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Autore: _Agrifoglio_    27/11/2020    13 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Destiny
 
Londra, Blakeney Hall, 16 ottobre 1799, ore 10,00 circa
 
Sir Percy Blakeney si avvicinò, con fare guardingo, al retro del suo elegante palazzo, ubicato di poco fuori Londra e consegnò il cavallo allo stalliere David al quale aveva ordinato di aspettarlo lì.
Subito dopo la fuga da Tower Hill, si era accomiatato dagli amici francesi e, insieme alla brigata della Primula Rossa, aveva preso un’altra direzione.
Sapeva di avere i minuti contati e, infatti, non erano ancora le dieci del mattino e già alcuni soldati avevano raggiunto il portone principale di Blakeney Hall. Senza porre tempo in mezzo, afferrò una fune che aveva nascosto fra i rampicanti e si issò, con l’agilità di un gatto, su una terrazza. Dalla vetrata socchiusa, entrò nel palazzo e, tramite dei corridoi interni, cui accedette attraverso una porta mimetizzata nella tappezzeria, raggiunse i suoi appartamenti privati.
A quell’ora, ormai, le guardie stavano già imboccando la scalinata principale mentre lui doveva ancora sbarazzarsi dei suoi vestiti sudati, impolverati e intrisi di fumo, senza contare che altrettanti sporcizia e odore gli impregnavano la capigliatura e la pelle. Essendosi spogliato durante la corsa, lasciò gli abiti a terra, dietro un’altra porta nascosta e si precipitò nella vasca che i valletti avevano preparato per lui nella sala da bagno, aggiungendo all’acqua alcune essenze odorose e colorate. Sir Percy si immerse completamente nella vasca e si strofinò il corpo e i capelli il più possibile, per eliminare la polvere e l’odore di fumo. Successivamente, gargarizzò la gola con del cognac e nascose la bottiglia nell’acqua.
Pochi istanti dopo, le guardie fecero irruzione nella stanza, senza essere state annunciate e seguite dai valletti.
– A cosa devo l’onore della Vostra visita, Colonnello? – chiese all’ufficiale più alto in grado, simulando la voce impastata di chi è reduce da una sbornia notturna.
– Avete preso parte alla fuga del Conte André de Lille da Tower Hill, Sir Percy Blakeney? – domandò, senza troppi convenevoli, il Colonnello.
– Ah, cosa sento! Il vecchio de Lille ha portato a casa la pelle all’ultimo minuto! Immagino lo smacco del Conestabile della Torre…
Detto questo, ridacchiò e, subito dopo, si portò una mano alla fronte e fece una smorfia, come se fosse stato colto, all’improvviso, da una fitta alla testa.
– Dove eravate Voi, questa mattina, fra le otto e le nove, Sir Percy?
– Sotto le coltri del mio letto, fra le braccia di Morfeo… e di Bacco… Chiedete a Sir Hugh Bertrand e a Sir Andrew Beckett insieme ai quali ho trascorso la serata di ieri. Mi hanno riaccompagnato loro a casa… perché le gambe non mi volevano obbedire…
Sir Hugh Bertrand e Sir Andrew Beckett erano amici di vecchia data di Sir Percy e lo coprivano sempre.
Il Colonnello avvertì l’odore di cognac sprigionarsi dalla bocca di Sir Percy, arricciò il naso e convenne, fra sé e sé, che quell’uomo, fra le otto e le nove di mattina, doveva essere stato del tutto fuori uso.
Comoda la vita del damerino ricco e fannullone… – pensò il Colonnello – Una piccola perquisizione, però, gliela farei lo stesso, per scrupolo e per dargli fastidio…
– Permettete che Vi perquisisca, Sir Percy? Vorrei dare un’occhiata qui intorno, all’interno della vasca e anche alla Vostra persona, per vedere se avete lividi o escoriazioni.
– Dovrebbe bastarVi la mia parola di gentiluomo, Colonnello – protestò Sir Percy, fingendosi offeso – e, poi, sono nudo…
– Suvvia, Sir Percy, siamo fra uomini – ribatté il Colonnello – Si tratta di una pura formalità.
– Colonnello – disse concitatamente un Capitano, facendo irruzione nella stanza – Quattro persone, corrispondenti alla descrizione dell’evaso e di tre complici, sono state avvistate da una pattuglia a est di Londra!
– Presto, andiamo! – ordinò il Colonnello.
– Addio, Colonnello – disse Sir Percy – Vi farò recapitare, da uno dei miei valletti, un cesto delle mie primule rosse di serra.
Ciò detto, appoggiò la schiena alla vasca e tirò un sospiro di sollievo, ma fece anche un grande sorriso, perché i momenti come quello gli riempivano la mente e il cuore di una forte eccitazione.
 
********
 
Spiaggia-della-Manica
 
 
Dover, 16 ottobre 1799, dopo il tramonto
 
Il temporale infuriava fuori del capanno di legno del pescatore e i tuoni squarciavano l’aria, cupi e minacciosi. I quattro fuggiaschi si scaldavano alla bell’e meglio, in semicerchio attorno al camino, stringendosi addosso delle coperte ruvide. Aspettavano che albeggiasse e, soprattutto, che la burrasca finisse mentre i lampi apparivano e sparivano velocissimi, rischiarando l’ambiente attraverso una finestrella coperta da un lenzuolo di tela grezza. Gli abiti, bagnati dalla pioggia, erano ancora zuppi, ma non c’erano ricambi e non si poteva fare altro che adattarsi.
 – Ci mancava questo dannato tempo da lupi – mugugnò il Conte di Fersen, aggiungendo un ciocco di legna al camino – Speriamo che la goletta non abbia subito danni.
– Non preoccupateVi, Signore – disse il pescatore, porgendo loro della zuppa e alcuni pezzi di pane scuro – La ciurma ha portato la Destiny nel molo e ha tirato a riva la scialuppa. Qui, siete al sicuro, sempre che la bonaccia arrivi prima delle guardie.
– Grazie, Mellon – disse Oscar, a nome di tutti.
– FigurateVi, Generale – rispose l’uomo, con un sorriso amichevole, scompigliandosi la chioma con la mano callosa ormai libera dalle vivande – Sir Percy è un buon padrone per mio cugino David, lo stalliere.
Subito dopo la fuga da Tower Hill, Oscar, André, il Conte di Fersen e il Maggiore de Valmy si erano separati da Sir Percy Blakeney e dagli uomini che costituivano la brigata della Primula Rossa e avevano cavalcato verso Dover con un ritmo serratissimo, reso possibile dal fatto che Sir Percy aveva predisposto vari cambi di cavalli lungo la strada.
Erano giunti a Dover sull’imbrunire, col proposito di imbarcarsi sulla goletta Destiny e di salpare immediatamente. Il piano iniziale era di salire su una scialuppa e di raggiungere la goletta ancorata a largo, per evitare che questa, a causa della scarsa visibilità successiva al tramonto, andasse in secca o speronasse degli scogli semisommersi.
Come sempre accade quando si è in affanno, però, il diavolo ci aveva messo lo zampino e un violento fortunale era scoppiato. Il mare agitato e la scarica d’acqua avevano reso impossibile la navigazione, con la conseguenza che i quattro fuggiaschi, non avendo trovato la scialuppa ad attenderli nel luogo convenuto, si erano acquattati in mezzo all’erba alta di una macchia di vegetazione poco distante dalla spiaggia, schiaffeggiati dalla pioggia, immersi nella fanghiglia e sempre all’erta, per il timore che gli inseguitori li scoprissero.
Se Oscar e gli altri si erano dimostrati lesti nel fuggire, gli inglesi non erano stati da meno. Subito dopo il salvataggio di André, dalla Torre di Londra, le trombe avevano annunciato la fuga del prigioniero e l’allarme era stato trasmesso di caserma in caserma, per tutta la Bretagna. Non solo: un corriere velocissimo si era diretto a Dover, luogo dove i fuggitivi si sarebbero presumibilmente imbarcati. La corsa contro il tempo era iniziata, gli inseguitori erano determinati come segugi, le prede sgusciavano via come anguille e l’ago della bilancia sarebbe potuto pendere indifferentemente da una parte o dall’altra.
Dopo una ventina di minuti di permanenza fra l’erba e il fango della macchia, il pescatore Mellon li aveva trovati, informandoli del cambiamento di piano e mettendo a loro disposizione il suo capanno.
– Mi dispiace, Signori, se tutto quello che ho da offrirVi è questo cibo da poveri e queste coperte vecchie e logore – disse, imbarazzato, Mellon.
– Non preoccupateVI – risposero, all’unisono, gli ospiti.
– Ci avete salvato dalle lumache, dai lombrichi e da tutte le graziose creature che escono con la pioggia! – celiò il Maggiore de Valmy.
– Grazie, Mellon – rispose Oscar, con un sorriso stanco – Siete stato provvidenziale. Senza di Voi, non so come avremmo fatto.
Mentre parlava, guardava André che si scaldava al fuoco accanto a lei. Per tutto il tempo, l’uomo era stato di buon umore e si era dimostrato grato ai compagni, ma, per quanto simulasse benessere e allegria, era evidente, dal pallore, dalle occhiaie e dai muscoli tirati del volto, che lui più di tutti aveva accusato il colpo di quella cavalcata frenetica. I lunghi mesi di prigionia, trascorsi senza fare esercizio e, nell’ultimo periodo, sempre rinchiuso nella Torre Devereaux, lo avevano disabituato alle passeggiate e finanche a stare all’aria aperta. Le vessazioni psicologiche, la lontananza dalle persone care e l’incombere della morte avevano fatto il resto. Ora, sebbene si sforzasse di apparire forte e in salute, era chiaro che soffriva e che l’anello debole della catena era lui.
– Vi conviene schiacciare un pisolino – disse, con gentilezza, Mellon, quasi leggendo nei pensieri di lei – Che, domani, a Dio piacendo, Vi aspetterà un’altra dura giornata.
 
********

 
Goletta
 
 
Dover, 17 ottobre 1799, all’alba
 
– Signori, svegliateVi, presto! – disse il pescatore Mellon ai quattro che dormivano rannicchiati accanto ai resti delle braci ancora fumanti – Le guardie stanno setacciando i capanni! Dovete fuggire!
– Cosa?! – esclamarono i fuggiaschi, svegliatisi di soprassalto, con le pupille ancora velate dal sonno.
– Le guardie stanno perquisendo i capanni dei pescatori, non potete più stare qui! – ripeté l’uomo, con la voce agitata e il volto paonazzo – La burrasca è cessata, ma è scesa la nebbia e il mare è ancora molto mosso. Per questa ragione, non potrete usare la scialuppa che le onde riporterebbero a riva, ma dovrete raggiungere la Destiny a nuoto. Il Capitano si è avvicinato il più possibile… Mi dispiace di non poterVi offrire la colazione, ma più di così non posso fare…
– Non preoccupateVi, Mellon – rispose Oscar, accomiatandosi dall’uomo, subito imitata dagli altri tre – Siete stato preziosissimo. Senza di Voi, saremmo tutti ai ferri o morti.
I quattro uscirono dal capanno dopo avere verificato che nessuna guardia li vedesse. Fuori, li attendeva l’alba di una giornata uggiosa e autunnale. Il cielo plumbeo, venato dalle nubi, sovrastava un mare scurissimo, agitato dalle onde e sprizzante schiuma. Attorno a loro, aleggiava una densa foschia.
– Siate speranzosi! – disse Oscar per esortare i compagni, stando sempre bene attenta a che André non restasse indietro – Il mare agitato rallenterà la navigazione, ma userà un uguale trattamento ai nostri inseguitori. La nebbia diminuirà la visibilità, ma ci nasconderà. Vi chiedo un ultimo sforzo!
Corsero sulla spiaggia ancora bagnata e frustata dal vento, costeggiando la battigia, finché non distinsero, in lontananza, la sagoma della goletta Destiny che, effettivamente, non era troppo lontana, essendo ormeggiata a circa trentatré piedi dalla riva.
Entrarono in acqua e si misero a correre verso il largo. Quando il mare gli aveva raggiunto il livello della vita, André perse l’equilibrio e cedette verso il lato destro, ma la moglie lo sorresse prontamente. Proprio in quel momento, udirono le urla delle guardie, si voltarono e scorsero delle sagome sfocate sulla riva.
– Sbrighiamoci! – urlò Oscar – Iniziate subito a nuotare, così da esporVi il meno possibile ai proiettili!
Proprio in quel momento, infatti, i fuggitivi iniziarono a udire dei fischi che sibilavano sopra le loro teste o accanto alle orecchie. André, a causa dei riflessi rallentati, si immerse in acqua dopo gli altri e una pallottola fece in tempo a raggiungerlo al braccio sinistro.
Oscar udì l’urlo strozzato del marito, si voltò verso di lui e vide l’acqua marina che si tingeva di rosso.
– André, appoggiati a me! – urlò agitatissima, sorreggendolo sotto la clavicola e nuotando per entrambi mentre lui le aveva appoggiato il braccio sulle spalle.
Trascorso qualche istante, André si riprese, dominò il dolore e iniziò a muovere le gambe per agevolare le bracciate della moglie e non esserle di peso.
Dopo circa dieci minuti di nuoto disperato fra i flutti e dopo essere sopravvissuti a diverse ondate, a due immersioni, a una decina di proiettili e a una notevole quantità di acqua salata entrata nelle loro gole, raggiunsero la prua della goletta Destiny e batterono le mani sul fasciame. I marinai calarono due funi che Oscar e André si avvolsero intorno alla vita, consentendo ai primi di issarli sul ponte. Il Conte di Fersen e il Maggiore de Valmy li avevano preceduti di un paio di minuti e avevano convinto il Capitano ad andare loro incontro.
Appena Oscar e André furono al sicuro sulla goletta, il Capitano ordinò ai suoi uomini di far vela verso la Francia, facendo attenzione alle secche e agli scogli sommersi.
Oscar controllò subito il braccio di André e si accorse, con sollievo, che il proiettile lo aveva colpito soltanto di striscio ed era passato oltre, senza conficcarsi nell’osso. Lo disinfettò alla meglio con del rum offerto loro dai marinai e lo fasciò con la tela di vecchie sartie che gli uomini avevano portato su dalla stiva. Terminata la rudimentale medicazione, i quattro amici mandarono giù dell’altro rum e, appena avvertirono il bruciore del liquore ambrato nella gola e il calore di esso nello stomaco, pensarono che, forse, ce la potevano fare.
 
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Goletta-in-tempesta
 
 
Canale della Manica, 17 ottobre 1799
 
La goletta iniziò il suo viaggio, percossa e sballottolata dalle onde e avvolta da un fitto banco di nebbia, ma il Capitano era un vecchio ed esperto lupo di mare che navigava da quando aveva nove anni e che di tempeste ne aveva viste a decine. La ciurma si sentiva rassicurata dalla presenza di lui e obbediva agli ordini senza battere ciglio. Malgrado i marosi, il vento di burrasca e le forti correnti, la goletta prese il mare aperto e fece rotta verso la Francia.
Mentre la goletta Destiny sobbalzava, mentre le onde, sprizzando schiuma con gran fragore, le si infrangevano sulla prua e sulle fiancate e mentre qualche flutto più alto degli altri si schiantava sul ponte, Oscar scrutava in direzione di poppa, stringendo gli occhi, sempre attenta a scorgere l’arrivo degli inseguitori. L’aria era elettrica e aveva l’odore acre del mare aperto in tempesta.
Dopo un’ora buona dall’inizio del viaggio, trascorso col cuore oppresso da una morsa e con un cerchio invisibile di umido che le cingeva la fronte, la donna vide, in lontananza, la sagoma di un veliero che emergeva dalla nebbia e diede l’allarme.
Gli inglesi si erano imbarcati su un brigantino e si erano lanciati all’inseguimento dei fuggiaschi.
Scorte le loro prede, i segugi accorciarono, in breve, le distanze. Il Capitano della Destiny diede, allora, l’ordine di spiegare le vele per quanto le condizioni climatiche lo consentissero e l’inseguimento iniziò, fra venti, marosi, scossoni e ondate che si infrangevano sul ponte.
André, nonostante le preghiere della moglie, era rimasto sul ponte e non si era rifugiato sottocoperta.
Passato qualche minuto, quando le distanze si erano accorciate al punto da distinguere bene le vele gonfiate dal vento, le corde e l’alberatura, Oscar udì una pallottola sibilare oltre l’orecchio sinistro.
Senza perdere tempo, insieme a Fersen e a Valmy, imbracciò i fucili che il provvidenziale Sir Percy aveva fatto imbarcare sulla goletta e rispose al fuoco. La maggior parte dei proiettili, a causa della nebbia e della distanza, si perdeva nelle acque, ma alcuni si conficcavano negli alberi e nelle fiancate dell’una e dell’altra nave, con fischi sinistri.
Dopo circa mezz’ora, il mare si calmò considerevolmente e la nebbia si diradò quasi del tutto, pur rimanendo il cielo coperto e il clima umido. Una vedetta gridò: “Terra in vista!” e tutti guardarono in direzione di prua. La Francia era, ormai, visibile e ciò sollevò gli animi, ma la contentezza terminò presto, quando il Maggiore de Valmy si accorse che le munizioni stavano finendo. Gli inglesi, invece, continuavano a sparare come se niente fosse e il Capitano ordinò di spiegare le vele al massimo, non essendoci altri rimedi.
Una voce, dal brigantino inglese, intimò più volte la resa e una salva di proiettili seguì la mancata ottemperanza.
Le munizioni dell’equipaggio della Destiny erano finite, dal brigantino continuavano a sparare e Calais era ormai vicina, quando una palla di cannone si abbatté vicinissima alla nave degli inglesi, sprofondando nel mare e sollevando un alto spruzzo. A stretto giro, altri grossi proiettili seguirono il primo e gli inglesi, presi alla sprovvista, rallentarono la corsa e misero in atto le manovre necessarie a schivare l’inatteso attacco.
– Fuoco! Fuoco! – gridava il vecchio ufficiale, brandendo il cannocchiale e ringhiando all’indirizzo degli artiglieri di Calais – Fuoco! Fuoco!
– E’ quello dei cannoni? – domandò un pescatore al suo vicino.
– Sì, è un vecchio Generale mezzo pazzo che, ieri, è piombato qui come un uragano, dicendo di essere molto vicino alla Regina e che, se gli artiglieri non avessero schierato i cannoni sulla spiaggia come aveva ordinato lui, avrebbe spedito l’intero reggimento davanti alla Corte Marziale. Ma guarda te se si deve schierare l’artiglieria pesante con questo tempo da lupi!
– Fuoco! Fuoco! – gridava ancora il Generale de Jarjayes, dardeggiando gli artiglieri con gli occhi di brace – Fuoco! Fuoco!
– Signore! – urlò Antigone, insieme a Honoré e a Bernadette – Fateci usare un cannone! Ormai, abbiamo visto come si fa a caricarli, a prendere la mira e a fare fuoco!
I tre bambini si erano nascosti sotto una coperta, in una delle carrozze vuote destinate ad accogliere i quattro reduci dall’Inghilterra e avevano palesato la loro presenza nella locanda di Calais, quando, ormai, era troppo tardi per rispedirli a casa.
– Zitti voi! – urlò il Generale de Jarjayes – O vi chiudo dentro tre barili e vi butto in mare!
Per nulla intimoriti da quell’assurda e fantasiosa minaccia, i tre bambini continuarono a scrutare l’orizzonte, passandosi l’un l’altro il cannocchiale di riserva che avevano trafugato dalla carrozza del Generale e che Antigone faceva in modo di tenere per sé il più possibile, a scapito degli altri.
Bombardato dai cannoni, il brigantino inglese invertì la rotta e ritornò in mare aperto prima di essere affondato, nell’esultanza dei viaggiatori della goletta Destiny.
Sbarcati a riva, i quattro reduci furono investiti dalle urla e dai salti di gioia dei tre bambini, finché non udirono una voce marziale tuonare:
– Cosa sono quegli abiti luridi e laceri?! Siete bagnati come tanti pulcini!! E’ così che vi ho educati?! Andate a ripulirvi, giovani smidollati!!
 
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Salone-d-Ercole
 
 
Reggia di Versailles, Salone d’Ercole, 2 novembre 1799
 
Al tavolo d’onore, splendidamente allestito nel Salone d’Ercole della Reggia di Versailles, Oscar, André, il Conte di Fersen, i coniugi de Girodel e il Maggiore de Valmy sedevano poco distanti dalla Regina e dai figli di lei.
Allo stesso tavolo, avevano preso posto anche i genitori di Oscar e le dame di compagnia della Regina, fra cui la Principessa di Lamballe e Geneviève de Compiègne. Ciò aveva suscitato l’invidia rabbiosa della Contessa di Polignac e della figlia di lei e anche quella della Contessa madre di Compiègne, che, sistemata a un tavolo meno importante, si vedeva surclassata dal nipote e, soprattutto, dall’odiata nuora.
Era il 2 novembre 1799 e Maria Antonietta stava festeggiando il suo quarantaquattresimo genetliaco. Malgrado le celebrazioni fossero riservate interamente a lei, la Regina aveva invitato i cortigiani a levare i calici in onore del Conte André de Lille, fedele suddito da poco tornato sano e salvo da una missione pericolosa, nel corso della quale aveva rischiato di perdere la vita per il bene del Re e della Francia intera.
Fra i cortigiani, si erano diffusi diversi racconti, alcuni più verosimili e altri decisamente leggendari, sul coraggio di André, sulla crudeltà degli inglesi, sulla ferocia dello Sfregiato del Mediterraneo e sulla doppiezza del Generale Bonaparte.  
André aveva ricevuto, arrossendo e senza inorgoglirsi, quell’inaspettato omaggio, benedicendo la scelta di non avere disertato quel banchetto nonostante la debolezza che ancora l’affliggeva.
Erano passate due settimane dal ritorno a casa e l’uomo aveva ancora il braccio ferito legato al collo, era pallido e smunto e si stancava facilmente. Ciò nonostante, aveva deciso di presenziare ai festeggiamenti, per non mancare di rispetto alla Sovrana che tanto aveva fatto per lui e per non preoccupare i familiari.
Oscar guardava fiera e felice il marito, finché gli occhi non le caddero sul Duca d’Orléans che, poco distante da loro, li scrutava con livore.
– André, le lettere che portavi con te saranno anche state trafugate – disse Oscar, accostandosi al marito – ma, al Palais Royal, negli appartamenti privati del Duca d’Orléans, ce ne saranno tantissime altre, uguali a quelle che trovasti tu e, forse, ancora più compromettenti. La nostra prossima mossa sarà mettere le mani su quelle lettere.
   
 
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