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Autore: Ms_Hellion    23/11/2020    0 recensioni
[“È inutile rimpiangere ciò che è stato, Shizu-chan. Gli eventi passati sono ormai incisi nella condizione necessaria che gli umani chiamano realtà.”
La voce di Izaya si interrompe e lui esita, anche se solo per un secondo. Quando riprende, è con una nota di rammarico.
“Inoltre, non lo vedi? Tutto questo è già scomparso da tempo.”]
Post Ketsu.
Angst con un lieto fine!
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Izaya Orihara, Shizuo Heiwajima | Coppie: Izaya/Shizuo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hi guys! Eccoci con la seconda e ultima parte. Spero vi piaccia! :3c

Alla fine del capitolo troverete elencati i significati dei fiori che abbiamo incontrato nella storia.


Buona lettura~

 

- - -

 


 

Senza che se ne accorgesse, le visite dapprima rade aumentarono di frequenza e durata, fino a cristallizzarsi in una sorta di routine, per cui era raro che Shizuo non si presentasse almeno una volta a settimana all’interno di quelle mura contorniate da gigli rossi, in quell’ambiente silenzioso e stranamente pacifico che ormai acquisiva per lui familiarità crescente.

Non era che volesse andare a trovare la pulce. C’era il fatto che qualcuno doveva pur farlo, e Shizuo era apparentemente l’unico volenteroso di prendersi il disturbo. Ma ancora di più, era spinto dal desiderio di mantenere la sua promessa, quando, volta dopo volta, si presentava come una diversa bouquet, pensando forse questa stavolta gli piacerà e forse sarà abbastanza, e sapendo in cuor suo che Izaya avrebbe trovato il motivo di criticare anche quei fiori, di rigettare ancora il suo tentativo di porgere rispetto.

Celty non capiva – ma andava bene così, perché nemmeno lui stesso era certo di comprendere appieno.

[Izaya non ha più nessuna opinione, Shizuo], gli disse l’amica quando la sua preoccupazione superò il naturale tatto, e come poteva il biondo spiegarle che ancora avvertiva su di sé quello sguardo rosso? Come poteva comunicare a parole che ancora alle volte percepiva la presenza di Izaya come se lui fosse lì, alle sue spalle?

[Non hai mai pensato che forse stai solo cercando scuse per ritornare?]

“Perché dovrei volere una cosa simile?”, si stupì Shizuo. No, lo faceva soltanto perché non aveva ancora trovato un omaggio che accontentasse la pulce, provò a spiegare per l’ennesima volta.

Celty fu cauta nel porre la domanda successiva.

[Shizuo… non credi che invece sia tu a sentirti come se nulla di quello che fai è mai abbastanza?]

Il biondo aprì la bocca per replicare. Non ne uscì nulla.

“Non capisci”, mormorò infine.

[Io credo di sì, invece. Penso che dovresti parlarne con Shinra. Da quanto tempo non dormi come si deve?]

Shizuo voleva rispondere, ma di nuovo, non lo fece. Non poteva. Non conosceva la risposta.

Fin dall’infanzia abituato a dormire un minimo di otto ore a notte, aveva ora perso il conto di quante notti di seguito si fosse riscosso alle prime luci dell’alba, sudato e in preda al batticuore, mentre di fronte ai suoi occhi passavano immagini troppo nitide che avrebbero poi indugiato nel retro della sua mente per il resto della giornata.

In quel senso, le visite al cimitero erano un sollievo. La realtà di quella tomba era ferma e immutabile, stabilizzandolo all’interno della versione degli eventi chiamata “storia” – nessuna illusione, nessuna visione di mille corsi alternativi degli eventi, di mille possibilità che avrebbero consentito di evitare quel singolo momento d’orrore; non c’era alcuno spettro del passato da evadere, non quando il passato era freddo e immobile di fronte a lui.

Oh, non era facile, neanche un po’; ciò nonostante, era meglio dell’agonia dell’incertezza.

Era meglio della folle voce dentro di lui che ancora non voleva scendere a patti con la morte di Izaya, perché la pulce non poteva semplicemente morire così, non così.

Ed era per quello che Shizuo era sempre attento a guardare dritto verso quel nome inciso nella pietra. Per quello, di fronte a quella tomba, era sempre onesto, sia che si stesse scusando per “essere in ritardo”, sia che stesse rinvangando memorie condivise con il corvino, momenti sorprendentemente dolceamari, che infine li avevano condotti a quella fatidica notte.

Meglio la fredda realtà.

Forse Celty aveva ragione a ritenere che tornasse soprattutto per motivi egoistici.

Alla fine si fece davvero prescrivere qualcosa da Shinra, se non altro perché la mancanza di sonno stava veramente iniziando a ripercuotersi sul suo lavoro. Sonniferi – ma Shizuo nutriva il sospetto che ci fosse anche qualcosa di più. Se fossero stati solo sonniferi, Shinra non gli avrebbe chiesto di monitorare i suoi cambiamenti di umore, appetito e persino attenzione, giusto?

Ah, chi se ne fregava. Non era come se Shizuo fosse in grado di comprendere i paroloni riportati sulle etichette – non era come se gliene fregasse abbastanza da leggerli in primo luogo. Era già abbastanza difficile seguire le prescrizioni di Shinra su come e quando prenderli.

Se il suo stato d’animo rimase pressoché invariato, in compenso i sonniferi gli consentirono di dormire ininterrottamente dalla sera alla mattina.

Non fermarono gli incubi, però.


 

. . .


 

Siediti con me”, dice Izaya, dando una pacca allo spazio libero accanto a lui.

È uno di quei sogni, comprende Shizuo immediatamente. Non quelli in cui è costretto a uccidere Izaya ancora e ancora. Peggio. È uno dei sogni in cui vanno d’accordo.

Si trovano sul tetto della Raijin, il cielo azzurro e infinito sopra di loro. Riflette il colore della divisa che Shizuo sta indossando, un netto contrasto con il nero e rosso degli abiti di Izaya, e il biondo avverte una capriola a livello dello stomaco nel vedere la pulce così com’era allora.

Prende posto accanto a lui, le gambe ciondolanti nel vuoto, e guarda giù.

Sono loro, giovani e folli e padroni del mondo, in un campo di calcio devastato. Shinra parla, muove le labbra mentre accenna al corvino seduto accanto a lui. Suddetto corvino scuote il capo, sorride, rivolge a Shizuo una sorta di occhiolino.

Shizuo sa che cosa viene dopo.

E infatti, il primo pugno vola – da parte sua. Aggrotta la fronte, cercando a ritroso le ragioni che lo avevano spinto ad attaccare l’altro in primo luogo. Non ne trova alcuna, se non un’intensa, immediata avversione.

Come appare irrisoria, con il senno di poi, la giovanile reazione a occhi scintillanti, sottolineati da un sorriso astuto.

Se noi fossimo stati diversi quando ci siamo conosciuti… se io non ti avessi attaccato… credi che saremmo riusciti ad andare d’accordo?”

Accanto a lui, Izaya ha riacquistato il suo aspetto da adulto – ma il sorriso che gli offre è il ghigno spensierato e ribelle della sua adolescenza.

Se, se, se. Non lo sai che pensare troppo è il mio lavoro?” Si china in avanti a dare un colpetto alla fronte di Shizuo, e questi ricorda di colpo come il corvino fosse solito dargli del protozoo. “Non ha senso rimpiangere il passato.”

Lo hai già detto”, mormora Shizuo. “Mi sento comunque in colpa.”

Izaya produce un mmh pensieroso. “Dovresti. Ancora una volta hai rovinato i miei piani. Speravo di dimostrare una volta per tutte che Heiwajima Shizuo non è altro che un mostro, ma ho fallito.” Fa spallucce, come se non gli importasse veramente – e forse, a questo punto, è proprio così.

Shizuo deglutisce pesantemente.

Se hai fallito, allora perché io mi sento così?”

Izaya gli getta un’occhiata quasi stranita. “Lo sai il perché. Ti ritieni una persona onesta, sì? Abbi il coraggio di essere onesto con te stesso, Shizu-chan”, lo rimprovera leggermente. Shizuo però scuote appena il capo, mesto.

Coraggio?” La parola ha un gusto amaro sulla lingua. “Non ne ho. Il novantanove percento delle volte in cui faccio qualcosa di coraggioso, è solo perché so che la mia forza mostruosa può proteggermi”, confessa.

Non sono in grado di affrontare neppure me stesso.

Ma Izaya ha un’opinione diversa. D’un tratto prende il suo volto tra mani sottili e il biondo è scioccato nello scoprirle calde, vive. Sono così solide contro le sue guance, che per un istante è sicuro che Izaya sia realmente lì, di fronte a lui. Ha l’impressione di riuscire a fiutarlo, e l’odore familiare più di tutto lo manda quasi sull’orlo del pianto.

Quando Izaya parla, nella sua voce c’è una nota giocosa che Shizuo non ha udito da tempo, ed è praticamente oro in mezzo al fango.

Credo in quell’un percento, allora.”

Shizuo grugnisce una risata nonostante tutto. Quindi sospira, abbandonandosi al calore di quelle mani. Può sentire che sta per svegliarsi, e desidera prolungare la rassicurante sensazione ancora per qualche istante.

Mi dispiace.

Shizu-chan.”

Mi dispiace.

Shizu-chan, vieni a trovarmi domani notte.”

Mi manchi…

Mi senti, Shizu-chan?”

Sì…”, sospira.

Non vuole svegliarsi.

Vieni a trovarmi domani notte. Vieni al cimitero, dopo il calar del sole. Credi di poter fare questo per me?”

Farà qualsiasi cosa. Glielo dice.

Prometti?”

Lo prometto… calar del sole…”

Tanto basta perché il tenero calore lo abbandoni. Shizuo si sente morire sapendo che se n’è andato per sempre.

 

Quando aprì gli occhi, le sue guance erano striate di lacrime.


 

. . .


 

L’erba ondeggiava lievemente alla brezza notturna. Produceva un sussurro lieve, quasi impercepibile, facilmente sovrastato, a tratti, dai suoni attutiti delle strade di Tokyo. Un colpo di clacson, una risata distante – rumori di vita non appartenenti al mondo racchiuso tra i campi di gigli rossi, tinti di grigio sotto la luce argentea della luna.

Era da quasi un’ora calato il sole, finché anche l’ultima, vibrante sfumatura non era stata cancellata dal cielo, sebbene permanesse nell’aria il ricordo del tepore del giorno.

Era calato il sole da circa un’ora, e il cimitero era tecnicamente chiuso. Naturalmente, seppure i cancelli non consentissero più l’accesso, a nessuno era impedito di scavalcare con facilità le basse mura, così da accedere a quel piccolo universo isolato, protetti dalla solitudine e dalla cappa nera della notte da occhi curiosi.

Nessuno, però, ne avrebbe tratto vantaggio – nessuno, tranne l’uomo biondo con l’uniforme da bartender.

Shizuo inspirò lentamente, calmo dove la maggior parte delle persone sarebbe state forse in ansia – e per cosa? Perché era un cimitero di notte? Per via dei fantasmi?

Shizuo apprezzava la quiete garantitagli dall’ora tarda, affatto turbato dalla solitudine. Quanto ai fantasmi, essi non potevano essere più tremendi del mostro che lo salutava allo specchio ogni mattina; non poteva nemmeno dire che tutti i fantasmi sarebbero stati malaccetti.

“Ne, Izaya”, mormorò, la sua voce come un grido nel completo silenzio. “Sono qui. Sono venuto, proprio come mi hai chiesto. Cioè, il te nei miei sogni me l’ha chiesto…” Sospirò e si grattò la nuca. “Ah, non importa…”

Che cosa avrebbe detto Celty, sapendo che si era infiltrato nel cimitero nel pieno della notte perché Izaya glielo aveva chiesto in sogno? Quanto a Shinra, invece, scommetteva che il dottore gli avrebbe aumentato il dosaggio di qualunque farmaco gli stesse dando al momento.

E tuttavia, era venuto fin lì per un motivo. Qualcosa che andava oltre la semplice richiesta di Izaya, mentre nello stesso momento costituiva una risposta a un’altra richiesta del corvino.

“Avevi ragione. Io non- non stato completamente onesto. Ma adesso non ho più nulla da nascondere.”

Chiuse brevemente gli occhi.

Se hai fallito, allora perché io mi sento così?”

Lo sai il perché.”

Lo so, Izaya. Lo so il perché.

“Pensavo che sarei stato felice se tu fossi scomparso, ma mi sbagliavo. Pensavo di odiarti, e invece non avevo capito niente. Non sapevo niente, Izaya… eravamo entrambi così stupidi.”

Era così ironico che avrebbe potuto piangere…

Ah, le persone di solito ridono quando qualcosa è ironico, giusto?

Ma Shizuo conosceva oramai la fine linea tra due contrari.

“Ah… sono venuto per dirti qualcosa di importante, però sai quanto faccio schifo a parole. Perché sono un protozoo, non è così?” Ridacchiò tra sé. “Non so neanche cosa sia un protozoo”, ammise. Oh, Izaya si sarebbe fatto una risata, chiamandolo un bruto ignorante, un’ameba che aveva battuto la fiacca per tutti gli anni alla Raijin.

Roteò gli occhi come la sua immaginazione riempiva il silenzio.

Sì, sì, riditela pure.

“Be’, in ogni caso, sappiamo tutti e due che me la cavo meglio con le azioni. Perciò, ecco.”

La bouquet fu posata con delicatezza sul terreno. Era semplice, stavolta, tenuta insieme da una cordicella di iuta trovata in un cassetto, niente su cui Shizuo avesse speso alcun soldo. Aveva raccolto i fiori di persona.

Erano pallidi, sotto la debole luce bianca. Quasi stelle affievolite e scivolate dal cielo al suolo come le lacrime del firmamento, i nontiscordardime erano privati del loro fiero azzurro, ritenendo in cambio fino all’ultima goccia di grazia, di leggiadria.

Erano belli, per essere stati raccolti da mani così crudeli.

Erano belli, per essere così tristi.

Sentì gli occhi bruciare.

Erano tutto ciò che voleva dire.

“Mia nonna mi ha insegnato un po’ di hanakotoba quand’ero piccolo. Non ho mai pensato che ne avrei fatto uso, però.” Trasse un respiro tremante. “Lo sai, i nontiscordardime sono i miei fiori preferiti. Noi due abbiamo gusti completamente diversi, perciò scommetto che tu li odieresti, ma-”

La sua voce si ruppe.

Inspirò a fondo.

Cazzo. Cazzo.

I suoi occhi bruciavano quasi fossero punti da mille spilli.

Il peso bloccato nella sua gola stava diventando intollerabile.

Il peso sul suo petto avrebbe potuto ucciderlo.

Si passò una mano sul volto.

Respira. Solo- respira. Mantieni un po’ di decenza. La pulce non ti vorrebbe vedere così.

Esalò, lentamente.

Così.

Va bene così. È fatta, ora.

Soltanto un altro po’…

“L’altra cosa che ti volevo dire-” La sua voce si incrinò, e lui ripeté: “L’altra cosa che ti volevo dire è che…”

Si interruppe.

Prese un bel respiro.

Va bene così. Non c’è più nient’altro da fare.

Faceva male, ma Shizuo sapeva che era vero. In qualche modo, la consapevolezza gli donò una sorta di pace, dolorosa quanto gli sbiaditi gigli e gentile quanto fiori azzurri di campo.

Con le lacrime negli occhi, sorrise.

“Addio, Izaya.”

“Così in fretta, Shizu-chan?”

Fu il momento il cui mondo smise di girare.

I suoni della città furono interamente cancellati.

Nel piccolo universo del cimitero, ogni cosa si paralizzò.

L’unico essere umano che ancora poteva respirare, tra quelle mura, smise di farlo.

No… non l’unico essere umano.

Shizuo si voltò così in fretta che per poco non cadde, ma non vi fece caso. Perché l’uomo di fronte a lui… l’uomo di fronte a lui…

Izaya.

Izaya gli sorrise – o per lo meno, inclinò gli angoli della bocca all’insù nell’incerta imitazione di un sorriso.

“Da quanto tempo, Shizu-chan.”

Shizuo tremò.

Non poteva essere lui. La lapide- la lapide diceva Orihara Izaya. Orihara Izaya era sepolto in quella tomba.

Stava impazzendo.

Doveva stare impazzando.

Quello, oppure stava sognando.

Oh, se questo non è il sogno più crudele di tutti.

“Non sei felice di vedermi?”, lo stuzzicò Izaya, ancora con la stessa terribile incertezza nella voce.

Shizuo colmò lo spazio tra di loro con poche, larghe falcate. Con la coda dell’occhio notò le spalle di Izaya irrigidirsi, scorse un lampo di argento sfilarsi dalla sua tasca, come la pulce quasi automaticamente assunse una postura difensiva. Non si fermò, continuò finché non fu proprio di fronte a lui e poi-

Gettò le braccia attorno all’altro.

Le lacrime sgorgarono dai suoi occhi, tracciando una scia silenziosa fino alla sua bocca.

Era solido. Era lì.

Izaya era un pezzo di legno tra le sue braccia e Shizuo avrebbe dovuto ringraziare la sua stella fortunata di non avere un coltello piantato nell’addome, ma che importava?

Era vivo.

“Pensavo di averti ucciso…”

Era come risvegliarsi da un brutto sogno, e il suo sussurro era la confessione dei crimini commessi tra le braccia del sonno.

Avvertì l’altro muoversi, esitante, incerto, e per un istante attese il lampo di dolore che avrebbe segnalato una lama nella schiena – invece, soltanto una mano leggera si posò tra le sue scapole.

“È così, mmh? In tal caso, sono desolato di informarti che non è così facile liberarsi di me. Sei solito paragonarmi a un insetto; hai mai considerato quanto effettivamente difficili da uccidere essi siano? Per qualcuno come te possono apparire minuscoli e impotenti, eppure ti sorprenderesti nel constatare la loro vera resilienza.”

Grazie a Dio.

Il corpo di Izaya era così caldo… Shizuo non se lo sarebbe mai aspettato da qualcuno pallido e magro come lui.

D’un tratto si ricordò di un diverso tepore, sulle sue guance. Due mani delicate che sostenevano il suo volto, mentre gli veniva chiesto di promettere…

“Tu eri lì, non è vero?”, domandò. “L’altra notte.”

“Mh-mh.”

Finalmente Shizuo si ritrasse dall’abbraccio, guardando Izaya dritto negli occhi – che a loro volta lo scrutarono con attenzione.

“Da quanto tempo mi stai osservando?”

Izaya fece spallucce. Subito Shizuo notò quanto il movimento apparisse scomodo e rigido.

“Da un bel po’. Considerala una deformazione professionale; quando incontro un fenomeno inusuale, non posso fare a meno di indagare. Come può essere Heiwajima Shizuo che visita la tomba – falsa – del suo peggior nemico. A tal proposito, so cosa vuoi dire: sono una persona orribile, come ho potuto ingannare tutti, eccetera, eccetera. Davvero, dovresti provare tu ad avere la mafia e mezza Tokyo alle calcagna mentre hai due braccia e diverse costole rotte, una concussione e danni alla spina dorsale. Credi a me, ti verrà voglia di sparire per un po’.”

Sentendo Izaya elencare i danni riportati dal suo corpo, Shizuo si sentì morire dentro.

Considerò la figura dell’uomo davanti a sé, notando per la prima volta diverse cose. Izaya appariva più magro, i tratti del suo viso persino più spigolosi del solito. Shizuo non poteva affermarlo con certezza sotto un’illuminazione così scarsa, ma avrebbe potuto giurare che era anche più pallido, con un paio di profonde ombre nere sotto occhi sorprendentemente seri.

Ancora di più, fu la postura del corvino a catturare il suo sguardo – era completamente storta. Notò finalmente il bastone a cui l’altro si stava appoggiando pesantemente.

“Mi dispiace per la tua schiena.”

Izaya sbatté le ciglia, sorpreso.

“Hah? Non avrei mai pensato di vedere il giorno in cui Shizu-chan si sarebbe scusato con Orihara Izaya”, commentò con un piccolo sorriso.

Le cose erano cambiate. Shizuo glielo disse.

“Così pare. Sono curioso, che cosa ti ha condotto a un simile cambiamento?”

In un lampo, i giorni trascorsi di fronte a una lapide passarono davanti agli occhi del biondo…

I sogni angosciosi…

Le conversazioni con Celty…

I pomeriggi a Ikebukuro, quando si guardava attorno in cerca dell’orlo familiare di una giacca di pelliccia…

L’irrequieto dolore e l’abissale apatia…

Fece spallucce. “Ho avuto del tempo per pensare.”

Il ghigno di Izaya si allargò e oh, Shizuo sapeva che cosa stava per accadere. E infatti…

“Pensare? Tu?!” Izaya sbarrò gli occhi in una smorfia comica. “Strabiliante! Shizu-chan è il primo protozoo al mondo a disporre di capacità cognitive- ah no, aspetta, è impossibile. Dimenticavo che Shizu-chan non sa neanche cosa sia un protozoo! Non che mi aspettassi che il cervellino di Shizu-chan avesse ritenuto qualcosa della sua istruzione scolastica.”

Shizuo si sentì arrossire alla consapevolezza che la pulce aveva ascoltato la sua piccola ammissione – e naturalmente il bastardo avrebbe detto una cosa simile. Lo sapeva, dannazione.

Il senso di familiarità portò altro umido calore sulle sue guance, suo malgrado. Si passò rapidamente una manica sul volto.

Mi sei mancato, stupida pulce.

Storse il naso con sdegno. “Tch. Stai zitto, dannata pulce. La prossima volta che fai finta di morire, ti ammazzo.”

Com’era prevedibile, Izaya colse l’occasione per prenderlo in giro – dicendo che parlava in modo insensato, che era un’ameba e chi ne ha più ne metta, col suo sorrisetto e gli occhi ravvivati con un po’ di quel vecchio bagliore. E Shizuo- Shizuo non si arrabbiò.

Non si arrabbiò, perché l’immagine di fronte a sé era una scena tratta dal suo passato, e da quel passato differiva completamente; era tutto ciò che aveva odiato per anni e rimpianto per mesi.

Non si arrabbiò perché se è vero che il passato è immutabile, il futuro è una pagina bianca ancora da scrivere.

Izaya si accorse della sua mancanza di reazione, e man mano il suo schernire andò scemando, finché non rimasero entrambi a fissarsi in silenzio, la postura rilassata e lo sguardo stranamente morbido.

“Ne, Shizu-chan…”

“Mmh?”

Lo sguardo di Izaya cadde sui fiori. Sul suo volto comparve una traccia di tristezza, con cui Shizuo era familiare solo tramite i suoi sogni.

Eppure conteneva anche qualcosa in più…

“Lo intendi sul serio?”

Speranza.

“Sì.”

Le spalle di Izaya ebbero un lievissimo sussulto.

“Ah, capisco…”

Shizuo aggrottò la fronte, confuso. Izaya… per un folle istante, Izaya sembrava quasi sul punto di piangere. E tuttavia, quando i loro occhi si incrociarono di nuovo, l’altro gli sorrise.

“Grazie per la tua onestà.”

Shizuo sbatté le palpebre, stupito. “Davvero? Tutto qui?”

Non che si aspettasse una dichiarazione o altro – diamine, aveva consegnato quei fiori con la convinzione che il corvino non gli avrebbe mai risposto.

“Pensavo ti saresti fatto gioco di me”, ammise.

“Tsk! Non mi farei mai gioco dell’amore di uno dei miei umani.” Izaya scosse il capo con disapprovazione. “Non mi conosci poi così bene, Shizu-chan.”

Un sorriso sincero nacque sulle labbra del biondo, il primo da mesi.

“È così, eh? Allora dimmi di più su di te.”

Fu il turno di Izaya di sorridere – e Dio, Shizuo non aveva idea che il vero sorriso dell’uomo fosse così bello.

“Mmh, se proprio insisti. Vediamo… per esempio…”

Izaya si chinò in avanti fino a sfiorare l’orecchio di Shizuo con la bocca. Le parole che bisbigliò portarono un intenso rossore sulle guance del biondo.

Se era un sogno, decise che era il sogno più bello della sua vita. Lo sussurrò a Izaya.

La sola risposta del corvino fu un altro sorriso mozzafiato.

I due si sporsero in avanti, finché ognuno poté sentire il fiato caldo dell’altro sul proprio volto.

Il primo bacio fu gentile, quasi timido. Le labbra ancora salate di lacrime del biondo sfiorarono appena quelle sottili di Izaya, e attraverso il contatto Shizuo percepì un lieve tremito diffondersi nell’altro.

Si tirò indietro, analizzando con lo sguardo la faccia del corvino in cerca di un incertezza, di un ripensamento. Si allarmò un po’ notando che gli occhi dell’uomo era lucidi – soltanto per realizzare presto di essersi sbagliato. Non erano lacrime di pentimento…

“Tutto qui, Shizu-chan?”, lo schernì leggermente il corvino con un ghigno che voleva essere provocatorio, venendo però tradito dalla pura felicità che splendeva nel suo sguardo.

Shizuo era certo di indossare un’espressione simile sul suo viso.

“Per niente, pulce.”

Quando le loro bocche si congiunsero nuovamente, fu con molto più entusiasmo. Izaya posò una mano sulla guancia del biondo, il quale, incoraggiato, gli passò un braccio attorno alla vita, attirandolo a sé così da sentire ogni spigolo di quel corpo contro il proprio.

Non si separarono fino quando i loro polmoni non gridarono in protesta, e anche così fu solo una questione di attimi prima che fossero nuovamente avvinghiati, trovandosi presto a schiudere le labbra e sospirare l’uno nella bocca dell’altro.

Rimasero uniti per più minuti di quanti ne potessero contare, e una volta separatisi, Izaya si chinò a estrarre un singolo fiore dalla bouquet posata sul terreno. Lo infilò dietro all’orecchio di Shizuo, scherzando che almeno uno apparteneva di diritto anche per lui.

“Ma non farci l’abitudine, Shizu-chan!”, lo ammonì. “Non sono una persona sentimentale… e poi, non ho davvero bisogno di questa roba per farti capire cosa provo per te, vero?”

Alla dichiarazione, Shizuo trattenne il fiato, per poi baciare il corvino con rinnovata foga.

Quando finalmente lasciarono il cimitero, erano insieme. Mano nella mano, timidi e imbarazzati come due ragazzini al primo appuntamento, si lasciarono alle spalle quel mondo tutto loro, quel mondo di quiete e immobilità, per rituffarsi nell’incessante trambusto che chiamiamo vita. E quando, diverse ore dopo, il sole si levò, dipingendo la citta d’oro e il cielo di un terso azzurro, scoprì con delizia che erano ancora insieme.


 


 


 


 

Hanakotoba: linguaggio dei fiori.

Giglio del ragno rosso: morte, ultimo addio.

Crisantemo bianco: lutto, onestà.

Nontiscordardime: un amore che va oltre la morte.


 

   
 
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