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Autore: fearlesslouis    22/11/2020    0 recensioni
In poche parole, un'AU in cui Louis è Michelangelo e Harry è Raffaello.
«-Sei cresciuto, piccoletto. È passato un po' dall'ultima volta che ci siamo visti.-
[...]
-Tu invece sembri invecchiato parecchio, maestro.-
L'altro ghigna divertito e lancia un'ultima occhiata al dipinto, poi gli carezza la mano ancora poggiata sulla sua guancia.
-Torna a lavoro, adesso- gli intima, -Volevo solo vederti.-»
Genere: Fluff, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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In Art as in Love

 

Salve a tutt*! 
 
Vorrei davvero che leggeste queste note prima di andare avanti, ma se proprio non vi va siete liber* di continuare!
 
Per chi se lo stesse chiedendo: sì, ho intenzione di portare a termine "Cuore di Farfalla". È però una storia con cui purtroppo sto avendo diversi problemi. Forse perché è davvero molto personale, non saprei spiegarlo perfettamente neanche io, ma vi assicuro che è tutto ben delineato nella mia testa: devo solo ritrovare la capacità di metterlo su carta. 
 
A prescindere da "Cuore di Farfalla", comunque, è da un bel po' che non pubblico nulla. Il motivo è principalmente uno: qualche mese fa ho ricevuto la proposta di pubblicare un libro, e quindi diciamo che questo ha un po' monopolizzato i miei pensieri da marzo in poi. 
 
Non so se ci avete fatto caso, ma è proprio per il libro che ho dovuto cancellare alcune storie pubblicate su Wattpad nel corso degli anni: ora sono tutte nella mia raccolta di racconti, e se volete andare a dare un'occhiata il titolo è "Una volta nella vita", mentre la casa editrice si chiama La Caravella. Potete trovarlo anche su Amazon e sul sito della Mondadori o della Feltrinelli, in caso voleste comprarlo! 
 
Per me è stato davvero un traguardo enorme, il primo di tanti che ancora devo e voglio raggiungere, e guardando il mio nome scritto sulla copertina di un libro ogni tanto ripenso al fatto che tutto è cominciato da Harry, Louis, wattpad e voi, che leggete le mie storie qui dal lontano 2014 e che all'inizio eravate 10, 20, 30, poi avete cominciato ad essere centinaia e poi ancora migliaia.
 
Grazie a chiunque mi scriva per sapere qualcosa sugli aggiornamenti, a chiunque sia ancora qui ad aspettare e a chiunque legga. 
 
Questa è proprio per voi: un piccolo progetto senza pretese che mi è venuto in mente in un pomeriggio di Settembre, durante una visita alla National Gallery di Londra insieme alle mie amiche. 
 
Vi avverto, non so quanto accurata possa essere dal punto di vista storico, ma mi sono documentata meglio che ho potuto per rimanere coerente alle tempistiche reali. 
 
Spero che questa prima parte vi piaccia! 
 
Lila. 💙



 
Roma, 1508
 
Harry sbuffa pesantemente e corregge per l’ennesima volta i dettagli sullo sfondo del dipinto. Ci sta lavorando ininterrottamente da giorni, probabilmente addirittura settimane, ma non riesce in alcun modo ad impostarlo come vorrebbe.
 
Ripone il materiale sulla scrivania di fianco alla parete, e nel silenzio assoluto della stanza sente dei passi avvicinarsi lentamente. Sorride leggero, senza distogliere lo sguardo dall’opera incompleta di fronte a lui. Non ha bisogno di girarsi per sapere di chi si tratta.
 
-Quindi è vero ciò che si dice in giro- comincia l’uomo appena entrato, la voce acuta ma forte al tempo stesso. -Sei finalmente riuscito ad entrare nelle grazie del Papa.-
 
Harry sbuffa una risata sarcastica prima di voltarsi a guardarlo, finalmente. Ha la barba più lunga dell’ultima volta che l’ha visto, l’aria più trasandata, lo sguardo più corrucciato e pensieroso. Dimostra tutti i suoi trentatré anni, ma lo fa in modo elegante e composto. Come sempre, d’altronde. Le spalle dritte e il volto fiero, Harry è ormai quasi convinto che esistano pochissime cose al mondo capaci di scalfire il portamento austero di quell’uomo.
 
-Non sono molto informato su ciò che si dice in giro. Sono chiuso qui dentro da un bel po’- risponde infine, incrociando le braccia al petto e poggiando il fianco sulla scrivania. -L’indiscrezione dello stesso Papa però mi ha rivelato che a quanto pare anche tu sei un normale essere umano.-
 
Quello si avvicina un altro po’, lentamente, l’espressione scettica ma non troppo coinvolta.
 
-Il Papa dovrebbe sapere ormai che non sono il tipo di persona che si adatta alla normalità.-
 
Sorride, Harry. Sono voci di corridoio, in realtà, ad avergli rivelato la difficoltà che l’altro sta riscontrando nel suo incarico. A quanto pare l’eccessiva umidità del posto rovina le sue opere prima ancora che possa portarle a termine. Harry non ha dubbi sul fatto che riuscirà a trovare una soluzione entro la fine della settimana, ma ovviamente non glielo dirà mai.
 
Non protesta quando la mano rugosa dell’altro va a sfiorare delicatamente il dipinto alle sue spalle, ma si volta leggermente per seguirne il movimento. Lo guarda afferrare il carboncino e tratteggiare quasi distrattamente sulla superficie ruvida per qualche minuto. Si sente come se la cosa dovesse infastidirlo, ma non può non ammettere a se stesso che gli è mancato anche quel suo modo di fare supponente, al limite dell’arrogante.
 
-Così dovrebbe andare meglio- conclude.

Harry non ha davvero bisogno di voltarsi a controllare. Quello, in fondo, è l’uomo che lo ha spinto a trasferirsi a Firenze, in quella che ormai sembra un’altra vita, per poter imparare a dipingere. O meglio, a “dare vita a ciò che si dipinge”, come gli piace dire. “A disegnare sono bravi in tanti, Harry. Tu puoi andare oltre”.
 
-Sei cresciuto, piccoletto- continua poi, e Harry sente il suo sguardo bruciargli addosso. -È passato un po’ dall’ultima volta che ci siamo visti.-
 
-Quasi un anno- specifica subito, ignorando il sorriso sornione e compiaciuto dell’altro. 
 
Non si stupisce quando le dita vanno a sfiorargli la barba incolta. Ha sempre avuto poco autocontrollo attorno a lui.
-Tu invece sembri invecchiato parecchio, maestro.-
 
L’altro ghigna divertito e lancia un’ultima occhiata al dipinto, poi gli carezza la mano ancora poggiata sulla sua guancia.
-Torna a lavoro, adesso- gli intima, -Volevo solo vederti.-
 
Se ne va veloce come è arrivato, e Harry pensa che è vero: pochissime cose al mondo sono in grado di scalfire il portamento austero di Louis.
 
Tra queste, forse, c’è proprio lui.
 
 
 
 
Firenze, 1504. Quattro anni prima.
 
Per Harry Firenze è un sogno fin da quando è venuto al mondo. Ancora ricorda quanto gli piacesse trascorrere intere giornate nella bottega di suo padre, in un angolo recondito di una Urbino dimenticata, tra l’odore di pittura fresca e i mille colori che gli riempivano gli occhi. 
 
Quando suo padre è morto e Harry era poco più che adolescente, prendere in mano l’attività di famiglia era semplicemente sembrata la cosa più giusta da fare nei confronti di una madre rimasta sola a crescere due figli. Harry sapeva già, però, che quella non fosse la sua strada. Suo padre glielo diceva sempre: “Sei troppo bravo per restare qui. Questo non è il posto giusto per te”.
 
Adesso che neanche sua madre è più con lui e sua sorella ha una famiglia a cui pensare, Harry non ci ha riflettuto troppo prima di mettere tutte le sue cose in una sacca e lasciarsi Urbino alle spalle.
 
Non è un caso, quindi, che ora si trovi proprio a Firenze, e che davanti a lui si erga la statua non ancora completa di quello che tra qualche decennio, ne è sicuro, sarà considerato il più grande artista di tutti i tempi. 
 
Applica più pressione col carboncino sul foglio e aggrotta la fronte: c’è qualcosa che non gli quadra perfettamente.
 
Qualcuno si schiarisce la voce dietro di lui. -La curva delle gambe dovrebbe essere più morbida- afferma il ragazzo appena entrato, guardandolo dall’alto. 
 
Harry ripone velocemente il suo blocco di disegni a terra. -Stavo solo studiando- si giustifica.
 
-Ne sono sicuro- replica l’altro, per poi avvicinarsi alla statua e sfiorarne le braccia con mani delicate. -Puoi studiare quanto vuoi.-
 
Quando si volta verso di lui ha negli occhi un’espressione che Harry non riesce a decifrare. Di sfida, forse, mista ad un po’ di divertimento.
 
-Come hai detto che ti chiami?- domanda, l’aria quasi altezzosa.
 
Harry sbuffa impercettibilmente. -Non l’ho detto.-
 
L’altro alza le sopracciglia con fare scettico e incrocia le braccia al petto. -Beh, è mia l’opera che stavi guardando- comincia. -Quindi gradirei sapere chi è che studia le mie tecniche.-
 
Harry vorrebbe sparire. Nascondersi sotto la prima mattonella disponibile.
 
Non immaginava che il primo incontro con l’artista che più ammira al mondo sarebbe stato così. In realtà, se deve essere completamente onesto, non immaginava che Louis fosse così. In generale.
 
-Mi chiamo Harry- sussurra infine, lo sguardo basso e imbarazzato.
 
Louis annuisce in segno d’assenso. -Chi ti ha fatto entrare, comunque?-
 
Harry scuote leggermente la testa e si alza. -Nessuno- risponde mortificato. -L’entrata era sgombra e sapevo che tu stessi lavorando qui, quindi…- conclude, lasciando la frase in sospeso.
 
Louis ridacchia e piega la testa di lato. -Guarda che non mordo. Puoi tornare a studiare, se vuoi.-
 
-Davvero?-
 
-Certo. Non saresti il primo, in ogni caso- ribatte ancora. -Anche se da quel poco che ho visto di sicuro sei il più bravo.-
 
Harry vorrebbe poter affermare di non essere arrossito in modo assolutamente imbarazzante, ma il guizzo divertito che attraversa il volto di Louis gli dice che fingere compostezza ormai è pressoché inutile.
 
-Grazie- mormora, mentre le sue gambe cominciano ad indietreggiare verso l’uscita. -Ci –ci vediamo prossimamente, allora.-
 
Non aspetta che Louis risponda, si volta quasi di scatto ed esce definitivamente. 
 
Poggia la schiena sulla prima superficie disponibile non appena si lascia la sala alle spalle, e si concede qualche minuto per ascoltare Louis che riprende a lavorare. È estremamente tentato di rientrare, sedersi al suo fianco e semplicemente guardarlo. 
 
Sorride, invece, e si incammina verso casa. Tornerà domani.

 
*     *     *

 
Il giorno dopo nella sala in cui Louis lavora ci sono almeno altri tre ragazzi, e dal loro aspetto sembrano tutti avere più o meno l’età di Harry. Silenzio assoluto regna mentre l’uomo continua la sua opera -- d’altro canto, in ogni caso, lui è talmente concentrato che probabilmente non si è neanche reso conto delle altre persone nella stanza. 
 
Harry non si unisce a loro, seduti su degli sgabelli a pochi metri da Louis. Decide di restarsene in prossimità dell’entrata, invece, sprovvisto di fogli e carboncino. La sera prima, in preda all’imbarazzo, si è accorto di aver dimenticato tutto il suo materiale solo dopo essere tornato a casa.
 
Passa più o meno un’ora abbondante prima che Louis distolga gli occhi dalla statua. Si guarda intorno con fare leggermente circospetto, sospirando di stanchezza e passandosi una mano sulla fronte. I tre ragazzi impiegano meno di cinque minuti per raccogliere tutta la loro roba e andarsene, e non gli riservano neanche uno sguardo o una parola mentre gli passano accanto.
 
Harry è sicuro che Louis sappia di non essere solo. Ha le spalle ancora troppo tese e l’espressione ancora troppo contratta, mentre mette in ordine il materiale sulla scrivania. Gli si avvicina lentamente, allora, e non aspetta che lo saluti né che si volti verso di lui.
 
-Hai un vero e proprio pubblico, quindi-, è la prima cosa che dice.
 
Louis non alza lo sguardo, ma ride sottovoce e annuisce. -Sì, e ad essere onesto non posso dire che mi faccia completamente piacere.-
 
-Perché non li mandi via, allora?- domanda a quel punto.
 
L’altro sospira e scrolla le spalle brevemente. -Vogliono solo studiare- afferma, per poi lanciargli uno sguardo di sfuggita. C’è un sorriso appena accennato a piegargli le labbra. -Proprio come te.-
 
Quando ha finalmente messo in ordine tutto e si volta verso di lui, ha tra le mani il blocco di disegni lasciato lì il giorno prima. -Il problema è che mi sento sempre come se non potessi sbagliare neanche un dettaglio, quando c’è qualcuno che mi guarda- continua porgendoglielo. -Ma penso che ne varrebbe la pena se poi tutti fossero bravi quanto te- afferma, occhieggiando brevemente allo schizzo che sporge oltre la copertina. È proprio il disegno che stava cercando di portare a termine il giorno prima, nota Harry.
 
Afferra i suoi lavori con un sorriso appena accennato sulle labbra e se lo stringe al petto, mentre Louis prende la sua sacca e se la mette sulla spalla. -Ti manca solo un po’ di tecnica- conclude.
 
Ora o mai più, pensa Harry distrattamente, seguendolo verso l’uscita. Proprio prima che Louis varchi la soglia gli circonda il braccio e lo ferma. -Potresti insegnarmela tu- pronuncia quasi con timore. -La tecnica, intendo.-
 
Louis piega la bocca in qualcosa di simile ad un ghigno, gli occhi stanchi ma vivaci al tempo stesso. -Ci vediamo domani- dice infine, senza dargli certezze ma riservandogli un sorriso.
 
Harry pensa che se lo farà bastare.
 
 
 
 
Roma, 1508
 
Il tramonto dietro Castel Sant’Angelo è decisamente tra le cose più belle che abbia mai visto in vita sua. Da lì, appollaiato su una delle enormi finestre nell’appartamento del Papa, tutta Roma sembra essere ai suoi piedi. Harry non può fare a meno di pensare che suo padre sarebbe orgoglioso di lui, della strada che ha percorso e dell’uomo che è diventato, e per un solo momento si permette di sentirlo anche lui, l’orgoglio verso se stesso. Nonostante certe giornate siano più dure di altre e a volte arrivi a pensare di non essere all’altezza del compito che gli è stato dato, né dell’immagine di grande artista che negli ultimi anni l’opinione pubblica gli ha dipinto addosso.
 
Qualcuno bussa un paio di volte sulla porta già aperta, ed è ovviamente Louis quello che entra senza aspettare risposta, le mani unite dietro la schiena e il passo lento.
 
-Sbaglio o il Papa non è mai nei dintorni? Questi non sono i suoi appartamenti?- domanda piano, quasi tra sé e sé. -Questi uomini di Chiesa…- conclude poi con un pizzico di sarcasmo, fermandosi accanto a lui.
 
-Buonasera anche a te- mormora Harry. -Come stai?-
 
Louis sospira e poggia la testa contro il vetro della finestra, gli occhi puntati sul tramonto che sta scendendo su Roma proprio di fronte a loro. 
 
-Esausto, se devo essere onesto- risponde, per poi sospirare e occhieggiare brevemente nella sua direzione.
 
È quasi faticoso per lui ammettere di essere stanco, Harry lo sa. Per questo non ribatte; si limita a guardarlo e aspetta che continui.
 
-Mi sento completamente teso. Sono giorni che non riesco a dormire, penso a come risolvere il problema della Cappella anche mentre mangio- bisbiglia Louis quasi con rabbia, distogliendo lo sguardo da Roma e posandolo su di lui. Ha gli occhi completamente cerchiati di nero e il volto meno colorito del solito, ma Harry lo trova comunque più bello del tramonto dietro Castel Sant’Angelo. -Ti capita mai di voler scappare?- lo sente chiedere poi. -Perché io ogni tanto ci penso. Prendere tutto ciò che ho e andarmene via, in un posto dove nessuno conosca il mio nome e la mia faccia.-
 
Harry annuisce distrattamente e riprende a fissare il sole che si abbassa sempre di più. Roma è quasi completamente buia, ormai. -Ci stavo pensando proprio prima che entrassi, sai?- domanda infine. -A volte mi capita di non sentirmi all’altezza. Quando capita penso che magari sarebbe stato più facile se avessi scelto un’altra vita.-
 
Louis piega leggermente il capo e sorride. -Ma saresti stato felice se avessi scelto un’altra vita?- lo interroga, probabilmente già consapevole di quale sia la risposta, poi si avvicina un altro po’ e si ferma ad un soffio di distanza dal suo corpo. -E non dimenticare che ho trascorso giornate intere a guidarti e guardarti dipingere. Sai che non l’avrei fatto se non fossi stato all’altezza.-
 
Harry lo sa, e sa anche che questo è la cosa più vicina ad un complimento che riceverà da Louis. Quindi se lo fa andare bene, sorride e cerca di alleggerire l’atmosfera. -Se non ricordo male però dipingere non era tutto ciò che facevamo durante quelle giornate.- 
 
L’altro ridacchia abbassando di poco il volto, ma continua a guardarlo oltre le ciglia lunghe. -Infatti non ho mai detto di non essermi divertito.-
 
Solo a quel punto Harry scende dal davanzale con un piccolo salto, quando ormai Roma è buia e Castel Sant’Angelo appena visibile oltre la vetrata. Louis non si allontana, i loro petti si sfiorano e Harry è sicuro che questo tipo di vicinanza sia mancato ad entrambi in egual misura, anche se l’altro è più bravo di lui a nasconderlo.
 
Gli sfiora la guancia con una mano e si gode il pizzicore della barba sotto le dita per qualche secondo. -Troverai una soluzione- afferma poi. -Come fai sempre.-
 
Louis annuisce e annulla la distanza in un battito di ciglia, ma Harry non impiega molto a superare i primi attimi di stupore.
 
Si baciano con Roma che li guarda senza in realtà vederli, nel buio di una serata fredda e silenziosa. Domani fingeranno che nulla sia successo e Louis tornerà da lui di notte, dopo il tramonto, perché così ha cominciato a fare quando il loro legame iniziava a spaventarlo alla luce del sole: a cercarlo nell’oscurità, illudendosi forse che poi sarebbe stato più facile lasciarsi scivolare addosso i tocchi, dimenticare i sapori.
 
Harry non lo lascia andare, stringe la presa sui suoi capelli mentre pensa che forse sono destinati ad amarsi così per sempre. Al buio, nascosti anche a loro stessi.
 
 
 
 
   
 
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