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Autore: BabaYagaIsBack    25/11/2020    1 recensioni
In un' Europa dalle atmosfere steampunk e in cui la Chiesa ha tutt'altre connotazioni, un ordine di esorcisti si dedica alla creazione di vânător, cacciatori del sovrannaturale. E' da loro che Katarina impara i rudimenti per affrontare tutti i mostri che popolano la notte più scura, prefiggendosi come obbiettivo ultimo quello di uccidere Dracul, il Re di tutti i Vampiri.
Districandosi tra personaggi bizzarri e situazioni estreme, Miss Bahun cerca di mettere fine alla linea di sangue creata dai fratelli Corvinus, ergendosi al di sopra di tutti gli altri suoi compagni. Eppure qualcosa non torna, una nuova minaccia sembra voler sovvertire tutto ciò che lei conosce e, improvvisamente, gli amici diventano nemici. Di chi fidarsi,quindi, quando il genere umano è in pericolo?
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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XI(2)

Una permanenza che Katarina si ritrovò a odiare già qualche corridoio più in là e una ventina di minuti dopo, quando, libera dalla compagnia di qualsiasi essere vivente, si fece cadere sul più duro dei materassi. Per un attimo, osservando la cella che le Sorelle Velate avevano messo a sua disposizione, aveva sperato di poggiare il proprio deretano su un giaciglio quantomeno più accogliente del treno su cui aveva passato gli ultimi due giorni; invece, nell'istante in cui le sue speranze erano andate in frantumi, quasi si ritrovò a rimpiangere quella scomodissima panca. Non era importato in quale posizione si fosse messa, ogni volta si era ritrovata a imprecare a denti stretti e, nel passare per l'ennesima volta le dita sulla coperta in lana cotta, si domandò con quale coraggio, Lord Julius Terry e Mister Suzu Whiteman, l'avessero lasciata lì. Dubitava fortemente che quei due avrebbero sofferto le sue medesime pene; certamente le loro chiappe si stavano appoggiando su sontuosi letti a baldacchino o soffici poltrone di pelle - mentre a lei, che tanto era stata descritta come un ospite d'onore, toccava quel tugurio. Persino la bettola dove era solita alloggiare quando stava a Roma sembrava migliore di quella sottospecie di camera.

Le mura erano pallide, spoglie; la scrivania, guardandola bene, dubitava avrebbe sorretto un peso superiore a quello del suo taccuino e la cassapanca ai piedi del giaciglio era anch'essa abbastanza trascurata da dover essere ormai dimora di intere famiglie di tarme - e nel constatarlo, non poté impedirsi di ricordare gli anni trascorsi al monastero di Bistria, dove l'essenzialità era quasi la stessa. Seppur la sua stanza dell'epoca fosse più piccina ed estremamente più fredda, trasudava la medesima sensazione di soffocante prigionia - e se avesse potuto, avrebbe preferito dormire sul pavimento del corridoio lì fuori.
Odiava rivivere le stesse impressioni di allora, così come detestava l'idea che qualche ricordo del periodo potesse riaffiorarle nella mente. Sì, all'Ordine doveva tutto ciò che sapeva, nonché le sue abilità nella caccia, nell'omicidio e in tanti altri campi, ma ciò non toglieva che avrebbe preferito dimenticare completamente i dodici anni trascorsi lì. Erano stati i peggiori e, se avesse potuto, non avrebbe augurato a nessun vânător di nascere e crescere dove era nata e cresciuta lei.

Con un sospiro si tirò dritta, prendendosi il viso tra le mani. Doveva riposare, eppure le sembrava un'impresa pressoché impossibile. Più si guardava intorno, meno il sonno sembrava sul punto di assalirla - e allora, si disse, tanto valeva fare il punto della situazione.

Nello sfilarsi gli stivaletti con i piedi, si allungò verso la scrivania. Le dita si poggiarono sul legno logoro dando il via a una serie di scricchiolii tutt'altro che rassicuranti e, in uno slancio per evitare il crollo del mobiletto, afferrò il taccuino e se lo portò in grembo. Per qualche istante rimase in attesa del tonfo, certa di aver usato troppa violenza, ma appena comprese che nulla sarebbe accaduto tornò al proprio quadernino.
Katarina sfilò la stilografica d'argento, disfò il nodo che teneva chiusa la copertina rigonfia di fogli e foglietti che spuntavano dai bordi e aprì alla pagina dove aveva lasciato il segnalibro l'ultima volta. Accanto alla pagina vuota ve n'era una piena di scritte fitte, sbilenche, di sottolineature, cancellature e segni d'ogni tipo che riportavano in sintesi le informazioni preliminari del caso. Vi erano date, luoghi e dettagli mischiati in un ordine che ai più sarebbe apparso come caos, eppure lei riuscì a individuare senza fatica tutto ciò di cui aveva bisogno per riprendere il filo.

Mettendosi la penna in bocca ne tolse il cappuccio coi denti e senza badare a dove potesse finire lo sputò poco più in là tra le coperte. Al centro della pagina, svelta, scrisse "Exilati" e in ordine sparso aggiunse le informazioni che aveva acquisito quel giorno - ben poche rispetto a quelle che si sarebbe aspettata.
"Quattro. Nessuna guardia. Case nei quartieri benestanti." aggiunse una freccia: "Estrazione sociale delle vittime (?)" Senza indugio si spostò in un altro punto del foglio. "Hanno i denti" stavolta aspettò a mettere il punto, quasi sentisse di star dimenticando qualcosa - ma cosa, esattamente? Cerchiò quella nozione, poi mise un trattino: "Puzzo di morte" - altra freccia - "Mister Gregory", punto.
Gli occhi della donna corsero sulla pagina precedente, fissandosi su "Sânge Negru". Era quello il dettaglio più saliente, l'informazione su cui tutto si sarebbe dovuto concentrare; dopotutto nessuno aveva mai sentito parlare di una simile mutazione dell'emoglobina - e forse, pensò, avrebbe dovuto insistere maggiormente sul visitare l'obitorio prima del calar della sera. Avrebbe dovuto dar precedenza ai cadaveri, a osservare quel singolare aspetto della loro morte, ma una vocina le aveva ricordato che, a differenza dei vampiri, quelle salme non sarebbero potute andare da nessuna parte e che quindi poteva concedersi di farli attendere ancora un po' - i colpevoli, invece, sarebbero potuti sgattaiolare ovunque, soprattutto se come credeva si trattava dei vampiri. Senza guardie o restrizioni potevano compiere qualsiasi misfatto e passarla liscia; grazie al favore delle tenebre quei luridi succhiasangue potevano uccidere indisturbati, compiendo chissà quale atrocità - sì, ma c'era un altro dettaglio che in quel momento le tornò alla mente.

Nuovamente poggiò la punta della stilografica sulla pagina appena iniziata e, con più calma, quasi vi stesse riflettendo, aggiunse "Vârcolaci": lupi mannari. Ricordava abbastanza chiaramente il disprezzo con cui Lord Terry li aveva nominati, affermando che da qualche tempo per le strade di Londinium, con l'infittirsi della notte, si potevano udire i loro ululati, e la cosa le era apparsa assai strana, se ci rifletteva bene. I licantropi, insieme alle fate e al Piccolo Popolo, erano tra le creature che meno di tutte sopportavano la città. Le strade, il cemento, il traffico erano solo alcune delle cose che la loro natura rigettava - si trattava di bestie dopotutto, e come tali prediligevano gli spazi verdi e incontaminati. Erano infatti soliti prendere di mira piccoli villaggi, case appartate o sventurati in viaggio e, sì, poteva capitare che qualcuno di loro irrompesse in aree urbane così grandi, ma normalmente si trattava di individui, non di branchi interi - e, se non errava, sempre Julius aveva parlato del fatto che fossero tanti, violenti e che avessero attaccato molti dei loro colleghi, decimandoli. Chi le stava dicendo che non potessero essere loro i colpevoli di un simile crimine? Certo, essendo mostri, animali a dire il vero, erano soliti uccidere mordendo, graffiando, lacerando e dilaniando i corpi, ma per quel che sapeva anche i vampiri lasciavano tracce sulle loro vittime - eppure quelle ritrovate in quegli ultimi mesi sembravano intonse. Più o meno. Solo il sangue, gli umori e la vacuità degli occhi erano prove inconfutabili del fatto che la loro morte avesse dell'innaturale, del violento, dello spaventoso.

Forse gli studi sui fratelli Corvinus non erano stati così approfonditi da scoprire tutte le perverse sfaccettature della loro stirpe. O forse a mancarle vi era qualche tassello fondamentale - e scoprire quale fosse, pensò amaramente, dubitava sarebbe stata impresa facile.

A quel punto sbuffò, lasciando cadere la testa all'indietro. Chissà se almeno la puttana alata e la sua capra sarebbero state in grado di portarle qualche informazione degna di nota, indizi utili a delineare con maggior chiarezza ciò che stava succedendo a Londinium. Non era certa di potersi fidare di loro, a dire il vero assoldarli non era stato il suo obiettivo principale quando era corsa dietro a quella fata; l'idea le era venuta dopo, quando aveva scorto l'insegna del bordello e scoperto il fauno all'interno della sua stanza, si era accorta di poter sfruttare sia le conoscenze dell'una che le abilità dell'altro. Entrambi si muovevano sul confine sottile tra la vita degli umani e quella del Mundi Obumbratio - potevano riferirle tutte le dicerie che aleggiavano attorno alla questione, dirle da chi andare e chi evitare. Lui sarebbe potuto sgattaiolare ovunque, origliando conversazioni di ogni tipo e rubando cose che per un vânător sarebbe stato difficile, mentre lei avrebbe potuto persuadere le creature più lascive di entrambi i mondi - e a pensarci, nel silenzio assoluto della stanza, Katarina non negò di essere incuriosita da quel pensiero. 
Riusciva a figurarsi senza fatica il modo in cui lo sguardo di quella Zână, accattivante e malizioso, di quel viola slavato eppure intenso, avrebbe cercato quello della vittima creando un primo contatto; subito dopo avrebbe incurvato le labbra, tendendole in un sorriso più simile a un invito. Avrebbe scosso la chioma lasciando che il proprio profumo arrivasse dritto alle narici del malcapitato e a quel punto, quasi certamente, la sua malia lo avrebbe costretto a inseguirla. Esattamente come aveva fatto lei, l'ipotetica preda le sarebbe corsa dietro tra le stradine sempre più buie della città fino a raggiungerla e, appartati, la fata gli avrebbe poggiato le mani sul suo petto persuadendola nel migliore dei modi.
Oh sì, pensò Miss Bahun svicolando in avanti con il sedere. Poggiando la piega del collo sul bordo del letto chiuse nuovamente gli occhi, abbandonandosi a quell'immagine. Non dovette nemmeno sforzarsi per tornare con la mente nel vicolo di qualche ora prima e, nel farlo, le sembrò di poter percepire le mani di quella creatura su di sé. Le avvertiva addosso, poco sopra al seno, lì dove ora nessun cappotto si stava frapponendo - e volontariamente lasciò la presa sul taccuino e la penna.
Lentamente si passò la lingua sul labbro inferiore, cercando su di esso un sapore che sapeva non avrebbe trovato, ma poco le importò. Premette i denti nella carne e ripercorrendo le sensazioni del primo bacio sentì un brivido scenderle lungo il corpo, arrivando al ventre. Sorrise.

Una parte di lei sapeva che ciò che stava provando era sbagliato, che quell'interesse da parte di un esorcista nei confronti di una fata era davvero un oltraggio al codice dei vânător, eppure non trovò una scusa sufficientemente valida per smettere - stava solo fantasticando, dopotutto. E se non poteva avere né alcol né riposo, e ancor meno la compagnia di Sylvia Goldchild, cosa le impediva di distrarsi a quel modo?

Con le mani si sfiorò le cosce, scese piano sino alle ginocchia continuando a rivangare l'incontro del pomeriggio, poi con la stessa premura afferrò la gonna alzandola a sufficienza da sentire la pelle venir accarezzata dalla frescura della cella in cui si trovava. I polpastrelli passarono a filo dell'imbracatura che le cingeva la parte alta delle gambe, sorreggendo il pugnale da un lato e la pistola a ruota dall'altro. 
Più le immagini nella sua testa si facevano vivide, insieme alla consapevolezza di star infrangendo gran parte delle regole morali e di buon gusto da tenere in un luogo sacro, più le carezze diventavano prese, strette, graffi - e dove i ricordi carnali finivano, il brivido diventava più intenso. Non era solo l'idea della Zână premuta vigorosamente a sé, la sensazione della sua carne calda e soffice tra le mani a eccitarla a quel modo, era anche il dopo: il fremito di quella creatura a ridosso del suo busto, il respiro caldo, accelerato quanto il battito sincopato di quel cuore mostruoso. Era l'idea del suo sangue, della paura che aveva provato, della soggiogazione di cui era stata preda mentre lei le sfiorava l'orecchio senza smettere di minacciare la sua giugulare - per non parlare della testardaggine con cui aveva osato sfidarla nonostante l'agitazione.
Fece per slacciare il fiocco delle brache e spingersi nettamente oltre il confine della decenza, ma appena le dita afferrarono il cordino in cotone qualcuno bussò, mandando in fumo anche la sua ultima possibilità di rendere quella giornata meno catastrofica.

Fu una sorpresa. Katarina si ritrovò addirittura a dubitare di aver sentito bene, dopotutto la stanchezza poteva starle giocando qualche scherzo di pessimo gusto, pensò, eppure, dopo alcuni istanti di attesa, il secondo "toc-toc" le fece capire di essere ancora fin troppo lucida per sbagliare.
Dalle labbra le sfuggì un'imprecazione e amaramente dovette definitivamente fermare le mani. Un moto di irritazione le fece storcere le labbra e digrignare i denti prima di aprire gli occhi sul soffitto pallido che la riportò definitivamente alla realtà. 
Possibile che le fosse negato qualsiasi sfizio? Si domandò mordendo la lingua. Non aveva potuto bere, men che meno dormire, e in quel momento le stavano vietando persino un po' di piacere - era proprio vero che quella missione si stava rivelando la peggiore a cui avesse mai preso parte!

Stizzita si rimise a sedere, sistemò la gonna alla bene e meglio e a passo spedito si diresse poi verso la porta, pronta a difendere la propria intimità: «Arrivo, dumnezeule (santo cielo), arrivo!» Afferrò con vigore la maniglia tirandola a sé, eppure quando aprì tutte le buone intenzioni parvero morirle in gola.

Con stupore Katarina si trovò di fronte il viso angelico di Sylvia. 
Come richiamata dai desideri più peccaminosi della vânător, la superiora si era palesata alla sua porta sorridendole timidamente, con quell'espressione innocente capace di risvegliare in lei i peggiori dei pensieri e, se non fosse stato per un inspiegabile autocontrollo, vista l'attività appena interrotta, la cacciatrice non avrebbe esitato ad afferrarla e costringerla nella propria stanza. 
«Vi ho disturbata, Miss Bahun?»
Sì. Sì, dannazione!
«No, assolutamente» ricambiò il sorriso, trovandosi però a stringere la presa sul ferro gelido della maniglia: «C'è qualcosa che posso fare per voi, Madre Goldchild?»

La sua bellezza era innegabile, superava di gran lunga quella di moltissime altre donne, ma ad attrarre Katarina c'era altro e non certo quella divisa da monaca. Non avrebbe saputo dire se fosse il suo sguardo, la sagacia con cui aveva conversato con lei quella mattina oppure l'aspetto così simile alle raffigurazioni della Vergine, eppure c'era qualcosa di ammaliante in lei.

«A dire il vero, sono qui per voi.» Un fremito scosse la donna, ma fu breve: «So bene che i vânător lavorano prevalentemente durante le ore notturne, e certamente voi avrete bisogno di riposo visto ciò che vi attende e il lungo viaggio a cui avete fatto fronte, ma ho pensato anche che poteste aver fame. Non vi siete fermata un singolo minuto, o sbaglio?» Il sorriso di Sylvia si allargò: «Ho quindi supposto vi potesse far piacere cenare, prima di tornare in città.»
A quelle parole, ogni pensiero maligno si dissolse, lasciando in bocca a Katarina un retrogusto amaro. Avrebbe preferito udire altro, non lo negava, in fin dei conti essere interrotta per una sciocchezza di quel tipo era l'ultimo dei suoi desideri, ma non poté negare di apprezzare il pensiero.
La Madre Superiora si volse verso il fondo del corridoio, quasi stesse constatando qualcosa, poi tornò all'ospite: «Ho incaricato una delle novizie di portavi un pasto caldo. Immagino siate abituata a ben altre leccornie, ma spero comunque possiate gradire la nostra zuppa di cipolle, erbette e aglio» e Miss Bahun d'un tratto si ritrovò a trattenere una risata che non passò inosservata.

«Ho detto qualcosa di strano?» L'altra scosse la testa, sempre più divertita: «Affatto, Sylvia» la rincuorò prima di chinarsi in avanti e afferrarle una mano: «Grazie al vostro buon cuore stanotte non dovrò preoccuparmi di nulla» aggiunse prima di portarsela alle labbra e depositarvi un bacio. Quella zuppa sarebbe stata la sua salvezza sia dai vampiri sia dalle possibili conversazioni con Lord Terry e Mister Whiteman, pensò - e forse, alla fine, quell'interruzione non era stata poi così tragica come aveva creduto. Sì, aveva rinunciato a qualche fantasia, ma almeno la sua prima caccia a Londinium non si sarebbe condita di inutili chiacchiere.

 

   
 
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