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Autore: TheGhostOfYou0    26/11/2020    0 recensioni
Al contrario di quanto pensano in molti, ci sono cose per cui non esiste rimedio al di fuori della violenza.
L'oblio è una di queste.
Tristan ed Abel hanno trovato il loro modo di evitarlo.
Tristan Knox ha tutto, ma non appartiene a niente e nessuno.
È un’anima sbagliata, dispersa, lasciata a vagare senza una meta e senza neanche un indizio su quale sia la sua strada.
Abel è marcio dentro.
È il figlio pazzo di una famiglia distrutta, il nuovo arrivato in città che ha portato solo casini e si prepara ad imbracciare il fucile per la sua nobile guerra.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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 Prima che vi avventuriate nella lettura di questa one-shot davvero lunga ci tengo a chiarire che dati gli argomenti forti i pensieri dei personaggi non rispecchiano assolutamente i miei ideali, si tratta di semplice rappresentazione. 
Ci sono riferimenti piuttosto espliciti al Massacro della Columbine High School che verranno chiariti alla fine della storia e al mito di Tristano e Isotta (riportato in inglese Isolde)
Buona lettura!
One of Two
–Un esercito di due
 
  20 Aprile 2017
 
6.10 AM
 
L’alba del nuovo giorno tinge le strade di un insolito rosso. Abel Headford sorride, mentre cammina ingobbito dal peso dello zaino carico sulle spalle ed immagina Tristan, dall’altra parte del loro piccolo quartiere, intento a guardare la stessa splendida alba seduto sulla sua fedele Chevrolet scrostata e scrivere sul suo stupido diario quanto sia miracolosamente profetica.
Rossa, come i loro sogni.  
 
Gli basta chiudere gli occhi per vedere chiaramente la calligrafia precisa, le parole cancellate con linee sottili e riscritte ancora e ancora, alla ricerca di una perfezione che non raggiungerà mai, della parola mancante che continua sfuggirgli e che secondo lui è il senso profondo del tutto.
Anche se il più delle volte è probabile che neppure capisca realmente quello che dice, Tristan ci tiene a cose come questa e nonostante le trovi ridicole, Abel è riuscito a perdonargli il fatto che non sia passato a prenderlo sotto casa ed è rimasto più affascinato di quanto voglia ammettere dalla luce calda che illumina i tetti delle case.  La verità è che hanno bisogno entrambi di un tempo che sia solo loro, perché dopo nulla sarà più lo stesso.
Una volta partiti non ci sarà spazio per i ripensamenti.
 Forse non c’è già più.
 
Dicono che a tutto c’è rimedio, che nessuna strada è a senso unico e nulla è definitivo.
Cazzate.
  La convinzione di avere sempre una possibilità è la più grande bugia che l’umanità abbia mai concepito. Abel l’ ha capito presto, quando s’è guardato alla specchio per la prima volta dopo che suo fratello Dan è scomparso e al posto del suo riflesso c’era lui, che gli sorrideva tutto soddisfatto e compiaciuto.  Da quel giorno in poi Abel ha iniziato a vivere all’ombra di un ricordo.
Nessuno si è più preoccupato per lui, dopotutto a Dan poteva essere toccata una sorte ben peggiore.
 Così ha tagliato i capelli corti, quasi a zero, per non somigliargli più ha iniziato a vestirsi in maniera diversa ed apprezzare le cose che lui odiava, come le armi, la caccia e la guerra e fare tutte le stronzate che il figlio perfetto non ha mai avuto il coraggio di provare.
Per semplice sopravvivenza si è costruito una pelle nuova, ma ha scoperto che è molto più comoda di quella in cui è stato costretto per tutta la vita. Eppure non ha smesso di vedere Dan allo specchio né è riuscito ad ottenere attenzione, nemmeno dai suoi genitori.
 
Vanno avanti così da due anni ormai: con sua madre che apparecchia sempre per quattro, anche se sono rimasti in tre, e non s’ arrende al fatto d’aver perso per sempre suo figlio senza curarsi di averne un altro a cui pensare. Scarica la colpa su suo padre, gli ordina di uscire a cercare Dan come non si renda conto del tempo che è passato.
 Forse è proprio così, forse non capisce davvero.
 Suo padre non risponde mai, è impazzito in una maniera tutta sua o magari ha trovato una maniera per non farlo. Si è annullato, chiuso in un silenzio assordante che fa male a tutti e passa le sue giornate da solo a pulire armi e modellini, che sono la cosa più preziosa gli sia rimasta.
 
Abel non ha speranze che suo fratello torni, né che il suo corpo venga ritrovato e lo odia per questo.  Perché lui sa che quel figlio di puttana è scappato da qualche parte, ha mandato tutto al diavolo e  ha distrutto quel poco di salvabile che ancora c’era a casa loro. Perché il bravo figliolo non è altro che un bastardo egoista, uno di quelli che lascia la famiglia con un lutto a metà e nessuna spiegazione. Dan è scappato, non ci sono altre soluzioni.
 
È quello che avrebbe voluto fare anche Abel dopotutto, Dan lo sapeva e non gliene ha lasciato la possibilità.
 
 Ecco a cose come questa non esiste rimedio, se smetti di esistere agli occhi di chi dovrebbe amarti di più al mondo scompaiono con te anche le vie di fuga e allora puoi solo fingere vada tutto bene, sfoggiare un sorriso tirato e sperare la situazione non peggiori.
  Poi capita un giorno che trovi qualcuno che può comprenderti- Tristan nel suo caso- allora ti illudi di avercela fatta, di aver trovato un compagno fedele che possa essere la tua spalla ed il tuo sfogo. Immagini di andartene lontano, magari, e tutto solo per renderti conto alla fine che neppure questo basterebbe, che puoi scappare quanto vuoi ma alla fine se il mostro ce l’hai dentro dove vuoi andare?
Scappa ragazzo, scappa.
Ma ormai è tardi.
Abel è marcio dentro.  
 
Lo vede da lontano, Tristan è un’inconfondibile macchia rossa di capelli troppo ricci dentro la vecchia macchina.  Abel batte due colpi al finestrino ma lui neppure se ne accorge, troppo assorto dalle parole che scarabocchia in un ritmo frenetico su quel maledetto diario, con la musica così alta che gli sembra incredibile non si sia ancora affacciato nessuno per rimproverarlo.
È  una musica bella però, sembra la colonna sonora di qualche film e gli viene da sorridere, perché è proprio adatta a lui se ci pensa bene.  
A Tristan piace fingere d’ essere un personaggio d’autore, l’ eroe tormentato della sua stessa storia. In realtà è solo un pazzo, uno stampellone di un metro e novanta, secco come un chiodo e con braccia che di più lunghe Abel non ne ha ancora mai viste, un tremendo senso dell’umorismo ed un cuore troppo grande per un torace così stretto.
 
Si avvicina di più al finestrino e batte ancora due colpi e poi altri due di nuovo e solo al terzo tentativo Tristan si accorge di lui, abbassa la musica e apre il portabagagli, così che possa posare lo zaino. Abel sale in macchina con una sigaretta già tra le labbra ed un’altra stretta tra le dita, pronta per essere passata a Tristan ma il sorriso che è rimasto sul suo volto per tutto il tempo si spegne non appena nota lo sguardo perso dell’amico. Non riesce neppure a guardarlo in faccia, il codardo.
 
Il grande giorno è arrivato finalmente eppure Abel non sente nell’aria la stessa prepotente eccitazione che avverte in ogni millimetro del suo corpo. Dalla punta dei piedi fino ai capelli, in ogni singola fibra della sua persona c’è  un’energia nuova che si muove, che lo scuote, lo fa sentire per la prima volta davvero vivo ma Tristan, lui non la percepisce e questo spaventa Abel terribilmente.  
 
“Perché cazzo fai così ora?” Chiede, in un bisbiglio basso, cupo, che non lascia presagire nulla di buono.
“Non sto facendo nulla.” Replica Tristan, continuando a guardare l’alba rossa che scompare lenta davanti a loro occhi.
Il tempo sta scadendo, devono sbrigarsi se vogliono che tutto vada secondo i piani e la vera domanda è: lo vogliono?
 
Abel gli prende il volto tra le mani e lo costringe a girarsi verso di lui,  poi stringe forte, fino a fargli male.
 “Noi abbiamo un progetto Tris è stata una tua cazzo di idea. È la tua cazzo di idea e noi ci siamo, ci siamo. Aspettavamo questo giorno da mesi, abbiamo rischiato il tutto per tutto e…e noi…noi dobbiamo farlo. È il nostro destino...Ci vedranno finalmente, avremo la gloria che ci spetta.”
 Si ferma, cercando di calmare il proprio respiro ed il tremolio che ha  preso a scuoterlo.
Non può abbandonarlo, non ora.   
“Non è quello che vuoi anche tu?”  Abel lo implora, con lo sguardo perso di chi osserva impotente le proprie certezze sgretolarsi. Ha sempre creduto che, in un mondo di persone che vanno e vengono, non si sarebbe mai dovuto preoccupare di Tris.
Lui sarebbe rimasto al suo fianco fino alla fine.
E poi è un piano per due, una missione che senza  Tristan  non avrebbe più alcun senso, è stato lui ad avere l’idea dopotutto, prima ancora di conoscersi è stato lui ad immaginare quella grande uscita di scena. Abel è stato solo la spinta necessaria a metterlo in moto.
 
Tristan ci pensa, ricambia quello sguardo così carico di aspettative e di paura ostentando una sicurezza che non possiede.  Non lo vuole deludere, dopotutto non ha più niente da perdere.
Annuisce ed Abel lancia un gridolino entusiasta.
Loro due sono uguali anche se vogliono cose diverse, si completano in un incastro perfetto e letale.  
 
A Tristan non importa del piano, a lui interessano solo le sue conseguenze. 
 
“Io non voglio la gloria.” Sussurra, allontanando l’amico con un sorriso malinconico.
Abel allunga la mano per riavvicinarlo in un gesto istantaneo e più violento di quanto vorrebbe e si ferma così, con il braccio a mezz’aria, prima di accarezzarlo come si fa con un bambino spaventato,  passare le dita tra i folti ricci ed osservarlo forse per un istante più del dovuto.  
“Certo che vuoi la gloria, altrimenti ti saresti schiantato con la macchina mesi fa o ti saresti buttato da un ponte come un poveraccio qualsiasi. No, tu vali di più e lo sai e vuoi la gloria per questo. Anche se è la pace che cerchi.”  
 Tristan per una volta rimane senza parole e Abel ne approfitta, continua a guardarlo e sussurra, con la fronte premuta contro la sua. “Le avrai.”
È una promessa, lo sanno entrambi.
 
Tristan scuote il capo, allontana Abel e tira fuori dal cruscotto una videocamera.
“Tienila tu. Voglio che il mio testamento sia qualcosa di più di uno stupido video.” 
“Oh si, tu hai uno stupido diario.”
 
Senza replicare mette in moto e parte.
 
 
 9.00 AM.
 
È  tutto pronto. La vita degli altri continua a scorrere veloce mentre loro sono lì, in cima ad una collina che sembra appartenere ad un altro modo e invece è lontana appena qualche metro, e guardano quei corpi muoversi come tante piccole formiche da una parte all’altra del cortile della scuola, ignari di quello che sta per accadere.
È un segreto solo loro, l’ hanno custodito con gelosia nel corso di dieci lunghi mesi di preparazione e gli appartiene visceralmente.  C’è qualcosa di agghiacciante in questo, ma che allo stesso tempo è spaventosamente affascinante per Tristan, perché nonostante la paura ed i ripensamenti, nonostante la consapevolezza –che invece sembra mancare ad Abel – di quanto pericoloso sia il loro piano e di tutte le variabili che potrebbero farlo fallire sente, seduto sul bagagliaio della sua auto, con il suo migliore amico accanto a sé ed una dose non quantificabile di pastiglie in corpo, di essere esattamente dove deve.
È  un senso d’appartenenza nuovo, travolgente, che lo fa sorridere.
 
“Che hai?” Domanda Abel.
Tristan si volta verso di lui. “Grazie” Dice. “Per non avermi permesso di abbandonare tutto.”
Abel allora gli passa un braccio attorno alle spalle e lo tira a sé, con urgenza.  Non è mai stato una persona affettuosa, anzi, sembra non aver mai bisogno di nessuno, invece si aggrappa a lui come sia l’unica certezza della sua vita. Tristan ricambia, stringendolo più forte.
È  il loro estremo saluto, lo sanno entrambi. Non ci sarà tempo per questo genere di cose una volta dentro.
 
“Credo sia ora di andare.” Sussurra Abel. Ha la faccia schiacciata sul suo cappotto, affondata nello spazio tra il suo collo e la sua spalla e tiene gli occhi chiusi, perso nell’istantanea di quel momento perfetto prima che l’inferno di scateni.  Tristan annuisce.
Si alza ed apre il portabagagli, poi i borsoni, lentamente, con le mani che gli tremano come ci siano delle bombe.  Ci avevano pensato, a dire il vero, ma le bombe non portano fortuna alla gente come loro, alla Columbine non hanno funzionato e Abel e Tristan vogliono essere diversi, non vogliono fallimenti di alcun tipo nella loro opera.
 
 I fucili sono lì, in bella mostra davanti ai loro occhi, assieme alle pistole e le munizioni, e rendono finalmente reale quello che accadrà.
Abel non smette di sorridere e si agita, muovendo in maniera convulsa prima le mani, poi i piedi, le gambe e le braccia, incapace di contenere l’adrenalina che ha in corpo.
Gli brillano gli occhi.  Non è più una fantasia, non è il gioco di due ragazzini stupidi e nessuno avrà più il coraggio di chiamarli in quel modo.  
È la sua nobile guerra, il riscatto dei fantasmi, la crociata degli ignorati, persi tra i corridoi di quel luogo che non mai capito il loro valore.  È  il sogno di due menti superiori, assassini nati che hanno il compito di svegliare e scuotere le coscienze.
Per Abel è una cosa personale, Tristan non la pensa allo stesso modo, ma non lo dice.
Non gli interessa. L’obiettivo potrebbe essere la scuola, o il supermercato, o il municipio e non cambierebbe nulla.  Non è la scuola il problema e, a differenza di Abel, ha ancora la razionalità necessaria a comprenderlo. È mondo stesso a non essere pronto per loro.
Ora lo avverte anche lui, come Abel,  il  bisogno  disperato di esser visto e ricordato, con la lucida consapevolezza di chi sa di non aver altro modo per farlo se non compiere il male.
 
 Non cerca giustificazioni per quello che faranno, né tantomeno redenzione, Tristan vuole semplicemente che tutto finisca con il botto, che la sua morte non passi inosservata.
Non vuole essere una vittima e l’unico modo per non esserlo, davanti alla morte, è morire da carnefice.
 
 
Pensa a quello che dirà la gente dopo.
Di Abel nessuno in città ha mai avuto una buona opinione, è il figlio pazzo di una famiglia distrutta, il nuovo arrivato in città che ha portato solo casini, e quando tutto sarà finito daranno la colpa a lui. La gente crederà che il povero, fragile Tristan Knox sia stato fuorviato dal suo amico, perché lui è un bravo ragazzo che non ha saputo gestire il dolore. Ma non questo non potrebbe essere più lontano dalla verità, come ha detto Abel  è stata una sua idea.
Forse senza di lui non l’avrebbe portata a compimento? Nessuno può saperlo.
 La storia non si fa con i se o con i ma.
 
Adesso sono pronti, non conta nient’altro.
 
La gente si chiederà perché, vorrà delle risposte. Le avranno.
Tristan ha calcolato  tutto, per questo ha fatto registrare un video ad Abel, per questo ha scritto un diario, perché vuole che la gente sappia, vuole che qualcuno, tra tutti quelli che avranno la fortuna di leggere le sue parole, possa sentirsi compreso da lui.
Vuole che il disagio di rendersi conto che un povero pazzo, un assassino, non sia poi così diverso da qualcuno dei loro figli, diventi l’ossessione di ogni genitore d’America.
 
 
Tristan ha tutto, ma non appartiene a niente e nessuno.
 Vive a casa con sua madre e suo padre, ma quella non è davvero la sua casa e neppure la sua famiglia è davvero tale. Lui non ha né casa né famiglia.
È solo un’anima sbagliata, dispersa, lasciata  a vagare senza una meta e senza neanche un indizio su quale sia la strada giusta. Anche se tutti lo reputano un bravo ragazzo, la gente ha sempre percepito il suo senso di inadeguatezza, per questo l’hanno sempre tenuto a distanza di sicurezza.
Tristan conosce tante persone, ma non è davvero amico di nessuno e a volte dubita persino di Abel. 
Nessuno lo capisce davvero, come potrebbero dopotutto? Stenta a farlo lui stesso.
Eppure Tristan lo sa che si vede, da qualche parte tra la sua postura storta ed il sorriso spento, quell’ingranaggio rotto nel suo cuore, quel qualcosa che non funziona come dovrebbe e lo rende diverso dagli altri.
Si vede. Ha provato a convincersi sia un pregio, un vanto, qualcosa che possa portarlo lontano ed ha persino trovato una stanza per il college, immaginato un futuro di parole e di poesie, di libri e di fama. Poi Abel gli ha aperto gli occhi: i diversi non vanno avanti ed i fantasmi non tornano in vita.
Certe cose non le cambi.
 
Abel afferra i fucili, mentre Tristan lascia scivolare il diario sul sedile della macchina dove è certo lo troveranno.
“Sbrigati.” Lo incita l’altro, con lo stesso tono di un bambino pronto ad andare sulle giostre.
 Tristan gli sorride, prima di strappargli un fucile dalle mani e nascondere una pistola sotto il lungo trench.  “Da adesso in poi vedi di concentrarti. Abbiamo una missione.”
Abel non risponde, cancella il sorriso dal volto per lasciare spazio ad un’espressione così neutra e priva di colore che quasi spaventa Tristan e anche se lui non  può saperlo, l’uomo non c’è più, in quel momento è rimasta solo la bestia nel corpo di quel ragazzetto anonimo.
E la bestia si muove veloce, dall’alto della collina ha già individuato le sue prede, si prepara a fare fuoco.
 
Uno sparo squarcia l’aria, facendo voltare tutti i ragazzi  nel cortile. Nessuno sembra capire cosa stia succedendo, né da dove venga quel boato dirompente. Nessuno fa caso al primo corpo che si accascia a terra, almeno non finché Abel spara il secondo colpo, sbucando finalmente dalle siepi che circondano il grande istituto.
Allora si rendono conto  del lungo trench nero e dei fucili ed il riferimento è così palese e lampante che qualcuno arriva addirittura a pensare ad uno scherzo, ma i più intelligenti capiscono che non è così e scappano via per dare l’allarme, barricarsi nelle aule, cercare di cavarsela in qualche modo.  

Tristan spara una raffica di colpi, senza neanche guardare chi siano le sue vittime.
“Più di tredici.” Grida verso Abel.
Lui sorride. “Gli allievi superano i maestri.”
 
  9.30 AM
 
Si sono nascosti tutti, piccoli conigli braccati dai cacciatori. Hanno lasciato i loro compagni indietro, con gli occhi aperti ed il fantasma del loro ultimo grido sulle labbra dischiuse, migliori amici abbandonati, fratelli che sono passati sui corpi di altri senza accorgersene neppure.
Che bella, la paura, tira fuori la vera essenza degli uomini.
È la stessa per tutti: egoista. 
Gli stanno facendo un regalo, pensa Abel. Lui e Tristan gli stanno dando una lezione importante, quelli che sopravvivranno sapranno di che pasta sono fatti e capiranno, finalmente, di vivere in una grande, immensa messa in scena.
“Potete fidarvi solo di voi stessi.” Grida Abel. E cammina, il passo volutamente pesante perché rimbombi per il corridoio deserto, il fucile che lascia scivolare contro la fila d’armadietti alla sua destra tintinna.
 Tin, tin, tin.
Devono sapere che stanno arrivando, che sono vicini, armati, pericolosi ed hanno in mano le loro vite. Un rumore alle loro spalle attira l’attenzione di Tristan, ma lui non si volta, lancia uno sguardo ad Abel che sorride ed avvicina la mano alla pistola ancora nascosta sotto il trench.
“Sai Abe, sento un topino che scappa.” Dice Tris. “Nessuno gli ha insegnato che è meglio nascondersi.”
Abel si volta rapido, estrae la pistola e spara due colpi con la precisione di un cecchino.
Il corpo di una ragazza cade a terra con un tonfo sordo, lasciando una scia di sangue sul vetro alle sue spalle. Abel fa per andarsene, ma Tristan lo afferra per la manica e lo ferma, poi gli fa segno di star zitto ed indica il bagno, da cui provengono dei bisbigli neppure troppo velati.
 
 
Abel ride, scaccia il dito di Tristan e batte i piedi a terra. “Perché devo stare zitto Tris? Non te l’hanno detto che è maleducazione entrare in bagno senza bussare.”
 
Dopotutto gli stupidi meritano di morire e meritano di sapere che non è colpa di nessuno se non loro, meritano di arrovellarsi il cervello nei loro ultimi istanti, domandandosi cosa sarebbe successo se solo fossero rimasti fermi, se solo non avessero fatto tutto quel rumore.
Se solo…

Abel cammina, si affaccia dalla porta e non trova nessuno.
 Tristan lo segue, abbassa lo sguardo al corpo della ragazza che hanno appena ucciso. La riconosce.
Qualcosa, all’altezza dello stomaco, o forse in gola, gli mozza il fiato per un istante.
Non sa come si chiami, non gli interessa a dire il vero, ma immagini vivide degli allenamenti delle cheerleader si sovrappongono nella sua testa e tutto gira veloce, scorre davanti ai suoi occhi come un film e se non fosse armato fino ai denti e non avesse una scia di cadaveri alle sue spalle direbbe di aver paura.
Pensa, pensa, pensa.
 
Perché nonostante tutto, Tristan ha qualcuno a cui tiene dentro quella scuola maledetta, qualcuno che non ha preso in considerazione prima di questo momento e che nei suoi ricordi rideva con la ragazza che Abel ha appena ucciso. È un attimo, l’istinto gli dice di sbrigarsi e lui lo fa, corre verso il bagno giusto in tempo per vedere  Abel spalancare una porta chiusa e non trovare nessuno.
 Ma non si sente rassicurato, lei è lì e Tristan lo sa.
Abel canta e lui lo osserva in attesa, pronto ad agire.
Ma come?
Cosa deve fare? Per la prima volta Tristan non ne ha idea.
 
“Oh my darlin’, oh my darlin’, oh my darlin’ Clementine” E Abel tira un altro calcio alla porta, per ricevere solo un’altra delusione.
“Tanto lo so che siete qui.” Ridacchia.
 
 Ricomincia a cantare.
 
“You were lost and gone forever, dreadful sorrow Clementine.”
Un’altro calcio, così forte e carico di rabbia che la porta si spalanca, sembra si stia per staccare e lei è lì, rannicchiata su sé stessa come se il suo abbraccio possa bastare a salvarla dai loro proiettili, tiene le mani sulla bocca per trattenere un urlo che però scivola via, incontrollabile, dalle sue labbra non appena se li trova davanti.
“Ti piace giocare eh?”  Abel le punta il fucile contro senza pensarci due volte, lei spalanca gli occhi e smette di respirare, muove la bocca per dire qualcosa ma la voce non le esce e Tristan, che è rimasto immobile fino ad ora,  capisce che non ha più tempo.
“Aspetta.” Il tono controllato lascia trapelare appena l’urgenza che sente dentro.
Non ha un piano, la sua unica certezza è che Abel non deve ucciderla e lui è l’unico che può evitarlo.
“Che c’è?” Chiede Abel, senza voltarsi e senza smettere di puntarle il fucile contro, il dito pericolosamente vicino al grilletto. Tristan lo affianca, con delicatezza spinge la canna verso il basso sotto lo sguardo incredulo della ragazza.
“È lei.” Spiega Tris. “È Isolde.”
Abel la squadra dall’alto verso il basso e si lascia andare in un ghigno divertito, allontanandosi di qualche passo. “Mi aspettavo di meglio.”
 Tristan neppure lo ascolta più, non gliene frega niente.
 Tutto quello che vede è lei, gli occhi verdi fissi su di lui che lo studiano a metà tra il terrorizzato e l’incuriosito,  gonfi e grandi come non li ha mai visti, velati di lacrime che continuano a scorrere copiose lungo le sue guance. Ha paura, le gambe si muovo con spasmi incontrollati e con le mani rigide afferra l’aria, cercando di aggrapparsi a qualcosa che non esiste, ma mentre lo guarda Tristan  vede qualcosa di diverso, che non sa identificare e non è neanche certo ci sia davvero.
È una scintilla.
Riconoscenza, forse.
Confusione, anche.
Speranza.
Lei sa di non essere Isolde, non è questo il suo nome, ma non le importa.  Sarebbe disposta ad essere chiunque pur di sopravvivere.
 
Tristan sorride appena, nel tentavo di rassicurala.
 Lei è davvero la sua Isolde, per un associazione neppure troppo complicata di parole è l’unica che avrebbe potuto salvarlo, colei che è arrivata troppo tardi.
  
Non è mai stato bello, Tristan, e neppure un tipo magnetico.
 Uno come tanti, nulla di più, nulla di meno. Uno che dici essere buono perché non crea problemi ma soprattutto perché non sai attribuirgli altre qualità.
  E forse è sempre stato questo il vero problema.
Non è stato mai un campione in niente, è sempre stato relativamente anonimo, incredibilmente normale eppure ha sempre posseduto una grande, invisibile qualità: Tristan ha l’anima che è un buco nero.
Letteralmente.
Profonda, infinita, capace di risucchiare qualsiasi cosa veda e trasformarla in arte.
Così ogni sguardo, ogni mossa, tutto viene registrato dalla sua mente e lei, come abbia vita propria, prende a viaggiare in posti lontani, assegna significati non esistenti a quello che vede, costruisce un mondo parallelo e migliore in cui tutto si incastra e tutto ha perfettamente senso.
La fantasia è stato il suo rifugio più sicuro, finché la realtà non ha superato le sue aspettative.
Finché non ha incontrato prima Abel e poi lei: Isolde.  
 
È  entrata nel buio dei suoi giorni come luce potente, un bagliore che per un periodo gli è sembrato potesse squarciare tutto il nero.
 Camminava per i corridoi della scuola, rideva con le sue amiche e aveva gli occhi di tutti puntati addosso, anche quelli di Tristan ovviamente.  Lei, la nuova arrivata, l’attrazione principale della città finché non sarebbe successo qualcosa di altrettanto memorabile. L’ha osservata dal primo giorno  in silenzio, con la devozione che si deve ad un quadro del Botticelli, e questo gli era bastato.
Aveva paura d’avvicinarsi, di intaccare tutta quella prepotente bellezza con lo schifo che aveva dentro, di deformare con una pennellata di troppo qualcosa che era già perfetto.
Di portarla giù con sé.
 
Lui l’ha amata subito, anche se non l’ha mai conosciuta  davvero e non l’ ha mai chiamata per nome, non quello vero almeno. La verità è che non ha mai avuto bisogno di tutto questo, c’è sempre stato qualcosa di più tra loro due, Tristan lo sa.
È come se si siano conosciuti in un’altra vita, come se il destino o l’universo o chi per lui l’abbiano condotta direttamente al suo cospetto.
 
Tristan si avvicina a lei, le carezza una guancia e la sente fremere sotto il suo tocco, spaventata, divisa tra il desiderio di ritrarsi e quello di assecondarlo.
Lei non lo sa ancora, che sono fatti per stare insieme, che hanno la stessa anima, che sono parte della stessa grande tragedia e lui la ama, la ama di un amore antico, d’altri tempi, di quelli che lasciano un segno nella storia.  Ha scritto di lei sul suo diario, come facevano i poeti con le proprie muse, nascondendone l’identità, ed ha alimentato il fuoco della sua passione mettendo quanta più distanza possibile tra loro.
 Ha sempre voluto proteggerla da sé stesso.
Sempre.
 
Invece il  destino l’ha portata da lui, in questo maledetto bagno.
 È stato lui a decidere.
 
 Tristan si abbassa e preme le labbra sui suoi capelli scuri .
Profuma di fragole, di sangue e di paura, continua a tremare sotto il suo tocco ed è fragile tanto che gli basterebbe stringerla più forte per spezzarla. Si chiede se capirà mai tutto quello che ha fatto per lei, se lo perdonerà. Vorrebbe implorarla di farlo, ma non c’è più tempo.
 
“Hai paura di me?”  Chiede Tristan.
Lei scuote il capo, balbetta un no che non ha nulla di vero.
“Avresti potuto salvarmi.” Le sussurra all’orecchio, prima di spostarsi in modo da guardarla negli occhi. Fronte contro fronte, Tristan la osserva annaspare nei suoi stessi respiri ansimanti, ammira il suo sguardo che cambia mentre la sua mente sembra comprendere lentamente e la paura lascia spazio alla consapevolezza, un’amara realtà che si abbatte su di lei pesante come un macigno. Tristan si allontana, leva gli occhiali da sole e la sciarpa che copre parte del volto e lei  lo riconosce, finalmente.  Il ragazzo seduto agli spalti durante tutte le loro prove.
Il ragazzo nascosto dietro l’armadietto che la fissava, facendola arrossire.
Il ragazzo dei post-it attaccati allo sportello dell’auto.
 
Quello che avrebbe voluto invitare al ballo, se solo non avesse deciso di compiere una strage.
Lui.
 
Vorrebbe vomitare e piangere più forte, fino a perdere la voce.
Vorrebbe scappare via lontano, tornare nella sua vecchia città.
Tristan glielo legge in faccia, ma c’è di più, qualcosa che lei non ammetterebbe mai di provare.
È sollevata, pensa di essere salva se è lui a sparare. Pensa di poterlo salvare ancora.
 
“Ci vediamo dall’altra parte amore mio. ”
 
E senza nessun preavviso preme il grilletto.  È  colpo secco al centro della fronte quello che la uccide e la lascia immobile ancora seduta contro il muro del bagno, con gli occhi spalancati puntati verso Tristan e tanto sangue e materia grigia da ridipingere le pareti chiare.
 Lei è la sua Beatrice e lui come Dante solo nella morte potrà ritrovarla.
Deve andare così, ha deciso il destino.
 
E poi Tristan non può più essere salvato da molto tempo ormai.
 
Abel rimane in silenzio qualche istante. “Oh cazzo fratello.” Sussurra. “Non credevo lo avresti fatto.”  
Tristan si volta, sospira. “Lo sapevo da quando l’abbiamo trovata qui Abe, solo che non stava a te ucciderla.”
 
Il rumore di singhiozzi trattenuti dalla porta accanto li riporta entrambi sull’attenti, Abel sorride come un bambino a cui hanno appena regalato un giocattolo nuovo.  Questa volta non canta, non avvisa, non fa lo stupido, tira un calcio e apre la porta.
 
Vuole solo uccidere.
C’è un’altra di ragazzina impaurita, una che non è Isolde e che non sarà salvata, e lo guarda da dietro i suoi storti occhiali spessi.
 
 “Non sparare.” Ordina Tristan, posandogli una mano sulla spalla.
Abel lo scaccia via, irritato. “Ancora? Sul serio?”
“Qualcuno deve salvarsi, Abe. Qualcuno deve ricordarsi di noi, devono avere paura.” Replica e poi indica la ragazza. “E poi guardala, si è pure pisciata sotto.”
Abel scuote il capo e se ne va senza dire una parola, il fucile puntato al vuoto, pronto per sparare a chiunque abbia la sfortuna di trovarsi davanti a lui.
Tristan aspetta, rimane fermo davanti alla sconosciuta mentre sente il suo gridare contro tutti e nessuno in corridoio, avvelenato dal desiderio di sangue.
 
 “Puoi dirlo a tutti, che io l’amavo.” Dice alla ragazza.
Lei non risponde, non ce n’è bisogno,  Tristan è sicuro che lo farà. I drammi degli altri sono lo spettacolo più apprezzato ormai, tutti ne vogliono far parte, tutti conoscono qualcuno che ha visto o subito qualcosa di veramente terribile. Parlerà, perché quella sconosciuta non è diversa.
 
“Si chiamava Isabel.” Le sente sussurrare quando ormai è lontano.   
 
 
“È arrivata la polizia ”  Lo informa Abel, allontanandosi dalle ampie finestre, dove sarebbe un bersaglio fin troppo semplice.    
“Ce ne hanno messo di tempo.”
 
È arrivato il momento dell’ultimo atto, il gran finale.
 
Corrono via senza voltarsi, tutti i corpi che si sono lasciati alle spalle non contano più niente ormai, sono solo pezzi di carne, sacrifici necessari per quello che verrà.
 
 

  
 
10.05 AM
 
Camminano per i corridoi martoriati dal loro passaggio, i muri ed i pavimenti intrisi di sangue segnano il loro passaggio, gli occhi spaventati di chi osa affacciarsi dalle classi per controllare la situazione si spalancano alla loro vista.
Abel e Tristan sono il Dio della morte, un'unica potente entità divisa in due corpi e di chi ancora respira, di chi ha ancora la forza di scappare via vedendoli arrivare, non gli importa più niente.
Quel che fatto è fatto, ormai sono entrati nella storia.
Ne hanno uccisi venti almeno, forse qualcosa di più, abbastanza per superare la Columbine, da superare i maestri.
Imboccano il corridoio che porta al teatro fieri, ormai sono leggende e un giorno, tra qualche anno, arriverà qualcuno che deciderà di ripetere le loro gesta, altri allievi supereranno altri maestri e loro guarderanno tutto questo dall’angolo di Inferno che il Diavolo deve aver riservato ai più efficaci servitori del male.
 Sempre che ci sia.
 
Sempre che il Diavolo, alla fine dei conti, non si chiami Dio.
Tristan non è convinto sia un interpretazione del tutto sbagliata, insomma, se davvero questo magnanimo essere superiore avesse voluto fermarli avrebbe potuto farlo innumerevoli volte, stroncandoli con un’overdose prima della strage, o uccidendoli nell’incidente che hanno avuto appena qualche mese fa.
 Invece no, li ha lasciati liberi, vivi e pronti ad uccidere.
Insomma, quale buon Dio lo farebbe?

Abel spara un colpo contro la grande porta del teatro e lancia un urlo entusiasta quando sente delle grida provenire dall’interno. Apre la porta con un gesto secco e punta il fucile verso il palco ed i sedili dove si sono nascosti parte dei loro compagni e forse qualche professore.
 “Che voi ci crediate o no non vogliamo farvi del male.” Annuncia Tristan, mentre Abel scoppia a ridere. Non è molto credibile, dopo lo schifo che si sono lasciati alle spalle, ma è vero.
Non gliene frega più niente di sparare un colpo in più, vogliono solo farla finita.
“Avete una sola possibilità belli. O vi decidete ad uscire da soli, o vi ammazziamo tutti e non conviene ne a voi ne a noi. Non fateci perdere tempo.” Continua, muovendosi lentamente verso le file di sedili di velluto dove troppe volte ha assistito a mediocri, noiosi spettacoli di gente priva di talento.  Gente che, comunque, ha sempre avuto più riconoscimento di lui.
È triste che l’ incompetenza umana porti a questo.
 Se solo lo avessero capito, se solo lo avessero apprezzato….è tutta colpa loro, pensa Tristan, mentre spara un colpo contro un ombra che si muove, gattonando via, il più lontano possibile da lui, sperando di non essere vista.
“Uscite e non vi faremo niente.” Ribadisce Abel.
 
Una figura si alza lentamente e rivolgendosi a qualcuno ancora accucciato di fianco a lui, sussurra. “Tranquilla, vado prima io e vediamo che succede.”
Abel lo riconosce, i suoi occhi azzurri si spalancano alla vista del professor Robertson ed una scintilla di eccitazione attraversa il suo sguardo, rendendo chiaro per Tristan quello che accadrà inevitabilmente.
Scelta sbagliata, Prof.
“Headford, per favore, non fare altri sbagli, non ne hai bisogno.” Nonostante cerchi di nasconderlo dietro un’apparente calma la voce del professore è impaurita e Abel non si è mai sentito più forte in tutta la sua esistenza. “Qualsiasi sia il problema ragazzi, troveremo una soluzione.”
“Non capisci un cazzo.” Risponde Abel, facendo uno scatto in avanti con un ghigno diabolico in volto.
 Quest’uomo così insignificante, così vecchio, che trema davanti a lui e lo prega con lo sguardo di lasciarlo vivere per un altro giorno la sua insulsa vita, è lo stesso che ha rovinato i suoi anni migliori. L’ ha fatto sentire sempre sbagliato, incapace rispetto agli altri, diverso e strano nella maniera peggiore e non ha mai provato ad aiutarlo, o comprenderlo, limitandosi a gettare fango su di lui e la sua famiglia, dall’alto di una superiorità che non ha mai posseduto.
Ed eccolo qui, ora, il verme che si alza in piedi in preda ad un eroismo che non servirà a nulla, perché Abel se ne infischia delle promesse e del piano, non ha più niente da perdere e non permetterà a questo stronzo di vivere da eroe e ballare sulla sua maledettissima tomba.
 Non se lo merita.
 
No, lui lo ucciderà e cancellerà il suo nome per sempre.
Lo sanno tutti che, in storie come la loro, in pochi ricordano chi siano le vittime, diventano un mucchio indistinto di corpi, un numero e niente di più ma tutti, tutti sapranno di chi sono stati Abel Headford e Tristan Knox.
Il ricordo delle loro vittime sarà cancellato dalle grandezza della loro morte.
“Per favore Abel, per favore.” Lo implora l’uomo.
“Non meritavo quell’insufficienza professore. Lo sai vero?” Abel ha smesso di ridere. “Mi hai ferito lo sai?” Continua, alzando il tono di voce.
“Mi..mi dispiace.” Balbetta Robertson, muovendo un passo verso l’uscita di emergenza.
“Devi stare fermo pezzo di merda.” Grida Abel avvicinandosi ancora a lui.
“Io non volevo andasse così.” Ora si rivolge a tutti quelli che, nascosti, trattengono il respiro in attesa dell’inevitabile tragedia che si consumerà davanti ai loro occhi. “Ma si è alzato il coglione sbagliato e io non posso non ammazzarlo.”
 
“Ti prego sei ancora in tempo.”
“Sei tu che non hai più tempo.” E spara una raffica di colpi così fitta e lunga e carica di rabbia che Tristan quasi non riconosce più Abel, i tratti delicati del suo volto sono deformati in un’espressione carica di odio e rancore e tutto il dolore trattenuto negli anni. Osservandolo bene quasi può vedere qualche lacrima scendere lenta e silenziosa dai suoi occhi, mentre urla forte, fino a grattare la gola, fino a perdere il fiato.
 Sta uccidendo tutti i suoi fallimenti, finalmente.

Quando i colpi cessano e la voce di Abel si spegne, un silenzio irreale cala nella grande sala.
I poliziotti sono vicini, Tristan lo sa.
 Devono fare in fretta.
 
“Ora, o uscite di qui o vi uccidiamo tutti. Quindi muovetevi.” Dice e affianca Abel, stringendo la sua spalla.  Lui si volta, annuisce e torna a sorridere come non sia successo nulla, ma con una nuova consapevolezza negli occhi.
È pronto.
 
“Muovetevi.” Urla Abel, ridacchiando. “I più lenti saranno puniti.”
Tristan coglie la palla al balzo e anche lui ridendo, spara una raffica di colpi contro le schiene di chi si accalca nel disperato tentativo di uscire per primo.
Abel si avvicina al corpo ansimante di Robertson, incredibilmente il bastardo respira ancora  ma dalle labbra schizzano fiotti di sangue rossi e densi. Gli schiaccia la testa con un piede, caricandoci tutto il peso, mentre prende la mira per continuare a sparare contro i fuggitivi.
Loro gridano, gridano così forte che Abel si sente in dovere di sparare sempre di più, per coprire il suono raccapricciante della paura. Sono insopportabili, meritano di morire tutti.  
Tutti.
 
“Basta ora.”Gli ordina Tristan, bloccando prontamente la porta.
 
Sono rimasti soli, loro due, qualche cadavere ed un palco dove mettere in scena la loro stessa fine.
 Salgono i pochi gradini che li portano al palco lentamente, ogni passo li fa sentire più vicini all’atto finale di una leggenda che merita una degna conclusione.
La maggior parte delle storie vere sono spettacolari solo finché non si arriva al finale, perché quando e come arriva la fine non lo può sapere nessuno,  ma il più delle volte ti coglie di sorpresa e non è mai all’altezza delle aspettative, per questo ogni grande opera deve modificare qualcosa, per plasmare un finale nuovo.
 Questo non sarà il loro caso, Tristan non lo permetterà.
 
Si piazzano uno di fronte all’altro, si guardano negli occhi.
“Ci siamo.” Afferma Tris, incurvando appena le labbra nella pallida ombra di un sorriso.  
“Ci siamo.” Risponde Abel, con una profondità diversa nella voce. “Nessuno mi ha mai capito come te, Tris.” 
“Sei stato un buon compagno Abe.”
Abel abbassa lo sguardo. “Tu sei stato più di questo. Sei l’unica persona con la quale voglio morire.”
Lo sa, lo ha sempre saputo.Tristan gli afferra la mano e la stringe con forza, ma non risponde.
 È la fine, dopotutto, è finito il tempo di piangere, di dirsi addio, di confessare segreti inconfessabili. È solo il momento di chiudere gli occhi e andare dove devono, senza paura, con la consapevolezza che dalla vita hanno ottenuto tutto quello che volevano alla fine e che l’hanno fatto assieme.
 
Abel gli passa delle pastiglie, Tristan le getta a terra in un gesto sprezzante.
Lui non è un debole.
“Voglio sentire tutto, voglio essere consapevole fino alle fine.”
“Sono con te.”
 
Così Abel afferra pistola da sotto il trench e lo stesso fa Tristan. Non smettono di guardarsi mentre lentamente alzano il braccio e la puntano rispettivamente uno contro la tempia dell’altro.
Il freddo della canna li fa rabbrividire, ma non li spaventa. Aspettano che il momento perfetto arrivi e il cuore gli batte furioso nel petto, mosso dal primordiale istinto di sopravvivere.
“Vedi di non sbagliare questo tiro, cecchino.” Sussurra Abel.
“Non lo farò.” Promette Tristan, alzando il volto verso le telecamere che ha posizionato appena qualche giorno fa e che stanno riprendendo tutto. Sorride verso la luce rossa lampeggiante, i passi pesanti dei membri della Swat iniziano a farsi sempre più vicini e rumorosi, così riprende il suo posto, spingendo la propria tempia sempre più contro la pistola di Abel.
“Al mio tre.” Ordina Tristan.
Abel annuisce e lo osserva cercando di imprimere la sua immagine sotto le palpebre, perché se c’è qualcosa che non vuole lasciare andare di questo mondo, quella è Tris.
“Ci vediamo dall’altra parte.” Sussurra, mentre la porta di spalanca e Tristan conclude il suo conto alla rovescia.
Premono il grilletto insieme e per l’ultima volta sono una cosa sola.
È un colpo, in due colpi diversi ed il tonfo sordo di un corpo che cade, ma sono due.
Due in uno, Tristan ed Abel crollano al suolo insieme, gli occhi spalancati verso il vuoto, le teste rivolte ironicamente l’uno verso l’altro, incatenati nell’ultimo sguardo per l’eternità.

N.a: Che dire, se siete giunti fino qui avete retto questa specie di mostro lunghissimo a cui mi sono affezionata tanto e spero vi sia piaciuto. 
Ci tengo a chiarire alcune cose. Ho voluto includere gli eventi della Columbine sia per gli espliciti riferimenti dei due protagonisti, dall'abigliamento al modus operandi in alcuni momenti, sia perchè per l'importanza che ha avuto nella storia Americana degli ultimi anni sarebbe impensabile non prenderne in considerazione gli eventi. I cognomi dei protagonisti -Headford e Knox riprendono le iniziali degli autori della strage della Columbine Harris e Klebold e ne riprendono alcune caratteristiche.
Klebold, come Knox, aveva ideato per primo il piano ma è generalmente considerato come il più "innocente" , passatemi il termine, tra i due perchè non aveva appartenemente le tendenze violente e psicotiche di Harris. Allo stesso modo di Tristan, Klebold scriveva di una ragazza nei suoi diari senza mai rivelarne l'identità -tant'è che si pensa possa anche essere una sua fantasia, non una persona reale. 
Ad ogni modo, il riferimento più esplicito è al superare i maestri con il numero di vittime, che alla Columbine furono 13, senza contare i due assassini. 


 
   
 
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