse trovata in pericolo, tutto il branco avrebbe agito per difenderla. Ciliegina sulla torta, viveva in una famiglia formata da ben otto vampiri immortali. Era in una botte di ferro, ricoperta di acciaio inossidabile, ricoperta di cemento armato. Ben presto mi fu chiaro che restare non era più un compito, una necessità. Era un capriccio, e dovevo vincerlo per suo bene, o forse, egoisticamente, per il mio. Perché speravo con tutto il cuore, ogni volta per tornavo a casa, di leggere in lei un segnale, un piccolo indizio che mi suggerisse che anche lei cominciava, finalmente, a guardarmi con occhi diversi. E ci speravo anche questa volta, come una sdolcinata ragazzina, che questo Natale mi regalasse finalmente il segnale che attendevo da anni.

 

   
 
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