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Autore: heliodor    22/11/2020    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Simboli
 
“Li ho già visti” ripeté Valya.
Doryon la fissò come in attesa che proseguisse.
“Da un’altra parte” si affrettò a dire lei.
“Su di un libro come questo?”
“No” rispose.
“Dove, allora?”
Valya deglutì a vuoto. “Non posso dirtelo” disse, sperando di non offenderlo. Se lo avesse fatto, era certa che Olethe sarebbe venuto a saperlo e l’avrebbe rimproverata.
Doryon si limitò ad annuire. “Erano uguali a questi?”
“Alcuni, credo. Altri erano diversi.”
“Mi piacerebbe tanto vederli” ammise lui.
“Non posso, mi spiace.”
“È una specie di segreto?”
Valya annuì. “Se si scoprisse in giro, potrei essere rimproverata. E punita. Molto duramente.”
“Non voglio che ti puniscano” disse Doryon. “Tu sei mia amica. Io ti proteggerò se qualcuno cercherà di farti del male.”
“Grazie” disse Valya sorpresa da tanta veemenza.
“Se è un segreto, non voglio insistere oltre con questa storia.”
Anche Valya voleva dimenticare in fretta di avergliene parlato, ma la curiosità sul significato dei simboli non se ne sarebbe andata via da sola.
“E se li copiassi e te li facessi vedere?” suggerì.
“Potresti farlo?”
“Mi servirebbero carta e matita.”
Doryon prese una pergamena e una mina e glieli porse. “Ecco. Puoi disegnarli qui sopra e portarmeli a vedere.”
Valya soppesò gli oggetti tra le mani. “Potrei andarci subito e tornare qui velocemente.”
“Sì” disse Doryon. “È una buona idea. prendi le scale di destra, sono meno usate.”
Valya si alzò. “Se Olethe dovesse tornare…”
“Le dirò che ti ho detto di andare nelle cucine a prendermi della frutta. Mele dolci e arance. Così dovrai dirle.”
Valya annuì e andò alla porta. “Tornerò tra poco” disse prima di aprirla e gettarsi di corsa nel corridoio.
 
Che sto facendo? Si chiese mentre scendeva di corsa le scale. In che guaio mi sto cacciando?
Parlare dei simboli a Doryon le era parsa una buona idea, ma adesso iniziava a pentirsene.
È rischioso, pensò. Magari se trovo una buona scusa… potrei dirgli che l’oggetto con i simboli si è perso, o è stato distrutto o rubato. No, si insospettirebbe.
Dentro di sé aveva già deciso che avrebbe copiato i simboli sulla spada e li avrebbe mostrati al ragazzo.
Entrò nella sala d’arme col cuore che le batteva all’impazzata. Non perse tempo a guardarsi in giro, era già sciura di essere sola ancora prima di entrare e si diresse al vecchio scudo appeso alla parete, lì dove aveva infilato la spada giorni prima. La estrasse con un gesto deciso, assaporandone subito la perfetta consistenza, il bilanciamento e la sensazione di forza che le trasmetteva anche solo stringerla nella mano.
Con riluttanza l’appoggiò su di un tavolo. Trovava insopportabile doversene separare, anche solo per qualche istante, dopo averne assaggiato il potere che irradiava.
E sempre, come le capitava, quando si separava dalla spada avvertiva un senso di spossatezza, come se avesse compiuto uno sforzo immane.
Dispiegò la pergamena e sotto la luce delle torce copiò i simboli sulla spada a uno a uno cercando di riprodurli meglio che poteva.
Quando ebbe terminato rimise la spada dietro lo scudo, assicurandosi che fosse ben assicurata al supporto. Piegò la pergamena in quattro parti e la infilò in una tasca del vestito insieme alla matita.
Quando si ritrovò davanti alla porta di Doryon, esitò prima di entrare.
Posso ancora tornare indietro, si disse. Posso ancora dirgli che non ho trovato quei simboli e dimenticarmene per sempre.
Appoggiò la mano alla maniglia e spinse la porta, aprendo uno spiraglio appena sufficiente per infilarsi dentro. La chiuse cercando di fare meno rumore possibile.
Doryon era ancora seduto alla scrivania e sembrò sollevato vedendola. “Li hai ricopiati?”
Valya annuì.
“Ti ha vista qualcuno?”
“No. Il palazzo sembra deserto.”
“Lo immaginavo.”
Lei lo guardò accigliata mentre si avvicinava alla scrivania.
“Mia madre ha indetto un consiglio di guerra” spiegò il ragazzo. “È da stamattina che ancelle e valletti si danno da fare per preparare tutto.”
“Un consiglio di guerra?”
Doryon annuì deciso. “Pare che sia arrivata una persona importante da Lormist.”
Il ragazzo che mi ha quasi travolta, pensò Valya. Deve essere lui la persona di cui parla. Zeb l’ha chiamato comandante.
“Per caso questa persona si chiama Stanner?”
Doryon sgranò li occhi. “Aramil Stanner? Lo hai visto per caso?”
“Non lo so. Forse. Prima di venire qui un giovane cavaliere scortato dal comandante Abbylan mi ha quasi travolta. Si chiamava Stanner.”
“Aramil è piuttosto anziano. Non può essere lui” disse Doryon pensoso. “Lo chiederò a mia madre più tardi e ti farò sapere.”
“Questo Aramil è importante?”
“È il comandante dell’esercito di Lormist. Se lui è qui vuol dire che stanno giungendo rinforzi. Sono molto preziosi.”
“La guerra sta andando così male?”
“Mia madre non me ne parla, ma lo vedo dai suoi occhi. È preoccupata e dorme poco.”
Valya non voleva sapere della guerra, ma dei simboli per cui aveva corso tanti rischi. Mise la pergamena sulla scrivania e l’aprì davanti a Doryon.
Lui li osservò con interesse. “Sono questi?”
Valya annuì.
“Somigliano davvero a quelli sulla spada di Margry, ma di certo non sono gli stessi. Forme uguali, ma combinazioni diverse. Lo vedi questo triangolo come si interseca nei due quadrati? C’è un simbolo simile sulla spada di Margry, ma sono due triangoli e una sfera.” Sospirò. “Mi domando che cosa significhino.”
“Forse sono solo belli.”
“Non è possibile” disse Doryon. “Voglio dire, questi simboli non sembrano una decorazione messa lì da un artista. Devono avere un significato che a noi sfugge.”
“Quindi sono delle parole?”
“Forse.”
Così ne so quanto prima, pensò Valya. “Se sono parole non le puoi tradurre? Scommetto che in uno di quei libri c’è la soluzione” disse indicando i volumi nella libreria. C’erano almeno quattro scaffali pieni che occupavano una intera parete.
Doryon sospirò. “Se fosse una lingua nota forse potrei provare a tradurli, ma non ho mai visto nulla del genere e non conosco molte lingue.”
“Quante ce ne saranno? Sette? Otto?”
Doryon sorrise. “Solo sul grande continente o in tutto il mondo conosciuto? Te lo chiedo perché solo qui esistono almeno trenta lingue e un centinaio di dialetti, alcuni molto complessi come quello di Kranak o degli abitanti della Catena Meridionale.”
“Sono così tante?”
Lui annuì. “E non sto contando le lingue morte.”
Valya si accigliò. “Una lingua può morire?”
“Certo, come ogni cosa. Una lingua vive fin quando c’è qualcuno che la parla, ma in tutti questi millenni molti popoli sono scomparsi o sono migrati, perdendo la propria lingua. Per quanto ne sappiamo, questi simboli appartengono a uno di quei popoli.”
“Non puoi scoprire chi li usava?”
“Sì, forse” disse Doryon incerto. “Ma ci vorrà tempo.”
“Quanto?”
“Magari anche anni.”
Anni, pensò Valya. Quanto può essere difficile tradurre quei simboli?
“È tanto tempo” si lamentò.
“Lo so” fece Doryon quasi scusandosi. “Forse potrei chiedere a un erudito. O a maestro Iarfir.”
Valya non sapeva chi fosse ma non le piaceva l’idea che altri sapessero dei simboli. Avrebbero potuto chiederle dove li avesse presi e come.
“Per ora è meglio di no” disse rimanendo nel vago.
“D’accordo” rispose il ragazzo deluso. “Farò delle ricerche per mio conto e ti farò sapere se scopro qualcosa, magari anche la prossima volta che verrai a trovarmi.”
“Bene” rispose Valya. Stava per aggiungere che non sapeva quando sarebbe passata di nuovo, quando bussarono alla porta.
“Entrate pure” disse Doryon dopo aver capovolto la pergamena con i simboli e aver gettato una rapida occhiata a Valya.
Olethe fece un profondo inchino. “Il consiglio è terminato” disse. “Vostra madre dice che dovete riposare.”
“Ma non sono stanco” si lamentò Doryon.
“Dovete ancora riprendervi.” Guardò Valya. “Tu vieni con me, ragazza.”
Valya andò da lei riluttante.
Olethe rimase come in attesa e all’improvviso ricordò. Si girò verso Doryon e lo salutò con un leggero inchino. “È stato piacevole” disse.
“Anche per me” rispose il ragazzo con lo stesso inchino. “Devi tornare a trovarmi più spesso. Ne parlerò con mia madre.”
 
Olethe camminava un passo davanti a lei, lo sguardo fisso e l’espressione severa. “Hai” disse dopo qualche istante di silenzio. “Hai notato qualcosa nel signorino? Un miglioramento?”
“Sta bene” disse Valya. “Rispetto all’altra volta.”
“L’ultima pozione sembra aver fatto effetto, ringraziando gli Dei.”
“È vero” si limitò a dire.
Olethe trasse un profondo sospiro. “Sei stata brava, oggi.”
Valya rimase in silenzio.
“Mi hai sorpresa, ragazza. Forse riuscirò a fare di te una persona decente.”
“Ti ringrazio.”
Olethe si fermò al centro del corridoio. “Credo che per stavolta non ti scorterò fino alle tue stanze. Credo tu sappia come raggiungerle da sola.”
Valya le rivolse un inchino.
“Preparati per la cena e poi scendi nel salone. Indossa un vestito decente perché ci saranno ospiti.”
“Il comandante che è arrivato stamattina?” domandò Valya.
Olethe si accigliò. “Cosa ne sai di lui?”
“Niente. L’ho solo intravisto per un attimo.”
“No, la governatrice e gli altri comandanti ceneranno in privato. Ma ci saranno comunque altri ospiti. Vestiti bene, sii educata, saluta con deferenza e parla il meno possibile. Ne sei capace?”
“Credo di sì” rispose.
“Bene. A dopo.”
 
Quando scese nel salone, notò che era affollato. Di solito non c’erano più di dieci o quindici persone a cena e di rado la governatrice e le altre persone importanti presenziavano. Valya ne contò almeno cinquanta prima di stancarsi.
Ai due tavoli che di solito occupavano la stanza ne erano stati aggiunti altri quattro e sedie sufficienti a far accomodare tutti i presenti.
I valletti sciamavano avanti e indietro portando vassoi pieni di frutta e verdura e carne appena cucinata che spandeva un buon odore in giro.
Valya adocchiò un posto libero a uno dei tavoli posti lungo la parete opposta all’ingresso e vi si diresse. Mentre lo raggiungeva notò che la maggior parte dei presenti indossava un mantello bianco o rosso scuro. Non aveva mai visto i primi ma riconosceva i secondi.
Era il colore degli stregoni di Talmist. L’aveva imparato osservando quelli che si recavano in visita dalla governatrice.
Valya sedette sul bordo della sedia e prese un piatto di legno che riempì di carne usando una forchetta e le mani. Ancora non si era abituata del tutto a quello strumento, ma secondo Olethe era indispensabile se voleva cenare insieme a loro. A casa era abituata a usare le mani per afferrare la carne aiutandosi con un coltello per tagliarla.
Non che ci fosse spesso la carne da mangiare, ma quello era un particolare.
Qualcuno sedette accanto a lei e la costrinse a sollevare gli occhi. “Io ti saluto” disse in maniera automatica, come Olethe le aveva raccomandato di fare quando c’era un altro ospite al tavolo.
“Sei diventata davvero educata” disse suo padre con un mezzo sorriso. “Olethe deve essere una persona notevole se è riuscita in una simile impresa.”
Valya quasi sputò nel piatto il pezzo di carne che stava masticando. “Tu” disse riprendendosi. “Sono giorni che ti cerco. Dove sei stato?”
“Lo so. Rann mi ha detto che sei passata a trovarmi. Più di una volta.”
“Sei sparito da otto giorni” lo rimproverò lei.
“Mi spiace. Avevo delle faccende importanti da sbrigare.”
“Dove? Con chi?”
“È meglio che tu non lo sappia, ma ora è tutto risolto e sono qui. Tu come stai?”
“Te ne importa davvero?”
“Certo che sì. Sei mia figlia.”
“A volta mi sembra che tu te ne dimentichi.”
“Valya” disse suo padre. “Ci sono delle cose che non posso dirti. Mi spiace avere dei segreti con te, ma credimi è meglio che tu non sappia.”
Anche io ho dei segreti, si disse. Ma non sparisco all’improvviso senza dare notizie.
“Promettimi che non te ne andrai più senza dire niente.”
Suo padre trasse un profondo respiro.
“Lo sapevo” disse Valya tornando alla carne.
“No, tu non sai niente.”
“Allora forse è il momento che tu mi dica qualcosa, no?”
“Io” fece per dire suo padre.
Una figura alta e massiccia si avvicinò al tavolo fermandosi al suo fianco. “Tu sei Keltel? Simm Keltel?”
Valya sollevò la testa e incontrò lo sguardo di una donna, la più grossa che avesse mai visto, a parte la signora Brennan che era la donna più imponente di Cambolt, ma che sarebbe sembrata minuscola alla presenza della nuova arrivata.
Indossava un’armatura di piastre e un mantello bianco le scendeva fino alle ginocchia.
Suo padre la fissò accigliato. “Tu conosci me ma io non conosco te” rispose.
“Mi chiamo Vauru. Demia Vauru.”
“Una volta conoscevo un uomo con quel nome.”
“Se lo hai conosciuto nella guerra contro Vulkath, allora quell’uomo era mio fratello Permys.”
“Perm” esclamò sorpreso suo padre. “Sono anni che non lo vedo. Che fine ha fatto?”
Demia si guardò attorno. “Posso parlarti?”
“Certo” fece suo padre.
“Da soli, intendevo.”
Lui le rivolse un’occhiata.
Valya scosse le spalle.
Simm Keltel si alzò. “Da quella parte. C’è una sala dove staremo tranquilli.”
Demia annuì e lo seguì.
Valya li guardò uscire dalla sala e poi tornò a concentrarsi sulla sua cena.

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