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Autore: Mahela    27/11/2020    1 recensioni
Questa fanfiction ha come coppia principale il pairing "klance" (Keith x Lance).
Tutti conoscono la leggenda delle sirene. Ancora oggi tanti le ritraggono e parlano delle loro gesta.
Ma se le sirene avessero dei predatori naturali? E se questi avessero per secoli condizionato la loro vita?
E cosa succederebbe se uno di loro si sentisse attratto dalla sua preda?
Genere: Romantico, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Garrison Hunk, Kogane Keith, McClain Lance
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Oltre l’istinto

Prologo

Erano sempre state numerose come le stelle le storie su di loro.
La loro leggenda era così diffusa che nonostante l’epoca di avanzamento tecnologico, ancora tanti scrittori le prendevano come modello per le loro opere.
Creature dalla coda di pesce e il busto di donna, era questa la descrizione che davano tutti e, in fondo, non erano così lontani dalla realtà.
Nella mitologia antica si raccontava che queste creature conducessero con l’inganno i marinai contro gli scogli: secondo alcuni per cibarsene, secondo altri per puro piacere personale.  C’erano persino dei racconti che sembravano voler smentire queste voci, affermando fossero fondamentalmente buone e cercassero solo di difendersi dall’istinto dominatorio degli uomini.
In ogni caso, a prescindere dalla concezione personale di ognuno, chiunque sentendo il loro nome sapeva di chi si stesse parlando. Qualsiasi fosse l’età e il pensiero di quella persona, nell’udire quelle tre sillabe, un’immagine chiara appariva nella sua mente.
Ciò che davvero la gente ignorava era che le sirene, fin dal principio della loro esistenza, non erano mai state sole.
C’era qualcosa di grande, nascosta nell’ombra, che paziente aspettava il momento di uscire. Imponente e maestosa spalancava le ali e con i suoi perforanti artigli affondava nella carne della preda, non lasciandogli via di scampo.
Poco importava se quest’ultima si trovava sulla terraferma o sul pelo dell’acqua. Vista la sua portentosa vista, la sua velocità e la sua possente forza, sfuggirgli era quasi impossibile. Se non morivi per mano della sua stretta mortale, ad attenderti ci sarebbero state le sue fauci affilate o una lunga caduta prima di impattare col terreno, l’ultima.
Il loro nome era hábrók, i rapaci che dominavano il cielo, anche se, vista la loro fama, dire che dominavano anche l’acqua e la terra non sarebbe stato un errore. Tutte le creature a conoscenza della loro esistenza temevano il loro arrivo. Più eri grande e tentavi di sfuggirgli, più stimolavi il loro istinto di caccia.
Forse il motivo per cui le sirene erano diventate solo una leggenda erano proprio loro. La paura di perder la vita era tale che era meglio risalire in superficie solo se strettamente necessario.
Incluse le pennichelle sugli scogli e nelle grotte erano lussi che pochi avevano il coraggio di concedersi.
Perché gli uomini non si erano mai accorti della loro esistenza?
Gli hábrók non gradivano gli esseri umani, né come prede né come creature in generale, al punto che per lunghi secoli se ne erano tenuti a debita distanza, rimanendo nelle parti più alte dell’atmosfera terrestre, alla larga dal loro occhio indiscreto. D’altro canto, le sirene per loro erano una questione del tutto diversa.
“Il dono degli dei” le definivano i più anziani. La carne che una volta assaggiata lascia un segno indelebile, cambiandoti completamente. Cibarsi di una sirena era come un elisir della felicità e questo rendeva i poveri esseri acquatici il loro bersaglio preferito. “Fuggenti e prelibate”. In poche parole, le prede definitive.
Si raccontava addirittura che in un periodo la caccia fu così spietata che le sirene rischiarono l’estinzione, ma fortunatamente così non fu.
Una cosa comunque era certa: se da un lato la popolazione delle sirene aveva profondo timore degli hábrók, dall’altro avevano sviluppato un disprezzo tanto profondo e irrazionale da esser perdurato anche dopo diversi secoli.
Che la colpa si attribuisse alle carneficine, alle continue fughe da una parte all’altra degli oceani o al senso di oppressione che si prova vivendo nella paura, poco importava. Gli hábrók e le sirene erano agli antipodi: il predatore e la preda, il cielo e il mare.
Per le due razze la convivenza era impossibile. Era come chiedere al lupo di essere amico della pecorella o alla volpe della gallina: era totalmente innaturale e insensato.
Ed era così anche allora, quando le sirene ormai vivevano mimetizzandosi fra gli esseri umani o altre creature marine, private di qualsiasi dignità e libertà.
Nessuno poteva sperare di scavalcare quel muro invalicabile.
Nessun hábrók o umano avrebbe mai potuto andare oltre quell’odio.
Nessuno tranne lui.
 

Capitolo 1

Krolia era una delle più grandi cacciatrici fra gli hábrók.
Grande, temeraria, forte: tutti i suoi simili la rispettavano e la consideravano un esempio da seguire. L’ammirazione che gli hábrók provavano per lei era tale che nessuno si sarebbe mai permesso di polemizzare sulla sua vita o cercare di imporle le proprie idee.
Per questo, quando finalmente dopo lungo tempo si era decisa a deporre il suo uovo, tutti si aspettavano sarebbe nato un hábrók pari solo a sua madre.
Eppure, così non era stato.
Keith non era come i suoi simili.
Nonostante i suoi lunghi anni di addestramento e le sue incredibili doti da cacciatore, non aveva quella brama interiore che spinge ad ambire a qualcosa di sempre più grande e appagante.
Persino il suo aspetto, sebbene impostato e atletico, aveva quei lineamenti particolari che lo rendevano inconfondibile.
“Delicato”, lo aveva definito qualcuno una volta. “Quasi umano” erano state invece le parole del più audace.
Keith non cacciava per divertirsi e non considerava la caccia una prova di valore. “Solo il necessario” era solito ripetere ai suoi compagni, che stridevano con disapprovazione.
Se non fosse stato per i suoi artigli e per il suo piumaggio elegante e scuro come gli abissi degli oceani, nessuno avrebbe creduto fosse un hábrók.
Quando Keith annunciò di voler abbandonare la caccia e vivere confondendosi tra gli umani, nessuno ne fu sorpreso. L’unica riluttante all’idea fu sua madre, che però a malincuore lo lasciò andare.
Quello non era il suo posto e, probabilmente, non lo sarebbe mai stato.
Questo lo aveva capito.
__
Il paesello che aveva scelto per la sua nuova vita si trovava in una piccola isola del pacifico. La gente lì era un po’ gretta e le attrezzature arretrate, ma era un luogo tranquillo.
Lavorava in una piccola officina con Shiro, hábrók ritiratosi dopo aver perso il braccio durante una battuta di caccia, o così aveva raccontato lui.
Dato che il paesello non era molto grande, non era raro che Keith andasse in giro a cimentarsi come tuttofare.
Lo conoscevano in molti, ma a parte la sua collega Pidge e Shiro stesso, non aveva veri e propri legami. Finito il lavoro, preferiva dirigersi con la sua moto nella zona boschiva alle spalle del paese, per godersi l’aria fresca e librarsi in volo senza che nessuno lo vedesse.
Nella sua routine c’era poco spazio per socializzare.
 
Una sera stava facendo il suo solito giro sull’isola. Il sole era in procinto di tramontare e il cielo si era ormai tinto dei suoi colori più caldi. Il vento soffiava piano, in una brezza gentile, e gli uccelli stavano già iniziando a prepararsi per la notte.
Alle spalle dell’isola, accanto alla lunga distesa di sabbia, si elevava un piccolo promontorio. Sebbene non fosse degli più spaziosi, accoglieva ai suoi piedi una scia di scogli poco spigolosi, su cui era possibile rilassarsi mentre si osservava il mare.
Le onde si infrangevano dolci, cullando i suoi ospiti, e l’odore di salsedine si insinuava prepotente nelle narici.
A Keith piaceva molto quel posto. Nonostante il mare non lo attirasse particolarmente, trovava rilassante guardarlo.
Normalmente si sarebbe poggiato sulla cima del promontorio, da cui si poteva godere della vista migliore, ma chissà per quale motivo, quella volta decise di provare a scendere più in basso.
Con qualche piccolo battito d’ali per addolcire l’atterraggio, si posò sulla spiaggia, proprio dove aveva inizio la zona scogliera.
Le ali che veloci si ritraevano, insieme al suo folto piumaggio e agli artigli, donandogli una forma umana.
Era pronto a iniziare la scavalcata, quando qualcosa attirò la sua attenzione: il suono di qualcosa che usciva dall’acqua e si accomodava sugli scogli, seguito da un leggero odore di sale, squame, carne morbida e fresca che non aspettava altro che essere fatta a pezzi e ingoiata.
All’improvviso, per la prima volta nella sua vita, Keith si sentì fremere dal profondo: un istinto che gli suggeriva di ritrasformarsi e fare ciò che apparteneva alla sua natura.
Eppure, non lo fece: la curiosità e la ragione ebbero nuovamente la meglio sulla sua parte animale, spingendolo ad arrampicarsi per sporgere un poco la testa.
Voleva sapere, capire. Non poteva certo immaginare che quello che avrebbe visto gli avrebbe cambiato la vita in modi inaspettati e nuovi.
La lunga coda bluastra dalle squame luminose, la pelle liscia e caramellata, le pupille color dell’oceano, le ciglia lunghe e un po’ gocciolanti, il corpo sinuoso, i capelli castani un po’ appiccicati al viso a causa dell’acqua - sottolineando quei piccoli simboli luminosi a forma di spunta, proprio sugli zigomi – e quelle labbra, fini ma efficaci nel trasmettere emozioni con un sorriso.
Era come un critico che incantato osservava il suo quadro preferito, cercando di non farsi sfuggire le più piccole sfumature di colore.
Fu allora che, nella mente di Keith, tutto sembrò cambiare direzione. Ogni certezza, ogni pensiero, ogni ragione parve spezzarsi.
Una sirena.
“Lance”.
__
Lance era un ragazzo che viveva sull’isola con lui.
Di mestiere faceva il pescatore. Gli piaceva vantarsi di pescare il pesce migliore dell’isola, ma nessuno aveva mai potuto verificarlo, dato che la maggior parte del pescato lo teneva per sé o lo regalava al suo amico Hunk, famoso chef dell’isola.
Quel poco di roba che non trangugiava, la vendeva sempre a un commerciante di fuori che in cambio gli portava prodotti di bellezza, vestiti, oggetti dal design insolito e altre cose sofisticate. Di rado il ragazzo si faceva pagare coi soldi, cosa che avevano notato tutti, ma interpretato come uno dei suoi tanti atti di egocentrismo.
Infatti, definirlo un tipo un po’ particolare era un eufemismo.  A parte i suoi affari strani e il suo amore indescrivibile per i frutti di mare, Lance era quello che normalmente si sarebbe definito un farfallone megalomane. Oltre ad avere la tendenza a flirtare con qualsiasi ragazza carina che metteva piede sull’isola - raccontando di talenti che non aveva - non perdeva occasione per mettersi in mostra e ribadire quanto fosse bello, cosa che a Keith dava enormemente fastidio, soprattutto perché non poteva contraddirlo.
Lance poteva anche essere un concentrato di narcisismo e autostima, ma non era affatto brutto, anche se non gli avrebbe mai dato questa soddisfazione.
Ogni volta che si incontravano, non facevano che battibeccare. Solitamente partiva tutto da Lance, che sembrava fare molto caso alle battutine sarcastiche e alle smorfie di dissenso di Keith.
L’hábrók era addirittura arrivato a pensare che l’unica persona in grado di sopportarlo per più di cinque minuti fosse Hunk, che era tutto il suo opposto.
Rispetto all’amico era decisamente paffutello, ma aveva un’indole gentile e modesta che colpiva tutti quelli che conosceva. Sembrava che niente potesse farlo arrabbiare, neppure Lance che ogni tanto devastava la sua cucina o si lamentava di avergli preparato una pietanza troppo speziata.  
Insomma, persino la cugina di Lance, Aurora, pareva spesso molto contrariata dal suo comportamento.
In effetti lei era molto diversa da Lance: diligente, responsabile, educata. Si occupava tutto il giorno del suo negozietto di fiori, a cui tutti quanti si affidavano molto volentieri. Non stupiva affatto che non riuscisse a reggere il carattere un po’ vivace di Lance che, nonostante le continue tirate d’orecchie, sembrava avere una specie di adorazione per lei. 
Per un periodo erano anche girate delle voci che sostenevano in realtà fossero due amanti in fuga, vista la loro scarsa somiglianza, ma col tempo erano state smentite.
I due avevano sicuramente un forte legame, ma non c’era niente che potesse far pensare il loro rapporto non fosse puramente platonico.
Però una cosa era certa: Aurora era l’unica persona a cui Lance dava ascolto, almeno in parte.
 
Keith non sapeva che pensare.
La prima sirena che avvistava su quell’isola non si era rivelata altri che la persona più irritante che avesse mai conosciuto.
Se quello era uno scherzo, era davvero di pessimo gusto. Era come assaggiare il proprio frutto preferito e scoprire fosse acerbo.
Strano e sgradevole erano le uniche due cose che gli venivano in mente.
Eppure non riusciva a fare a meno di essere curioso; mille domande gli volteggiavano in testa come un uragano in piena.
Tutte le sirene amano il pesce? C’è qualcosa che non gradiscono o gli fa male? È loro tradizione vivere fra gli umani? La bellezza è una loro prerogativa? Dato che sono “cugini”, anche Aurora è una sirena? Quali conoscenze sconfinate hanno sul mare? È vero che riescono a comunicare con tutte le creature marine? Hanno delle pratiche comuni? Come si riproducono? Ci sono dei rituali di accoppiamento particolari?
La sua sete di conoscenza divampava e zampillava incontrollata, chiedendo di essere soddisfatta. In fondo, gli hábrók non si erano mai presi il disturbo di studiarle, se non per cacciarle.
Gli avevano insegnato che avevano una coda forte e muscolosa, che avrebbe potuto trascinarlo sott’acqua con facilità se non avesse fatto attenzione: gli avevano spiegato che non si muovevano mai dai sole, quali erano i luoghi in cui si nascondevano, quanto tempo potevano rimanere immerse prima di dover risalire, quanto potevano andare veloci, come era possibile coglierle di sorpresa per catturarle e come era meglio dargli il colpo di grazia e farle a brandelli.
Tutte cose inerenti alla caccia.
Ma se voleva davvero scoprire di più e seguire quello che gli hábrók avrebbero definito delirio, c’era solo una cosa che poteva fare:
diventare amico di Lance. 
 
 
Note dell'autore: 
Salve a tutti. 
Questa è la prima storia che pubblico dopo tanti anni. Ne ho trovato solo ora il coraggio XD
Non mi ritengo un mastro della scrittura, ma spero comunque di riuscire a condividere qualcosa di quantomeno leggibile e gradevole.
La storia mi è venuta in mente guardando delle fanart di Lance sirena e Keith drago/avialae. Lance l'ho trovato bellissimo e l'ho lasciato nel suo ruolo, mentre per Keith ho voluto provare qualcosa di "diverso". 
Inizialmente volevo fargli fare "l'uomo falena", ma poi ho pensato avrebbe avuto un aspetto troppo grottesco per la storia e ho cercato in giro qualcos'altro. Ho trovato la voce "habrok" per puro caso, ma mi è sembrato l'animale perfetto, essendo che le informazioni su di lui sono poche e potevo manovrarlo liberamente, associandogli caratteristiche del tutto personali. 
Spero questo primo capitolo vi abbia incuriosito. 
Alla prossima, 

Mahela.
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
   
 
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