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Autore: Stella Dark Star    23/11/2020    0 recensioni
Per Gin e Tachihara, che pur essendo felicemente sposati non possono avere figli, è una gioia enorme fare gli zii e avere la casa piena di pargoletti che giocano e inventano storie così piene di mistero da coinvolgerli in pieno! Con questo bel ricordo, Hana (figlia di Akutagawa e Atsushi) e Sherlock (figlio di Ranpo e Yosano), si preparano ad affrontare il viaggio a Londra dove si nasconde Moriarty (gemello di Sherlock) dopo la sua fuga inspiegabile che ha gettato la famiglia nella disperazione.
E mentre loro si occupano di questo, a casa Dazai-Nakahara si svolge un pranzo molto particolare… Riku (figlio di Akutagawa e Atsushi) vuole fare coming out e presentare ufficialmente alla famiglia il proprio ragazzo, Hikaru (figlio di Kenji). Il terzo grado di “nonna” Chuuya gli farà sudare freddo…
Nonostante il passare degli anni, le ship Shin e Soukoku rimangono due coppie affiatate in grado di regalare emozioni HOT! ;)
Ps: ho aggiunto un disegno di Chuuya e Atsushi in versione "mogliettine sexy"!
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Atsushi Nakajima, Chuuya Nakahara, Nuovo personaggio, Osamu Dazai, Ryuunosuke Akutagawa
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'SHIN+SOUKOKU SAGA'
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Dazai x Chuuya
Akutagawa x Atsushi:
Questioni di famiglia
(parte 2)
 
Prendere il tè con la regina non era semplicemente un onore. Poter sedere alla sua tavola, all’interno di una sala dalla raffinata mobilia, ed intrattenerla sorseggiando del tè profumato, era come ritrovarsi all’interno di un dipinto, far parte dell’unione di colori e di pennellate decise da un abile pittore. La giovane regina era senza dubbio la più bella dell’intero regno, con la sua pelle di porcellana, i suoi occhi luminosi sfumati di grigio, i suoi capelli corvini perfettamente acconciati e la regale corona tempestata di diamanti che portava con orgoglio sul capo. Il modo impeccabile con cui sorreggeva la tazzina di tè, col mignolo che spiccava verso l’alto, era un esempio di quanto ella fosse istruita alle buone maniere e aggraziata, mentre le sue labbra appena incurvate in un sorriso lieve e sincero mettevano a proprio agio i graditi ospiti. Attorno al tavolo di forma circolare, coperto di una bianchissima e ricamata tovaglia sui cui erano dei candelabri in argento e le porcellane, quel pomeriggio sedevano figure rilevanti. Il Primo Ministro, coi capelli neri impomatati ad opera d’arte, gli occhi di ametista dallo sguardo fiero, la giacca dal taglio morbido color cannella e un pittoresco fazzoletto color cremisi al collo e rigonfio sul petto, emanava un’aura di potere e sicurezza non indifferenti, come anche il tono della sua voce, pur mantenendo un certo contegno al cospetto della sovrana. Accanto a lui era il suo fidato Segretario, il quale tradiva la giovane età a causa di uno sguardo fin troppo cristallino e innocente che quasi stonava con l’abbigliamento ricercato. Dettaglio che aveva zittito alcune voci impudenti riguardo una certa somiglianza del suo volto a quello del Primo Ministro. In ultimo, ma non per importanza, la bellissima fidanzata del Segretario, una fanciulla di buona famiglia ed intima amica della sovrana stessa, dal volto fresco come una rosa, gli occhi chiari che brillavano come gemme preziose ed i capelli corvini lucidi e appena mossi come l’acqua di uno stagno sfiorato dal vento. A completare il quadro, l’infante erede al trono amorevolmente accudito dalla balia e una guardia che osservava in silenzio, pronta ad agire al minimo segno di pericolo.
“E con questo, mia sovrana, termina il rapporto inviatomi dai nostri ambasciatori in India.” Il primo Ministro chinò il capo con rispetto.
“Siete stato un eccellente oratore come sempre, signor Moriarty.” A sua volta fece un piccolo cenno col capo, sorridendo, quindi sorseggiò dalla tazza e si rivolse alla dama.
“Mia dolce amica Irene, i preparativi per le vostre nozze col Segretario Sherlock procedono bene?”
La fanciulla arrossì visibilmente e si stropicciò le mani in grembo con un certo imbarazzo. A rispondere fu il suo fidanzato: “Ormai sono quasi ultimati, mia sovrana. Il matrimonio è imminente ed entrambi siamo pieni di gioia al pensiero di giurarci amore e fedeltà per il resto delle nostre vite.” Il suo sguardo si rivolse ad Irene, uno sguardo indubbiamente colmo d’amore per lei.
“Sono sicura che sarete molto felici insieme!” Li omaggiò la regina, portandosi una mano al cuore con trasporto.
L’armonia della scena venne bruscamente interrotta quando un ospite inatteso fece irruzione nella sala gridando un…
“Tesoro, sono a casaaa!”
Tachihara sfilò velocemente le scarpe all’ingresso e saltellò con agilità lungo il corto corridoio fino a quando non svoltò l’angolo e si ritrovò affacciato al salotto che comprendeva anche la cucina. Sbatté le palpebre, ritrovandosi di fronte una scena alquanto singolare!
“Bentornato, amore! Stiamo giocando al tè con la regina!” Lo informò Gin, con addosso un semplice vestito leggero da casa con la scollatura  a barca e una coroncina giocattolo sul capo.
In effetti, l’intero scenario era stato composto alla bell’e meglio per creare l’atmosfera! Moriarty, che impersonava il Primo Ministro, aveva al collo un foulard di Gin e indossava una giacca di molte taglie più grande della sua che avevano recuperato dall’armadio e che, invero, aveva visto la luce solo una volta, precisamente otto anni prima al matrimonio di Dazai e Chuuya. Il Segretario ovviamente era il suo gemello Sherlock e di certo non era un caso che Moriarty gli avesse affidato un ruolo così al di sotto del proprio!
“Zio Michizou, vuoi giocare con noi? Moriarty ti darà un ruolo tutto tuo!” Intervenne Hana, con un gran sorriso che la rendeva ancora più bella.
“Oh davvero, tesoro? A te che ruolo ha dato?” Chiese lui con premura.
“Io sono Irene, la fidanzata del Segretario Sherlock!” E appena detto si portò entrambe le mani alle guance arrossite, ridacchiando. Era adorabile!
Tachihara, attirato da alcuni strani versi alle proprie spalle, si voltò e allungò lo sguardo verso il divano dove il piccolo Hikaru, che ancora portava il pannolino, si coccolava contro un enorme orso di peluche bianco come la neve. Di fronte, il vivacissimo Riku agitava una corta spada di gomma ed emetteva dei suoni con la bocca per simulare l’aria sferzata dalla lama!
Ridacchiò: “Vado a cambiarmi e arrivo, d’accordo?”
In risposta ci fu un collettivo “Vaaaaa beeeeeeneeee!”
“Bambini, voi decidete come procede la storia, vado un momento con lo zio!”
Gin si alzò dal tavolo e posò la coroncina sul ripiano, accanto alle porcellane inglesi (l’unica cosa vera in tutta la messinscena!), quindi seguì Tachihara fino alla camera da letto.
“Non sapevo che oggi ci avrebbero portato i bambini! Altrimenti sarei tornato prima!” Disse lui, sfilandosi la maglia e restando così a torso nudo.
Gin fece spallucce. “Temevo di disturbarti mandandoti un messaggio! Sappiamo entrambi che il Boss non ama i telefoni che vibrano durante le riunioni!” Lasciò un sospiro sereno. “Sto così bene quando capitano giorni come questo! Essere circondata da quei piccoli è la cosa più bella del mondo!”
“Mh.” Il sorriso di Tachihara divenne improvvisamente malinconico, come anche le parole che pronunciò. “Potrebbe essere così ogni giorno, se tu avessi un buon marito accanto, invece di me.”
Lo sguardo luminoso ed il sorriso di Gin ebbero lo stesso repentino mutamento. Si avvicinò a lui e intrecciò le dita della mano alle sue. Le fedi nuziali tintinnarono.
“Amore… Tu sei un buon marito! Non vorrei nessun altro al mio fianco!”
Tachihara lasciò un lieve sospiro triste: “Potresti averne uno in grado di darti dei figli, visto che io non posso.”
Lei scosse il capo. “Sciocco che sei! Io sono felice lo stesso! I piccoli che giocano di là è un po’ come se fossero anche nostri, no?”
Era commosso da tanta bontà. Lui e Gin erano sposati da un paio di anni. Aveva accettato di unirsi a lui in matrimonio nonostante sapesse che non avrebbero mai potuto avere figli, poiché lui era praticamente sterile. Ancora si chiedeva come avesse fatto a conquistare il cuore di una ragazza così meravigliosa, soprattutto dopo aver rivelato il proprio tradimento alla Port Mafia, di aver confessato di essere un infiltrato dei Cani da Caccia e…dopo averla ferita col proprio potere facendola finire in ospedale. Poi lui era riuscito a guadagnarsi nuovamente il rispetto dei colleghi e del Boss della Port Mafia, lei lo aveva perdonato e sostenuto e ora sembrava essere felice della sua vita da sposata. Però…
“Zio Michizou, zia Gin! Venite?”
Hana fece capolino nella stanza, il visetto all’insù per guardarli e scrutare i volti velati di tristezza.
Gin tornò subito sorridente e anche Tachihara abbozzò un sorriso per non farla preoccupare. Si chinò sulla piccola e chiese: “Arriviamo subito! Moriarty ha già scelto un ruolo per me?”
“Sì! Ha detto che puoi fare la spia infiltrata a corte perché lo hai già fatto in passato!”
Un coltello si materializzò dal nulla e si conficcò sulla schiena di Tachihara. Non sapeva chi fosse stato a raccontargli quei fatti, però di una cosa era sicuro: quel bambino era un piccolo mostro!
Come sentendo i suoi pensieri, Gin si mise a ridere e disse: “Questo è il lato positivo: a fine giornata possiamo restituirli tutti ai legittimi proprietari!”
Anche se Hana non sapeva di cosa stesse parlando la zia, rise a sua volta, trascinata dall’entusiasmo. Una risata innocente che l’aveva accompagnata durante tutta l’infanzia e l’adolescenza, e che ancora le apparteneva in età adulta.
Si premette una mano sul ventre, continuando a ridere per via di quel buffo ricordo. “Moriarty ha sempre tenuto in pugno lo zio Michizou! Non c’era niente che lui potesse fare per farsi rispettare come adulto!”
Sullo stesso letto dove lei sedeva, ma un po’ più in là, Sherlock ripose dentro una valigia un’ordinata pila di indumenti, adagiandola con cura. “E’ vero! Però, nonostante le apparenze, mio fratello gli voleva molto bene, come lo zio ne voleva a lui.” Posò una mano sugli indumenti e aggiunse: “Gli ho tenuta nascosta la notizia di dove si trova Moriarty perché altrimenti vorrebbe venire con me senza sentire ragioni. Preferisco di no, sapendo quanto è impulsivo.”
La risata di Hana scemò velocemente. Abbozzò un sorriso malinconico e volse lo sguardo a Sherlock.
“Non sentirti in colpa per questo. Quando tornerai assieme a Moriarty, avrà tutto il tempo di riabbracciarlo e dargli una lavata di capo!”
Sherlock la osservò per alcuni istanti, ammirò la sua figura aggraziata, il viso fresco e pulito, i neri capelli raccolti su una spalla e che le ricadevano sul davanti fino al girovita,  il vestitino azzurro senza maniche, con la scollatura minima e una bella gonna a tulipano che le sfiorava le ginocchia, le gambe sottili e i piedi ingentiliti dai sandali. Le andò di fronte, si mise in ginocchio e prese amorevolmente la mano di lei sul cui anulare splendeva un diamante rosa dal taglio classico incastonato su montatura d’oro.
“Vieni con me, Hana. So che con te al mio fianco troverò il coraggio di affrontare mio fratello e riportarlo a casa.”
Lo sguardo di lei ebbe un leggero tremore. Lo abbassò. “Non posso. Se partissimo entrambi, l’Agenzia ne risentirebbe.”
“Si tratta solo di pochi giorni. Lo stesso Presidente ha detto che dobbiamo considerare questa situazione come un incarico di lavoro dell’Agenzia. E poi…” Col pollice sfiorò la pietra dell’anello di fidanzamento. “Noi potremmo prenderlo come una prova della nostra luna di miele. Io e te a Londra. E’ il nostro sogno fin da quando eravamo bambini!”
“Già… Abbiamo fantasticato così tante volte su quella città che ormai ci sentiamo irrimediabilmente legati a lei. Però…questa volta non è una delle nostre avventure immaginarie. Si tratta di Moriarty e Mafuyu e di cosa potrebbero fare se nessuno li ferma.”
Sherlock prese un lungo respiro.  C’era poco da scherzare. Con l’enorme potere di cui quei due erano dotati gli scenari catastrofici si sprecavano.
“Ascolta… So di rischiare di passare da ipocrita dicendolo, ma credo che tu abbia bisogno di questo viaggio. Sia tu che io siamo stati ingannati e traditi dalla persona che amavamo e a distanza di cinque anni ancora non siamo riusciti a voltare pagina del tutto.”
Amore… Una parola che aveva molti significati e che ognuno poteva interpretare secondo la propria idea. Che Hana avesse avuto una relazione sentimentale con Mafuyu era un fatto risaputo, mentre nessuno avrebbe mai saputo di lui e Moriarty, del sentimento incestuoso che li aveva legati e che si era interrotto proprio a causa di Mafuyu e della sua intromissione fra loro due. Per tutti quanti e per la morale comune, due gemelli dovrebbero condividere l’amore fraterno, non il desiderio carnale. Per fortuna nessuno aveva intuito la verità. Ciò che c’era stato fra loro doveva restare segreto e seppellito nel passato. Se i loro genitori lo avessero scoperto, ne sarebbero rimasti feriti e disgustati…e di certo anche Hana.
Lo sguardo di Hana si fissò su quello di smeraldo di lui, le parole accentuarono un certo disappunto. “Sherlock, tra un mese ci sposiamo! O stai dicendo che il nostro amore è finto?”
“Non ho detto questo! Ci abbiamo messo un bel po’ per innamorarci e capire che eravamo fatti l’uno per l’altra. E ora posso giurare di amarti più di ogni cosa al mondo! Però…” Esitò, le labbra socchiuse in attesa di trovare il modo giusto per terminare la frase. “Sento che abbiamo ancora qualcosa in sospeso. E la cosa migliore è restare uniti. Tu ed io. A Londra. Come Sherlock e Irene.”
Quelle parole ebbero l’effetto sperato. Il volto di Hana si rilassò, le sue labbra s’incurvarono leggermente.
“Quel gioco si è rivelato una premonizione! Chi avrebbe mai detto che saresti diventato il Segretario personale del Presidente Kunikida e che ci saremmo fidanzati!”
Abbassò il capo finendo fronte contro fronte con lui. Una risata complice, poi Sherlock si mosse e le rubò le labbra con un bacio. Un ultimo ostacolo da affrontare  e poi finalmente la felicità avrebbe spalancato loro le porte.
Dling!
Entrambi si voltarono. Sherlock si rimise in piedi e raggiunge il comodino su cui era il cellulare, in quel momento con lo schermo illuminato per l’arrivo di una mail. Lo prese in mano e pigiò qualche tasto.
Vedendo le sue sopracciglia aggrottarsi un po’, mentre lo sguardo scorreva le righe velocemente, Hana chiese incuriosita: “Chi ti scrive?”
“Ehm… Ho ricevuto la conferma di una prenotazione. Un hotel a cinque stelle nel quartiere di Westminster.”
“Cinque stelle a Westminster? Ti tratti bene, amore mio!” Lo stuzzicò, ridacchiando.
“Veramente io non ho mai fatt-” S’interruppe di colpo, poi aggiunse: “Una camera da letto matrimoniale per il signore e la signora Edogawa.” Soppesò il telefono nella mano, tradendo una certa agitazione, quindi allungò lo sguardo verso Hana. “E’ stato Moriarty. Ha previsto anche questo.”
Hana, inizialmente sorpresa, finì col lanciargli un’occhiata maliziosa. “Allora non possiamo tradire le sue aspettative! Non credi? E luna di miele sia!” E fece l’occhiolino al suo fidanzato.
Se Moriarty aveva deciso di farsi trovare, come aveva sostento suo padre Ranpo il giorno prima, e ora addirittura aveva mandato un messaggio esplicito a loro due affinché partissero insieme, doveva esserci qualcosa sotto…
*
 
Mentre all’esterno la città di Yokohama era assediata dall’umidità insopportabile e dai raggi del sole che fungevano da lame infuocate e non lasciavano scampo a nessuno (una descrizione che andrebbe bene anche per alcuni gironi dell’Inferno! LOL), nella sede principale della Port Mafia l’aria condizionata donava un clima del tutto differente, permettendo alle persone al suo interno di respirare senza affanno e di indossare indumenti non necessariamente estivi. A partire dagli agenti che erano costretti dal regolamento ad indossare giacca e cravatta durante il servizio!
Quella domenica, ai piani alti della sede, all’interno di un ampio e lussuoso appartamento di proprietà dei coniugi Dazai-Nakahara, si chiacchierava spensieratamente attorno ad una tavola imbandita in attesa di consumare il pranzo. Il vistoso lampadario composto da centinaia di cristalli, vegliava sui familiari e su quella tavola, scambiando di tanto in tanto qualche luccichio con gli eleganti bicchieri, anch’essi di cristallo, i quali incorniciavano un vassoio coperto da una cloche. Quel giorno, Dazai e Chuuya stavano godendo della piacevole compagnia del caro nipotino Riku e dei suoi genitori.
Facendo un paragone, né il lampadario né i bicchieri potevano rivaleggiare con la bellezza di Atsushi e Chuuya, in quanto entrambi sembravano opere d’arte viventi se non addirittura modelli usciti da una rivista. Chuuya aveva scelto di indossare dei raffinati pantaloni grigio chiaro caratterizzati da due file di bottoni all’altezza delle anche, una camiciola bianca semitrasparente dal taglio morbido con maniche a tre quarti e scollatura a V e un paio di scarpe aperte in punta e con tacco a spillo, inoltre aveva raccolto alcune ciocche di capelli con delle forcine diamantate, mentre la lunghezza gli ricadeva oltre le spalle. Insomma, era uno schianto! Atsushi, di gusti decisamente più sobri, aveva optato per una camicetta smanicata in taffetà color perla con rifiniture in pizzo, un paio di pantaloni aderenti neri, delle semplici scarpe di tipo ballerina in tinta nera laccata ed infine i capelli lisciati sulle spalle e con l’immancabile ciocca a lato del viso. In poche parole, era una splendida bambolina! Avevano di che vantarsi Akutagawa e Dazai per avere dei compagni di vita dotati di tanto fascino femminile, anche se di fatto in quella sala erano tutti uomini (!)
Tra una frase e l’altra, Atsushi abbozzò un: “Forse è il caso di rimettere l’anatra in forno, mentre aspettiamo il piccolo Akira. Cosa ne dici?”
Chuuya, a cui era stata posta la domanda, da un po’ si cullava deliziosamente facendo ondeggiare la gamba accavallata sull’altra da sotto il tavolo, mentre ascoltava i discorsi attorno tenendosi il viso col palmo della mano. Gli diede un’occhiata e rispose: “Akira è con Kouyou nell’appartamento del Boss. Quei due amano giocare a fare i nonni, così oggi ho concesso loro di tenere Akira per l’intera giornata!”
Atsushi sbatté le palpebre, perplesso, prima di volgere lo sguardo alla postazione di fatto apparecchiata. “Ma…allora…?”
Chuuya lo anticipò: “Devi chiedere a tuo figlio! E’ stato lui ad organizzare tutto!”
Il diretto interessato, seduto accanto alla sua adorata nonna, cambiò visibilmente colore nel rendersi conto che era il momento di fare un annuncio.
“Ehm…” Si alzò dalla sedia in modo da attirare l’attenzione anche del padre e del nonno, quindi si schiarì la voce e disse un po’ impacciato: “Io…ecco… So che forse non è il momento migliore, con Hana e Sherlock partiti per l’Inghilterra, però…ecco…in realtà avevo già chiesto ad obaa-san il permesso di pranzare qui per…per…” Normalmente era un ragazzo serio e di aspetto indubbiamente somigliava molto a suo padre, però in certi momenti il suo carattere si scioglieva facendogli cambiare personalità ed allora in lui si riconosceva anche qualcosa di sua madre!
“Dunque, ho organizzato questo pranzo perché voglio presentarvi la persona di cui sono innamorato.”
Cri cri cri… No è impossibile che ci fossero dei grilli a quel piano! Però il silenzio lo mise ancora di più a disagio, oltre agli sguardi della sua famiglia puntati contro. E’ il caso di dire che diventò così rosso che da un momento all’altro gli sarebbe uscito il vapore dalle orecchie!
“CIOE’!!! …in realtà è qualcuno che conoscete già, però voglio rendere ufficiale la nostra relazione e fare le presentazioni come si deve! E…”
Vrr vrr. Vrr vrr… Era il cellulare che gli vibrava nella tasca dei jeans.
“E…mh…un secondo..” Si voltò di scatto e recuperò il cellulare che poi si portò all’orecchio.
“Sì? …ah bene! ….sì. …sì grazie! Allora aspetto a questo piano! Grazie ancora!”
Ripeté gli stessi movimenti, però al contrario, quindi si rivolse ai familiari indicando la porta con l’indice: “Era il guardiano. Ehm…lui è arrivato. Vado ad accoglierlo all’ascensore.”
E filò via.
Atsushi fu il primo a riprendersi da quell’inaspettata confessione. La sorpresa sul suo volto lasciò spazio ad un’altra espressione piuttosto buffa, infatti assottigliò gli occhi volgendo lo sguardo ad Akutagawa ed esibì un sorrisino malizioso. “LUI!” Sottolineò compiaciuto.
Akutagawa gli rispose con un’occhiata quasi divertita.
“Cos’era quello?” Chiese Dazai, muovendo velocemente il dito dall’uno all’altro, curioso di sapere i dettagli di quello scambio tra loro.
Akutagawa, braccia incrociate al petto, spiegò tranquillamente: “Sapendo quanto è legato a sua sorella, ero convinto che gli interessassero le ragazze.” Fece spallucce: “Mi sbagliavo!”
La bocca di Dazai divenne una ‘O’ perfetta. “Ma allora non ne sapevate niente nemmeno voi!”
“Già!” Atsushi ridacchiò: “Non riesco ad immaginare Riku in una situazione romantica! Eh eh!”
Mentre i quattro scambiavano le prime impressioni, Riku attendeva di fronte all’ascensore che si sarebbe aperto da un momento all’altro.
Ding!
Per l’appunto, le porte si aprirono e comparve l’ospite tanto atteso.
“Sono in ritardo, vero? La metro su cui viaggiavo ha  avuto un problema momentaneo e mi ha fatto perdere tempo!”
Hikaru uscì dall’ascensore con uno slancio che lo fece finire addosso al suo ragazzo, gli occhioni azzurri velati di preoccupazione.
“Tranquillo, nessuno si è lamentato!” Disse subito Riku, affermando il vero.
Come rendendosi conto di essere appoggiato di peso a lui, Hikaru si rimise in piedi dritto e si passò rapidamente le mani sulla camicia per lisciarla da immaginarie pieghe. “Sto-sto bene così? Mio padre ha insistito perché indossassi gli abiti da festa, vista l’occasione, però…” Di fatto indossava una camicia artigianale di cotone bianco e con le lunghe maniche stirate con la classica riga centrale, i pantaloni color cioccolato e scarpe marrone scuro ben lucidate di tipo classico. Sì, volendo erano abiti da festa…….di un altro secolo!
Anche se Riku non disse niente, Hikaru parve leggerglielo negli occhi e si lasciò prendere dal panico.
“Lo sapevo!!! Avrei dovuto indossare qualcosa di più normale!!!” Si portò le mani al viso con evidente timore. “Chissà che cosa penseranno i tuoi genitori!!!” Una tinta bluastra gli colorò le guance livide. “Chissà cosa penserà tua nonnaaaa!!!” E si morse le unghie per l’agitazione!
D’altra parte non aveva tutti i torti ad aver paura di Chuuya. Oltre ad essere un temuto Dirigente della Port Mafia, era anche una nonna che stravedeva per il nipote e che in più di un’occasione aveva allontanato eventuali seccatori da lui ritenendo che non fossero persone adatte a rivolgergli la parola. O almeno questo era ciò che mostrava pubblicamente, salvo poi coprire le fughe del nipote nei locali notturni e negli alberghi a ore! Dettagli…
Riku, per timore che si mangiasse davvero le unghie in preda all’agitazione, pensò bene di allontanargli le mani dalla bocca e in sostituzione vi posò le labbra, premendole in un bacio. Hikaru smise di respirare, gli occhi spalancati per tutta la durata del bacio. Non appena Riku si scostò, i loro sguardi si incontrarono.
“Scusami…è che ci tengo tanto a fare una buona impressione sulla tua famiglia…”
Riku accennò un sorriso dolce: “Lo so! E vedrai che andrà tutto bene!”
“E se…non dovessero accettarmi come tuo ragazzo?”
“Lo faranno. Perché io ti amo.”
Dopo una dichiarazione così tenera era impossibile sollevare altri dubbi! Hikaru ridacchiò: “Eh eh, vederti così sicuro mi ha fatto calmare!”
“Sicuro? Io? Avresti dovuto vedermi due minuti fa!”
Si scambiarono un’occhiata complice, quindi Riku disse: “Andiamo!”
Giunti di fronte alla porta socchiusa, mano nella mano, si scambiarono ancora un’occhiata di rassicurazione prima che Riku la spingesse con la mano libera. Entrò nell’appartamento portandosi letteralmente dietro il suo ragazzo, che praticamente nascondeva con la propria statura!
Otou-san. Okaa-san. Obaa-san. Ojii-san.” Prese respiro e fece un passo di lato per rivelare finalmente la piccola figura dietro a sé. “Vi presento il mio ragazzo.”
Hikaru, che miracolosamente aveva riacquistato colorito umano, per non incontrare lo sguardo degli uomini praticò subito un cortese inchino. “Miyazawa Hikaru. Piacere. Sono felice di essere il ragazzo di Riku. Lui…lui è fantastico e io farò di tutto per essere degno del suo amore! Vi prometto che avrò cura di lui!”
“Ugh…” Riku ebbe un sussulto nel sentire quel discorso appassionato! Si sporse leggermente verso di lui e disse sottovoce: “Non esagerare… Non dobbiamo mica sposarci!”
Hikaru finalmente si rese conto di ciò che aveva detto e, inevitabilmente, divenne paonazzo per la vergogna. “S-scusa!!! Lo sapevo che avrei fatto un casino!!!”
Il rumore di una sedia attirò la loro attenzione. Si voltarono. Atsushi ora era in piedi e stava guardando Hikaru dritto negli occhi. Fece un passo per avvicinarsi a lui e...accennando un sorriso disse: “Benvenuto nella nostra famiglia!” E lo abbracciò con affetto.
Riku sentì la terra mancagli sotto i piedi. Si lamentò esasperato: “Eccone un altro! Uff, che idea ho avuto!”
“Riku, vai a chiudere la porta così possiamo pranzare.” Il tono di Chuuya era secco e freddo come il suo sguardo.
Riku obbedì prontamente all’ordine e tornò subito al tavolo.
Atsushi indicò ad Hikaru il posto libero e lo invitò: “Siedi accanto a me!”
“Mh! Grazie!”
Si sedettero e, una volta che anche Riku ebbe ripreso posto accanto alla nonna, Dazai di occupò di sollevare la cloche sotto cui attendeva una bella anatra arrosto ancora calda, da cui tra l’altro si innalzava un piacevole aroma di marsala. Essendo lui il capofamiglia, si occupò di tagliare l’anatra, mentre Chuuya da brava mogliettina distribuì i piatti agli ospiti.
Inizialmente la conversazione fu proiettata sulla fresca coppietta, sullo stupore dei genitori i quali non si erano accorti di nulla in due anni e sul fatto che invece Kenji l’avesse capito subito e avesse mantenuto il segreto per dar loro il tempo di prepararsi a fare coming out. Poi, di punto in bianco, in un momento in cui l’unico suono nella sala era quello delle posate che tintinnavano contro i piatti di porcellana…
“Dì ragazzo, hai la super forza come tuo padre?” Chiese Chuuya, stando concentrato sul proprio piatto.
Hikaru si pulì le labbra col tovagliolo, cercando le parole adeguate per una spiegazione. “Sì. Cioè…no. Il mio potere, ‘Una notte sul treno della via lattea’, mi dona una forza sovrumana e mi consente di fare lunghi balzi come se volassi. L'unico difetto è che posso attivarlo solo dopo il tramonto.”
“Mh. Quindi sei tu il responsabile di tutti quei danni alle camere d’albergo.”
……………………………………………………………….!!!
Con coraggio, Riku prese le difese del suo ragazzo. “Obaa-san, non è colpa sua. Sono io che sono troppo irruento e gli faccio perdere il controllo. E poi non credevo lo sapessi, ho sempre risarcito gli albergatori col mio denaro.”
Chuuya allungò lo sguardo affilato su Hikaru e poi al nipote. “La mia era un’osservazione, non un rimprovero.” Quindi tornò a porre domande al primo. “Se non ricordo male sei all’ultimo anno di scuola superiore. Immagino che dopo il diploma entrerai all’Agenzia di Detective Armati, giusto?”
“Sì, signora!”
Chuuya lo fulminò con lo sguardo.
Acc…
“Ehm, signore! Signor Nakahara…” Salvo per il rotto della cuffia!
Con noncuranza, Chuuya riprese: “Ti troverai bene. In quel posto vengono assunti solo casi disperati.”
A quel punto Atsushi si fece sentire: “Ehi! Io e Dazai facciamo parte dell’Agenzia!”
Chuuya diede una sbirciata al marito e poi tornò a guardare Atsushi. “Appunto.”
Stonk! *due massi materializzati dal nulla crollarono sulle teste dei due*
“Però ammetto che mi dispiace per Hana. Avrei voluto che entrasse nella Port Mafia, dopo che il Boss glielo aveva chiesto con enorme interesse…”
Era vero, dopo il diploma era stata invitata nell’ufficio personale di Mori affinché lui le chiedesse personalmente di mettere i suoi poteri a disposizione della fazione. Ma lei, ancora reduce di quanto accaduto con Mafuyu, aveva declinato l’offerta senza pensarci un istante di più. Invece quando era stato il Presidente Kunikida a chiederglielo, aveva accettato con gioia e per un periodo era stata affiancata a sua madre Atsushi per imparare il lavoro d’ufficio. Nello stesso periodo anche Sherlock aveva iniziato a lavorare all’Agenzia, seguendo le orme dei genitori Ranpo e Yosano. Erano passati circa quattro anni d’allora.
Il piccolo e innocente Hikaru, seguendo il battibecco e sentendosi vittima del disappunto di Chuuya, abbassò lo sguardo tristemente. “Io…so di non avere un gran potere, però…mi impegnerò per essere utile, signor Nakahara.”
A questo punto si fece sentire anche Akutagawa, nonostante fosse rimasto impassibile per tutto il tempo. “Chuuya, non fare la femmina pungente, lo stai demoralizzando.”
“Guarda che non ho nulla contro di lui!” Lo rimbeccò, ma constatando che in effetti Hikaru sembrava abbattuto, dovette sciogliersi un poco. “Confermo che quel posto è pieno di casi disperati. Però ognuno di loro ha sempre svolto un buon lavoro. E comunque non sono contrariato del fatto che Riku sia innamorato di te.”
Il volto di Hikaru si illuminò all’istante.
“Quindi…tu approvi la nostra relazione, obaa-san?” Chiese Riku, speranzoso.
“Certo! A patto che questo non interferisca col tuo lavoro. Sei pur sempre un mio sottoposto.”
I due piccioncini si guardarono raggianti di gioia. Alla fine, tutto ciò di cui avevano avuto timore era proprio il giudizio di Chuuya, ma ora che questo ostacolo era stato superato finalmente potevano rilassarsi e godersi il pranzo in famiglia.
*
 
Casa dolce casa! Una frase che indica un luogo di appartenenza, un luogo in cui tornare, un tetto sulla testa, un posto sicuro che infonde calore e sicurezza. Meglio ancora se tutto questo ha le sembianze di un ampio appartamento piuttosto lussuoso, sulla sommità di un palazzo in centro città! Ma in quel momento Atsushi non era interessato a nulla di tutto ciò. Appena varcata la soglia sfilò le scarpette con noncuranza e appese la borsa a tracolla senza guardare l’appendino, tanto era concentrato ad armeggiare col telefono. Attraversò in corridoio in marmo rosa e avanzò all’interno del salotto portandosi fin davanti ad una delle finestre. La luce del sole che filtrava dalle sottili tende azzurre si sparse rassicurante su di lui.
“Per fortuna abbiamo lasciato il condizionatore acceso, altrimenti ora qui dentro sarebbe un forno!” Puntualizzò Akutagawa richiudendo la porta all’ingresso. Il rumore delle chiavi abbandonate sul vassoio e poi quello felpato dei suoi passi sul marmo. Affacciandosi al salotto scorse la figura di Atsushi, il capo chino, e notò la tensione delle sue spalle. “Hai controllato il telefono già tre volte in auto, mentre tornavamo.”
“Lo so. Volevo essere sicuro che non ci fosse nessun messaggio.”
Akutagawa si avvicinò a lui e andò a posargli le mani su quelle spalle tese, con l’intenzione di massaggiarle. Avvicinò le labbra al suo orecchio e sussurrò: “Hana ci ha chiamati appena scesa dall’aereo e anche quando lei e Sherlock sono arrivati all’albergo. Se non ci ha più contattati significa che non ha novità. Non devi preoccuparti.”
Atsushi lasciò un lungo sospiro, rilassando le spalle sotto le dita del suo compagno. “So anche questo. Ma è più forte di me, non posso fare a meno di preoccuparmi.”
Le dita di Akutagawa scesero lungo la linea della schiena e seguirono le curve dei fianchi sottili.
“Andrà tutto bene, Atsushi. Sherlock è con lei e la difenderà a qualunque costo. Anche se rimango convinto che Moriarty non potrebbe mai far loro del male.”
“Un’altra cosa che so…” Nonostante il tono triste e il faccino imbronciato, il suo corpo si rilassò contro quello di Akutagawa, la nuca si posò contro la sua spalla.
“Invece di questo, perché non parliamo di qualcosa di più allegro? Della grande rivelazione di Riku, ad esempio!”
“Eh eh! Hai ragione! Chi se lo sarebbe immaginato! Riku e Hikaru…” Fece una pausa e poi aggiunse: “Domani in ufficio io e Kenji avremo un bel po’ di cui parlare!”
Akutagawa gli stampò un bacio sul collo. “Potresti invitarlo a cena. Anche io vorrei sentire ciò che racconterà.” E le sue labbra si avventurarono sull’incavo tra la spalla ed il collo, perdendosi in una serie di baci caldi e bagnati che rubarono un piccolo gemito ad Atsushi.
“Quei due hanno detto di voler trascorrere il pomeriggio alla sala giochi… Secondo te ci sono andati davvero? Dopo le cose che ho sentito a pranzo, sono più propenso a credere che siano andati in alberg- Ahi!” *piccolo morso sulla pelle delicata*
Akutagawa sollevò il capo e tornò a parlargli all’orecchio. “Andiamo anche noi nella nostra sala giochi?”
Momento di silenzio. Punto di domanda sopra la testa di Atsushi.
“Ne abbiamo una???”
Nonostante l’età continuava ad essere innocente come un pupo! Sapendolo bene, Akutagawa lasciò correre e tentò di fargli capire con altre parole.
“Be’…noi la chiamiamo…camera da letto.”
Lo sguardo perso di Atsushi tornò presente quando finalmente capì l’allusione.
“A….ah! Intendi…”
La mano destra di Akutagawa abbandonò il fianco su cui era posata e prese a scendere lentamente, fin che le dita non incontrarono una certa sagoma sotto la patta dei pantaloni, allora ne seguirono la forma disegnandola verso il basso e verso l’alto. Il respiro di Atsushi si fece più rumoroso, i battiti del cuore aumentarono il ritmo.
“E’ un posto in cui ci divertiamo parecchio, vero?” Insistette Akutagawa, il tono caldo e sensuale, il respiro contro l’orecchio di lui. Come se non lo avesse stuzzicato abbastanza, decise di mordicchiargli il lobo dell’orecchio e di proseguire leccandogli il collo, mentre la sua mano si muoveva con più forza sul basso inguine di Atsushi dove ormai vi era un’evidente erezione. Non che lui fosse da meno, comunque. Per dimostrare quanto fosse eccitato al solo toccarlo, inarcò leggermente i fianchi in avanti per fargli sentire la propria erezione contro le natiche.
“MH! Anf anf… A-akutagawa…” La voce incrinata dal piacere.
“Mh? Cosa?”
“Voglio…voglio…” Tanti anni di convivenza non avevano ancora spezzato il suo senso del pudore. Altrimenti detto, nemmeno senza sangue nella testa riusciva a dire certe cose piccanti! E allora…era meglio agire!
Sfuggì rapidamente al suo tocco e, prima che lui potesse dire alcun che, lo spinse sul grande sofa bianco che era lì accanto, per poi affrettarsi a sfilare i pantaloni e gettarli via. Seguìto dallo sguardo sbalordito di Akutagawa, si accomodò su di lui cavalcioni, liberò la sua virilità dalla stoffa e prese a muoversi sensuale facendo sfregare la propria intimità contro quella di lui. Era il caso di dirlo, spesso Atsushi era più bravo coi fatti che non con le parole!
Akutagawa andò ad accarezzargli le belle cosce tiepide, le dita che scivolavano gentili sulla pelle di seta, per poi risalire e afferrargli i fianchi con decisione in modo da guidarlo nel movimento. La propria erezione che pulsava contro le sue parti intime sembrava premere maggiormente a contatto coi piccoli  e tondi testicoli. I gemiti di Atsushi erano così dolci…il movimento dei fianchi così piacevole…. Lo sguardo gli cadde sui capezzoli inturgiditi e ben visibili attraverso la stoffa della camicia, ma quella contemplazione venne presto interrotta quando Atsushi gli prese una mano e se la portò alla bocca, infilandovi tre dita.  I loro sguardi si unirono magnetici mentre la lingua di Atsushi giocava con quelle dita, talvolta stringendo le labbra e risucchiandole. Non smisero di guardarsi nemmeno quando le dita abbandonarono la bocca e, guidate dalla mano di lui, trovarono la strada fra le natiche per raggiungere la cavità anale. Da lì Akutagawa procedette da solo. Insinuò un dito e pian piano lo spinse fino in fondo mentre già il secondo cominciava a farsi strada. Stessa cosa per il terzo. Il corpo del suo compagno reagiva velocemente a quel tocco, anzi, sembrava fosse esso stesso a chiedere di più e al più presto! Non appena le dita scivolarono fuori, Atsushi abbassò il bacino per far scivolare dentro la grossa virilità di lui. Era una sensazione di…riempimento (?), così bella e particolare da non averne mai abbastanza. Non era solo appagamento sessuale, la necessità di sentire Akutagawa dentro era qualcosa che andava oltre, che gli toccava lo spirito, un’unione di corpi che lo faceva sentire completo fino in fondo all’anima. Ecco cos’era per lui l’uomo col quale, molti anni prima, aveva deciso di condividere la vita.
*
 
“E’ stato un pranzo molto diverso dal solito, eh?”
Disse Dazai mentre si sbottonava la camicia all’angolo della camera da letto, dove vi era una sedia su cui era solito riporre i propri vestiti che ancora non erano destinati a finire nel cesto della biancheria da lavare.
Chuuya, seduto di fronte allo specchio della toeletta, stava sfilando le forcine diamantate dai capelli, districandole con attenzione dai ricci rossi. Rispose con noncuranza. “Diverso è dir poco. Sembrava la scena di un BL. Attorno a quel tavolo eravamo tutti uomini gay…”
Dazai si voltò di scatto, gettò la camicia sulla sedia con gesto brusco, quindi rispose infastidito: “Io non sono gay! A me piacciono le donne!”
“Tsk. Allora dovresti guardare meglio cosa c’è fra le gambe di tua moglie!”
Colta la nota umoristica, Dazai scosse il capo divertito, facendo agitare i bei capelli mossi e ormai quasi completamente brizzolati. “Tu sei la mia eccezione, lo sai! Se non mi fossi innamorato di te a quest’ora sarei morto e sepolto assieme ad una bella ragazza!” Di nuovo si voltò verso l’angolo e prese ad armeggiare con la patta dei pantaloni.
Quel giorno non aveva addosso neanche una benda. Guardandolo dal riflesso dello specchio, Chuuya ancora si stupiva di questa cosa. Per anni aveva tentato di convincerlo a sbarazzarsi di quell’abitudine inutile e dispendiosa ma….be’, alla fine avevano raggiunto un compromesso, ossia che le avrebbe indossate solo durante il lavoro o per eventuali uscite col loro figlioletto. Nei giorni di festa o comunque quelli in cui sarebbe rimasto a casa, le avrebbe riposte nel cassettone e dimenticate. E così era stato. Chuuya non aveva mai compreso appieno il motivo che lo spingeva a farne uso, era come se fosse stato spaventato da qualcosa che non aveva saputo spiegargli. Ma dopo quell’accordo, poter vedere il suo bel corpo snello, percorrerlo con lo sguardo seguendo ogni singola linea, ogni curva, ogni dettaglio dal collo fino ai piedi, era diventato qualcosa di simile ad un rito. Ovviamente Dazai lo sapeva e anche in quel momento, sbirciando con la coda dell’occhio, aveva visto lo sguardo di sua moglie puntato addosso con interesse e…desiderio.
Si schiarì la voce. “Akira ce lo riportano prima di cena, giusto?”
Chuuya ebbe un piccolo fremito nel sentirsi rivolgere la parola così all’improvviso, tanto era concentrato sulla sublime visione. Si schiarì la voce a sua volta. “Ehm…sì, stando a quanto ha detto Kouyou.”
“Mmmh!” Terminato di piegare i pantaloni che si era tolto e averli riposti accanto al fagotto della camicia gettata alla rinfusa, lasciò l’angolo e camminò fino ad essere dietro a Chuuya, dove poi si fermò e si mise in posa portandosi le mani ai fianchi. Di fatto, aveva addosso solo i boxer.
“Pe-cough… Perché ti sei spogliato?” Chuuya pregò di non arrossire. Dopo tanti anni di matrimonio era ridicolo sentirsi così nel vedere il proprio marito in mutande!
Dazai lo accarezzò con lo sguardo per alcuni istanti, senza dire nulla, poi con gesto sicuro allungò le mani e andò a sfilargli di dosso la camicia semitrasparente.
“Ma che-Dazai???”
“Via!” E la gettò a terra. “E ora togliamo anche questi!” Allo stesso modo e con la stessa abilità, si occupò dei bottoni sulla fila di destra e sfilò sia i pantaloni sia i boxer dalle gambe di Chuuya, ignorando le sue proteste impacciate. Gli mancò un battito quando Chuuya strinse le ginocchia nel tentativo di coprire la propria nudità. Ma ancora non bastava! Adocchiò le scarpe col tacco a spillo che giacevano accanto alla porta e filò dritto a recuperarle.
“Che stai facendo? Non voglio rovinare la moquette!” Starnazzò Chuuya.
“E chi ha detto che devi camminare?”
Le parole che pronunciò suo marito lo lasciarono senza via di fuga, come anche il suo sguardo da predatore e il suo sorriso malizioso. Invero fu molto galante nei momenti successivi, si mise in ginocchio di fronte a lui e gli infilò le scarpe con delicatezza, quindi lo prese in braccio come fosse una fanciulla e lo adagiò sul loro grande e morbido letto matrimoniale. Il cuore di Chuuya batteva così forte che sembrava volergli uscire dal petto.
“Sei…sei sicuro che abbiamo l’età per fare queste cose?”
“Certo!” Rispose sfacciato, facendogli l’occhiolino, poi si rimise in ginocchio e si abbassò ulteriormente per arrivare al piede di lui e stamparvi un bacio. Uno sulla caviglia. Uno più su. Uno più su ancora. E via così fino al ginocchio. A partire da lì, oltre ai baci iniziò anche a lasciare piccole tracce con la lingua, invisibili marchi di calore sulla pelle candida. Non appena giunse a metà coscia, senza preavviso, spalancò le gambe di Chuuya, sollevandole da sotto le ginocchia, e si soffermò ad ammirare. Che fosse per i tacchi a spillo che ingentilivano la forma dei piedi, che fosse per le linee aggraziate delle gambe magre, che fosse per il viso arrossato e gli occhi languidi, che fosse per i capelli ricci e leggermente scomposti che gli ricadevano sulle spalle o che fosse semplicemente per l’erezione bagnata che gli aveva provocato, Dazai si sentì fiero di se stesso e fortunato ad avere una moglie così sexy e seducente!
“Che…che…che faccia fai…idiota?” La voce spezzata dal piacere.
 “I profiterole che hai preparato erano deliziosi, ma…” Dazai si leccò le labbra. “Il mio dolce preferito rimane questo!”
E al diavolo l’età e l’orientamento sessuale!
*
 
Yosano era così tesa che a guardarla lì immobile accanto alla finestra si poteva quasi confondere con le tende, anche a causa del vestito blu notte che era davvero in tinta con queste! Eppure, per quanto all’esterno non desse segni di vita, dentro di lei il cuore continuava a battere con prepotenza, tanto da provocarle dolore al petto, le braccia incrociate e le gambe con le caviglie accavallate nascondevano dei nervi che potevano saltare da un momento all’altro. Ed i bellissimi occhi viola che fissavano il pavimento, erano pronti a sollevarsi al minimo rumore. Non che Ranpo stesse molto meglio, a dirla tutta. Lui che sedeva goffamente su una poltrona accanto a Yosano, era immerso nella stessa immobilità. Gli occhi verdi come smeraldi erano forse l’unica cosa che era rimasta dell’uomo che era stato un tempo, prima che il dolore e le preoccupazioni lo consumassero nel corpo facendolo invecchiare repentinamente. Lui e la sua compagna di vita non si sfioravano più, a stento parlavano da quando era avvenuto il fatto… Non erano mai stati dei genitori modello, si sapeva, però, dopo la fuga di quel figlio problematico, fra loro si era creata una spaccatura che nessuno aveva potuto aggiustare. O almeno non ancora… Ed ora erano lì fermi in attesa che le loro vite riacquistassero un senso.
Clack!
Nemmeno si fosse trattato di uno sparo o di un colpo di cannone, i loro sguardi scattarono contemporaneamente nella stessa direzione.
“Come puoi vedere, questo posto non è cambiato di una virgola! Continua  a mantenere il proprio aspetto spettrale! Dovremmo farlo diventare un’attrazione per turisti, tipo casa dei vampiri!”
La voce di Sherlock era limpida, il tono scherzoso era naturale e privo di forzature, come anche la risatina che seguì quelle frasi e che proveniva dalle labbra di una seconda persona. Pochi istanti, pochi passi, e dal corridoio dell’ingresso sbucarono i due gemelli, entrambi con una valigia in mano. Quella di Moriarty gli scivolò dalle dita e finì a terra con un tonfo secco, quando lui si accorse della presenza dei genitori. Gli occhi sgranati si abbassarono con vergogna. Con passo incerto di avvicinò un poco e finì in una zona di luce della grande sala. Ora che era ben illuminato, si poteva vedere chiaramente il suo viso pallido e un po’ smunto, le occhiaie profonde, i capelli neri  e lucidi che aveva lasciato crescere fino alle spalle e l’abbigliamento decisamente poco curato e sportivo che non era affatto nel suo stile. Cosa ne era stato del brillante giovane uomo dallo sguardo sicuro e dall’aspetto impeccabile?
Si umettò le labbra con la lingua, prima di parlare titubante. “Otou-san… Okaa-san…” Deglutì come avesse avuto un groppo in gola, le mani tremarono leggermente lungo i fianchi. “Sono a casa.”
La prima  a muoversi fu Yosano, quando lasciò ricadere le braccia, subito dopo fu Ranpo, sollevandosi dalla poltrona. Labbra serrate, sguardi freddi puntati su quel figlio che se n’era andato di nascosto lasciandoli nella disperazione.
Moriarty sapeva di non potersi aspettare dei sorrisi, dopo ciò che aveva fatto, dopo essere stato manovrato da quell’abilità di nome Mafuyu che per poco non aveva preso il totale controllo di lui. E ora non aveva idea di cosa dire o fare per ottenere il loro perdono. Lui, figlio degenere dal cuore cupo e dal passato colmo di segreti e azioni innominabili, come avrebbe mai potuto rimediar- Cos’era quel calore? Lo percepiva nitidamente sul proprio corpo. Cosa…? I suoi occhi gli mostravano il vero o era un’allucinazione?
“Hic hic…”
Anche l’udito ora si prendeva gioco di lui? O forse…
“Bentornato, figlio mio!”
Non poteva ingannarsi, quello che vedeva era il volto in lacrime di sua madre, quelli che udiva erano i suoi singhiozzi e le sue parole.
“Non farlo mai più!” La voce di suo padre all’orecchio, anch’essa spezzata dal pianto, e il calore della sua mano sulla nuca.
Sì, era tutto vero. I suoi genitori lo stavano abbracciando e stavano piangendo di gioia per il suo ritorno. E lui si sentiva…si sentiva…
“Perdonatemi, vi prego.” La vista immediatamente offuscata dalle lacrime che presero a scorrere senza controllo. “Io lo amavo. Lo amavo con tutto me stesso. E…hic…ero pronto a morire insieme a lui, se Sherlock e Hana non mi avessero fermato.”
“Lo sappiamo.” Confermò Yosano, stringendosi più forte a lui, neanche temesse di farselo sfuggire dalle mani.
“Mafuyu era impazzito, stava architettando un attacco a Yokohama per farla pagare a suo padre e voleva usarmi come strumento per questo piano ma…ma…io ho resistito. Desideravo solo stare con lui, nient’altro. Invece…invece…” Il pianto ebbe il sopravvento, i singhiozzi gli impedirono di continuare. Anche se a conti fatti non c’era bisogno di dire alcun che.
Sherlock, che era rimasto a guardare e ad ascoltare, era diviso tra il sollievo di rivedere la famiglia unita e il turbamento del ricordo di ciò che aveva passato a Londra. Nella sua mente rivedeva i fotogrammi di quelle terribili scene…la notte senza luna, il Tower Bridge chiuso per lavori in corso, Moriarty appeso con le gambe penzolanti sul fiume e lui e Hana dalla cima che tentavano di persuaderlo a non compiere un atto irreparabile. Lasciò un sospiro per scrollarsi di dosso quella sensazione. Se Mafuyu non si fosse sacrificato per amore, ora Moriarty non sarebbe lì. Piuttosto di ringraziarlo avrebbe preferito tagliarsi un arto, ovvio, però era doveroso rivolgere una preghiera agli dei per aver donato a quel folle un momento di lucidità nel momento giusto. Recuperò la valigia del fratello e andò nella loro camera da letto a riporle entrambe. Ora che si era chiuso il sipario su quella tragedia, poteva davvero concentrarsi sulla felicità che lo attendeva. Il matrimonio con Hana.
  
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