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Autore: Roxanne Potter    26/11/2020    3 recensioni
Da troppo tempo Maeve si porta dietro un senso di vuoto e incomprensione che si appiana solo quando i libri le parlano, la consolano, la stringono tra le loro braccia di carta e inchiostro per farle sapere che lei non è sola, che tante altre persone hanno provato la sua stessa rabbia e le sue stesse paure, che tante altre menti brillanti sono riuscite a elevarsi al di sopra dello squallore della vita quotidiana.
Maeve è tra le poche nella sua classe – oltre a Regan – capace di scrivere un intero tema senza fare nessun errore di ortografia. L'unica che abbia letto più di dieci libri nel corso dell'intera estate nonostante l'insegnante d'inglese avesse raccomandato ai suoi studenti di leggerne tre. L'unica a ricevere occhiate stranite quando utilizza un termine che dal suo punto di vista non è neanche così complesso ma di cui la maggior parte dei suoi compagni sembra ignorare l'esistenza.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maeve Wiley
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Maeve ha dodici anni e un romanzo di Charlotte Brontë tra le mani.
È immersa nella lettura da ore e non può fare a meno di sentirsi tremare il cuore ogni volta che vede i suoi pensieri prender vita su quella vecchia carta ingiallita, come se la stessa Jane Eyre glieli avesse strappati dal cervello per filtrarli attraverso la propria voce.
Da troppo tempo Maeve si porta dietro un senso di vuoto e incomprensione che si appiana solo quando i libri le parlano, la consolano, la stringono tra le loro braccia di carta e inchiostro per farle sapere che lei non è sola, che tante altre persone hanno provato la sua stessa rabbia e le sue stesse paure, che tante altre menti brillanti sono riuscite a elevarsi al di sopra dello squallore della vita quotidiana.
Maeve è tra le poche nella sua classe – oltre a Regan – capace di scrivere un intero tema senza fare nessun errore di ortografia. L'unica che abbia letto più di dieci libri nel corso dell'intera estate nonostante l'insegnante d'inglese avesse raccomandato ai suoi studenti di leggerne tre. L'unica a ricevere occhiate stranite quando utilizza un termine che dal suo punto di vista non è neanche così complesso ma di cui la maggior parte dei suoi compagni sembra ignorare l'esistenza.
L'intelligenza di cui va tanto fiera le ha sempre attirato lo scherno dei suoi coetanei, per i quali preferire un pomeriggio passato in casa a leggere a una passeggiata con gli amici significa avere qualcosa che non va, essere fuori di testa, essere pazzi – per lei, il fatto che utilizzino quel termine a sproposito per denigrare le inclinazioni naturali della sua persona non fa altro che mostrare la loro bietta ignoranza. Sono loro i veri folli. Sono loro a essere malati di una malattia sociale.
Per questo ha imparato ben presto a ignorare gli epiteti che le vengono rivolti – secchiona, nerd, pazza, strana – e si è beata di quel suo genio che la rende diversa dalle masse, attingendo a quello che chiama “il mio piccolo complesso di superiorità nei confronti della specie umana”.
-Ancora con quei libri, eh?
Maeve alza lo sguardo; sua madre sta passando uno straccio sul ripiano del tavolo della cucina, ormai quasi perfettamente lucidato, e la guarda con un luccichio divertito negli occhi.
-Già.- si limita a risponderle scrollando le spalle.
-Non ho mai capito molto di quella roba così complicata che leggi tu.- dice Erin, continuando a strofinare il panno. -Ma sono felice che tu sia già così sveglia. Non sei come le altre ragazze, ranocchietta. Hai più cervello di tutte le tue coetanee messe insieme, lo sai?
-Lo so.- risponde fiera Maeve, e sia lei che sua madre ridono, perse in quel raro momento di serenità e complicità tra madre e figlia.
-Continua sempre a studiare, Maeve, mi raccomando. Se solo io non avessi smesso... voglio vederti fare una fine molto migliore della mia.
Maeve abbozza un sorriso amaro prima di riprendere a leggere, anche se adesso i suoi occhi fanno fatica a seguire il filo delle parole.
Sa che il quartiere degradato in cui è nata e cresciuta non la porterà mai da nessuna parte, che la società malata considera la sua mente di donna solo un futile accessorio da rinchiudere in un cassetto in cui prendere polvere, che sarà difficile realizzarsi ed emergere quando nelle tasche di Erin arrivano pochi spiccioli appena sufficienti per comprare da mangiare e pagare le bollette.
Sa che il mondo è ancora schiavo di antichi pregiudizi e sistemi di pensiero obsoleti che la portano a dubitare della sanità mentale di coloro che vi credono ciecamente – aiuta tua madre a sparecchiare la tavola. Non giocare a pallone con i maschi. È normale che le donne siano più empatiche degli uomini, è nella loro natura. Devi farti carina per i ragazzi, la loro opinione è importante. Nella vita devi essere prima di tutto bella, poi se sei intelligente è ancora meglio, ma l'apparenza è quella che conta davvero. Certo che prima o poi vorrai un ragazzo. Non puoi pensare di non volere figli, tutte le donne hanno l'istinto materno.
Ma Maeve sa anche di non avere alcuna intenzione di rassegnarsi a un destino che solo apparentemente è già scritto per lei; vuole trovare il modo di prendere quel destino tra le mani e modellarlo a suo piacimento – proprio come Jane Eyre si è fatta da sé.
Per questo è fiera di essere così diversa dalle sue compagne di scuola, truccate, ben vestite, superficiali, pronte a buttarsi addosso al primo ragazzo che dia loro un briciolo di considerazione. Maeve già le immagina fare la fine di sua madre – bellezza sciupata, occhi iniettati di solitudine e mani screpolate che piegano vestiti e lucidano le superfici dei mobili.
Maeve è fiera di non essere come le altre ragazze. È fiera di poter brillare non attraverso il corpo ma attraverso la mente.

Maeve ha tredici anni la prima volta che si presenta a scuola in canotta dei Nirvana e shorts di jeans, le palpebre truccate di nero e ciocche verdi tra i capelli finalmente sciolti e liberi di ricaderle oltre le spalle.
Cammina nell'atrio a testa alta, ignorando le risatine e gli sguardi sconvolti dei suoi compagni. Raggiunge l'aula di storia, vuota eccetto per Regan che è china a scrivere sul suo quaderno, e si siede accanto all'amica salutandola con un allegro; -Buongiorno!
Regan alza lo sguardo; Maeve ride quando gli occhi della ragazza si spalancano per lo stupore e la penna le scivola tra le dita, rotola sul banco e cade a terra.
-Maeve!- esclama Regan, sistemandosi gli occhiali sul naso e sbattendo le palpebre. -Sei veramente tu?
-Sì, sono veramente io.
Regan rimane in silenzio per qualche istante. Maeve si aspetta di sentirsi dire qualcosa come “Wow, stai proprio bene così” oppure “Sono fighi quei capelli”; invece le parole dell'amica la fanno gelare sul posto.
-Sul serio? Proprio tu?
Nella voce di Regan c'è l'accenno di un tono accusatorio, sottile ma ben chiaro alle orecchie di Maeve.
-Proprio io cosa?- dice, fingendosi perplessa.
-Beh... questo.- Gli occhi di Regan si spostano sulle labbra di Maeve, coperte da un lieve strato di rossetto rosso, sulle sue spalle scoperte e sugli strappi degli shorts. -Non voglio offenderti, lo sai che sono tua amica, ma sei conciata in modo un po'... assurdo. Da una come te non me lo aspettavo proprio.
A Maeve non interessa ciò che gli sconosciuti pensano di lei ma quelle parole da parte di una persona che finora ha considerato sua amica le fanno inaspettatamente male.
-Scusa ma che cosa intendi dire con “una come me?”- sibila, la voce vibrante di una rabbia a stento trattenuta.
-Beh, nel senso che tu non sei mai stata come le altre ragazze. Sei intelligente, hai imparato a leggere e scrivere a quattro anni, forse hai letto più libri tu che tutti i nostri insegnanti messi insieme, sai un sacco di cose perché studi per conto tuo.- Regan gesticola e parla in tono convinto mentre Maeve si limita a guardarla, sempre più allibita. -E poi non hai mai pensato a cose stupide e superficiali come il trucco o i ragazzi... che cosa ti è successo? Vuoi tradire i tuoi principi per l'estetica?
Per qualche istante Maeve non sa cosa dire. Il suo sguardo scivola sulla semplice t-shirt verde e i jeans lunghi dell'amica; lo stesso stile casuale e anonimo che anche lei ha adottato per anni perché dei vestiti non le è mai importato niente, perché ha sempre preferito coltivare la mente e non il corpo, perché ha sempre pensato che l'estetica fosse superficialità e oppressione e condanna imposta dalla società e imposizione maschilista e prerogativa di ragazze dalle teste vuote – tutto tranne che libera scelta, tutto tranne che espressione di sé.
La verità è che, da quando all'amore per i libri è nato in lei anche l'amore per la musica, Maeve ha iniziato a stancarsi di legare i capelli e di portare sempre gli stessi maglioni larghi con cui cerca di nascondere le sue forme accennate – perché una ragazza deve farsi bella per ottenere l'approvazione altrui ma deve anche coprirsi e non esagerare con il trucco altrimenti è una troia – e ha scoperto in sé la voglia di assomigliare un po' di più a quei musicisti che tanto ammira e le cui canzoni le fanno fremere il sangue di adrenalina; una sensazione che la sola carta stampata non può darle, una sensazione simile all'abbandonarsi sul sedile di un'auto che sfreccia a tutta velocità, i finestrini abbassati e il vento ruggente sul viso.
La verità è che Maeve ha avuto un'epifania quando questa mattina si è guardata allo specchio e per la prima volta ha visto colori tra i suoi capelli, luce nei suoi occhi contornati d'ombra e armonia nelle sue forme ancora acerbe. Si è vista bella, di una bellezza che non ha niente da individare a quella della sua mente, e il suo viso le è apparso più maturo, quasi adulto, splendente e sicuro di sé, specchio delle mille emozioni e dei mille colori che le ribolliscono dentro fin da quando ha esalato il suo primo respiro in questo mondo.
Maeve ha compreso che il suo corpo può essere opera d'arte quanto le edizioni economiche di quei libri dalla copertina sbrindellata che tiene stretti a sé come se fossero rivestiti d'oro, quanto le nudità femminili impresse su tela dalle mani esperte di uomini che hanno dato la loro vita a un'arte di cui non si può far nulla se non riempirsene occhi e cuore e mente – senza poterne toccare la carne, senza poterne ascoltare le sinfonie, ma estraendovi significati e allegorie come si farebbe con i versi di una poesia.
Maeve non ha nessuna intenzione di sentirsi dire cosa fare e come essere da una persona che si è sempre professata una sua sorella. Non può consentire che venga tessuto odio e che vengano riversati deliri su quel suo corpo che solo lei ha il diritto di modellare come cera.
-Sai, posso capire un'opera di Joyce anche se indosso un paio di shorts.- sibila Maeve in direzione di Regan. -E di certo non ho dimenticato come scrivere in un inglese corretto solo perché mi sono tirata una riga di trucco in faccia.
Ignora lo sguardo sbigottito dell'amica, che non si aspettava una risposta così dura, e si gira di scatto per aprire lo zaino, tirare fuori i libri e sbatterli sul banco. Ne apre uno e tiene gli occhi fissi sulla stessa riga, il sangue che le ribollisce nelle vene e le mani strette a pugno.
Un rumore di passi, seguito da un'esplosione di risate; Maeve solleva lo sguardo e arriccia le labbra in una smorfia infastidita, fulminando con gli occhi le ragazze che sono appena entrate in aula e che ridacchiano nella sua direzione.
Pauline Anderson – una tredicenne bionda e smilza, la stessa ragazza che Maeve e Regan hanno criticato quando ha iniziato a venire a scuola con un po' di smalto sulle unghie – è l'unica che non ride. Si limita a passarle accanto, a rivolgerle un mezzo sorriso e dire; -Bel trucco.- per poi proseguire diretta verso il suo banco.
Maeve rimane quasi a bocca aperta dalla sorpresa. Poi, suo malgrado, si lascia sfuggire a sua volta un sorriso; forse, dopotutto, lei non è mai stata così diversa dalle altre ragazze.

Maeve ha diciassette anni e ansima mentre Jackson Marchetti fa scivolare le dita tra le sue gambe, spingendole avanti e indietro con movimenti esperti che le strappano gemiti acuti di piacere.
Le inquietudini che di giorno in giorno si porta sulle spalle scivolano via, liquefandosi nelle ondate di eccitazione che le contraggono il basso ventre mentre il ragazzo si china e inizia a baciarle il collo.
È una brava persona, Jackson Marchetti, sorprendentemente gentile e umile al di là della sua maschera di ragazzo popolare e apparentemente arrogante. Eppure Maeve si ritrova a ripetere a se stessa che non le interessa più di tanto che tipo di persona sia Jackson perché non ha intenzione di frequentarlo, così come non ha voluto frequentare gli altri due ragazzi con cui è andata a letto.
Di Jackson le interessano solo le spalle muscolose, le braccia solide e il modo in cui le sue mani si stringono intorno ai suoi fianchi mentre inizia a spingersi in lei, facendola gemere e scuotere convulsamente sul letto.
Maeve ha avuto un'altra epifania quando ha scoperto il sesso. Quando per la prima volta si è portata una mano tra le gambe e ha tremato del piacere più viscerale mai provato nella sua vita. Quando ha iniziato a godere del contatto del suo corpo con un corpo altrui. Quando le parole delle poesie d'amore e dei romanzi erotici si sono librate dalla carta stampata per farsi carne e sangue, calore e sudore che vanno a mescersi sulla sua pelle e dita che artigliano i lembi del copriletto.
Maeve non deve più immaginare la sensazione di un corpo estraneo dentro di lei mentre si raggomitola tra le coperte nel cuore della notte, accarezzandosi finché i suoi polpastrelli non sono bagnati e la sua bocca spalancata nella presa dell'orgasmo. Ora quel corpo estraneo è davvero in lei, reale e palpabile, scivola avanti e indietro scatenandole scariche elettriche di piacere. Vere mani si serrano intorno ai suoi seni scoperti e vere labbra bruciano sul suo collo e veri denti le mordicchiano la pelle lasciandovi impresse scie scarlatte come il sangue che pompa a tutta velocità tra le sue vene e si raccoglie lì tra le sue gambe, strette sempre con più forza intorno alla vita di Jackson, facendola arrivare sempre più vicina al culmine.
Maeve si è sentita ripetere per anni che nessuno si aspettava cose del genere da “una come lei”; da una parte coloro che pretendono l'artificio insensato della femminilità e cercano di sporcare di peccato la natura umana – chiudi le gambe perché una vera donna non svende il suo più grande valore per un uomo che non ama – e dall'altra coloro per cui lei, da sempre troppo brillante, troppo intellettuale, troppo diversa dalle altre ragazze, espone il suo corpo e lo lascia vivere e respirare e fremere solo perché così le è stato imposto, perché ha introiettato desideri, fantasie e piaceri non suoi – perché una femminista non si mercifica, non assoggetta se stessa allo sguardo maschile, non gode quando le afferrano i capelli e le sussurrano “troia” all'orecchio.
Perché le brave ragazze sono quelle che pensano solo a studiare e costruirsi un futuro, quelle che tengono i capelli raccolti e cercano in tutti i modi di non attirare l'attenzione. Mentre le cattive ragazze sono quelle che vanno in giro a seno scoperto, si macchiano le ciglia di mascara e aprono le gambe per prendersi il loro piacere senza aspettare il principe azzurro su un cavallo bianco – forse perché sanno che il principe azzurro non esiste e che le principesse devono imparare a salvarsi da sole.
C'è stato un tempo in cui anche Maeve ha creduto tutto questo, solo per poi accorgersi che la sua vera strada era andare contro tutte le correnti che cercavano di trascinarla nell'abisso del pregiudizio, trovare la sua verità e rendersi autentica nella sua dualità in simbiosi, nel suo essere nuda, empia, abbandonata a quel bisogno primordiale e umano che il mondo cerca vanamente di tingere di rosa e azzurro.
Mentre Jackson le tira i capelli e le sussurra “troia” all'orecchio, Maeve trema del suo piacere, attinge al suo piacere, vive e respira il suo piacere, i suoi desideri, le sue fantasie incarnate in una realtà di cui è padrona indiscussa.
Maeve è forma e sostanza che non si escludono a vicenda. Maeve è una mente brillante che non si è spenta quando i suoi vestiti hanno iniziato ad accorciarsi, i suoi capelli ad allungarsi, le sue labbra a tingersi di rosso, i suoi capezzoli a inturgidirsi al contatto delle labbra di un ragazzo.
Tra le sue cosce umide e sul suo corpo teso dall'estasi fioriscono gli edonismi decantati dai poeti, le passioni di D'Annunzio, le ebbrezze di Baudelaire, le melodie selvagge del romanticismo.
Quando l'orgasmo esplode e il suo urlo sembra innalzarsi verso le vette del cielo, gli occhi di Maeve trasudano sublime.

*

NdA

Questa è probabilmente una delle cose più importanti che io abbia scritto nella mia vita. Ci tenevo molto a smontare uno dei cliché più ripetitivi e fastidiosi all'interno del media, ovvero la contrapposizione tra la brava ragazza (intelligente, studiosa e per questo disinteressata a cose come il trucco, i ragazzi e la vita sociale) e la cattiva ragazza etichettata come stupida e superficiale perché indossa abiti scoprenti e ha una vita sessuale attiva.
Nella vita reale, le persone sono molto più complesse di così, e per fortuna con il tempo stiamo riuscendo ad andare oltre questo stereotipo. Del personaggio di Maeve ho sempre apprezzato il suo essere un'outsider, un'alternativa, un genio dal punto di vista intellettuale, ma disposta a viversi storie di sesso occasionale come quella con Jackson senza alcuna vergogna e senso di colpa. (C'è da dire che Sex Education è una serie tv eccezionale per quanto riguarda il ribaltamento degli stereotipi)
In questa storia ho anche cercato di dare una mia visione del femminismo - non mi dilungo troppo, perché EFP non è decisamente il posto adatto per discutere di determinati temi, voglio solo specificare che quando Maeve pensa di non voler essere criticata da una persona che si è definita una sua "sorella" ciò che intendo dire è che Regan (personaggio di mia invenzione) si è sempre considerata affine a lei perché entrambe "secchione" e disinteressate a trucco e vestiti, a differenza della maggior parte delle loro compagne di scuola. Ovviamente la mia Maeve rimane di sasso quando scopre che, solo perché si è truccata e si è messa un paio di shorts, Regan è disposta a mettere in dubbio la fermezza dei suoi valori intellettuali.
Spero di non essere risultata irrealistica mettendo in bocca a delle tredicenni espressioni abbastanza mature; nello scrivere questa storia mi sono ispirata ad alcune mie esperienze passate e conversazioni avute nella vita reale. Tra l'altro ho immaginato che Maeve, avendo iniziato a leggere fin da piccola ed essendo un genio precoce, fosse capace già a 12/13 anni di esprimersi in una determinata maniera.
Spero che la storia vi sia piaciuta, ringrazio chiunque recensirà :)

   
 
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