Destiny
Londra, Blakeney Hall, 16 ottobre 1799, ore 10,00 circa
Sir Percy Blakeney si avvicinò, con fare guardingo, al retro del suo elegante palazzo, ubicato di poco fuori Londra e consegnò il cavallo allo stalliere David al quale aveva ordinato di aspettarlo lì.
Subito dopo la fuga da Tower Hill, si era accomiatato dagli amici francesi e, insieme alla brigata della Primula Rossa, aveva preso un’altra direzione.
Sapeva di avere i minuti contati e, infatti, non erano ancora le dieci del mattino e già alcuni soldati avevano raggiunto il portone principale di Blakeney Hall. Senza porre tempo in mezzo, afferrò una fune che aveva nascosto fra i rampicanti e si issò, con l’agilità di un gatto, su una terrazza. Dalla vetrata socchiusa, entrò nel palazzo e, tramite dei corridoi interni, cui accedette attraverso una porta mimetizzata nella tappezzeria, raggiunse i suoi appartamenti privati.
A quell’ora, ormai, le guardie stavano già imboccando la scalinata principale mentre lui doveva ancora sbarazzarsi dei suoi vestiti sudati, impolverati e intrisi di fumo, senza contare che altrettanti sporcizia e odore gli impregnavano la capigliatura e la pelle. Essendosi spogliato durante la corsa, lasciò gli abiti a terra, dietro un’altra porta nascosta e si precipitò nella vasca che i valletti avevano preparato per lui nella sala da bagno, aggiungendo all’acqua alcune essenze odorose e colorate. Sir Percy si immerse completamente nella vasca e si strofinò il corpo e i capelli il più possibile, per eliminare la polvere e l’odore di fumo. Successivamente, gargarizzò la gola con del cognac e nascose la bottiglia nell’acqua.
Pochi istanti dopo, le guardie fecero irruzione nella stanza, senza essere state annunciate e seguite dai valletti.
– A cosa devo l’onore della Vostra visita, Colonnello? – chiese all’ufficiale più alto in grado, simulando la voce impastata di chi è reduce da una sbornia notturna.
– Avete preso parte alla fuga del Conte André de Lille da Tower Hill, Sir Percy Blakeney? – domandò, senza troppi convenevoli, il Colonnello.
– Ah, cosa sento! Il vecchio de Lille ha portato a casa la pelle all’ultimo minuto! Immagino lo smacco del Conestabile della Torre…
Detto questo, ridacchiò e, subito dopo, si portò una mano alla fronte e fece una smorfia, come se fosse stato colto, all’improvviso, da una fitta alla testa.
– Dove eravate Voi, questa mattina, fra le otto e le nove, Sir Percy?
– Sotto le coltri del mio letto, fra le braccia di Morfeo… e di Bacco… Chiedete a Sir Hugh Bertrand e a Sir Andrew Beckett insieme ai quali ho trascorso la serata di ieri. Mi hanno riaccompagnato loro a casa… perché le gambe non mi volevano obbedire…
Sir Hugh Bertrand e Sir Andrew Beckett erano amici di vecchia data di Sir Percy e lo coprivano sempre.
Il Colonnello avvertì l’odore di cognac sprigionarsi dalla bocca di Sir Percy, arricciò il naso e convenne, fra sé e sé, che quell’uomo, fra le otto e le nove di mattina, doveva essere stato del tutto fuori uso.
– Comoda la vita del damerino ricco e fannullone… – pensò il Colonnello – Una piccola perquisizione, però, gliela farei lo stesso, per scrupolo e per dargli fastidio…
– Permettete che Vi perquisisca, Sir Percy? Vorrei dare un’occhiata qui intorno, all’interno della vasca e anche alla Vostra persona, per vedere se avete lividi o escoriazioni.
– Dovrebbe bastarVi la mia parola di gentiluomo, Colonnello – protestò Sir Percy, fingendosi offeso – e, poi, sono nudo…
– Suvvia, Sir Percy, siamo fra uomini – ribatté il Colonnello – Si tratta di una pura formalità.
– Colonnello – disse concitatamente un Capitano, facendo irruzione nella stanza – Quattro persone, corrispondenti alla descrizione dell’evaso e di tre complici, sono state avvistate da una pattuglia a est di Londra!
– Presto, andiamo! – ordinò il Colonnello.
– Addio, Colonnello – disse Sir Percy – Vi farò recapitare, da uno dei miei valletti, un cesto delle mie primule rosse di serra.
Ciò detto, appoggiò la schiena alla vasca e tirò un sospiro di sollievo, ma fece anche un grande sorriso, perché i momenti come quello gli riempivano la mente e il cuore di una forte eccitazione.
Sir Percy Blakeney si avvicinò, con fare guardingo, al retro del suo elegante palazzo, ubicato di poco fuori Londra e consegnò il cavallo allo stalliere David al quale aveva ordinato di aspettarlo lì.
Subito dopo la fuga da Tower Hill, si era accomiatato dagli amici francesi e, insieme alla brigata della Primula Rossa, aveva preso un’altra direzione.
Sapeva di avere i minuti contati e, infatti, non erano ancora le dieci del mattino e già alcuni soldati avevano raggiunto il portone principale di Blakeney Hall. Senza porre tempo in mezzo, afferrò una fune che aveva nascosto fra i rampicanti e si issò, con l’agilità di un gatto, su una terrazza. Dalla vetrata socchiusa, entrò nel palazzo e, tramite dei corridoi interni, cui accedette attraverso una porta mimetizzata nella tappezzeria, raggiunse i suoi appartamenti privati.
A quell’ora, ormai, le guardie stavano già imboccando la scalinata principale mentre lui doveva ancora sbarazzarsi dei suoi vestiti sudati, impolverati e intrisi di fumo, senza contare che altrettanti sporcizia e odore gli impregnavano la capigliatura e la pelle. Essendosi spogliato durante la corsa, lasciò gli abiti a terra, dietro un’altra porta nascosta e si precipitò nella vasca che i valletti avevano preparato per lui nella sala da bagno, aggiungendo all’acqua alcune essenze odorose e colorate. Sir Percy si immerse completamente nella vasca e si strofinò il corpo e i capelli il più possibile, per eliminare la polvere e l’odore di fumo. Successivamente, gargarizzò la gola con del cognac e nascose la bottiglia nell’acqua.
Pochi istanti dopo, le guardie fecero irruzione nella stanza, senza essere state annunciate e seguite dai valletti.
– A cosa devo l’onore della Vostra visita, Colonnello? – chiese all’ufficiale più alto in grado, simulando la voce impastata di chi è reduce da una sbornia notturna.
– Avete preso parte alla fuga del Conte André de Lille da Tower Hill, Sir Percy Blakeney? – domandò, senza troppi convenevoli, il Colonnello.
– Ah, cosa sento! Il vecchio de Lille ha portato a casa la pelle all’ultimo minuto! Immagino lo smacco del Conestabile della Torre…
Detto questo, ridacchiò e, subito dopo, si portò una mano alla fronte e fece una smorfia, come se fosse stato colto, all’improvviso, da una fitta alla testa.
– Dove eravate Voi, questa mattina, fra le otto e le nove, Sir Percy?
– Sotto le coltri del mio letto, fra le braccia di Morfeo… e di Bacco… Chiedete a Sir Hugh Bertrand e a Sir Andrew Beckett insieme ai quali ho trascorso la serata di ieri. Mi hanno riaccompagnato loro a casa… perché le gambe non mi volevano obbedire…
Sir Hugh Bertrand e Sir Andrew Beckett erano amici di vecchia data di Sir Percy e lo coprivano sempre.
Il Colonnello avvertì l’odore di cognac sprigionarsi dalla bocca di Sir Percy, arricciò il naso e convenne, fra sé e sé, che quell’uomo, fra le otto e le nove di mattina, doveva essere stato del tutto fuori uso.
– Comoda la vita del damerino ricco e fannullone… – pensò il Colonnello – Una piccola perquisizione, però, gliela farei lo stesso, per scrupolo e per dargli fastidio…
– Permettete che Vi perquisisca, Sir Percy? Vorrei dare un’occhiata qui intorno, all’interno della vasca e anche alla Vostra persona, per vedere se avete lividi o escoriazioni.
– Dovrebbe bastarVi la mia parola di gentiluomo, Colonnello – protestò Sir Percy, fingendosi offeso – e, poi, sono nudo…
– Suvvia, Sir Percy, siamo fra uomini – ribatté il Colonnello – Si tratta di una pura formalità.
– Colonnello – disse concitatamente un Capitano, facendo irruzione nella stanza – Quattro persone, corrispondenti alla descrizione dell’evaso e di tre complici, sono state avvistate da una pattuglia a est di Londra!
– Presto, andiamo! – ordinò il Colonnello.
– Addio, Colonnello – disse Sir Percy – Vi farò recapitare, da uno dei miei valletti, un cesto delle mie primule rosse di serra.
Ciò detto, appoggiò la schiena alla vasca e tirò un sospiro di sollievo, ma fece anche un grande sorriso, perché i momenti come quello gli riempivano la mente e il cuore di una forte eccitazione.
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Dover, 16 ottobre 1799, dopo il tramonto
Il temporale infuriava fuori del capanno di legno del pescatore e i tuoni squarciavano l’aria, cupi e minacciosi. I quattro fuggiaschi si scaldavano alla bell’e meglio, in semicerchio attorno al camino, stringendosi addosso delle coperte ruvide. Aspettavano che albeggiasse e, soprattutto, che la burrasca finisse mentre i lampi apparivano e sparivano velocissimi, rischiarando l’ambiente attraverso una finestrella coperta da un lenzuolo di tela grezza. Gli abiti, bagnati dalla pioggia, erano ancora zuppi, ma non c’erano ricambi e non si poteva fare altro che adattarsi.
– Ci mancava questo dannato tempo da lupi – mugugnò il Conte di Fersen, aggiungendo un ciocco di legna al camino – Speriamo che la goletta non abbia subito danni.
– Non preoccupateVi, Signore – disse il pescatore, porgendo loro della zuppa e alcuni pezzi di pane scuro – La ciurma ha portato la Destiny nel molo e ha tirato a riva la scialuppa. Qui, siete al sicuro, sempre che la bonaccia arrivi prima delle guardie.
– Grazie, Mellon – disse Oscar, a nome di tutti.
– FigurateVi, Generale – rispose l’uomo, con un sorriso amichevole, scompigliandosi la chioma con la mano callosa ormai libera dalle vivande – Sir Percy è un buon padrone per mio cugino David, lo stalliere.
Subito dopo la fuga da Tower Hill, Oscar, André, il Conte di Fersen e il Maggiore de Valmy si erano separati da Sir Percy Blakeney e dagli uomini che costituivano la brigata della Primula Rossa e avevano cavalcato verso Dover con un ritmo serratissimo, reso possibile dal fatto che Sir Percy aveva predisposto vari cambi di cavalli lungo la strada.
Erano giunti a Dover sull’imbrunire, col proposito di imbarcarsi sulla goletta Destiny e di salpare immediatamente. Il piano iniziale era di salire su una scialuppa e di raggiungere la goletta ancorata a largo, per evitare che questa, a causa della scarsa visibilità successiva al tramonto, andasse in secca o speronasse degli scogli semisommersi.
Come sempre accade quando si è in affanno, però, il diavolo ci aveva messo lo zampino e un violento fortunale era scoppiato. Il mare agitato e la scarica d’acqua avevano reso impossibile la navigazione, con la conseguenza che i quattro fuggiaschi, non avendo trovato la scialuppa ad attenderli nel luogo convenuto, si erano acquattati in mezzo all’erba alta di una macchia di vegetazione poco distante dalla spiaggia, schiaffeggiati dalla pioggia, immersi nella fanghiglia e sempre all’erta, per il timore che gli inseguitori li scoprissero.
Se Oscar e gli altri si erano dimostrati lesti nel fuggire, gli inglesi non erano stati da meno. Subito dopo il salvataggio di André, dalla Torre di Londra, le trombe avevano annunciato la fuga del prigioniero e l’allarme era stato trasmesso di caserma in caserma, per tutta la Bretagna. Non solo: un corriere velocissimo si era diretto a Dover, luogo dove i fuggitivi si sarebbero presumibilmente imbarcati. La corsa contro il tempo era iniziata, gli inseguitori erano determinati come segugi, le prede sgusciavano via come anguille e l’ago della bilancia sarebbe potuto pendere indifferentemente da una parte o dall’altra.
Dopo una ventina di minuti di permanenza fra l’erba e il fango della macchia, il pescatore Mellon li aveva trovati, informandoli del cambiamento di piano e mettendo a loro disposizione il suo capanno.
– Mi dispiace, Signori, se tutto quello che ho da offrirVi è questo cibo da poveri e queste coperte vecchie e logore – disse, imbarazzato, Mellon.
– Non preoccupateVI – risposero, all’unisono, gli ospiti.
– Ci avete salvato dalle lumache, dai lombrichi e da tutte le graziose creature che escono con la pioggia! – celiò il Maggiore de Valmy.
– Grazie, Mellon – rispose Oscar, con un sorriso stanco – Siete stato provvidenziale. Senza di Voi, non so come avremmo fatto.
Mentre parlava, guardava André che si scaldava al fuoco accanto a lei. Per tutto il tempo, l’uomo era stato di buon umore e si era dimostrato grato ai compagni, ma, per quanto simulasse benessere e allegria, era evidente, dal pallore, dalle occhiaie e dai muscoli tirati del volto, che lui più di tutti aveva accusato il colpo di quella cavalcata frenetica. I lunghi mesi di prigionia, trascorsi senza fare esercizio e, nell’ultimo periodo, sempre rinchiuso nella Torre Devereaux, lo avevano disabituato alle passeggiate e finanche a stare all’aria aperta. Le vessazioni psicologiche, la lontananza dalle persone care e l’incombere della morte avevano fatto il resto. Ora, sebbene si sforzasse di apparire forte e in salute, era chiaro che soffriva e che l’anello debole della catena era lui.
– Vi conviene schiacciare un pisolino – disse, con gentilezza, Mellon, quasi leggendo nei pensieri di lei – Che, domani, a Dio piacendo, Vi aspetterà un’altra dura giornata.
Il temporale infuriava fuori del capanno di legno del pescatore e i tuoni squarciavano l’aria, cupi e minacciosi. I quattro fuggiaschi si scaldavano alla bell’e meglio, in semicerchio attorno al camino, stringendosi addosso delle coperte ruvide. Aspettavano che albeggiasse e, soprattutto, che la burrasca finisse mentre i lampi apparivano e sparivano velocissimi, rischiarando l’ambiente attraverso una finestrella coperta da un lenzuolo di tela grezza. Gli abiti, bagnati dalla pioggia, erano ancora zuppi, ma non c’erano ricambi e non si poteva fare altro che adattarsi.
– Ci mancava questo dannato tempo da lupi – mugugnò il Conte di Fersen, aggiungendo un ciocco di legna al camino – Speriamo che la goletta non abbia subito danni.
– Non preoccupateVi, Signore – disse il pescatore, porgendo loro della zuppa e alcuni pezzi di pane scuro – La ciurma ha portato la Destiny nel molo e ha tirato a riva la scialuppa. Qui, siete al sicuro, sempre che la bonaccia arrivi prima delle guardie.
– Grazie, Mellon – disse Oscar, a nome di tutti.
– FigurateVi, Generale – rispose l’uomo, con un sorriso amichevole, scompigliandosi la chioma con la mano callosa ormai libera dalle vivande – Sir Percy è un buon padrone per mio cugino David, lo stalliere.
Subito dopo la fuga da Tower Hill, Oscar, André, il Conte di Fersen e il Maggiore de Valmy si erano separati da Sir Percy Blakeney e dagli uomini che costituivano la brigata della Primula Rossa e avevano cavalcato verso Dover con un ritmo serratissimo, reso possibile dal fatto che Sir Percy aveva predisposto vari cambi di cavalli lungo la strada.
Erano giunti a Dover sull’imbrunire, col proposito di imbarcarsi sulla goletta Destiny e di salpare immediatamente. Il piano iniziale era di salire su una scialuppa e di raggiungere la goletta ancorata a largo, per evitare che questa, a causa della scarsa visibilità successiva al tramonto, andasse in secca o speronasse degli scogli semisommersi.
Come sempre accade quando si è in affanno, però, il diavolo ci aveva messo lo zampino e un violento fortunale era scoppiato. Il mare agitato e la scarica d’acqua avevano reso impossibile la navigazione, con la conseguenza che i quattro fuggiaschi, non avendo trovato la scialuppa ad attenderli nel luogo convenuto, si erano acquattati in mezzo all’erba alta di una macchia di vegetazione poco distante dalla spiaggia, schiaffeggiati dalla pioggia, immersi nella fanghiglia e sempre all’erta, per il timore che gli inseguitori li scoprissero.
Se Oscar e gli altri si erano dimostrati lesti nel fuggire, gli inglesi non erano stati da meno. Subito dopo il salvataggio di André, dalla Torre di Londra, le trombe avevano annunciato la fuga del prigioniero e l’allarme era stato trasmesso di caserma in caserma, per tutta la Bretagna. Non solo: un corriere velocissimo si era diretto a Dover, luogo dove i fuggitivi si sarebbero presumibilmente imbarcati. La corsa contro il tempo era iniziata, gli inseguitori erano determinati come segugi, le prede sgusciavano via come anguille e l’ago della bilancia sarebbe potuto pendere indifferentemente da una parte o dall’altra.
Dopo una ventina di minuti di permanenza fra l’erba e il fango della macchia, il pescatore Mellon li aveva trovati, informandoli del cambiamento di piano e mettendo a loro disposizione il suo capanno.
– Mi dispiace, Signori, se tutto quello che ho da offrirVi è questo cibo da poveri e queste coperte vecchie e logore – disse, imbarazzato, Mellon.
– Non preoccupateVI – risposero, all’unisono, gli ospiti.
– Ci avete salvato dalle lumache, dai lombrichi e da tutte le graziose creature che escono con la pioggia! – celiò il Maggiore de Valmy.
– Grazie, Mellon – rispose Oscar, con un sorriso stanco – Siete stato provvidenziale. Senza di Voi, non so come avremmo fatto.
Mentre parlava, guardava André che si scaldava al fuoco accanto a lei. Per tutto il tempo, l’uomo era stato di buon umore e si era dimostrato grato ai compagni, ma, per quanto simulasse benessere e allegria, era evidente, dal pallore, dalle occhiaie e dai muscoli tirati del volto, che lui più di tutti aveva accusato il colpo di quella cavalcata frenetica. I lunghi mesi di prigionia, trascorsi senza fare esercizio e, nell’ultimo periodo, sempre rinchiuso nella Torre Devereaux, lo avevano disabituato alle passeggiate e finanche a stare all’aria aperta. Le vessazioni psicologiche, la lontananza dalle persone care e l’incombere della morte avevano fatto il resto. Ora, sebbene si sforzasse di apparire forte e in salute, era chiaro che soffriva e che l’anello debole della catena era lui.
– Vi conviene schiacciare un pisolino – disse, con gentilezza, Mellon, quasi leggendo nei pensieri di lei – Che, domani, a Dio piacendo, Vi aspetterà un’altra dura giornata.
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