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Autore: akiremirror    26/11/2020    5 recensioni
SPOILER! Storia ambientata dopo la 15x20 per darmi un po' di consolazione di fronte a un finale in cui gli autori, secondo me, non sono riusciti a tirare le fila di tutto quello che avevano in mano.
Deastiel.
Vediamo che cosa succede in paradiso dopo l'arrivo di Sam.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Nota dell’autrice.
SPOILER ALLERT. Se non avete visto il finale della serie, andate da un’altra parte!
 
Da dopo la trasmissione della 15x20 si è scatenato un maremoto, lo sappiamo. E forse non è nemmeno paragonabile a quello che si è scatenato in noi dopo aver visto come hanno chiuso un percorso lungo 15 anni.
Potrei dire molte cose su quel che credo del finale, alcune buone, altre meno, ma una cosa su tutte la sento sulla pelle… hanno scritto un finale senza riuscire a tirare le fila di tutto.
Cioè… Dean, che ha perso violentemente la madre per ben due volte, una volta in paradiso che fa? Va a farsi un giro in macchina.
Ecco: lì ho capito che stavano giocando con i simboli, ma che stavano lasciando indietro l’identità e la storia del personaggio.
Allo stesso modo, faccio fatica a capire perché disseminare le stagioni di indizi eclatanti dell’amore di Castiel per Dean, farlo dichiarare e poi farlo sparire tre nanosecondi dopo. Come lanciare il sasso nel lago e poi nascondere la mano. Se non se la sentivano di esplorare la cosa fino in fondo, allora forse valeva la pena far sacrificare Castiel senza fargli dichiarare proprio nulla. (Per inciso, credo che il discorso di Castiel sia una delle dichiarazioni d’amore più belle che io abbia mai visto in uno show televisivo).
Detto questo, ho sempre tifato per la coppia, ma non sono mai stata una sfegatata sostenitrice. Dopo il finale, invece, mi sono proprio saltati i nervi per quel mezzo fatto e mezzo non fatto, quindi mi sono presa il mio tempo per rimediare.
Ho diviso la storia in tre parti. Spero vi piaccia e aiuti a lenire un po’ la delusione.

 

 

Ma se invece lo ami…

 

1

Il sole splendeva meraviglioso sul verde giardino che circondava la casa di Mary e John. Dean li guardava con gli occhi illuminati da una serenità e da una gioia nuovi, mentre Sam raccontava di Dean, l’altro Dean, quel nipote che lui non avrebbe conosciuto se non che da morto.

“Eileen ha insistito perché gli insegnassi la caccia, e alla fine ha avuto ragione, come sempre.”

“Tipico delle mogli” gli bisbigliò non troppo a bassa voce John, guadagnandosi una frustata di strofinaccio da Mary.

Sam rise e annuì.

Il ricordo della famiglia che si era lasciato alle spalle lo accompagnava fin da quando era arrivato.

“All’inizio ero terrorizzato, ma poi ho dovuto ammettere che è bravo. Come se fosse la sintesi del mio essere cervellone e dell’energia di Dean.”

“Il sangue non mente!” puntualizzò allora lui, sorridendo e immaginandosi come dovesse essere il nipote.

Il fatto che suo fratello avesse chiamato il figlio come lui e non come loro padre lo aveva lasciato emozionato e grato, gli sembrava che quel riconoscimento valesse come…

Il pensiero si interruppe bruscamente, mentre il piatto che aveva davanti, sul quale era transitata rapidissimamente una fetta di torta, andava in frantumi.

Mary fece scattare lo sguardo verso di lui, poi verso John rimanendo immobile.

Dean osservò il piatto, incredulo, poi alzò le spalle.

“Che diavolo…?”

“Ti sei tagliato?” chiese Sam, apprensivo, e Dean gli lanciò un’occhiata tra l’esasperato e il divertito.

“Tagliato? In paradiso? Sarebbe un paradosso, non credi?” Poi guardò sua madre, vedendone l’espressione. “Ehi, tranquilla, non è successo nulla! Vedi?” Le mostrò le mani, intatte, e Mary sorrise rigidamente, cercando poi di nuovo John con lo sguardo.

“Ma tu stai bene, Dean?”

La voce di John, calma e serena, fece calare sulla stanza un silenzio irreale.

“Certo che sto bene. Perché non dovrei? Sono qui con tutti voi, finalmente riuniti, e siamo in paradiso. Che vi prende?”

Stava andando sulla difensiva e non ne capiva il motivo.

Bugiardo

“In paradiso non si rompe mai niente” disse Mary, sorridendogli e guardandolo con dolcezza ma con l’evidente intenzione di passarlo da parte a parte. “Quando le cose si rompono è perché qualcuno non sta bene. Credo che Jack abbia escogitato questo sistema per far capire alle persone che, anche se sono in paradiso, spetta a loro sciogliere i nodi che hanno ancora addosso. Non è che con la morte e l’arrivo in paradiso tutto diventi perfetto.”

“Io non ho nodi addosso!” sbottò Dean, muovendosi a disagio sulla sedia.

Qualcosa di pesante lo stava tenendo inchiodato lì. Paura.

“Quando sono stato portato qui, beh…” sospirò John, facendo vagare lo sguardo ovunque tranne che sui figli “ero in paradiso da un po’, salvato grazie a voi, ma poi Jack ha cambiato le cose, e ora il paradiso è più spontaneo.”

Mary annuì e gli prese una mano, stringendola.

“All’inizio stavo bene, ma poi alcuni sentimenti che mi ero costretto a tenere per me mi hanno fatto rompere…” rise, abbassando il capo. “Mi hanno fatto rompere parecchie cose.”

“Eufemistico…” commentò Mary, gli occhi illuminati di orgoglio e amore.

“Il fatto è che più rimandi, più spesso ti capiterà di rompere oggetti, muri, perfino alberi. Un consiglio, figliolo, anche se so che non lo vuoi… Non aspettare. Qualunque cosa sia, qui puoi affrontarla.”

Dean rimase pietrificato, incapace di rispondere e di reagire.

Sapeva che nodo aveva addosso, ma non voleva vederlo, non ne aveva il coraggio.

Sam si schiarì la voce, poi parlò con leggerezza.

“Magari due passi mi farebbero bene. Siamo venuti qui dopo il giro in macchina, e ora sono curioso di vedere com’è là fuori.” Si alzò e si girò verso Dean. “Mi accompagni?”

Dean esalò un “sì” a fatica, evitò lo sguardo dei genitori e uscì dalla casa senza aggiungere una parola.

Una volta fuori andò verso Baby, le mani che si aprivano e si chiudevano, sfregando le dita tra loro.

Sam lo seguì senza dire una parola, aspettò di essere vicino alla macchina prima di provare a fargli sputare il rospo.

“Dean…”

“Non chiedermi di parlarne, Sammy!”

“Qui a quanto pare non puoi fare come al solito, non puoi evitare di affrontare ciò che provi come hai sempre fatto, o continuerai a…”

“Cosa? Rompere oggetti? Alberi? Ce ne sono abbastanza per l’eternità, mi pare” ribatté con rabbia, sentendo che quello stato d’animo era un graffio all’anima, che lì non aveva senso tenersi strette le cose brutte, ma aveva così paura di parlare, dire ad alta voce ciò che lo tormentava.

Sollevò un angolo della bocca, in un sorriso sarcastico e amaro.

La felicità non è nell’avere, ma nell’essere, nel poter dire…

E niente, paradiso o no lui non ne voleva sapere di essere felice, allora. Probabilmente non ne era capace.

Ma Sam, il suo Sammy, il fratello fedele e buono che aveva cresciuto lo stava guardando, in attesa.

“C’è una cosa che non ti ho detto. Su Cass, su perché…” Sibilò fuori l’aria, muovendosi di scatto sul posto, dando le spalle al fratello. “Quando si è sacrificato per me mi ha detto di aver fatto un patto con il Vuoto.”

“Un patto?”

“Sì, quando ha salvato Jack. Il Vuoto li ha lasciati andare solo dopo aver strappato a Cass quel patto: che sarebbe tornato per lui quando lui fosse stato veramente felice.”

Sam scosse appena la testa, cercando di capire.

“E Cass era felice mentre tutto stava andando a rotoli? Non ha senso.”

Dean sentì come una mano invisibile afferrargli la gola e stringere. Lo stomaco si contrasse di conseguenza, e così le spalle. Paura.

Terribile, angosciante, feroce paura.

Tornò a guardare il fratello, gli occhi spalancati, colmi di tutti i sentimenti travolgenti che lo stavano ferendo.

“Cass lo è stato. Lo è stato perché…”

Di nuovo si bloccò, ma anziché girarsi di nuovo dall’altra parte prese un bel respiro e poi lo espirò piano.

“Perché ha confessato di amarmi.”

Ecco, lo aveva detto. Adesso il mondo poteva finire come lui era convinto avrebbe fatto.

Assurdo, aveva sconfitto Dio e poi faceva finire tutto proprio dal paradiso.

Sam lo fissò in silenzio per una manciata di secondi, poi fece spallucce.

“E…”

Attonito, Dean restò a fissarlo per un po’, poi sbottò. “Che cosa vuol dire “E…”?”

“Beh, e poi?”

“Poi il Vuoto se l’è preso! Ecco cosa!” sbraitò Dean, furioso e sorpreso dalla reazione di Sam.

“Quindi la sua felicità è stata dirti una cosa ovvia?”

Di nuovo, Dean rimase imbambolato, ma questa volta incapace di usare la rabbia per reagire.

“Per te era una cosa ovvia?”

Sam annuì, guardandolo come si guardano i bambini che scoprono un po’ troppo tardi che l’acqua bagna.

“Per te no? Voglio dire… alle volte, nel modo in cui vi guardavate… So che è stupido, ma prima dell’arrivo di Eileen vi ho invidiati tantissimo.”

“Sammy, di che diavolo stai parlando?”

Il cinguettio degli uccelli regnò sovrano tra loro, mentre si guardavano cercando di capire qualcosa dell’altro.

“Tu non…?”

“No! Credevo che le mie tendenze fossero piuttosto ovvie. Hai avuto in mano il mio computer parecchie volte, no?”

Sam scosse la testa come a scacciare delle immagini dalla sua mente e alzò una mano per stoppare il fratello.

“Non si tratta di tendenze. Si tratta di avere qualcuno con cui esporre tutto di noi stessi, anche le paure e le fragilità e sapere che l’altro se ne prenderà cura, che non si farà spaventare e che sarà lì, comunque. È quello che vi ho sempre visto fare. E il modo in cui ti arrabbiavi con lui quando faceva qualcosa che metteva in dubbio il vostro rapporto… non lo so, ma non facevi lo stesso con me o con Bobby. O con nessun altro. Quando era lui a farlo, per te era una cosa sempre personale.”

Dean si ritrasse per proteggersi da quelle parole, scuotendo la testa.

“Era personale! Ma non vuol dire che…”

“Ok, va bene. Dean, non ha importanza che tu non lo abbia ricambiato” Una stretta al cuore “ma questa cosa ti fa stare male, in qualche modo. Tutto qui. E in paradiso a quanto pare non puoi lasciare conti aperti così grandi. Devi fare pace con quello che è successo.”

Dean annuì. Attorno a loro il giardino era rigoglioso, colorato e ben curato. Ma lui vedeva tutto troppo luminoso. Perfino Baby era troppo lucida, troppo perfetta, troppo bella.

Aveva bisogno di sfogarsi, di lasciar andare la tensione prima di combinare qualche casino, così voltò le spalle al fratello e se ne andò lungo un sentiero, raggiungendo una zona più ombreggiata, dove i colori e la luce non gli avrebbero ferito gli occhi.

Camminò in fretta, percorrendo una distanza che non riuscì a valutare, facendo entrare e uscire aria nei polmoni e aumentando l’andatura quando l’immagine sorridente di Castiel gli compariva davanti agli occhi.

Il Vuoto lo aveva preso così in fretta, senza dargli il tempo di capire che non c’era più tempo per nulla. Era rimasto lì fermo, incredulo, a guardarlo mentre veniva inghiottito insieme a Morte da quella cosa viscida.

Il sentiero lo condusse di nuovo verso Sam, rimasto lì ad aspettarlo.

Come faceva a sapere che sarebbe tornato da lui?

Soffiò tra i denti. Se mai avesse incontrato di nuovo Jack, gli avrebbe detto che quel posto era diventato dannatamente perfetto.

Niente convenevoli, niente frasi di circostanza per giustificare quella sua fuga e poi il ritorno.

“Ho preteso che Dio lo liberasse, ho guardato Chuck negli occhi e gli ho detto di riportarlo indietro” sputò fuori con rabbia quando fu a pochi passi dal fratello. “Avrei dato qualunque cosa per vederlo tornare. E ora che sono qui e Jack lo ha davvero tirato fuori dal Vuoto… non ho mai neanche osato pregare per vedere se…”

Gli tremò la voce e si sentì mancare il respiro come mai gli era capitato di fronte a demoni, vampiri o forze soprannaturali.

Sono un vigliacco

“Aspetta. Jack lo ha fatto uscire dal Vuoto?”

Dean annuì.

“E allora che cosa aspetti? Stai scherzando, Dean?”

“Che cosa dovrei fare? Chiamarlo, vedere se è disposto a parlarmi e poi?”

“Poi non lo so, ma non puoi lasciar passare una vita prima di fare qualcosa!”

“Una vita? Sam, per me sono cose successe una decina di giorni fa! Ed è tutto… troppo! Dannazione, prima mi dice cose che… e poi il Vuoto lo ha inghiottito davanti ai miei occhi, è sparito e sorrideva…”

“Scusa, questa cosa del tempo mi confonde. Non ho pensato che per te sono cose così recenti” gli concesse con tono mite. Poi lo sbriciolò, continuando: “Ma non cambia nulla.”

Dean tremò e si sentì quasi offeso dalla mancanza di tatto di Sam. Lui stava male e il fratello infieriva così? Perché?

“È Cass. E si è sacrificato. Anche se non lo ricambi in quel modo, possibile che tu non voglia vederlo?”

Certo che voglio vederlo! Da quando sei tornato tu, non penso ad altro, dannazione!

“Sammy… sono terrorizzato” riuscì a dire, con una vocina sottile e pietosa.

“E da che cosa?”

“Non lo so!”

Sam lo guardò, un sopracciglio vagamente inarcato.

“Se sei così spaventato perfino in paradiso allora le risposte le hai, non credi?”

Dean ammutolì, disorientato. L’angoscia per quel discorso lo stava sopraffacendo, avrebbe voluto smetterla, riprendere a non pensarci ma c’era una parte della sua mente che continuava a mantenere viva la sensazione di mancanza. E bruciava.

“Io credo che tutti ci facciamo un’idea di noi stessi” disse Sam, riportandolo lì con lui. “E quando capita qualcosa che ci costringerebbe a cambiare quell’idea facciamo fatica ad accettarlo. Anzi, in alcuni casi addirittura neghiamo, rifiutiamo di vedere quello che abbiamo sotto gli occhi.” Gli posò una mano sulla spalla e lo guardò negli occhi, schietto e sereno. “Che tu ricambi o no i sentimenti di Castiel, va comunque bene. Hai capito?”

Dean annuì appena ma Sam scosse la testa e continuò a fissarlo, stringendo la presa per attirare la sua attenzione.

“Se non ricambi, va bene” puntualizzò, aspettando un attimo prima di continuare. “Ma se lo ami… va bene lo stesso. Non è un problema per nessuno, non deve esserlo neanche per te.”

“Ma se lo ami…”

… se lo amo…

Non so se lo amo.

So solo che fa male.

 

 

 

2 

Erano passate due settimane dal suo arrivo in paradiso.

Sam, Eileen e il neo arrivato Dean avevano una bella casa vicina a quella di Mary e John, lui invece aveva preferito restare più vicino a Bobby, in una piccola casetta nel bosco, costruita con i tronchi grezzi degli alberi, semplice, senza troppe comodità o fronzoli, come l’aveva sempre desiderata, ma con un bellissimo portico e un patio dove si sistemava, la notte, a osservare le stelle.

Non c’era bisogno di dormire, lo facevano solo se volevano, e lui non voleva.

Quando chiudeva gli occhi per più di un battito di ciglia lo vedeva, costantemente.

Non era da lui essere così fissato, così attribuì la colpa di quell’assurdo e inutile atteggiamento al paradiso. Dannato posto che voleva fargli risolvere i suoi nodi.

Ma lui con i suoi nodi ci stava benissimo. Non aveva importanza che il camino si sgretolasse ogni due o tre ore, o che le assi del patio andassero sistemate tutte le sere.

Un’ombra scura si mosse a margine del suo campo visivo catturando la sua attenzione, e l’istinto di una vita prese il sopravvento. Si girò di scatto, ma l’ombra non c’era più, però vedeva qualcosa tra gli alberi, dei movimenti appena più marcati tra la vegetazione più bassa, come se qualcuno ci avesse appena corso attraverso.

Si mosse senza pensarci.

Salì lungo il pendio alle spalle della casa, aggrappandosi ai massi sporgenti quando il cammino diventava più difficile. Scivolò a terra un paio di volte sporcandosi i jeans, ma non si fece mai male.

Doveva ancora abituarsi a quella strana cosa: probabilmente se si fosse infilato un coltello nel palmo della mano non avrebbe sentito dolore e si sarebbe rimarginato in un attimo.

Però la fatica fisica la sentiva. Sentiva lo sforzo per ogni passo, per ogni metro guadagnato, ed era gratificante e liberatorio.

Raggiunse una piccola radura finendo di arrampicarsi lungo la scia lasciata dall’ombra. Si stesse a terra, tra l’erba verde e profumata.

I raggi del sole arrivavano a chiazze, infiltrandosi tra i rami della vegetazione e le foglie mosse dal vento.

Respirò e respirò e respirò, e fu grato di scoprire che lo sforzo fisico aveva scacciato il peso che di solito aveva sul petto.

Si sarebbe potuto anche addormentare in quel posto, era meraviglioso, quieto e rassicurante, ma i suoi occhi cercarono l’ombra che lo aveva condotto lì: aveva attraversato la radura ed era annidata in mezzo a un gruppo di cespugli, apparentemente in attesa.

Dean si mise in piedi, stropicciandosi i jeans per liberarsi dell’erba, cercando di fingere indifferenza. Possibile che Jack avesse liberato qualcosa di oscuro nel ricostruire il paradiso?

L’ombra improvvisamente si piegò su se stessa, aumentando la frequenza con cui vibrava e si contorceva, e a Dean ricordò un gatto che sta per fare il suo balzo.

Prima che la cosa potesse saltargli addosso, un rapido frullare di ali infranse la quiete della radura e un muro di piume bianche trattenne la cosa lontana da lui.

In una frazione di secondo il suo cervello riuscì a elaborare più pensieri di quanto gli fosse mai capitato.

Ali volevano dire angelo. Angelo, per lui, voleva dire Castiel. Ma quello era il paradiso, chissà quanti nuovi e zelanti angeli c’erano lì. Era improbabile che si trattasse di Castiel.

Sam avrebbe potuto addirittura argomentare con la statistica.

Ma allora perché lui era assolutamente sicuro che, in meno di un attimo, spostando gli occhi, avrebbe visto la figura ben nota del suo compagno di caccia?

Paura, terrore viscerale. Che non bastò a trattenerlo dal cercare con lo sguardo il proprietario di quelle ali, il cuore in gola per la speranza.

Come faceva a provare paura e speranza allo stesso tempo?

L’ombra si ritirò con uno scatto improvviso e il nuovo venuto fece per seguirla.

“Cass…” bisbigliò Dean, e l’angelo si bloccò rimanendo di schiena, le ali che lentamente si ripiegavano e sparivano lasciando libero di svolazzare il trench beige.

Silenzio.

Dean fece qualche passo, gli occhi incollati sulla schiena dell’angelo, e all’improvviso il sollievo lo travolse come un fiume in piena. Lui era lì, era libero, era di nuovo vicino.

Poi Castiel girò appena la testa e lo guardò da sotto in su, con un’aria quasi colpevole che gli fece venire voglia di stringerlo.

“Mi dispiace, non volevo mi vedessi, ma si stava avvicinando troppo. E immagino che pretendere tu non la seguissi fosse piuttosto irrealistico.”

“Che cos’è?” chiese Dean, lieto di potersi aggrappare a un argomento credibile e neutro per non dovergli chiedere come mai non voleva che lui lo vedesse.

Devi anche chiederglielo?

“Una prova.”

“Cioè?”

Castiel sospirò e si girò verso di lui, accennando con il capo alla direzione verso cui era scappata l’ombra.

“Jack è un Dio che Chuck non si sarebbe mai sognato di essere. Ma è giovane, ha tante cose da imparare. E Amara lo sta aiutando, gli insegna molte cose. Una di queste è reagire alle opposizioni. Lui è Dio, ma il fatto che non sia il creatore originale potrebbe spingere alcune forze antiche a ribellarsi. Per questo Jack deve avere il pieno controllo e conoscenza delle sue capacità.”

“E le ombre servono a farlo allenare?”

Castiel annuì chiudendosi in un silenzio quieto e paziente. Dean, all’opposto, si infilò le mani in tasca e si mosse nervosamente lungo il margine della radura.

“Quindi tra un po’ arriverà anche lui?” chiese, più per riempire il silenzio che per altro, e Castiel sembrò rannicchiarsi appena tra le spalle.

“No. Lui ora sta tenendo a bada le altre. Quest’ombra è scivolata via e… Te l’ho detto, si stava avvicinando troppo.”

Dean smise di muovere inutili passi e all’improvviso si afflosciò su se stesso.

“A noi” disse con un decimo della propria voce.

“A voi, sì”.

A me

Per la prima volta dopo tanto tempo, le parti erano invertite: Dean non riusciva a non guardarlo e Castiel si ostinava a tenere i propri occhi rivolti ad altro.

“Sarebbe stato pericoloso? Devo ancora capire le regole che ci sono qui… voglio dire, in paradiso possiamo essere feriti?” insistette, per essere certo di non vederlo volare via o sparire all’improvviso.

Castiel piegò appena la testa e si prestò a quel tergiversare.

“In paradiso non c’è nulla che vi possa ferire, ma quell’ombra è stata creata dalla Dea della distruzione, quindi…”

“Fantastico” commentò Dean, decidendo su due piedi. Si era comportato come un vigliacco per un tempo sufficiente. “A caccia anche in paradiso. Andiamo, vengo con te.”

Gli occhi di Castiel saettarono su di lui, che però ora stava cercando con lo sguardo una qualche traccia dell’ombra.

“Dean, non è necessario…”

“Quella cosa può avvicinarsi a Sammy. Non posso permetterlo. Suo figlio è appena arrivato e voglio che stiano un po’ tranquilli. Sai, insieme.”

Castiel sollevò appena un angolo della bocca in un sorriso fanciullesco.

“Va bene. Ma quando saremo abbastanza vicini lascia che me ne occupi io.”

Si guardarono negli occhi solo allora. Di nuovo compagni di caccia.

“Mh, mi togli il divertimento, ma va bene.”

Si mossero a piedi, tenendo d’occhio ciascuno il proprio tratto di radura. La parte ombreggiata lasciò presto il posto a una chiazza completamente esposta.

Di nuovo, Dean ebbe l’impressione che ci fosse troppa luce ma non si lamentò e continuò a camminare, cercando di ignorare la sensazione di avere una calamita attaccata allo stomaco, inesorabilmente attratta dall’angelo che procedeva poco dietro rispetto a lui e che sembrava decisamente più a suo agio di quanto si sarebbe aspettato.

Possibile che per Castiel bastasse quell’essere insieme per stare tranquillo? Come aveva fatto a non inveirgli contro per non averlo mai minimamente cercato in quei giorni? E per lui erano stati giorni? O lavorare con il nuovo Dio lo aveva portato in una dimensione dove il tempo, di nuovo, scorreva in modo diverso?

Qualcosa di gelido scese lungo la schiena di Dean. E se per Castiel fossero passati secoli? Se nel frattempo avesse fatto pace con i propri sentimenti e li avesse lasciati andare?

Se lo avesse dimenticato?

Già, mi starebbe proprio bene. Mandare tutto a puttane è quello che so fare meglio, del resto.

“Questa cosa che il tempo fa quello che vuole è spaventosa” disse, la voce appena incerta, sperando di indagare sulla questione senza fare domande dirette.

“Sì, lo capisco. Ma l’idea è che chi arriva qui non debba soffrire. Per questo il tempo va più veloce.”

“Parecchio più veloce. Io ho fatto in tempo a fare un giro in macchina e Sam è invecchiato. Ha un figlio, sai? Lo ha chiamato Dean.”

“Mh, sì, lo so. Ogni tanto lanciavo uno sguardo giù, per vedere come stava. Ha fatto fatica a riprendersi da dopo che tu te ne sei andato. Ma alla fine ce l’ha fatta.”

Dean rallentò il passo e si girò a guardarlo, ma la luce era davvero troppa, lo costrinse a sbattere le palpebre più volte.

“Sammy meritava di avere la vita che ha avuto.”

“L’avresti meritata anche tu.”

“Io sono morto come dovevo morire” tagliò corto, riprendendo il cammino. Non pensava quello che stava dicendo, ma aveva senso rimpiangere la propria morte in paradiso? “Che cosa avrei fatto? Continuato a cacciare per quanto?”

“Avresti potuto farti una famiglia, come Sam.”

Un pugno nello stomaco. Castiel non pretendeva nulla, non lo aveva mai fatto, non aveva pensato di ipotecare la sua vita con quel “ti amo”.

La familiare e fastidiosa sensazione di avere la gola stretta in una morsa tornò a fargli compagnia e a costringerlo al silenzio, e Castiel fraintese.

“Mi dispiace che tu abbia avuto così poco tempo sulla Terra. Avrei voluto tu fossi felice.”

Perché cazzo non chiudeva la bocca? Come avrebbe potuto essere felice dopo averlo visto gettarsi in pasto al Vuoto? Sapere di essere vivo solo perché lui si era sacrificato? Avrebbe continuato a vivere, certo, per onorare quel sacrificio, ma essere felice era un’altra cosa.

Non rispose in alcun modo a Castiel, non pronunciò più una parola, sentendo il silenzio confuso dell’altro sulla pelle.

Riguadagnarono una zona vagamente ombreggiata grazie alle fronde di alcuni alberi, ma non c’era più traccia dell’ombra.

“Ero sicuro di averla vista muoversi in questa direzione” disse Dean, guardandosi attorno allerta.

“Anch’io.”

“Non la vedo più. Tu?”

Castiel cercò di andare il più lontano possibile con lo sguardo, ma fu costretto a scuotere la testa.

Fu in quel momento che Dean se ne accorse: quella cosa li aveva aggirati approfittando delle loro chiacchiere. Ora era alla sinistra di Castiel, indietro di pochi passi, che strisciava silenziosamente verso di loro.

Avrebbe dovuto avvisarlo, dirgli di girarsi, ma intravide qualcosa in quell’ombra, un oggetto che non credeva avrebbe visto lì, men che meno non in possesso di qualcosa creato, in teoria, per aiutare Jack: una lama angelica.

Agì senza fiatare, terrorizzato dall’eventualità che potesse colpire Castiel. Vederlo morire davanti ai suoi occhi, ancora, sarebbe stato troppo.

Corse dietro l’angelo, si girò e lo spinse via, poi sentì una fin troppo familiare sensazione alla schiena e uno strano solletico lungo la spina dorsale.

La punta della lama sbucava dal suo petto e lui si limitò a osservarla mentre Castiel lo guardava allibito e spaventato. Non sentiva dolore di nessun tipo, solo la consapevolezza che c’era qualcosa in lui che non gli apparteneva, non ne ebbe paura. Le sue considerazioni su quello strano stato vennero interrotte da un rumore che non aveva mai sentito: era Castiel, che stava ringhiando tra i denti mentre espandeva la sua luce sull’ombra, annientandola.

E Dean seppe di aver temuto per nulla. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato per Castiel, ma nulla era cambiato nel frattempo.

Perché ne era così disperatamente sollevato?

Quando il potere del suo angelo si ritirò, la lama angelica si dissolse come se non fosse mai realmente esistita.

Dean allora prese un bel respiro e poi rise, chinandosi in avanti. Non c’era dolore in paradiso, ma di sicuro c’era l’adrenalina.

“Fottuto destino, possibile che sia stato di nuovo infilzato?!” esclamò scrollando la testa. L’ironia della situazione, però, doveva essere chiara solo a lui, perché Castiel lo stava fissando con gli occhi traboccanti di dolore e paura.

“Fammi vedere, potrebbe averti fatto del male!” disse avvicinandosi, la voce alterata dal panico. Ma Dean non poteva sopportarlo. Gli afferrò il braccio che stava protendendo e lo fermò, ridiventando serio in un attimo.

“Devi smetterla di preoccuparti per me.”

Castiel si bloccò, impietrito per quelle parole, e Dean si diede dell’imbecille.

Gli si avvicinò più di quanto avesse mai fatto, più di quanto credeva avrebbe potuto fare, e deglutì a fatica osservando quegli occhi azzurri che aveva sempre trovato lì ad attenderlo.

“Devi smetterla di fare come se io valessi più di te. Non è così.”

“Credo sia una questione di punti di vista” ribatté Castiel, rapido e non meno determinato di lui.

E Dean a quelle parole crollò. Lo afferrò e lo strattonò con rabbia, sibilando parole che non credeva avrebbe mai avuto il coraggio di dirgli.

“Punti di vista un cazzo! Sei dieci volte quello che sono mai stato io. Hai abbandonato la tua gente per fare la cosa giusta, hai affrontato una solitudine che mi avrebbe divorato, e non hai mai smesso di lottare, non hai mai perso la fede. Non sei mai stato un cane rabbioso come me. E…” esitò, abbassando il tono della voce. “E ti sei tenuto stretta una purezza di cuore che ti ha fatto vedere il meglio di me, sempre. Anche quando non c’era nulla da vedere.”

Castiel fece inaspettatamente un passo indietro. Dean non gli aveva mai visto un’espressione così ferita in volto.

“C’è sempre stato tanto da vedere. Ma non mi ripeterò, Dean. Non voglio metterti in difficoltà o...” Scrollò la testa, lasciando cadere lo sguardo a terra.

Il cuore di Dean si strinse in una morsa d’acciaio mentre le parole di Sam risuonavano nelle sue orecchie.

“Ma se lo ami…”

Lo amo? Amo questo essere immortale che ha combattuto per me più di quanto dovesse?

Lo guardò, prendendosi per la prima volta il tempo di osservarlo sul serio.

Conosceva bene gli occhi di Castiel, ma gli era sempre sembrato di non riuscire mai a leggerli fino in fondo. Forse ora sapeva perché.

Conosceva la linea contratta della mascella, che aveva percosso duramente più di una volta.

Conosceva la forma del volto, che aveva rappresentato una sicurezza anche nei momenti più assurdi.

Ma non conosceva le sue labbra. Non si era mai preoccupato di che forma avessero, anche se ricordava bene la sensazione che provava quando si incurvavano in un sorriso.

Dio, era stato davvero così stupido?

Qualcosa, tra gola e petto, collassò e Dean rimase senza fiato, da solo di fronte all’ovvietà.

Quello era il suo angelo. Suo e basta.

Si vide con la mente mentre lo afferrava per il bavero del trench e lo spintonava contro l’albero più vicino per poi cercarne la bocca e baciarlo fino a togliergli il fiato, ma scacciò quel pensiero rifiutandolo con forza. Non era ancora pronto.

“Non andartene, non stare lontano” implorò, senza provare nessun tipo di vergogna. “Mi sei mancato e non voglio vederti sparire di nuovo.”

Castiel esitò anche se i suoi occhi si erano improvvisamente animati.

“Pensavo ti avrebbe messo in difficoltà” commentò semplicemente, come se dovesse giustificare la sua latitanza.

Dean sorrise ma non riuscì a mantenere il contatto visivo.

“Perché? Perché mi hai detto ciò che provi?” Scrollò la testa, tremando. “Non me lo aspettavo. E so di non poter…”

“Dean, non serve. Lo so.”

Ecco che ancora lo salvava, perché lui non avrebbe saputo bene come finire la frase. Castiel aveva sempre fatto così, non lo aveva mai costretto a dire quello che non era pronto o disposto a dire. Castiel si prendeva cura dei suoi limiti e delle sue paure da sempre.

“Non voglio perderti ancora. Vederti inghiottito dal Vuoto è stata una delle cose peggiori mi siamo mai capitate.” Almeno questo poteva dirglielo, e poteva farlo guardandolo in faccia.

Castiel annuì e gli sorrise più apertamente, costringendolo a imporsi di respirare.

“Allora non sparirò.”

 

 

3

 

Lo scoppiettio dei pop-corn stava scemando e Dean non resistette alla tentazione, sollevò il coperchio della pentola e dovette schivare un paio di chicchi di mais che saltavano fuori, esplodendo in morbidi fiocchi bianchi.

Ne afferrò una manciata e se li cacciò in bocca, poi rovesciò il contenuto della pentola in una terrina, ci mise una quantità esagerata di sale e diede una rapida mescolata. Con la terrina in una mano e un paio di birre nell’altra, uscì nel patio e puntò alla sdraio libera.

Si sedette con un verso soddisfatto, appoggiò a terra il cibo e passò una delle due birre a Cas, che occupava l’altra sdraio.

“Se non c’è cibo non sei contento, vero?” gli chiese l’angelo, sorridendo.

Era buio, Dean poteva distinguere a fatica i suoi lineamenti, ma sapeva che stava sorridendo.

“Cosa vuoi che ti dica. Qui non ingrasso, non posso avere problemi di ipertensione o mal di stomaco. Perché dovrei trattenermi?”

Castiel sospirò e stappò la birra, bevendone un sorso e poi guardando la bottiglia, sorpreso.

“Questa è nuova.”

“Sì, ho deciso di sperimentare.”

Con un cenno di approvazione, Castiel riportò lo sguardo al cielo e allungo la mano sui pop-corn.

Dean lo imitò, cercando in cielo la meraviglia che Castiel aveva annunciato.

Di solito lo andava a trovare di giorno, gli raccontava di quello che stavano facendo con Jack, della rivolta di alcuni demoni superiori che Rowena si era stancata di tenere a bada, dei nuovi angeli creati per vegliare sul paradiso e che lui stava istruendo, dei vecchi angeli che stavano facendo i salti di gioia ad avere un Dio con il quale poter parlare.

Avevano passato così un paio di mesi, durante i quali non si era rotto più nulla attorno a Dean.

Poi quel pomeriggio Cass si era presentato alla porta, chiedendogli se poteva raggiungerlo, quella sera. A quanto pareva, Jack aveva deciso che le anime del paradiso avessero bisogno di un segno della sua presenza, un regalo che ricordasse loro la meraviglia di quel posto e della felicità che avevano.

Dean era dell’idea che non servisse, ma Jack era onnisciente, forse vedeva qualcosa che lui non immaginava neanche.

“Allora, cosa dobbiamo aspettarci?”

“Non lo so” ammise Castiel, rimanendo allerta come un bambino in attesa di Babbo Natale.

Dean sorrise e sospirò.

“Credi molto in lui.”

“Sì, l’ho sempre fatto.”

“Vero” concesse Dean, bevendo un sorso di birra. “Allora aspettiamo e vediamo.”

Trangugiò ancora un po’ di birra e si rilassò, godendo della quiete che aveva attorno. Non si era mai accorto, in vita, quanto quella spensieratezza gli fosse mancata. Non era mai stato un cupo pessimista tormentato da ogni minimo pensiero, ma aveva sempre avuto addosso la sensazione di dover stare allerta, pronto a intervenire quando necessario.

Invece lì poteva anche solo rilassarsi, respirare e non preoccuparsi per il domani.

Era al sicuro e aveva addosso una nuova, meravigliosa sensazione di completezza. Bell’effetto che gli faceva il paradiso!

Il cielo stellato sopra di loro divenne improvvisamente più chiaro e lente onde colorate cominciarono a scorrere nel cielo.

“Un’aurora boreale?!” esclamò, sorpreso e affascinato.

Il cielo si tinse di tante onde colorate, drappeggi luminosi percorsi da polvere rilucente, che a sprazzi si faceva più intensa per poi scemare e sparire tra le pieghe rosa, verdi e viola che ondeggiavano in cielo. Poi arrivarono anche l’arancione, il giallo e il rosso, un blu elettrico sconvolgente e il bianco.

Dean osservò con meraviglia il cielo e sorrise.

Era davvero uno spettacolo unico, inaspettato ed emozionante.

Con le labbra piegate all’insù si girò verso Castiel, curioso di vedere la sua faccia.

E un battito mancò nel suo petto.

Castiel non aveva resistito, aveva abbandonato la posizione rilassata e si era seduto a gambe incrociate sulla sdraio. Ormai non indossava più costantemente il trench, Jack era riuscito a fargli capire che forse era meglio camuffarsi meglio, se scendeva tra gli umani, ed evitare di essere la fotocopia di se stesso ogni volta.

Ora indossava una camicia di lino chiaro su pantaloni sportivi scuri, e sembrava stranamente più rilassato conciato così. Dean lo aveva notato subito, ma non aveva detto nulla. Ora però quel dettaglio si mescolava agli altri.

L’espressione rapita e innocente di Castiel gli fece di nuovo mancare un battito.

Quello era un angelo. Un angelo! Ed era lì, al suo fianco, come sempre, come aveva fatto per anni. Ed era prezioso e unico.

E lo amava.

Non aveva idea di come fosse possibile, davvero, ma Castiel lo amava.

Non avevano più affrontato l’argomento, ma Dean non era riuscito a non essere più attento. Faceva finta di nulla ogni volta, ma vedeva il modo in cui l’angelo lo guardava, come lo assecondava, come evitava accuratamente di sfiorarlo anche solo per sbaglio.

Lo spettro di colori che si stava sbizzarrendo in cielo si rifletteva sul volto di Castiel, nei suoi occhi spalancati e sorpresi, sui suoi vestiti, sulle sue labbra…

Dean scosse la testa e si chiese, nel panico, che cosa fosse quella sensazione tremendamente intensa che gli era scesa lungo tutto il corpo, finendo ai lombi e lasciandolo con il fiato mozzato.

Incapace di resistere, tornò a guardare Castiel.

Sono un cazzo di idiota

Non decise che cosa fare, semplicemente lo fece.

Abbandonò la bottiglia di birra a terra, si alzò e con un passo raggiunse l’altro, sedendosi di fronte a lui approfittando della lunghezza della sdraio.

Castiel lo guardò, confuso e assolutamente impreparato a quello che stava per fare.

Dean avrebbe voluto sorridergli in quel momento, ma non ce la fece. Aveva il cuore in gola e le sue mani tremavano appena.

Senza essere troppo rude o brusco, ma con assoluta determinazione, gli prese il viso tra le mani e si avvicinò pericolosamente a lui, godendo dello sbalordimento comparso negli occhi celesti di Cas.

Il suo angelo.

Gli sfiorò le labbra con le labbra, sentendosi precipitare, poi lo baciò sul serio. Era convinto che Cass si sarebbe lasciato andare prima di subito, invece non lo fece, restò lì a rendergli la vita difficile. Ma poteva perdonarglielo. In fin dei conti lui gli aveva inflitto anni di amicizia fraterna.

Insistette, catturandogli il labbro inferiore tra le labbra, baciandolo di nuovo, e poi ancora e ancora, mentre le mani dell’angelo lo afferravano al petto.

Fu il momento più bello che Dean avesse mai vissuto. O non vissuto, non aveva importanza.

Era terrorizzato, ma anche inaspettatamente euforico.

E affamato. Era convinto che il bacio sarebbe stato sufficiente, che avrebbe placato la feroce voglia di Castiel che aveva in petto, e invece non fece altro che nutrirla e farla esplodere.

Diventò più possessivo, scivolando tra le labbra dell’altro con la lingua, pretendendo per sé ogni suo respiro, ogni movimento, ogni gemito.

Quando si staccò da lui si sentì come dopo una bronza. Non si allontanò, gli rimase addosso, sfiorandogli le labbra e cercando di mettere in fila i propri pensieri.

“Dean… non serve…” lo sentì bisbigliare, terrorizzato. “Non sono venuto per questo, te lo giuro.”

Già, come sempre aveva incasinato le cose.

Perché non gli aveva detto che aveva finalmente capito quanto fosse essenziale la sua presenza, gli era semplicemente saltato addosso, cosa che per altro voleva continuare a fare, ora che sapeva che cosa volesse dire. E Castiel non aveva motivo di credere che lui…

“Ma se invece lo ami…”

Cazzo, certo che lo amo! Chi voglio prendere per il culo?

“Lo so” cercò di rassicurarlo. Ma la sua voce gli sembrò così inadeguata, così misera per esprimere quello che finalmente aveva il coraggio di ammettere.

Abbassò la testa, sentendo sulla nuca lo sguardo dell'altro. Gli scese una scarica elettrica lungo tutta la schiena e rise appena, stupito da quanto gli stesse piacendo il contatto fisico. Sapeva che i suoi sensi non erano spariti, nonostante fosse in paradiso, ma non credeva di poter sentire ancora in quel modo.

“Cass…” si sentì dire, la voce bassa e cavernosa, portatrice del desiderio che ora non riusciva più a controllare. “Puoi…” Il respiro si inceppò e si dovette costringere a far lavorare il diaframma. “Tu puoi avere tutto quello che desideri.”

La reazione di Castiel lo sorprese. Era convinto che avrebbe reagito timidamente, o che si sarebbe sciolto come neve al sole, invece no. Lo sentì tendersi e scansare appena il volto.

“Non farmi questo, ti prego” gli rispose, duro. “Posso convivere con il tuo affetto fraterno, posso gestire la tua presenza, ma non posso assolutamente illudermi.” La voce di Castiel si incrinò. “Non posso pensare di averti e poi perderti, fa più male di quanto posso gestire. Dean, ti prego…”

Dean rialzò la testa di scatto e rese ferrea la presa della mano, che era scivolata dietro la nuca del suo amato angelo.

“Non ti sto prendendo in giro. Lo sai che sono una testa dura. E a quando pare avevo troppa paura di questo… ma non ti sto prendendo in giro!”

Castiel non cedette di un millimetro, facendolo penare.

“Avevi paura di questo? Questo cosa, esattamente? Di amare un corpo maschile? Non cambierò tramite, Dean; non voglio fare più una cosa del genere a nessuno, quindi questo è ciò che sarà in eterno!”

“Non me ne frega un cazzo del corpo in cui sei!” sbottò Dean. “Avevo paura di questo!” sbraitò scuotendolo. “Di noi! Perché è una cosa più grande di me e ho paura di sputtanarla come tutto il resto!”

Finalmente, Castiel si zittì e si rilassò appena, fissandolo a occhi sbarrati.

Dean si sentì incredibilmente stupido, ma non aveva mentito: era in paradiso, aveva pace, quiete e sicurezza, ma era pur sempre lui… quello rude, quello incapace di processare serenamente i propri sentimenti. Anche se sapeva bene come lo vedeva Cass, lui non era convinto fino in fondo di poter essere l’uomo meraviglioso che l’angelo gli aveva detto di essere.

E non voleva fare nulla, assolutamente nulla, per rischiare di perderlo.

Nel cielo, i colori stavano continuando a danzare indisturbati, riflettendosi sulla vegetazione, sulle case, su qualunque cosa, e loro erano lì, a fissarsi.

“Cass…”

Avrebbe voluto trovare le parole giuste per rassicurarlo, fargli capire che non stava giocando, che non si sentiva obbligato a fare nulla, che per la prima volta si stava dando una possibilità di essere veramente felice – come il paradiso permetteva – ma non fece in tempo.

Castiel gli si avventò addosso, baciandolo come prima non aveva fatto, e Dean si aggrappò a lui per non cadere.

Girava tutto, vero?

Non era solo lui, non era per il bacio, non era per la lingua che lo pretendeva con una passione che lo lasciò stordito e che nessuna delle sue donne aveva mai neanche lontanamente riversato su di lui.

Allora è questo… è questo quando qualcuno vuole proprio te…?

Gli mancò il fiato ma non respinse Cass, anzi, lo abbracciò, lo tenne stretto, poi lasciò le mani libere di tirargli la camicia, sfilarla dai pantaloni e scivolare sotto essa, a contatto con la pelle della schiena. E allora fu Cass a scostare la bocca per respirare.

Dean non si fermò, continuò ad accarezzarlo, a cercare altra pelle da toccare e si rese conto che era vero, non gli importava di che sesso fosse il corpo dell’angelo: lui voleva Cass, il suo essere strambo, il suo non sapere che cosa dire, la sua goffaggine e determinazione, la sua rassicurante presenza.

Il fatto che anche il corpo ora volesse partecipare era quanto di più ovvio e spontaneo ci potesse essere, e, Dio, gli stava piacendo.

Non vedeva l’ora di guardarlo arrossire di più e di sentirlo tremare. Voleva che stesse bene, che perdesse qualunque forma di controllo insieme a lui.

Avevano combattuto insieme, avevano riso e sperato, pianto e sofferto insieme.

Insieme avrebbero fatto anche tutto il resto.

Con il cuore in gola, lo abbracciò e gli posò un bacio vicino all’orecchio: “Andiamo dentro.”

Fu facile riprendere da dove avevano interrotto.

Fu facile baciare e accarezzare il suo angelo, lasciargli fare altrettanto, scoprire che era meraviglioso anche così e che non gli sarebbe mai bastato.

Fu facile superare l’imbarazzo che innegabilmente lo aveva preso quando aveva cominciato a spogliarsi, perché sapeva che per Cass era lo stesso, glielo leggeva negli occhi.

Quello che non fu facile fu fare i conti con la consapevolezza che non sarebbe stato sempre così.

Castiel sarebbe dovuto tornare al fianco di Jack, aiutarlo in tantissime cose, e Dean avrebbe dovuto aspettarlo, vederlo tornare e poi ripartire all’infinito.

Se gli fosse successo qualcosa non lo avrebbe sopportato e gli era inconcepibile pensare di non poter essere lì per guardargli le spalle.

Così l’unica cosa che poteva fare era riempirlo di baci, morsi e carezze finché lo aveva tra le braccia.

“Cass…” sospirò steso a letto, accanto al compagno che non avrebbe più allontanato. Gli sfiorò la fronte e i capelli, guardandolo con serenità. “Ti amo.”

Castiel sorrise con le labbra e con gli occhi, poi cercò di darsi un contegno serio per prenderlo in giro.

“Davvero? Non lo avevo capito.”

Dean sbuffò e lo afferrò alla vita, trascinandoselo addosso.

“Fammi essere più chiaro, allora.”

Ecco, tra le tante cose per cui essere grato a Jack, di sicuro c’era quella di aver lasciato alle anime del paradiso la possibilità di sentire attraverso un corpo.

Per quello gli sarebbe stato grato in eterno.
 
*
 

“Avevi ragione” rise Amara nella sua testa, “ha funzionato.”

Jack annuì e sorrise.

“L’onniscienza ti si addice”

“L’onniscienza non c’entra. Il punto è che li conosco.”

Osservò dall’alto la casa di Dean e sospirò, soddisfatto.

“Ci hanno impiegato un po’, ma alla fine sono riusciti ad avere quello che si meritano.”

 

  
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