Anime & Manga > Cells at Work - Lavori in corpo
Ricorda la storia  |      
Autore: Moriko_    23/11/2020    1 recensioni
[Cells at Work! BLACK] [J-1178]
"La leucocita si chinò per osservare quella pozza. In mezzo a essa giacevano brandelli di abiti in parte bruciati e mescolati a pezzi di un cadavere ormai irriconoscibile ma che, a giudicare dal tipo e dal colore di quel poco che restava della divisa, si trattava di un eritrocita. Anche quella cellula aveva avuto lo stesso terribile destino che era capitato a molte di loro; un destino di fronte al quale la guerriera provò solo rimorso e angoscia."
Qualsiasi conflitto lascia dietro di sé devastazione e dolore. Quando una guerra giunge al termine si capisce - ancora più di prima - il terribile modo in cui ha cancellato, nel giro di un attimo, ogni singola traccia di coloro che da essa sono state colpite.
Ed è proprio allora che anche il più piccolo frammento di stoffa diventa il simbolo di un'esistenza importante che, per un breve istante, ha lasciato un indelebile segno nella vita di un'altra persona...
[Spoiler! Capitoli 39, 40 e 41 del manga di Cells at Work! BLACK] [Missing moment]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'A tale of a warrior'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Fanfiction

Sommario. 
Qualsiasi conflitto lascia dietro di sé devastazione e dolore. Quando una guerra giunge al termine si capisce - ancora più di prima - il terribile modo in cui ha cancellato, nel giro di un attimo, ogni singola traccia di coloro che da essa sono state colpite.

Ed è proprio allora che anche il più piccolo frammento di stoffa diventa il simbolo di un’esistenza importante che, per un breve istante, ha lasciato un indelebile segno nella vita di un’altra persona...

[Un missing moment con spoiler tratti dai capitoli 39, 40 e 41 del manga di Cells at Work! BLACK. Per tale motivo si sconsiglia la lettura a chi non è ancora giunto ai suddetti capitoli.]


[Nota del 18.08.2022] Una premessa, un po’ in ritardo rispetto alla pubblicazione... però nel frattempo mi hanno fatto notare un dettaglio non da poco (e li ringrazio per questo!)

Siccome in condizioni normali le cellule dell’immunità che circolano per il corpo non possono attraversare la barriera ematoencefalica (BEE) – infatti nel cervello c’è la microglia, tra le cui funzioni c’è anche quella di difesa del cervello dagli agenti infettivi ed altri danni – è impossibile che J-1178 riesca ad arrivare al cervello e fare una passeggiata come se niente fosse senza che qualcuno la guardi con grande sospetto.

Dunque, considerate questa storia come “What if”... perché sì, lo è davvero. Spero che possiate perdonarmi per questa svista, dovuta a un’effettiva ignoranza in materia scientifica. ^^”

 

 

abVgWXG

Il peso di una vita.

 

 

 

 

Era una giornata gelida, in quel corpo ormai sofferente per le cure che erano sopraggiunte all’improvviso. Il vento soffiava sui palazzi distrutti dalla catastrofe appena abbattuta; le strade semideserte, segnate da crepe e voragini, accoglievano ciò che restava di quelli che un tempo erano interi quartieri popolati e abitati da cellule di ogni tipo e ora compressi in cumuli informi di detriti e macerie; ovunque giacevano frammenti di armi, ferri contorti, schegge di vetri, scaglie di bombe e cadaveri di cellule e batteri morti ridotti a pezzi che i macrofagi raccoglievano senza sosta per portarli via.

Non si udivano più né forti boati, né urla disperate. Intorno c’era silenzio, assoluto silenzio che in quel momento a lei sembrava così assordante.

Immersa in quell’apocalittico spettacolo, il granulocita neutrofilo J-1178 camminò adagio, con le mani infilate nelle larghe maniche della sua giacca. Le sue vesti, candide come la neve ma imbrattate di sangue, rispecchiavano quella strana atmosfera colma di una desolata pace.

La piccola guerriera non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi in uno scenario del genere. Di luoghi a lei noti segnati da morte e distruzioni ne aveva visti sin troppi, ma non in modo da restituirle un’immagine segnata da terrore e angoscia. Sì, angoscia era proprio il termine giusto con il quale avrebbe potuto definire il suo turbato stato d’animo nel vedere quel panorama desolato fatto solo di mattoni in frantumi e crepe profonde, di qualcosa di distrutto che non sarebbe mai più tornato a essere come prima.

Era uno scenario che le stava provocando un forte senso di nausea, e brividi. Brividi non solo di freddo, dovuto a quel gelido vento che si annidava nella sua pelle, ma brividi di angoscia per ciò che tutti loro avevano dovuto subire, e di preoccupazione verso i dispersi.

La guerriera alzò gli occhi verso il cielo grigio.

 

... dove sei? È grazie a te se sono ancora qui. Devo ringraziarti per i consigli che hai saputo darmi...

 

Gli occhi vagarono su quella devastazione, fissandosi su ogni dettaglio mentre calpestava le macerie ancora fumanti: una cellula comune che veniva sorretta da un suo clone, un T Killer gravemente ferito che era stato trasportato al più vicino centro di primo soccorso, un macrofago che stava comunicando la situazione attraverso un auricolare e la sua ascia da battaglia ancora in mano, un globulo rosso con le braccia coperte da bende e il volto incerottato che stava consegnando il suo ossigeno... Ciascuno di loro aveva combattuto una estenuante battaglia, che aveva tolto quelle energie e vitalità che stavano recuperando, sebbene a fatica, prima del caos provocato dalle cellule cancerogene.

In quel momento J-1178 si ricordò che, qualche tempo prima, si era maledetta di non essere più forte, di non aver avuto l’energia e la grinta sufficienti a proteggere tutti... ed era successo più volte nel corso della sua breve esistenza.

La prima, il globulo rosso che l’aveva protetta da quel gigantesco streptococcus pyogenes.

La seconda, le due cellule anziane che erano state vittime dell’herpes zoster.

La terza, la giovane guerriera U-1196 che lei adorava definire sorellona, che era rimasta ferita gravemente nella feroce lotta contro la placca batterica, ma che fortunatamente era riuscita a riprendersi.

J-1178 si era affezionata in particolare a ciascuno di loro, e ogni volta il timore di perderli per sempre aveva lasciato spazio a un senso di inquietudine mista a vergogna.

Non sono riuscita a fare nulla.

Non sono stata in grado di proteggerli quando ne avevano bisogno.

Sono patetica.

È tutta colpa mia se non sono così forte.

Ogni volta che sfoderava la sua spada, quelle insite paure affioravano ancora, e le facevano rivivere quei momenti di profonda angoscia e sgomento nei quali lei si era sentita ancora troppo debole, e fragile.

Anche in quei minuti, la piccola guerriera stava nuovamente provando quegli stessi sentimenti. Oltre a quei suoi pochi simili rimasti in vita, aveva notato vaste scie di sangue che erano evidente traccia degli ultimi percorsi che altre cellule avevano fatto prima di soccombere al loro destino.

Giunse così in una piazza deserta, anch’essa dilaniata dai bombardamenti. Ogni cosa era stata quasi rasa al suolo, lasciando spazio a mucchi di detriti ancora fumanti tra i quali affioravano i resti di migliaia di cellule cancerogene che avevano infestato quel luogo; da quelle macerie scorrevano rigagnoli dalle tonalità viola scuro, raccogliendosi in pozze di sangue che continuavano a espandersi sempre più fino ad amalgamarsi tra loro.

D’un tratto J-1178 arrestò il suo passo. Si era trovata a pochi passi da quella che solo in lontananza sembrava essere una pozza di sangue come tutte le altre, ma che da vicino risaltava dal resto per il suo colore rosso carminio: da essa una larga scia si dirigeva verso una delle tante linee di confine tra i cumuli di quelle macerie - e che forse un tempo era la strada di connessione tra il quartiere e la piazza - fino a mescolarsi con il sangue violaceo che grondava senza sosta.

La leucocita si chinò per osservare quella pozza. In mezzo a essa giacevano brandelli di abiti in parte bruciati e mescolati a pezzi di un cadavere ormai irriconoscibile ma che, a giudicare dal tipo e dal colore di quel poco che restava della divisa, si trattava di un eritrocita. Anche quella cellula aveva avuto lo stesso terribile destino che era capitato a molte di loro; un destino di fronte al quale la guerriera provò solo rimorso e angoscia.

Forse avrei potuto proteggerlo, se fossi stata qui...

Tra quei brandelli J-1178 riuscì a notare quello che un tempo era un guanto di colore bianco e nero: di esso si erano miracolosamente salvati il dorso e parte della fascetta che stringeva il guanto al polso. La guerriera lentamente afferrò quell’oggetto e notò che all’interno della fascetta era stato cucito un codice, del quale erano leggibili solo le prime due lettere: DA; il resto non esisteva più, così come il proprietario che lo indossava.

J-1178 provò una forte morsa allo stomaco tale da toglierle il fiato, al punto che i suoi occhi si riempirono di lacrime, pronte a scorrere sulle guance come fiumi in piena.

... no, non devo piangere - si disse, e strinse nel palmo della mano quello che, di fatto, era ormai un pezzo bruciato di stoffa.

Si guardò intorno, in cerca di qualche altro indizio che avesse potuto ricondurla al proprietario di quel guanto. Ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare nulla di più: i bombardamenti avevano cancellato ogni traccia della sua esistenza.

Un tempo, dietro le cime degli edifici, si potevano intravedere le alte vette delle radici dei capelli. Ora, nonostante quegli stessi edifici fossero stati abbattuti, non c'era quasi più traccia dei folti capelli che li popolavano; solo uno, appena nato, protendeva verso l’alto come una mano bisognosa d’aiuto. La triste falce della devastazione era passata anche in quella zona, mietendo tutto ciò che simboleggiava la vita... e la speranza. In quel luogo, ogni cosa contrastava con il concetto stesso di speranza: le rovine, quel guanto che aveva in mano...

Portando quel guanto con sé, J-1178 si incamminò lungo una strada che ormai sembrava essere come tutte le altre per via della devastazione che l’aveva colpita, in direzione di un incrocio che lei ricordava molto bene, ma che fisicamente non esisteva più. Svariate volte aveva attraversato quella zona per inseguire un batterio sconfitto che stava cercando una via di salvezza, o solo per un turno di ronda che aveva condiviso con alcune delle sue compagne. Quanti volti aveva incrociato, quante persone aveva conosciuto e con le quali era anche riuscita a scambiare qualche parola: volti che negli ultimi tempi erano pieni di determinazione e coraggio, lo stesso che in quel momento sembrava mancare negli occhi di chi era sopravvissuto.

La guerriera proseguì, fino a giungere all’ingresso di un mastodontico edificio: l’ospedale dove lei e la sua fidata compagna di armi erano state ricoverate nei tempi della lotta contro la placca batterica era un continuo viavai di persone e barelle con pazienti pronti per essere accolti.

Con lo sguardo rivolto verso l’ampio ingresso, ad un tratto J-1178 si ricordò dell’incontro con quel globulo rosso, un giovane dai capelli neri che le aveva donato l’ossigeno mentre lei si trovava in quell’ospedale: un incontro che, per lei, era stato un vero e proprio punto di svolta; un incontro grazie al quale l’eritrocita, attraverso il racconto della sua esperienza, l’aveva aiutata in un momento nel quale lei sembrava aver perso ogni ragione di vivere. In seguito a quell’incontro la leucocita si era ripromessa di vederlo ancora una volta per ringraziarlo: non sarebbe stato difficile dato che egli faceva parte dello stesso gruppo del globulo rosso dai grandi occhiali che spesso incrociava insieme alla sua sorellona... ma, da quel giorno, l’eritrocita che l’aveva salvata sembrava essere scomparso nel nulla.

E proprio mentre stava avendo quel pensiero, la piccola guerriera avvertì un peso all’altezza dello stomaco.

L’ospedale non è molto lontano da quella pozza di sangue... e se il guanto fosse il suo? No... no: ne sono certa. In questo momento sarà altrove, al sicuro: siamo milioni e milioni di cellule, è più facile non incontrarsi che il contrario!

Scosse la testa, cercando di rimuovere quel grave pensiero che aveva appena formulato.

Fu a quel punto che le venne in mente un’idea alla quale non aveva pensato, fino ad allora. Con quel guanto ben stretto in mano e con quei pensieri J-1178 decise di correre verso nord, nella direzione che l’avrebbe portata nel cervello.

Quello sarebbe stato l’unico luogo nel quale era certa di aver trovato le risposte a tutti i dubbi che si stavano affollando dentro di lei.

 

 

 

La piccola guerriera avvicinò la sua tessera ai tornelli posti all’ingresso di un luogo che ben conosceva: per giungere nel cervello, quel territorio che si trovava all’estremo confine tra il loro mondo e quello che si trovava al di fuori del corpo stesso, la leucocita aveva attraversato intere lande devastate dai bombardamenti e superata la capillare presenza di controlli sempre più stringenti. Man mano che si addentrava in quel luogo, ciò che le era subito saltato all’occhio era il fatto che la devastazione sembrava aver raggiunto quel luogo in misura minore rispetto al resto del corpo: solo qualche crepa attraversava le mura che lo circondavano e gli ingressi degli uffici e corridoi rimasti ancora in piedi; lo stesso valeva anche per la gigantesca entrata dalle porte metalliche della Sala 00, la stanza dalla quale partivano tutti gli ordini verso ogni angolo del corpo, e nella quale la leucocita stava per entrare.

Quando le grandi porte metalliche si aprirono, l'agitazione era l’elemento che predominava l’atmosfera di quel luogo: persone che correvano da un punto all’altro della larga sala, portando con sé pesanti faldoni di documenti di ogni genere, altrettante che continuavano a battere le dita sulla tastiera che avevano dinanzi per trasmettere ordini alle cellule, altre ancora che osservavano con scrupolosa attenzione gli schermi dei computer per captare qualsiasi genere di anomalia presente in tutto il corpo.

E poi c’era lui, il comandante: con le braccia conserte e lo sguardo imperturbabile, dominava silenzioso quell’agitato ambiente di lavoro. A lui non sfuggiva mai nulla: sebbene in quel momento sembrasse estremamente concentrato sul suo lavoro, riuscì a notare l’arrivo della giovane cellula; era come se egli avesse avuto gli occhi anche dietro la nuca.

«Cosa ci fai qui?» le chiese con tono fermo, senza voltarsi.

J-1178 non si scompose. Quello del comandante non sembrava essere un rimprovero: era una frase di circostanza che pronunciava a qualsiasi cellula che entrasse in quel luogo austero. «Sono qui per la mia ronda quotidiana» rispose.

«Bene, puoi seguire le indicazioni. Ti auguro buon lavoro.»

«La ringrazio.»

Il comandante continuò a restare immobile, senza rivolgerle nemmeno un cenno. Il cervello era uno dei posti più freddi e isolati del corpo umano: le cellule che vi risiedevano erano estremamente concentrate sulle attività che svolgevano ogni giorno, senza avere la più piccola occasione per poter rilassarsi. Era naturale, loro avevano forse quello che era il compito più difficile di tutti: vigilare ventiquattro ore su ventiquattro, per assicurare il miglior funzionamento possibile dell’intero organismo.

Di certo non era facile, vivere e lavorare in quel luogo.

La guerriera si incamminò tra i lunghi banconi di quelle cellule, notando come fossero molto stanche. Qualcuno stava sbadigliando profondamente, qualcun altro si era tolto gli occhiali e si stava strofinando gli occhi arrossati prima di tornare a osservare lo schermo... immagino che con tutto il casino che è capitato non saranno riusciti nemmeno a fare una pausa, pensò con tristezza.

J-1178 continuò a fare il giro della sala, finché non si trovò nuovamente nell’area dove il comandante dominava solitario. Lo superò, ma dopo qualche passo si fermò e, finalmente, si decise a confidargli quel dubbio che le stava arrovellando la sua mente. «So che conoscete ogni cosa di questo corpo, perciò... posso farle una domanda?»

«Cioè?»

Entrambi erano ancora di spalle, ma dal tono che aveva appena udito J-1178 percepì una punta di curiosità. Così gli rispose, in modo diretto e semplice: «Vorrei conoscere il codice di una cellula, se è possibile...»

Udì un forte sospiro da parte del comandante. Quella reazione non denotava fastidio ma, anzi, sembrava essere colma di compassione. «So a chi ti riferisci. Quel ragazzo ne ha passate tante» mormorò, e si affiancò alla giovane, «e mi dispiace che abbia fatto quella brutta fine. In fin dei conti è riuscito a svolgere un ottimo lavoro: davvero, non meritava di lasciarci in quel modo.»

Solo a quel punto il comandante puntò con lo sguardo la mano stretta a pugno della leucocita, e le rivolse un cenno silenzioso con la testa.

La piccola guerriera capì: con quel segnale, l’altro le stava chiedendo di dargli ciò che restava del guanto che aveva trovato. Il comandante aveva compreso ogni cosa, prima ancora che lei avesse parlato di nuovo.

J-1178 glielo porse, con un po’ di titubanza: la morsa che aveva provato qualche minuto prima tornò a farsi sentire, con maggior forza e intensità. In un lampo aveva avuto una strana sensazione, non appena i suoi occhi si erano fissati in quelli del comandante: era la prima volta, in tutta la sua vita, che l’aveva visto... così colmo di tristezza e compassione. Stava forse per confidarle qualcosa che sarebbe stato meglio non udire?

L’altro restò in silenzio, osservando con apparente impassibilità quel pezzo di stoffa che aveva ricevuto. Poi, a bassa voce, le disse: «Nemmeno tu hai meritato di ritrovarlo in quel modo. Questo guanto, purtroppo, è tutto ciò che resta di lui...»

... ritrovarlo?

«Ma posso garantirti che fino alla fine ha creduto in ciascuno di noi.»

... creduto in noi?

«Nonostante fosse sul punto di morire, non ha mai smesso di svolgere il suo lavoro. Si è aggrappato alla vita come mai aveva fatto, e avrebbe voluto continuare ad aiutarci consegnando l’ossigeno...»

... aiutarci?

«DA4901» dichiarò il comandante, e le restituì il guanto bruciato. «So che ci tenevi a conoscere il suo nome, e so anche che ci tenevi a ringraziarlo per le parole che ti ha detto per risollevarti. Non potrai più farlo... ma sei molto più forte di quel che pensi: riuscirai a superare anche questo difficile momento e così ad andare avanti.»

No, non può essere... non può essere lui... non a lui!

La guerriera strinse il guanto nel palmo della sua mano che iniziò a tremare. Sentimenti di rancore e di rimpianto stavano crescendo sempre più in lei, ma la giovane li nascose abbozzando un sorriso verso il comandante.

«La ringrazio» mormorò, prima di congedarsi da lui. «Torno subito al mio lavoro, e le chiedo scusa per il tempo che le ho sottratto.»

 

 

 

Alle spalle della leucocita si chiusero le porte d’ingresso del cervello. Man mano che si allontanava da quel luogo, la giovane guerriera venne di nuovo risucchiata in quell’apocalittico panorama di morte e distruzione.

J-1178 continuò a camminare tra le macerie, lanciando una fugace occhiata a tutto ciò che si svolgeva intorno a lei. Scene che sembravano ripetersi ad ogni angolo che svoltava, in ogni strada che attraversava, con feriti che provavano a rialzarsi e a ricominciare. Quell’ultima parola, ricominciare, le sembrava così distante in quel momento: il comandante le aveva appena detto che lei sarebbe riuscita ad andare avanti nonostante tutto perché era abbastanza forte... ma come avrebbe fatto senza di lui? Anche quell’eritrocita sembrava essere molto determinato e risoluto; tuttavia la sua forza non era stata abbastanza per salvarlo da una fine atroce.

Lei, invece... ancora una volta aveva pensato di essere troppo debole. Non era riuscita a salvare quel globulo rosso, anzi: non era riuscita nemmeno a incontrarlo e così a ringraziarlo per ciò che aveva fatto per lei. Tutto ciò che rimaneva di quell’eritrocita era solo quel guanto con parte del suo codice...

Quella terribile notizia che aveva appena ricevuto era stata come un pesante macigno crollato sulle sue spalle all’improvviso. In che modo sarebbe riuscita ad andare avanti? Cosa avrebbe fatto per attenuare quel grande dolore che al posto di placarsi si stava intensificando sempre più?

La leucocita si appoggiò con le spalle contro un cumulo di macerie, in un luogo completamente disabitato, e chiuse gli occhi lucidi. Sul suo petto portò la mano che reggeva il guanto, mentre strinse a pugno quella libera con violenza, mentre le lacrime iniziarono a scorrere lungo le sue guance. Andare avanti le sembrava davvero difficile, quasi impossibile: non riusciva a credere di essere diventata davvero forte, non lo era affatto. Si maledisse di non essere come la sua compagna di armi, abile e impavida nel suo lavoro: se fossi stata come lei, a quest’ora quell’eritrocita sarebbe ancora vivo!

«... dannazione!» urlò con tutte le forze che aveva in corpo, colpendo ripetutamente le macerie con la mano libera fino a farla sanguinare. «Dannazione, dannazione!»

Il suo singhiozzare sembrò non avere fine: la speranza aveva ceduto il passo alla tristezza che già albergava nella sua anima, l’angoscia e il rammarico la stavano torturando sempre più.

J-1178 aprì gli occhi e alzò lo sguardo. Fu allora che davanti a sé, a pochi metri da lì, aveva notato un altro suo simile seduto sul ciglio di un edificio in rovina ma rimasto miracolosamente in piedi: la sua sorellona stava fissando malinconica l’orizzonte, senza muoversi per nulla.

Già. Anche lei... oggi anche lei ha perso qualcuno di importante...

La piccola guerriera cercò di ricacciare le lacrime e si incamminò in quella direzione. Riuscì a salire la rampa di scale che portava sul tetto, e giunse nello stesso punto dove si trovava l’altra leucocita, che ora le stava mostrando le spalle.

Dopo aver riposto il guanto nel marsupio che portava sempre con sé, J-1178 si avvicinò a lenti passi alla sua compagna, senza nemmeno dire una parola e rispettando il suo silenzio: sapeva molto bene che nessuna frase sarebbe stata adatta in un momento come quello, ma aveva deciso di mostrarsi forte, almeno di fronte a lei. Se voleva essere come lei, non doveva più versare lacrime come aveva fatto pochi minuti prima.

Ad un tratto la piccola leucocita si fermò, le sue orecchie attente al messaggio che il suo walkie-talkie stava trasmettendo. «Ok, ricevuto» disse, e subito dopo ridusse ancora di più la distanza che la separava dalla compagna.

«Sorellona...» mi dispiace per la tua perdita. Mi dispiace davvero, lui non meritava di fare quella fine - avrebbe voluto dirle in realtà, ma lasciò che solo l’espressione del suo volto esprimesse i suoi veri sentimenti. «Hai sentito? Ci hanno appena convocato: dei batteri stanno attaccando i polmoni...»

La prima risposta che J-1178 ricevette fu solo silenzio, come se l’altra avesse voluto rispondere a ciò che in realtà aveva pensato di dire. Come se lei avesse voluto sussurrarle un «Ti ringrazio...» semplice ma carico di forti sentimenti di affetto.

Poi, la piccola guerriera riuscì a udire dalle sue labbra una breve frase.

«Va bene. Arrivo subito...»

J-1178 sapeva molto bene che quella sofferenza non poteva essere cancellata in un battito di ciglia - perché era la stessa che anche lei stava provando sulla sua pelle -, ma aveva apprezzato il titanico sforzo che stava facendo la sua compagna, quella giovane coraggiosa che le aveva insegnato davvero molto, pur di non crollare e continuare a mostrarsi forte.

Però, anche in quel momento drammatico che le stava accomunando, tra le due vi era una sostanziale differenza: la più giovane di loro era a un passo dal crollare.

«Ti... ti aspetto giù, sorellona...» riuscì a dire la piccola guerriera, prima di voltare le spalle alla sua compagna e incamminarsi verso le scale che l’avrebbero riportata al piano terra. Avrebbe tanto voluto correre via di lì, urlare di disperazione e lasciare così che i suoi sentimenti esplodessero come una tempesta implacabile. Una pioggia di perché si era abbattuta nella sua mente, senza che lei fosse riuscita a dare una risposta sensata.

Perché lui è morto? Perché loro sono morti? Perché entrambi hanno dovuto fare quella fine terribile, senza nemmeno avere la possibilità di salutarci per l’ultima volta? Perché, perché?

 

«Aspetta.»

 

A quella voce familiare J-1178 arrestò il suo passo, ma decise di non voltarsi. Pensò che se lo avesse fatto, proprio in quel momento, sarebbe bastato anche solo il guardare negli occhi la sua compagna per esplodere in un pianto irrefrenabile; d’altronde già il tono con il quale la sua sorellona le si era rivolta, così gentile ma spezzato dalla commozione, aveva iniziato a infrangere la maschera imperturbabile che stava cercando di mantenere, sebbene a fatica.

«Non devi vergognarti di piangere» - e in quel momento la piccola guerriera avvertì il leggero peso di una mano sulla sua spalla - «qui ci siamo solo io e te: sfogati. So quanto stai soffrendo: se vuoi urlare al cielo la tua rabbia... urlala. Lascia andare il tuo dolore; trattenerlo non ti farà sentire meglio.»

Di fronte a quelle parole, le lacrime che si erano accumulate negli occhi della piccola guerriera iniziarono a scorrere senza più freni. Quelle che aveva appena udito... erano le stesse parole che anche quel globulo rosso le aveva detto prima che le loro strade, che si erano incrociate per breve tempo, si separassero.

 

«Non devi vergognarti per il tuo dolore e le tue difficoltà!»

«... ma quando riusciamo a superare i rimpianti e le angosce... è a quel punto che diventiamo più forti e in qualche modo cambiamo le nostre vite! Io non posso darti una mano a risolvere i problemi... ma sento che non hai bisogno di pretendere troppo da te stessa, perché questo genere di sofferenza è qualcosa di cui devi fare esperienza.»

 

In un attimo J-1178 si ritrovò tra le braccia della sua compagna, con il viso grondo di lacrime contro il petto dell’altra leucocita. Diede libero sfogo a tutto il suo dolore e si lasciò accarezzare la testa per essere confortata senza accorgersi che, al contempo, anche la sua compagna stesse sobbalzando per i singhiozzi trattenuti.

In quel momento la piccola guerriera sperò di trovare, un giorno non molto lontano, un senso alla scomparsa di colui che sarebbe potuto diventare un ottimo amico. Se lo sentiva nel profondo della sua anima: per lei, quell’eritrocita sarebbe potuto essere davvero un ottimo compagno sul quale poter far affidamento, in quegli attimi nei quali lo sconforto l’avrebbe sopraffatta.

 

 


 

[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]

Era da un po' che non pubblicavo in questo fandom, lo confesso: quasi un anno dall’ultima storia... ;D E sono contenta di essere riuscita a ritagliare un po’ di spazio durante il NaNo per progettare e pubblicare questa storia, che è stata scritta in un giorno solo - perciò perdonatemi per eventuali incongruenze/sviste di ogni tipo ^^"

Già quando ho letto il capitolo 40 si era accesa una lampadina nella mia testa riguardo la storia narrata qui... ma la spinta maggiore è stata data da una serie di post che ho trovato su Twitter, e in occasione dell’imminente uscita del capitolo 42 mi sono detta: "Perché non metterla nero su bianco?"

Dunque, signori e signore, benvenuti nei pensieri del granulocita neutrofilo J-1178 nel capitolo 41. (E, come avete visto, non sono molto positivi... poveretta. ;___;)

Di lei avevo già parlato in Idiots never survive. J-1178 è stato un personaggio che mi è piaciuto fin da subito, così l’ho resa protagonista di una OS per la quale ero partita dalla prima pagina di un capitolo. Per scrivere la storia che avete appena letto, invece, inizialmente volevo riallacciarmi a quell’altra fanfiction, perché anche in quell’occasione lei non era riuscita a proteggere qualcuno verso il quale aveva finito per affezionarsi: povera ragazza...

Alla fine di quella storia ne ho solo fatto un accenno, ma qui la sostanza è rimasta sempre la stessa: la piccola leucocita che, mentre era ancora sotto shock per quanto accaduto nella placca batterica (capitoli 30-32), ha incontrato l’eritrocita DA4901 che riesce a risollevarla non solo dandole l’ossigeno ma anche a parole (capitolo 39). Prima di andarsene, con un sorriso il giovane le dice che avrà bisogno di altro ossigeno quando tornerà al suo lavoro (hinted: forse si incontreranno di nuovo) e da allora lei inizia a riprendersi... ma il punto è che subito dopo lui muore, e anche malissimo (capitolo 40). Che novità in una serie dove in generale ci lasciano tutti nel giro di poco tempo, eh? ^^"

Quindi... quale miglior pretesto per riprendere la narrazione da dove è stata tragicamente interrotta, cioè dal capitolo 41? Così è nata questa storia, dove ho provato a immaginare cosa potrebbe essere accaduto off-screen quando la piccola leucocita ha scoperto che quell’eritrocita è scomparso, senza nemmeno aver avuto la possibilità di rivederlo e ringraziarlo per le parole che le aveva rivolto, senza fargli vedere che lei si fosse ripresa del tutto proprio grazie a lui... già solo che ci penso mi viene da piangere, scusate. ;__;

Chi, come me, è in pari con le pubblicazioni in Giappone, forse ha notato qualche piccolo dettaglio che ho ripreso dal manga, soprattutto riguardo gli ultimi capitoli. Ripercorriamoli insieme:

- Le posizioni dei codici degli eritrociti: di questi, al momento di questa pubblicazione conosciamo solo quelli del gruppo del protagonista, che sono cuciti all’interno dei loro cappelli. Nel caso di DA4901, che è originario di un corpo diverso dal protagonista, ancora non lo sappiamo - e forse non lo sapremo mai - però ho immaginato che il suo codice (così come quello dei suoi simili) fosse cucito all’interno della fascetta dei suoi guanti... questo per differenziarlo da quello del protagonista, dato che anche gli abiti che entrambi indossano sono leggermente diversi;

- Il capello solitario è un elemento che compare nel capitolo 41. In realtà si intuisce già nel capitolo 40 ma è proprio nel 41 che, grazie al racconto della cellula della matrice dei capelli, si scopre che quel capello è riuscito a nascere grazie all’intervento di un globulo rosso che è riuscito a consegnare l’ossigeno mentre intorno a loro c’era letteralmente l’inferno (e indovinate un po’ chi si vede sullo sfondo? Proprio DA4901, sigh sob);

- Il cervello è stato rappresentato molto bene nel capitolo 34. Si presenta come un luogo dai mille controlli e dalla struttura diversa da tutto il resto (sembra di essere catapultati in un film ambientato in un lontano futuro). L’accesso alla Sala 00 - che ha un nome completo in lingua inglese, che purtroppo non si riesce a leggere perché è stato tagliato a metà nella pagina di riferimento XD - funziona esattamente come nelle stazioni metropolitane: per attraversare i tornelli c’è bisogno di una tessera che viene avvicinata alle macchinette per aprire il passaggio;

- La scena del comandante che racconta gli ultimi istanti del proprietario del guanto... sono esattamente gli ultimi istanti che DA4901 ha vissuto nel capitolo 40, continuando a consegnare l’ossigeno e, un istante prima di morire, urlando al cielo - dunque al corpo intero - di continuare a lottare contro le cellule cancerogene e di resistere. A mio parere, una delle scene più belle di tutta la serie. :')

- La parte delle parole dell’eritrocita che ricorda J-1178 è tratta proprio dal capitolo 39. Ho provato a fare una traduzione sensata in italiano, ma il senso del discorso di DA4901 è proprio questo: tutti abbiamo delle debolezze e abbiamo commesso errori, però non bisogna mai vergognarsi di ciò che siamo. Accettare le sofferenze che derivano dalle nostre azioni paradossalmente ci aiuta a diventare più forti e, nel caso di queste cellule, arrivare a migliorare le loro vite... (da notare che, dopo questo discorso, la piccola leucocita si ritrova in quelle parole e riconosce nell’altro una forza che è scaturita proprio da ciò che quel globulo ha dovuto affrontare);

- Infine, ciò che viene narrato qui è ambientato verso la fine del capitolo 41. L’incontro finale tra le due leucocite (U-1196 e J-1178) è breve ma intenso: entrambe sono moralmente distrutte (la prima sembra esserlo ancora di più, e chi è arrivato fin qui può ben immaginare il perché ;___;). La storia si colloca prima di quell’incontro, per poi proseguire subito dopo.

 

L’ultima cosa: il titolo di questa storia, "Il peso di una vita", è nato dopo qualche ragionamento che ho fatto tra me e me. In questo caso, la parola "peso" non deve essere intesa in senso negativo, piuttosto come sinonimo di "importanza", cioè di "qualità per cui una cosa ha grande rilievo". Qui ho parlato di guerra, di tragedie, di morti cancellati nel giro di un attimo... e per questo in generale non dobbiamo mai dimenticarci che la vita di qualsiasi essere umano ha un peso, un impatto più o meno forte e incisivo in quelle degli altri. In questo caso, il "peso" che la vita di DA4901 ha avuto su quella di J-1178 è stato fondamentale per la guerriera, che all’improvviso ha scoperto che quella devastante battaglia contro le cellule cancerogene ha spezzato proprio quella vita della quale sentiva di aver ancora bisogno. E, si sa: quando inizi ad affezionarti a qualcuno, l’impatto della sua scomparsa è ancora più grande se ciò avviene improvvisamente, e lascia dentro di sé una voragine che non si sa nemmeno se potrà essere colmata del tutto.

Questa è una storia dal finale triste, anche se c’è un piccolo bagliore di speranza - che quell’improvvisa dipartita possa avere un senso. Però, oggi, è il tempo delle lacrime... :')

Detto questo, ringrazio tutti coloro che sono giunti fino a qui con la lettura, e ringrazio soprattutto la solita stellaskia che ha avuto un’enorme pazienza a leggere questa storia e a correggere dei punti che prima erano critici - per non dire pessimi, dai XD

E... ehi, lo sapete che dal 9 gennaio 2021 saranno trasmessi gli episodi dell’anime di questa magnifica serie? (*°▽°*) Come assidua lettrice del manga vi invito a vederla (se la Yamato Animation la trasmetterà con i sottotitoli in italiano, meglio ancora perché significa che possiamo seguirla direttamente sul loro canale senza problemi) perché non scherzo quando scrivo che Cells at Work! BLACK è davvero interessante come serie, nonostante le lacrime sono tante e la situazione non è quella "rosa e fiori" rispetto al Cells at Work originale. Intanto potete gustarvi il secondo PV pubblicato sulla pagina Twitter della serie, per iniziare ad avere un’idea... ;)

Alla prossima!

--- Moriko

 

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Cells at Work - Lavori in corpo / Vai alla pagina dell'autore: Moriko_