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Autore: AlessiaDettaAlex    21/11/2020    2 recensioni
[LLS!! Post-canon | KanaMari | presenza di OCs | è la storia di due amiche che si ritrovano dopo essersi perse di vista (di nuovo) | ed era una scusa per scrivere una fanfiction in cui Kanan e Mari flirtano incessantemente, ma a Los Angeles | uso intensivo di cliché e fluff, una spolverata di melodramma | 10 capitoli totali]
City of stars / Are you shining just for me? / City of stars / Never shined so brightly.
[“City of stars”, from La La Land]
«Fino a quando resti qui?» […]
«Settembre, probabilmente. Non sarà una toccata e fuga»
Un sorriso nuovo fiorì sul volto di Kanan, non previsto.
«Quindi rimani»
«Rimango»

[dal cap. 2]
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Kanan Matsuura, Mari Ohara, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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8. Passo a due
 
When every star falls from the sky
And every last heart in the world breaks
[...]
When every ship is going down
I don’t fear nothing when I hear you say:
It’s gonna be OK
 
“Ok”, Robin Schulz feat. James Blunt
 
Kanan non riusciva a realizzare di essere sul serio di fronte al plurimilionario Akihito Ohara con l’aria di una che ha delle richieste precise e vuole vederle soddisfatte. Aveva fatto peste e corna per riuscire a convincere prima la receptionist e poi la sua segretaria personale ad avere un colloquio improvvisato e fuori programma, millantando urgenze di ogni ordine e grado - dopotutto era una questione da affrontare «ora o mai più». Sua madre l’aveva incontrata molte volte in passato e l’antipatia era palese e reciproca; ma lui era tutta un’altra storia: emanava sicurezza e austerità, si intuiva fosse una persona costruitasi da sé, abituata a giocare secondo le sue proprie regole. Incrociando lo sguardo accusatorio dell’uomo in piedi, appoggiato alla sua scrivania a braccia conserte, e sua moglie lì accanto, seduta su una poltrona di velluto rosso, per un istante si pentì amaramente di tutte le scelte che aveva compiuto dai sette anni in poi, in cui c’entrasse Mari. Riusciva a capire ora molto bene di fronte a che tipo di pressione lei aveva lottato coraggiosamente tutti i giorni della sua vita, per affermare se stessa nelle sue scelte. Ma il suo spaesamento durò poco: Mari li affrontava a testa alta da più di vent’anni, Kanan sarebbe riuscita a farlo almeno per una mezz’ora, per il suo bene.
«Hai un bel coraggio, Matsuura, per venire qui a parlarmi in questo modo»
Lei in realtà era abbastanza sicura di aver dato fondo alle sue massime riserve di umiltà e diplomazia nel rapportarsi a loro, per cui non capiva troppo bene da dove provenisse la stizza. Si era addirittura vestita di tutto punto con una polo ben stirata e pantaloni cargo lunghi fino alle caviglie - non il massimo dell’eleganza, ma per non ammucchiare troppi vestiti nell’appartamento si era adattata negli anni a un guardaroba ristretto.
«Ecco… ve lo ripeto, sono qui solo perché vorrei che lei potesse essere lasciata libera. Intendo… libera davvero. Vorrei che fosse libera di decidere autonomamente se io sia o non sia d’intralcio per il suo lavoro. Io, da parte mia, sono pronta a impegnarmi perché lei dia sempre il meglio, come già fa. Non voglio altro che il suo bene, dovete credermi»
Il discorso suonava un po’ formale, ma era così che se l’era progettato e ripetuto più volte nella sua testa, per evitare di rimanere in balia della propria altalenante capacità di comunicazione.
Fuori dalla stanza, appoggiata al muro accanto alla porta, l’argomento della loro disputa li ascoltava a loro insaputa. Mari l’aveva scorta entrare nell’ufficio di suo padre qualche minuto prima, ed era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata: non riusciva a credere che fosse stata serissima quando le aveva proposto di affrontare insieme suo padre. Per la precisione, «pazza» e «testarda» erano i primi due appellativi che aveva usato nel suo filo di pensieri. Il secondo dopo, però, si era trovata suo malgrado attaccata alla porta dell’ufficio a origliare, con un’attesa allo stesso tempo vibrante e angosciosa.
«Tu non hai la più pallida idea di quale sia il suo bene!» intervenne sua madre.
«È vero, per questo voglio che lei stessa sia libera di decidere qual è!» arrivò la risposta ribattuta di Kanan.
«Comprendo la tua preoccupazione, ma Mari ha ancora bisogno di essere guidata», la figlia rabbrividì a sentire la dura sentenza del padre, «e non permetto a una ragazzina di sindacare sulla giustezza delle decisioni che prendo in quanto genitore»
«Per di più, la predica arriva dalla stessa ragazzina che la faceva sempre fuggire di casa a orari improponibili!» aggiunse la moglie, «ti conosciamo da quando eri bambina, sarete state buone amiche ma non sei nella posizione per chiederci favori»
Il silenzio che seguì le fece temere il peggio; Kanan non rispondeva, poteva benissimo immaginare che fosse in atto una strenua battaglia di sguardi. Poi, finalmente, un paio di passi decisi.
«Smettetela di chiamarmi “ragazzina”. Io non sono più solo una sua amica: sono la sua ragazza, a prescindere che voi lo accettiate o meno»
Il tono era cambiato, come se avesse smesso di seguire l’evidente scaletta mentale e fosse passata alle repliche a braccio. Mari ringraziò tutti gli dèi di non essere in quella stanza, cosicché non potevano vedere l’incendio che le ardeva in faccia.
«Voi lo sapete meglio di chiunque altro quanto le abbia fatto bene stare con noi, vivere le sue esperienze alla Uranohoshi… ve lo abbiamo dimostrato! E ci avevate promesso che l’avreste lasciata essere se stessa! Lasciate che decida per sé! Lasciate che sbagli, se deve! Non è di certo un fallimento che la farà arrendere, io lo so bene… ha studiato duramente per dare il meglio: è con voi da sempre, si prepara da anni, pensavo la consideraste molto migliore di così!»
Il tono quasi di supplica, ma una supplica carica di determinazione, lasciò poi il passo a un cambio repentino d’argomento che le infiammava le parole fin quasi a bruciare: ed era un fuoco che Mari non si aspettava provenire da Kanan.
«Io mi fido del suo giudizio e ve lo ripeto: sono la sua ragazza. Questa cosa non cambierà finché so che anche lei lo vuole. Io amo Mari, e resterà un dato di fatto anche se la costringete a scegliere tra me e il suo lavoro… mi sono ripromessa di prendermi cura di lei. Per questo sono venuta da voi: non ho intenzione di lasciarla sola mai più»
Dietro la porta, Mari si accorse di star piangendo solo quando due gocce le bagnarono gli shorts, troppo occupata a far tacere il suo cuore che bussava irrequieto, per timore che le persone dentro l’ufficio potessero riuscire a sentirlo; accovacciata a terra, con la schiena sempre saldamente appoggiata al muro, lasciava che le lacrime le scorressero liberamente sulla pelle. Respirava la stessa tensione che si registrava nella stanza alle sue spalle; il discorso di Kanan le aveva instillato il tarlo di voler intervenire, di raccogliere finalmente il coraggio che le mancava per mettersi al suo fianco e guardare nuovamente suo padre in faccia, non più sola.
«Tu e lei vivete nel mondo delle favole»
L’imprenditore aveva preso il posto del genitore, e aveva ristabilito il silenzio. D’improvviso era sparita la Kanan decisa, quella con la risposta pronta – preparata o meno. Mari sprofondò ancora più in se stessa, ferita: stupida Kanan che aveva creduto di poter fare la differenza, e stupida lei che ci aveva sperato, nascosta dietro una porta al riparo dalla tempesta.
«Quando crescerete capirete come gira veramente il mondo»
Alcuni passi lenti, che Mari riconobbe come quelli di suo padre, riecheggiarono fin nel corridoio vuoto.
«E con questo, direi che il nostro meeting si conclude qui»
Eppure sembrava così vicina a farcela. Mari abbassò lo sguardo sulle sue mani, nervosamente attorcigliate tra di loro: la mente le si svuotò. Si rialzò con lentezza, graffiando leggermente le spalle nude sullo stipite di legno; se agivano da sole era impossibile, aveva ragione Kanan. Ma insieme sarebbe realmente cambiato qualcosa? Non ne era convinta, ma non poteva saperlo finché non si decideva a tentare. Avvicinò la mano alla maniglia, e nello stesso secondo si sentì assalire da mille obiezioni, dubbi, paure per le conseguenze; stavolta, tuttavia, scelse di lasciar cadere tutto nel vuoto.
Padre, madre e compagna la guardarono, con diversi gradi di sorpresa nell’espressione del volto; Mari ricambiò lo sguardo di tutti, poi si fermò su Kanan: voleva trasmetterle a un tempo il rammarico di non essersi unita a lei e la gratitudine per non aver ceduto di un passo, pur da sola. Eppure, negli occhi luminosi di Kanan, non riuscì a trovare alcuna traccia del rimprovero che credeva di meritare.
«Tu sei veramente un vecchio testardo» finì per dirle con un timido sorriso.
L’altra arrossì in risposta, del tutto impreparata alla nuova situazione. Mari le si fece accanto e stette a testa alta davanti ai suoi genitori, come oramai faceva inconsciamente tutte le volte che li fronteggiava. D’altra parte erano stati proprio loro a insegnarglielo: a tenere sempre il mento sollevato con fierezza, anche nelle situazioni più disperate; era il sigillo d’orgoglio di essere un’Ohara.
«Se è una favola, papà, io non lo so… ma so che lei è qui per me, perciò anche io voglio esserci per lei. Io ho imparato da voi cosa significa il duro impegno, la responsabilità e la passione per il lavoro: e quando lo dimentico, Kanan è la persona che mi spinge a dare di nuovo il massimo. Per questo non posso più scegliere tra le opzioni che mi hai dato: ho bisogno di entrambe per essere me stessa»
La stanza ricadde nuovamente nel silenzio. Mari fece un inchino e fu subito imitata da Kanan; da quella posizione poté immaginare gli sguardi perplessi e sconcertati dei suoi genitori, o forse le occhiate complici che si scambiavano per decidere sul da farsi. Non che ci fosse molto da decidere, pensava Mari: era ancora convinta che non sarebbe mai bastato a persuaderli, ma almeno adesso sapeva che non avrebbe mai più dovuto affrontarli da sola. Quel silenzio, a dire il vero, la rincuorava: poteva essere segno che un seme era stato piantato, anche se non sapeva quanto tempo ci sarebbe voluto perché nascesse il primo frutto. Sentì sua madre alzarsi dalla sedia e il ticchettio dei suoi sandali dirigersi lento verso il centro della stanza, probabilmente accanto al marito. Quando il movimento cessò, le due ragazze si decisero a sollevare di nuovo la testa.
«Non ti arrendi proprio mai, Mari» disse alla fine l’uomo.
Aveva pronunciato il nome della figlia con una vena di tenerezza e orgoglio che a lei sembrò di risentire solo in quel momento per la prima volta dopo tempo. Non sorrideva, ma nei suoi occhi si intravedeva con chiarezza una luce nuova.
«Matsuura» la ragazza s’irrigidì, sentendo salire alle guance un lieve imbarazzo per le cose pronunciate davanti a lui, «come ho detto, il coraggio non ti manca. Ormai ti sarà chiaro che io non sono un sentimentale, ma capisco che tieni a lei davvero. Puoi star tranquilla: Mari riavrà il suo posto; voglio darvi la possibilità che chiedete. Se la vostra relazione creerà intralci sul suo lavoro o attirerà curiosità inappropriate, però, sarò costretto ad allontanarti; e se lo ritiene necessario, Mari è libera di andarsene con te, secondo le condizioni decise in precedenza»
La figlia pareva riaver acquistato il suo colore, perso da giorni: si scambiò con Kanan un’occhiata carica di meraviglia e sul volto di entrambe si allargò un sorriso allegro; non era una soluzione definitiva, ma il seme era stato piantato per davvero; e chissà che le cose, col tempo, sarebbero potute realmente migliorare.
«Abbiamo ventun anni, papà… non trattarci come bambine»
L’uomo rise tra sé, poi fece loro il gesto di andarsene. Mari lanciò uno sguardo grato anche a sua madre: l’inaspettato sorriso che la donna portava in viso la destabilizzò un attimo; le sorrideva con serenità, senza quel caratteristico cipiglio che le raggrinziva il volto la maggior parte del tempo. Anche lei, in qualche modo misterioso, pareva fiera: e questo la commosse quasi più del cedimento di suo padre.
Una volta chiuse le porte dell’ufficio, Kanan e Mari raggiunsero in fretta la hall principale dell’albergo: Mari non aspettò neanche il tempo di finire le scale per lanciarsi su di lei in un abbraccio strettissimo, col risultato che Kanan dovette faticare non poco per mantenere l’equilibrio e non ruzzolare con lei giù dagli ultimi gradini.
«Kanan, sei stata fantastica!»
«Io te l’ho detto che avrei lottato!»
«Ti chiedo scusa per non essermi subito confrontata con te…»
Ma Kanan scosse la testa e le baciò una guancia.
«Siamo insieme, d’ora in poi. Non devi affrontare da sola più niente, d’accordo?»
«D’accordo!» incrociò i polsi dietro al suo collo, il cuore le scoppiava di felicità, «Mi sorprendi ogni giorno di più»
Con un movimento scattante Kanan la sollevò da terra e le fece fare una giravolta, come se non sentisse alcun peso: Mari rideva e quando toccò di nuovo il pavimento, ancora tra le sue braccia, si gettò su di lei per un bacio appassionato, atteso come una pioggia torrenziale dopo la siccità. Kanan le scostò dietro l’orecchio una ciocca di capelli, sfatti dalla concitazione del momento; quindi le raccolse il volto tra le mani e poggiò la fronte sulla sua, ridendo lei pure.
«Considera però che per riuscire a fare quel discorso ai tuoi mi sono dovuta prendere una birra prima… dovevo mascherare quel momento di lucidità in cui mi ero resa conto che fosse una follia»
«Kanan, non rovinare l’atmosfera… in questo momento dovresti dirmi solo cose romantiche»
«Ah, va bene. Non ho preso nessuna birra, ho lasciato che parlasse il cuore al posto mio. È abbastanza romantico?»
Mari rise ancora, beata.
«Non vedo l’impegno. Sa di già sentito»
Kanan ci pensò su un attimo, storcendo l’angolo delle labbra e fissando un punto al di sopra dei capelli biondi di Mari. Quando si ritenne soddisfatta dell’idea, sfoggiò il suo sorriso più affascinante.
«È la tua risata che mi dà la forza di spostare anche le montagne per te»
Stavolta l’altra arrossì, esattamente come aveva previsto; quindi le accarezzò una guancia e ne approfittò per rincarare la dose.
«Il mio cuore ti appartiene da sempre… e questo è un diritto che non ti verrà mai tolto»
«Dai, smettila! Non puoi dire queste cose con quella faccia seria» rise ancora Mari, e nascose il viso ormai infuocato nell’incavo della spalla di Kanan.
«Ma sei tu che mi hai detto di dirti solo cose romantiche. Obbedisco, principessa!»
La «principessa» per tutta risposta, visto e considerato come la situazione le si era ritorta contro, decise che era meglio concludere con un altro bacio; e certamente Kanan non se ne poteva lamentare.
 
Los Angeles aveva di nuovo i suoi colori. Kanan riusciva a vederli tutti: verdi, azzurri, viola, rossi, la vallata risplendeva della luce del tramonto, che si insinuava tra le montagne ammantate d’estate. Le sembrava che le vie profumassero, addirittura, d’oceano e di fiori; e una musica ammaliante riempisse l’aria. La città degli angeli fremeva intorno a loro, quasi dentro di loro. Cenarono insieme in un locale che avevano trovato quasi per sbaglio, nascosto, decorato a mattoncini e luci al neon variopinte; un pianista jazz animava la serata con la sua musica; e scherzavano tra loro come una coppia di lunga data. Kanan riposava il cuore nella sua risata: la guardava mangiare, scostarsi i capelli, giocare col bicchiere semivuoto; si scoprì a desiderare di averla accanto per tutta la sera, di poterla baciare, stringere e amare fino al mattino successivo; e di potersi svegliare con lei ancora addormentata tra le sue braccia. Il pensiero le bruciò le guance e si trovò a riflettere, non senza un certo turbamento, sulla possibilità di proporle di stare insieme anche nel dopocena.
Mari, a fine serata, era raggiante. Kanan non riusciva a smettere di guardarla, non ancora, nonostante l’orario tardo e il lavoro l’indomani; per questo poco prima di separarsi, prendendo un ampio respiro, decise di rischiare.
«Ascolta... ti va di venire da me? Stiamo ancora un po’ insieme, ci guardiamo un film o quel che vuoi… sempre se non preferisci tornare in hotel subito, insomma… dopo tutto quel che è successo oggi capisco che sarai stanca»
«Vengo volentieri»
Il volto di Kanan si accese: Mari le aveva dedicato un sorriso divertito che l'aveva sciolta da ulteriori preoccupazioni; per un istante, comunque, ebbe il dubbio che avesse previsto tutto alla perfezione.
Arrivate in appartamento, Kanan tirò fuori un paio di dvd dal mobiletto sotto la vecchia televisione.
«Horror o azione?»
Mari fece il giro del divano e la raggiunse.
«Azione. Adorerei vederti aggrappata a me durante un horror, ma per tua fortuna stasera voglio rilassarmi… come mai hai un horror, proprio tu?»
Kanan alzò le spalle noncurante.
«Con gli horror si rimorchia meglio, nel caso avessi portato qualcuna a casa»
«Kanan!»
«Sto scherzando, me l’ha regalato Nicole per un compleanno, voleva vedermi urlare tutto il fiato che avevo in gola»
«E ci è riuscita?»
«Naturalmente. Pessimo compleanno»
«È proprio la sorella che non ho mai avuto»
L’altra fece roteare gli occhi, deformando insieme il viso in una smorfia. Lasciò cadere l’horror incriminato nel caos del mobiletto e si tenne l’altro. In meno di due minuti - e tre pugni al vecchissimo lettore dvd della televisione per farlo partire - fu sul divano accanto a Mari, che intanto aveva preso un pacchetto di patatine aperte dalla dispensa e si era comodamente posizionata. Spalla contro spalla, seguivano il film sgranocchiando gli snacks e scambiandosi battute di commento; verso la fine Mari si sistemò sulla spalla di Kanan, che di conseguenza smise completamente di ascoltare: l’agitazione era tornata a morderle lo stomaco, più pressante che mai.
«Non era granché»
La voce di Mari la fece sobbalzare, non si era neanche accorta che erano arrivate ai titoli di coda; non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato da quando aveva lei sulla sua spalla.
«No, non lo era» si trovò a rispondere meccanicamente, «ma la compagnia era la migliore» aggiunse voltandosi, ritrovato un pizzico di fiducia in sé.
Mari allora alzò la testa e incontrò le sue labbra senza rispondere. Kanan colse la palla al balzo e la spinse con delicatezza indietro, tra i due cuscini sgualciti del divano, continuando a baciarla; le braccia di Mari circondarono la sua schiena e lei si ritrovò addosso lo stesso fuoco, lo stesso desiderio di qualche ora prima nel locale: e i sospiri di Mari mentre le baciava la base del mento la convinsero che fosse mutuale. Si sentì comunque in dovere di esplicitare le sue intenzioni, nel remoto dubbio che stesse fraintendendo.
«Ma questo, per te… va bene?»
Nonostante lo sforzo di comunicazione – ne aveva già fatti troppi in quella giornata – le dispiacque di non riuscire ad essere più esplicita di così. Per tutta risposta Mari, come lei molto più avvezza a utilizzare i fatti che le parole, si slacciò un paio di bottoni della blusa, guardandola con un sorrisetto furbo e mieloso al contempo. «Classica ordinaria amministrazione», realizzò Kanan alzando un sopracciglio. Decise quindi che se doveva prendere l’iniziativa, tanto valeva farlo per bene: scese dal divano, fece scrocchiare qualche muscolo e, con un unico movimento, la sollevò di peso tra le sue braccia; Mari si lasciò sfuggire un verso di sorpresa e si aggrappò alle sue spalle; i loro sguardi si cercavano mentre Kanan la portava in camera, per adagiarla finalmente sul suo letto.
«Sei un’esibizionista»
«Come se ti dispiacesse»
«Non ho detto questo, infatti»
Kanan gattonò sopra di lei, per tornare nella posizione con cui avevano cominciato; Mari la lasciò fare, sfoggiando lo sguardo più seducente che aveva in repertorio; e non appena Kanan si abbassò per baciarle la fronte, lei ne approfittò per prenderle il colletto della polo e strattonarla contro le sue labbra, senza ulteriori preamboli. Kanan comprese che faceva sul serio quando sentì le gambe di Mari incrociarsi dietro la sua schiena, per imprigionarla; non che avesse voglia di scappare, bensì tutto il contrario: non ne aveva mai abbastanza, di lei. Fece scivolare la mano sotto la sua blusa ormai sbottonata, e già Mari fremeva: le sue dita si infilarono tra il materasso e la schiena, risalendo lentamente fino a trafficare con l’aggancio del reggiseno; per slacciarlo ci volle qualche secondo più del previsto, e dopotutto era il fascino dell’improvvisazione: Mari faticò a contenere una risata che mischiava il leggero solletico alla beffa giocosa. Una volta riuscita nel suo tentativo, comunque, Kanan si prese una pausa per accostarsi all’orecchio della sua partner.
«Ti amo» le sussurrò, e Mari arrossì senza vergogna.
Kanan stessa si sorprese della propria disinvoltura, tanto che si sentì di dover aggiungere «camera da letto» all’elenco delle cose e delle circostanze che le permettevano una discreta onestà. Accanto alla voce «alcol».
Trascorsero insieme le ore successive, quella intera notte, intrecciate in una danza di cui quel giorno avevano eseguito soltanto i primi passi.





 
Note finali
Ah, yes, the cerimonial fuck chapter (cit.)
Comunque "tu e lei vivete nel mondo delle favole" è ciò che ho detto alla Me Romantica e alla Me Melodrammatica dopo aver finito di scrivere questo arco angst, sotto il loro funesto influsso

Prossimo aggiornamento: 1 dicembre

Grazie di aver letto,
Alex
   
 
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