Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Dragonfly92    23/11/2020    2 recensioni
Tobia è un uomo che ha trovato, nella solitudine, la sua felicità.
Yuri è un bambino che, invece, non l'ha mai conosciuta.
Un passato ingombrante, un ricatto, la forzata convivenza e la scoperta di un'infanzia mai esistita: pelle livida, cuore cianotico.
Piccoli, faticosi passi per arrivare a capire, scoprire, disinfettare le emozioni.
E difenderle, quando il passato torna a reclamarne la potestà.
-------------------------------------------------------------------------
(La storia è legalmente protetta da copyright)
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Tredici Verticale - Affannosa agitazione
 
 
“Che succede, bambino?”
Stavo imparando.
Qualcosa, lo avevo capito.
Come il tuo accumulare emozioni.
Che accartocciavi, schiacciavi e spingevi in fondo.
Finché, non diventava troppo.
Finché i dubbi non superavano le poche, ma continue certezze.
Sovrastate da immagini che vedevi soltanto tu.
Che avevi vissuto, soltanto tu e si riproducevano esclusivamente nella tua testa.
Un play invisibile che io potevo premere inciampando, fisicamente.
Un bottone che tu potevi pigiare lasciando scivolare la forchetta, urtandomi per errore.
I tuoi muri, crollavano.
Si sfracellavano.
L’onda di panico affogava la realtà.
E non potevo che provare a tenerti a galla, provando a lenire le tue mancanze.
Camminavo dalla cucina al salotto, dal salotto alla cucina.
Dondolandoti in un  movimento continuo scandito da piccole rassicurazioni.
“Va tutto bene, va tutto bene”.
“Ci sono io”.
Quelli erano i giorni peggiori.
Imparai a coglierne i sintomi.
Ci sono sempre le nuvole, prima della tempesta.
Ovvio, che lo avesse detto Andrea.
Ovvio che avesse ragione.
 
“Che succede, bambino?”
Eri in pigiama.
E tu scendevi a fare colazione soltanto indossando i vestiti, come ti avevo insegnato.
“I-Il b-b-b… B-B-Bambino…”
Quell'odiosa terza persona, la stavamo combattendo.
Era evidente, che qualcosa non andasse.
E riuscivo a vederlo anch'io.
“V-V-Va in b-bagno.”
Attesi qualche istante.
“Perché me lo stai dicendo?”
I piedini strusciavano per terra.
La pallina blu, veniva martoriata.
“F-Forse… I-Il S-Signore… D-Deve a… A-A…”
 
Grattavi le braccia.
Il petto si alzava veloce.
 
“A-AndarE! E… s-se i-il b-bambino n-non… n-non l… lo sa e…”
Eri ancora un piccolo, efficace domatore.
Cercavi di non sbattere le palpebre.
Di non sbagliare.
“S-Signore! N-Non… a-arrivA!”
 
Non arriva!
 
La prima volta che lo hai detto, non ho capito.
Non arriva nella pancia!
Cercavi di spiegare quando ormai i singhiozzi rimbombavano nella stanza.
L'aria!
Indicavi la bocca dello stomaco e cercavi di riprendere fiato.
 
Sindrome caratterizzata da difficoltà respiratoria: Asma.
Pensai a quello, me ne convinsi, mentre cercavo di dosare il tono della voce, al telefono con Andrea.
Poi, mi chiese: “Stai ascoltando il tuo respiro?”
Lo offesi.
Non riattaccò.
Nutro una certa remora nel dover ammettere che, ancora una volta, il suo aiuto si rivelò fondamentale.
 
Non soffrivi d’asma.
Soffrivi.
Di  Ansia.
Non che fosse poi una diagnosi tanto migliore.
Tu iperventilavi.
Ed io non avevo idea di come aiutarti.
Giorni più tardi, te l'ho spiegato, come fossi un adulto.
“Quando è tutto nero, quando hai paura… Vai in iperventilazione, Yuri. Respiri veloce ma ti sembra di non riuscire a respirare più. Allora, devi ascoltarmi. E vedrai che passerà, passerà ogni volta.”
Mi guadagnai l’occhiata perplessa del pediatria.
Che, episodi dopo, divenne un'occhiata quasi orgogliosa.
 
“Yuri, lo sai cosa stai facendo, vero?”
Non ti spostasti, mentre mi avvicinano, inginocchiandomi davanti a te.
Credo, invero, che nemmeno lo notasti.
“I… I…”
“Piano, piano. Dillo più lentamente, bambino.”
Ti guardavo, annuivo.
Mi muovevo cautamente.
“I-Il… s-super v-ventilatore.”
 
Mi fuggì un sorriso.
Avevi compreso.
A modo tuo.
Ed io compresi che stavi prendendo atto del tuo essere.
Delle tue reazioni, delle tue emozioni.
Anche se questo ti faceva sentire sbagliato.
 
Quando capisti che il processo andava e veniva, iniziasti a cercare di nasconderlo.
Rimanevi in camera, in bagno.
A combattere.
Da solo.
A volte non riuscivi.
Venivi a cercarmi.
Avevi bisogno di accertarti che fossi ancora lì.
Che fossi reale.
Ti sedevi nella stanza dove mi trovavo.
Mi davi le spalle.
Ed inghiottivi aria nella speranza che non vedessi le tue difficoltà.
Altre volte, la tua assenza mi spingeva a cercarti.
Ti trovavo fra il comodino ed il letto.
Tra la doccia ed il lavandino.
A soffocare in silenzio.
A soffocare cercando di fare il meno rumore possibile.
Eri forte, bambino.
Così ingiustamente forte.
 
 
“Non cambierà, Yuri. Non mi sveglierò una mattina e deciderò che non puoi più andare in bagno. O mangiare. Oggi ci sono le stesse regole di ieri. E domani sarà lo stesso.”
 
Respirare nel sacchetto ti aiutava.
O forse, erano le tue piccole mani appoggiate alle mie.
Fatto sta, che ogni crisi portava ansia.
Che portava a una crisi.
Che portava all’ansia.
Perché avevi paura.
Quando la paura diventava troppa, facevi il super ventilatore.
Quando riuscivi a smettere, ti sentivi in colpa.
Poi, tornavi ad avere paura.
E così via.
Era, complesso.
Dannatamente complesso.
Ed in quella complessità, cercavo una soluzione altrettanto studiata.
Dimentico del tuo essere bambino.
 
 
 
 
 
Quattordici Orizzontale -  Atteggiamento di resistenza a credere
 
 
“È per te…”
Avevi le braccia tese in avanti.
Reazione istintiva al “Tieni” di Andrea.
Tuttavia, nell'inquadrare la realtà, ti bloccasti.
Al centro del tappeto, immobile, fra le mani un peluche.
 
“È un regalo…” insistette il Sottolineatore d'ovvio.
Ed il danno, era fatto.
Aveva rotto i tuoi margini; E tu, non potevi sopportarlo.
 
“N-No, Signore.”
“Si, Yuri. È per te.”
Il respiro veloce.
L'ansia.
Le braccia ancora tese e lo sguardo disperato, alla ricerca di una soluzione.
Non insistevi, per farglielo riprendere.
Non ci riuscivi.
Guardavi con gli occhi carichi di apprensione il pavimento, ma lì non lo avresti mai posato.
Poi la poltrona, ma non andava bene, era occupata.
Il tavolo, la sedia, la panca.
 
“S-Signore!”
 
Andrea era mortificato.
Io, semplicemente dispiaciuto.
Forse, triste.
Sicuramente, triste.
Eri un bambino che non riusciva ad accettare un regalo.
Ed anche se adesso posso raccontarlo con un certo distacco… È nitida l'immagine del tuo non poter essere soltanto un bambino.
 
“S-Signore!”
Non presi il regalo, quando lo porgesti a me.
 
Pensavo sarebbe passato presto.
Come quando ti avevo chiesto se preferivi la mela o la pera.
L'agitazione, la paura.
Una rassicurazione.
Una scelta.
E poi, quasi un sorriso.
Quasi, un sorriso.
 
“È tuo, Yuri. Puoi tener…”
 
Indietreggiasti fino a poggiare la schiena al muro.
Le braccia tremanti di tensione.
 
“N-Nero!”
 
Ed il pianto, quel pianto digrignato fra i denti, la bocca stretta, gli occhi imploranti.
 
“N-Nero!”
 
Hai incassato la testa fra le braccia tese.
L'ho vista abbassarsi.
La bocca tremare e gli occhi strizzati forte.
 
“N-Nero!”
 
Il tuo nero mi schiaffeggiò.
 
Mi alzai di scatto.
Ti chiudesti ancora di più.
 
Mi avvicinai piano, poi, mi accucciai.
 
Uno sguardo indietro.
 
“Andrea, puoi uscire?”
“Certo che no.”
Stronzo.
Uscì.
Tu, eri più importante dei suoi riscatti morali.
 
“N-Non v-vuole, n-non p-può, n-no… N-Nero. N-Nero!”
 
Ti faceva male, quel peluche.
Averlo fra le mani, non sapere dove posarlo.
Lo presi.
Ed i tuoi piccoli palmi si fecero grandi per coprire occhi, faccia, emozioni.
Vergogna.
E pianto.
 
“Non ti nascondere, Yuri. Guardami…”
 
Avrei voluto dire cose.
Adottare tattiche.
Mettere in pratica consigli.
 
Trovare, le giuste parole, le giuste azioni per farti sciogliere quel nodo, per dimostrati che non dovevi avere paura e se ce l'avevi, non era sbagliato.
 
Ma come succedeva sempre, in quei momenti, durante quelle crisi, diventavi sordo ad ogni rassicurazione.
Però avevi obbedito.
Mi stavi guardando, mordendoti forte il dorso della mano destra mentre l'altra strizzava i capelli.
Ed ogni soluzione complessa, ogni consiglio tecnico, mi scivolò dalle dita.
Quando tesi le braccia verso di te.
Pensai d'aver fatto un errore.
Un altro.
Perché mi hai guardato e sul tuo viso è comparsa la stessa espressione di quando avevi realizzato che l'animale di pezza era un regalo per te.
 
E forse, è stato proprio così, ma, a quello, non riuscisti a rinunciare.
 
Mi fissasti fra le emozioni che ti scivolavano dagli occhi.
Scuotesti la testa.
E continuando a negare, facesti un passo.
Avanti.
Altri due.
Indietro.
Pugni serrati, compressi sullo stomaco.
Poi sciolti, appena.
Morsi.
Alle mani, ai polsi.
Un lieve allungarsi delle mie braccia.
Un sussurro.
 
“Vieni…”
Ingoiavi le tue reazioni, martoriandoti la pelle coi denti.
I passi avanti divennero tre.
“Vieni…”
Quattro.
Poi, si interruppero.
“I-Il…  I-il ba-mbino?”
Era inconcepibile, la tua dolorosa incredulità.
Niente di ironico.
Niente di ovvio.
“Sì, tu. Vieni.”
 
Tremavi, in ogni piccolo passo.
Gemevi e ingoiavi lacrime sempre diverse.
Perché era un invito.
Un invito per te.
Erano due braccia.
Due braccia per te.
E sapevi, che non ti avrebbero fatto male.
Ma questo, in qualche modo, ti faceva male comunque.
Sfiorasti i miei polsi.
Poi ci posasti le mani.
Vibravano.
 
Sarebbe mai giunto il momento in cui saresti riuscito ad accettare una cosa buona, senza soffrirne?
Sarebbe mai giunto il momento in cui saresti riuscito a sorridere, senza lacrime?
 
La felicità, il bene.
Il sollievo.
Erano così sconosciute per te.
Erano state così desiderate.
Ma mai provate.
 
E allora il pensiero dell'essere immeritevole, il pensiero di una speranza viva, poi uccisa, ora risvegliata.
Era enorme, era spaventoso, era ambito.
Ed erano così tante le frasi nella tua testa, così tanti le escoriazioni sulla tua anima.
Che non riuscivi, a metabolizzare, a decidere, ad accettare, a capire.
E dovevano, tutti quei perché dovevano essere buttati fuori, e straripavano, punti di domanda al sapore di sale.
Ti chiusi fra le mie braccia.
Stritolai, quelle domande.
 
Per la prima volta, non c'erano i ricordi a inquinare quel momento.
Per la prima volta, ti aggrappasti.
Fu…
Fu doloroso, il lamento che le tue labbra liberarono e la mia spalla attutì.
Fu doloroso sentire quell'ululato, soffocante nel suo apparire lamento di sofferenza.
E lo fu anche cercare di comprendere le parole rotte da quel sovraccarico di emozioni.
Che si placò poco a poco e mi diede modo di capire.
 
“M-Magia…M-Magia…”
 
I respiri più profondi, brevi strette sulle mie braccia per tastare la realtà.
 
“P-Per i-il b-bambino… M-Magia... P-Per i-il bambino?”
 
Volevo togliere quel punto di domanda, potevo farlo.
 
“Per te, Yuri.”
 
Rafforzai la presa.
 
“Per te. Solo per te.”
 
Un sospiro più grande, un peso tolto.
Un sollievo.
 
Si può respirare un abbraccio, pensai.
Tu, me lo stavi dimostrando.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Dragonfly92