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Autore: Fenici_Bianche    21/11/2020    1 recensioni
Esistono dei miti che provengono da oriente rispetto al Paese del Vento: parlano di un vento di terra e foglie marce che porta con sé qualcosa che aspetta e tortura pazientemente, fino a quando la preda non cade in trappola.
Gaara della Sabbia non ne è a conoscenza, o forse non ci ha mai dato peso. Per questo, si trova a dover fare i conti con ciò che si nasconde nell'ombra.
Ma è difficile sopravvivere quando è il tuo stesso animo a tradirti. Il Villaggio della Sabbia, la sua gente, rischia molto ed ha poco tempo, prima che la tempesta di sabbia s'abbatta su di essa.
Che l'arrivo del Sesto Hokage del Villaggio della Foglia e del suo seguito sia una fortuna, solo il tempo saprà dirlo: Ino Yamanaka sarà in grado di liberare il Kazekage dal suo fato, o forse morirà tentando.
D'altronde, il bene comune è sempre stato più importante dei singoli ninja.
[Post Quarta Guerra Mondiale dei Ninja, GaaraIno, qualche accenno a ShikaTema. Accenno a una one sided KankuSaku. Storia a cadenza mensile]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ino Yamanaka, Kakashi Hatake, Kankuro, Sabaku no Gaara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Naruto Shippuuden, Più contesti
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Ciò che si nasconde nell’ombra

Capitolo I: Incubi al chiarore di luna

 

Il deserto del vastissimo Paese del Vento poteva apparire lo stesso di ogni altra sera. Il blu della notte rivestiva le dune del contrasto argenteo con la luna piena. Benché fosse autunno, nel resto del mondo, soltanto le gocce di rugiada fra gli aghi dei cactus vischio bagnavano l’atmosfera. Ma su quell’arida nazione aleggiava uno spettro che non si era mai sopito.

Era un alito di vento fresco, quasi freddo, con un vago odore di terra umida e di foglie secche che marcivano nel fango. Arrivava da oriente, dai boschi caducifogli del Paese del Fuoco, da un tempo antico quanto i miti. Smuoveva l’atmosfera solitamente immobile ed era così inusuale da inabissare nelle tane, celate sotto un oceano di sabbia, prede e predatori. Erano abituati ai rigidi dettami di un habitat inospitale, ma non potevano nulla contro il potere dell’ignoto.

Sembrava tutto tranquillo, ma non lo era.

 

Gaara della Sabbia avvertiva quella stessa, irrazionale, sensazione. Attraversava la nazione che aveva giurato di proteggere il giorno in cui era diventato Kazekage del Villaggio della Sabbia. Tuttavia, somigliava enormemente a quel bambino che aveva giurato di distruggere il mondo agli inizi della sua vita da ninja.

Era ritto, immobile. Sul viso di cera si delineavano la pennellata sottile della bocca e il contorno delle occhiaie nerissime, le quali sagomavano lo sguardo azzurro, spalancato, privo di sfumature. Come la statua di un autorevole leader, quale lui era, Gaara era muto, era cieco ed era sordo tranne che per i suoi pensieri. Rimestavano sotto la chioma scarmigliata, simile a fiamma viva.

Uguale calore avevano le impressioni, gli incubi, che scivolavano ai lati del suo sguardo. Si contorcevano insieme alle lingue asciutte di sabbia da cui era attorniato e sopra cui viaggiava, slittando su un tappetto di sabbia che levitava a qualche metro di distanza dal terreno. L’aura azzurra di chakra, da cui il suo fisico esile era avvolto, luccicava, aderiva sopra quel materiale così abbondante nel deserto e lo plasmava secondo i suoi comandi, i quali venivano impartiti dal pensiero senza che la lingua dovesse pronunciare una parola.

 

Gaara era fatto così: conservava tutto dentro di sé e quel che fuoriusciva dalle maglie strettissime della concentrazione, lo tormentava con dubbi da cui era impossibile fuggire. I suoi fratelli, persino i suoi uomini, l’avrebbero intuito in un attimo osservando quell’incedere ondivago, la confusione mediante cui muoveva di scatto la sabbia sotto ai piedi cambiando traiettoria, pur non palesando nemmeno un sintomo d’incertezza.

Per contrasto, i pensieri del ninja più forte di tutta la nazione si spostavano di poco. Ritornavano al principio di quella notte uguale a tutte le altre. Alla luna piena che aveva ammirato fin dalla sua innocente, scellerata, infanzia. Al freddo ferro della ringhiera del balcone sotto le dita affusolate. A quella vaga eccitazione per la mattina successiva, dove avrebbe accolto il nuovo Hokage del Villaggio della Foglia e il suo seguito. Alla paura che le congratulazioni per la nomina sbandassero fuori dalle labbra senza controllo, tradendo la vergognosa presenza di un’emozione.

 

Gaara era fatto così: custodiva gelosamente quel suo piccolo mondo interiore. La sua gente del Villaggio della Sabbia, la sua nazione, la sua splendida luna piena, lo sapevano. Lo percepivano senza che lui dovesse pronunciarlo.

Per questo, solo per questo, la luna l’aveva informato. Comunicava con il Kazekage in una lingua di cui lui era l’unico conoscitore. Poteva avvisarlo mediante un banale fascio di luce verso le ombre della sera. Quell’uomo ancora dall’aspetto di un adolescente aveva colto il messaggio: aveva seguito i raggi argentei notando un arabesco di ombre strane. Erano formate da conformazioni rocciose, case e altri oggetti di cui non si era accorto per anni. All’inizio, Gaara della Sabbia aveva quasi creduto che quel corpo celeste volesse rallegrarlo prima che la paura l’appesantisse.

Poi aveva visto quel profilo. Piedi, gambe, busto, braccia e mani nell’oscurità. E un viso in penombra, dal sorriso di un mostro.

 

Le viscere gli erano piombate addosso come se non gli fossero mai appartenute. Avvinghiate in un’improvvisa morsa di terrore, di turbamento, di sorpresa senza gioia, gli avevano frenato il respiro. Era rimasto così, irrigidito, per un tempo incalcolabile. Qualche goccia di sudore era scivolata giù dalla fronte e lui si era accorto di non aver sbattuto le palpebre da quando aveva iniziato a fissare quella forma. Con una fatica immane, degna dell’utilizzo di una tecnica estremamente potente, Gaara aveva serrato lo sguardo. Aveva respirato. La nausea l’aveva carpito. Un singhiozzo aveva scosso il nodo alla gola. Poi, con una calma prudente, aveva sbirciato le ombre dalle ciglia socchiuse.

 

Lui non c’era più. Come lo sapesse, come fosse stato in grado di capirlo, non ne aveva idea. Aveva fissato il villaggio attorno a sé e tutto gli era sembrato, di nuovo, normale: gli edifici sfiorati dalla carezza della luna, le imponenti mura naturali, circondanti il perimetro del villaggio, nel buio. I ninja di pattuglia sopra i tetti, uomini capaci di tramutarsi in ombre artificiali che si dileguavano nella luce naturale.

La luna non aveva più illuminato nulla del genere. Le ammonizioni erano sparite nei suoi contorni da palla di cristallo. Pareva quasi che il disagio del Kazekage fosse derivato da un innocuo scherzo dei sensi, dell’agitazione che albergava in lui. Tuttavia, Gaara non era uomo da ammettere le fragilità dell’animo umano.

Era partito, occultando la sua presenza ai ninja di guardia, eludendo persino il giro di pattuglia dei fratelli. Li amava con tutto il suo cuore, eppure non osava rivelargli nulla.

Era, semplicemente, fatto così.

 

Là, in solitudine, immerso in quello smisurato mare di sabbia, Gaara assaporava quello strano odore di foresta putrescente e si domandava da dove arrivasse. Più lo inseguiva, più gli sfuggiva trasformandosi in un sentore che sfiorava appena le narici. Credette, davvero, che i suoi sensi stessero affrontando un improvviso stress fuori dalla sua comprensione. Ne ebbe paura: il cuore rintoccò veloce nel petto e, per un istante, dubitò di sé stesso e dell’immagine che aveva mantenuto così a lungo della sua persona. Stava per arrendersi alla propria debolezza.

Poi quel mondo che conosceva sin da bambino, sommerso dall’unico elemento che lo avesse mai accolto sin dalla nascita, comprese il delirio delle sue preoccupazioni. Come un genitore che avrebbe fatto di tutto per il suo unico figlio, il deserto ebbe compassione di lui.

Così si sollevò, mostrando ciò che si nascondeva nell’ombra, in agguato.

 

In principio, fu un dardo di sabbia. Emerse dalla linea piatta del deserto, senza che nessun evento atmosferico l’avesse scatenato. Gaara non se ne accorse. Intuì che stava viaggiando per perforargli il cranio solo in quel lasso di tempo dove chiunque sarebbe morto senza via di scampo.

Filtrata dall’adrenalina inibitrice, il Kazekage scorse quella pallottola dalla traiettoria netta e precisa: era levigata in superficie, schizzava priva di incertezze. L’accompagnava un fruscio asciutto e quell’odore penetrante di cui Gaara aveva un vago ricordo, per via di un viaggio diplomatico nel Paese del Fuoco di pochi mesi prima. Stava raggiungendo la punta del suo naso. Allora Gaara sorrise. Uno degli angoli si sollevò in una smorfia un poco crudele.

 

«Patetico» un lampo del passato attraversò quel sussurro inudibile, ma il ninja seppe con certezza che anche quel suo misterioso, inetto, assalitore l’aveva udito. La sabbia di Gaara s’issò fra lui e il dardo. Fu il colpo a morire al posto suo. Il Kazekage sentì il rumore del pulviscolo che evaporava, sfracellato contro una barriera più consistente di esso. Le ciglia gli fremettero: qualche granello si era insinuato ai lati del suo sguardo, ma non se ne curò.

Il deserto fece capolino da dietro la tenda di sabbia da cui era stato protetto. Si aprì mostrandogli una nuova calma assordante. Era sempre placida, era sempre vuota, tuttavia il ninja percepì chiaramente l’umiliazione.

«Io che sono vivo grazie alla sabbia… Ti aspettavi forse qualcosa di diverso?»

Parlava senza umore o espressione Gaara, ma il suo sorriso era largo sulle labbra sottili. Per la prima volta, mosse un passo in avanti sul suo tappeto di sabbia.

«Sei piuttosto impreparato, o forse sei solo uno sciocco ragazzino… Chi altri avrebbe sfidato Gaara del Deserto?» la voce calò, ghiaccio sopra l’arido paese di cui era il vero signore. Era insolente, era indifferente.

Era oltraggiosa per chiunque si stesse prendendo gioco di lui a quel modo.

 

«Hai risvegliato qualcosa che non puoi controllare, moccioso. Preparati a morire» ancora una volta, Gaara percepì quell’istinto primordiale, di cui tutti i ninja leggendari erano dotati, sfarfallargli nello stomaco. Erano impulsi totalmente privi di logica, da cui traeva la consapevolezza di aver indovinato qualcosa al di là della sua comprensione.

Quella sensazione gli causò un altro moto di nausea, nonostante la sicurezza di facciata e quel sorriso di cui si era rivestito dopo tanto, troppo, tempo. Non sembrava nemmeno che il suo sussurro fosse rivolto al nemico nell’ombra, tanto era sfuggito al suo controllo naturalmente: un fiume che scorreva verso il mare ignorando gli ostacoli sul tracciato. Euforia e timore si mescolarono in gola.

Poi sentì la sabbia tremare sotto ai suoi piedi e il fremito nelle viscere si trasformò in una tenaglia. Gaara soffocò un singhiozzo di nausea, gli occhi spalancati su un panorama che sobbalzava con lui.

Cosa diavolo…

 

Si rese conto di tutto in un lampo: di quel puzzo che gli inacidiva le narici, dei brividi da cui era scosso il suo cuore e le sue budella. Della sabbia che gli stava invadendo bocca e occhi, trasformandolo in un cieco a cui mancavano gli altri sensi, se non quello del dolore.

Un vento strano, con quell’odore nauseabondo, sfuocava il cielo con la sabbia mutandolo in acquitrino, da mare cristallino qual era. Gaara s’inginocchiò sul suo tappeto di sabbia e lo sentì molle attorno alle gambe, perché si stava trasformando in un bozzolo protettivo che non voleva, ma che derivava da quella sua sensazione di panico. La sabbia sapeva soltanto difenderlo, d’altronde.

E divorarmi…

Gaara non riuscì più a trattenere il vomito. Mentre assisteva a quel corpo che buttava fuori tutta l’ansia e la fatica che non sapeva di aver conservato fino a quel momento, udì il boato con cui il deserto stava sfogando la propria frustrazione: una tempesta di sabbia!

«Cosa… ho… liberato?»

 

Il Kazekage percepì, per la prima volta, una sensazione bagnata sulle guance, ma fu per qualche breve istante: furono prosciugate proprio come i resti del suo stomaco. Sentiva ben poche cose, a parte la sabbia che lo stava, lentamente, sommergendo: l’assordante impazzimento del cuore, l’acido in bocca, l’assenza d’aria nei polmoni. Eppure, avvertiva uno strano piacere nella carezza familiare del suo elemento, anche se lo disgustava più d’ogni altra cosa.

Io voglio… voglio andarmene!

Con furia tentò di governare l’unica cosa che l’avesse sempre ascoltato, ma essa continuò nella sua opera: turbinava nel vento e lo inabissava, sotto un oceano di sabbia. Allora capì. Comprese.

 

La scarica elettrica dell’adrenalina lo scosse molto prima che udisse quella voce.

«Non hai liberato nulla, Kazekage… Sei solo tornato alla tua natura, di chi sa uccidere e lo fa per vivere… Cosa ci sarebbe di più importante?»

«No, tu sei… sei un’illusione… Qualcuno che vuole ferirmi!» Gaara aveva perso la propria apparenza, scioltasi alla fiamma di una candela: quel viso di cera gocciolava di sudore e lacrime testarde, che non si erano fatte opprimere dalla stretta della sabbia. Ma non riusciva a rialzarsi in piedi: fissava la sabbia con cui venivano trascinati i suoi polsi più a fondo, le dita che sfioravano l’ombra di quel misterioso, diabolico, avversario.

Per chi sono i miei pensieri?

Solo poche riflessioni baluginavano nel pensiero avvinto dai sensi. Gli pareva di scorgere braccia di donna nelle lingue sabbiose da cui era avvolto. Il contorno delicato di un abbraccio di cui non poteva avere memoria.

«Perché… perché mi fai questo?» Masticò impastato di sabbia, dolore e serenità stomachevole: la mancanza d’aria stava togliendo il suo spirito dal corpo. Era sprofondato a terra, in quella culla arida di cui conosceva la conformazione, ma da cui non poteva trarre alcun calore.

Fu con enorme fatica che scorse i contorni di due gambe che si chinavano vicino a lui. Ma quel sorriso di mostro, no, non l’avrebbe mai dimenticato. Gli parlava e lo metteva di fronte alla realtà, a ciò che si era nascosto nell’ombra e non l’aveva mai abbandonato. Deglutì il boccone graffiante della sabbia e della saliva e quasi soffocò, disgustato e intorpidito.

Lui semplicemente parlò.

 

«Perché mi odi come il giorno in cui mi hai visto allo specchio, ma io non so che farmene di un sentimento tanto inutile: per me c’è solo amore… L’amore infinito che provo per te.»

Il Kazekage della Sabbia trasalì prima di svenire. L’ultima emozione fu quella di un criminale che aveva condannato anche le persone a lui care con le sue azioni.

Gaara della Sabbia, il bambino che era sopravvissuto per morire per mano della sua maschera d’adulto, sorrise senza gioia: non l’aveva mai incontrata nel corso della sua breve esistenza.

«Bene… Ora che ho fatto tutto quanto in mio potere… Che il mondo conosca il male che mi ha fatto.»

Quel deserto che l’aveva tanto servito e, forse, amato, si svelò a quel bambino, rinchiudendo il Kazekage in una prigione di vento e sabbia. Così gli occhi del Gaara che era stato poterono scorgere il profilo blu e dorato del Paese del Vento, oscurato dalla tempesta che avanzava con lui.

Si dirigeva verso la figura alta delle pareti di roccia da cui il Villaggio della Sabbia era circondato.

 

Continua nel Capitolo II: Odore di foglie e terra marce

  
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