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Autore: Black_in_Pain    27/11/2020    0 recensioni
Erin non si lascia mai trasportare, soprattutto dai sentimenti, che reprime costantemente dietro la maschera di meticolosa studentessa e figlia perfetta. Ma un giorno, quella che le pare una condanna, potrebbe diventare il suo lascia passare ad un mondo in bilico tra passione e ossessione.
Genere: Erotico, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Scolastico, Universitario
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L'aula è silenziosa, piacevolmente illuminata solo dalle ampie vetrate che filtrano la tiepida luce del sole.
Mentre, controvoglia, do un morso al tramezzino al formaggio che ho preparato questa mattina, rileggo la traduzione della poesia che il professor Delgado ci ha assegnato come compito per l'ora di spagnolo.

E' un opera di Juan Ramón Jiménez, s'intitola "Incontro di due mani".

" Incontro di due mani

in cerca di stelle,

nella notte!

Con che pressione immensa

si sentono le purezze immortali!

Dolci, quelle due dimenticano

la loro ricerca senza sosta,

e incontrano, un istante,

nel loro circolo chiuso,

quel che cercavano da sole.

Rassegnazione d'amore,

tanto infinita come l'impossibile!"

Sorrido. 
Credo sia un tratto d'istintivo degli spagnoli, struggersi nella passione e annegare in un mare d'amore drammatico e idealizzato.
Posso, però, spezzare una lancia a suo favore, ammettendo che questa poesia è davvero graziosa e trasognante. Coincisa nella sua complessa delicatezza.
L'unica pecca, dopo averla tradotta, sta nel dover allegare un commento personale sull'opera, spiegandone il significato, per cercare di avvicinarsi il più possibile a ciò che il poeta desiderava realmente trasmettere nel momento in cui scriveva.
Questo mi infastidisce.
La mia teoria è che, alla fine, possiamo solo congetturare e ricamare sul vero senso di qualcosa, soprattutto se essa appartiene a qualcun altro.
Noi siamo noi. E ciò che creiamo, pensiamo e sentiamo è solo nostro. L'egoistica e presuntuosa ostinazione di voler conoscere alla perfezione quello che non viene direttamente da noi stessi, è forse il tratto più irritante e fittizio dell'essere umano.
Ma un compito rimane un compito. L'importante è fare un buon lavoro, preciso, meticoloso, strutturato nella direzione in cui l'insegnate ti vuole condurre.
Per me è semplice assecondare le volontà altrui, rassegnandomi alla posizione che mi è stata data in questa società di doveri da rispettare e onorare.
In questo caso specifico, è bastato esagerare un po', sia con le metafore, che con le associazioni. Trasportare le parole in simboli, riempire di dramma e miele le parole, per poi finire con la solita morale sulla vita e le sue dolci complicazioni.
In men che non si dica, concludo la mia piccola opera d'arte e richiudo il quaderno a righe sul banco immacolato. Il risultato complessivo è impeccabile, anche se non ne traggo nessuna soddisfazione individuale.
L'obbiettivo a cui ambisco sta unicamente nel giudizio positivo del professore, che elargirà alla mia pagella, già colma di voti eccellenti, ulteriore prestigio.
Il silenzio si spezza e i passi di una presenza conosciuta si avvicinano, accompagnati dal consueto profumo di lavanda. Una nuvola di capelli biondi mi si para davanti e un'espressione crucciata, costeggiata di lentiggini, mi osserva da sotto gli occhiali.
«Hai saltato di nuovo il pranzo in mensa» esordisce Camille, appoggiando una mano sul fianco, in segno di rimprovero.
«Non ho molto appetito» rispondo, sventolando il tramezzino ancora praticamente integro come prova.
Sbuffa. «La verità è che preferisci la compagnia dei libri a quella della tua migliore amica.»
Scuoto il capo, rassegnata, spostando la sedia all'indietro, mentre stiracchio le braccia intorpidite.
«Vieni qui» dico e con le mani indico le mie gambe pronte ad accoglierla.
Non se lo fa ripetere due volte.
Si siede sulle mie ginocchia, avvolgendomi il collo con le braccia. «Mi sei mancata.»
Sogghigno «Nha... Di sicuro Oliver mi avrà sostituito con estremo piacere.»
Il suo viso diventa paonazzo e capisco di aver fatto bingo.
«Tranquilla, nessuno sospetterà di voi se ci vedono avvinghiate in questo modo» la rassicuro, pizzicandole un fianco.
Finalmente il suo viso si rilassa e assumere un'espressione maliziosa «La nostra storia d'amore è ormai di dominio pubblico. Siamo la coppia lesbica più quotata per il prossimo ballo scolastico.»
Scoppiamo entrambe in una risata cristallina.
«Sarebbe interessante vedere sul palco due reginette quest'anno» ipotizzo, disegnando sopra le nostre teste una coroncina immaginaria con le dita.
Rimaniamo abbracciate per un po', finche Camille non riapre il mio quaderno per leggerne il contenuto.
«Come fai a decodificare questa roba?» chiede, corrugando le sopracciglia.
«Questa roba si chiama spagnolo e dovresti deciderti a decodificarla anche tu».
Mi guarda con gli occhi sgranati. «E' il compito per oggi?»
Annuisco.
«Merda, l'ho scordato» strilla.
Improvvisamente la sua espressione si trasforma in quella di un cucciolo ferito, bisognoso di protezione.
«Ti prego, Rin» supplica, spalancando quegli occhioni verdi a cui non so dire di no.
«D'accordo» mi arrendo.
Lei applaudisce, stampandomi un bacio alla fragola sulla guancia.
«Conosci le regole, vero? » le ricordo, inclinando la testa come una madre severa.
«Ovvio. Copiare male, distorcere il significato e aggiungere qualche errore.»
Faccio cenno d'approvazione «Brava ragazza.»
Mi abbandona fulminea per andare a recuperare il suo quaderno, poi si siede davanti a me per consultare i miei appunti.
Le aiuto a far sembrare suo ciò che è mio e modifichiamo insieme la parte del commento personale.
Il risultato è una sorta di brutta copia ben fatta. Proprio quello che volevamo ottenere.
Lei è parzialmente salva. Io parzialmente innocente.
Missione compiuta.
«Mi hai salvato la vita» Camille mostra il suo lato di promettente attrice drammatica, simulando di asciugare finte lacrime in un fazzoletto invisibile.
«Succede spesso» mi vanto, per poi lanciarle un occhiataccia. «Forse troppo spesso» aggiungo.
Si scusa accovacciandosi in maniera bambinesca «Ma tu sai che odio lo spagniolo...»
«E la matematica, e la letteratura e, aspetta... » mi soffermo teatrale «Oh si, scienze ! Come ho fatto a dimenticare quanto detesti scienze.»
Mi fa la linguaccia e io l'occhiolino.
Camille non sarà certo una cima negli studi, ma per me è il massimo in praticamente tutto il resto. Soprattutto nell'ardua impresa di essermi amica. L'unica, vera amica che ho.
La campanella suona e pian piano tutti rientrano in classe e si siedono ai rispettivi banchi.
Do una pacca al sedere di Camille per incitarla a tornare al suo posto, lei mi dice "ci vediamo alla fine delle lezioni" e io annuisco, mostrando la mano in segno di saluto.
Il professor Delgado entra con la sua borsa in falsa pelle, reggendo sotto braccio la sua cartina preferita.
E' un uomo di bell'aspetto, di un'altezza spropositata e dal fisico asciutto, veste in modo elegantemente improvvisato, nel disperato tentativo di somigliare ad un rispettabile insegnate universitario.
Ma si capisce che ama il suo lavoro più della sua immagine.
Parla della materia come un innamorato farebbe della sua splendida fidanzata. Illustrandone i pregi, le caratteristiche, i vanti.
Finisco sempre a ritrovarmi appassionata e, senza neanche rendermene conto, anch'io inizio a stravedere per questa fidanzata immaginaria che si chiama Spagna, restando incantata dal suo accento e dall'inconsueto, ma efficace, metodo d'insegnamento che ci propone.
Quando giunge il momento di consegnare il compito, ci chiama in ordine alfabetico e, al turno di Camille, lei si alza leggiadra e sicura di sé, porgendogli il quaderno come se sapesse cosa realmente ci sia scritto all'interno.
Il prof mi guarda di sottecchi e io esibisco la mia indiscutibile faccia da poker. Lui alza le spalle, forse rassegnato, forse convinto, e accetta il compito di Camille senza obbiettare.
«Grazie, signorina Prayers» mormora, congedandola.
Improvvisamente un mormorio generale riempie il silenzio e anche il professore esita un momento prima di ricominciare a parlare.
«Charles» chiama.
Nessuna risposta.
Il mormorio si infittisce e delle risatine soffocate lo accompagnano.
Mi volto verso il protagonista di questa imbarazzante situazione.
E' seduto infondo all'aula, abbandonato sulla sedia come se stesse per appisolarsi. Ha la giacca della divisa stropicciata, sbottonata sulla camicia aperta fin sotto le clavicole. I capelli castani, raccolti in una sorta di codino arruffato, contornano un viso pallido, asettico.
Gli occhi, scuri come la pece, si posano sopra a occhiaie visibilmente croniche.
«Charles Amery, il tuo compito» ripete il professor Delgado, con voce irritata.
Finalmente il ragazzo alza lo sguardo e piega la testa di lato, confuso. Poi fa un sorrisetto e riporta il capo dritto verso il suo interlocutore «Scusi, non credo di parlare la sua lingua.»
Mi sento a disagio e un brivido mi corre lungo la schiena, in attesa di ciò che potrebbe accadere.
Non credo di conoscerlo, forse non frequentiamo gli stessi corsi, magari è uno studente inserito a metà semestre.
Esamino il suo banco e mi accorgo di averlo visto spesso vuoto o occupato da qualcun'altro.
Non posso esserne del tutto sicura, dato che tendo a socializzare il meno possibile e dimenticarmi i volti di chi non cattura il mio interesse.
Palesemente, i miei compagni non la pensano allo stesso modo. Anzi, paiono abituati, se non addirittura febbricitanti all'attesa di ciò che sta per succedere.
Il professore sorride indifferente, schioccando le dita.
Brutto segno.
«Bene, magari potrai trovare un dizionario che possa aiutarti nell'ufficio del preside.»
Charles si alza, l'aria trionfante, mettendosi lo zaino verde militare sulle spalle.
Tutta la classe lo segue fino alla soglia e lui, prima di chiudere la porta dietro di se, fa la sua uscita con un impeccabile "Adios señor", rivolto al professore.
Una sfida vera e propria, visto che ha appena vantato una pronuncia spagnola al dir poco disarmante.
Se ne va via, congelando completamente la situazione.
Delgado cerca di spezzare il ghiaccio con ironia. «Un talento sprecato, digo bien
Nessuno ride. Neanche lui.
Così la lezione riprende, tornado ad un'apparente normalità, anche se non posso fare a meno di notare l'umiliazione, nascosta con impacciata disinvoltura, del mio insegnante.Le ore passano lente, ma serene. Niente interruzioni, nessun colpo di scena, proprio come piace a me.
La campanella che annuncia la fine delle lezioni suona, ed è un inno di liberazione per tutti quelli che non aspettavano altro che alzare i tacchi e tornare alle loro vite da adolescenti spensierati.
Appaiono completamente diversi, trasformati. Come se la maschera dello studente fosse solo una mera copertura.
Io rimango la stessa. Non evolvo. Non cambio personalità.
Nel mio caso, il bruco non diventa farfalla. Resta il bruco ordinario che è.
Camille invece è euforica e, mentre saltella nella mia direzione, i suoi capelli dorati ondeggiano in ogni direzione.
«Faccio un salto al club di teatro a prendere un copione. Ci metto un secondo. Ci vediamo nel vialetto, okay?» dice, mandandomi un bacio con la mano.
Lo afferro «A dopo.»
Sistemo i libri nella cartella, poi raccolgo gli scarti della mia gomma da cancellare, buttandoli nel cestino.
Quando sono pronta, mi dirigo verso la porta e percorro il corridoio, ma prima che possa raggiungere le scale, qualcuno mi tira delicatamente il colletto della camicia.
Mi giro repentina, alzando gli occhi al cielo.
«Scusa per stamattina. Non riuscivo a svegliarmi» spiega Simon.
«Sono stata sotto casa tua per quindici minuti. Pensavo che qualcuno si sarebbe fermato a farmi l'elemosina» sembro seccata, ma scopre immediatamente il mio bluff.
Lui ride «Altri dieci minuti e magari un'anima buona avrebbe finito per adottarti.»
Gli do un pugno sulla spalla «Ehi, guarda che sei tu a voler fare la strada insieme ogni giorno.»
Gonfia il petto, come il pavone apre la coda, glorioso «Ovvio, non si può lasciar scorrazzare da sola una ragazzina, così impacciata, oltretutto.»
Stavolta il pugno glielo tiro forte e dritto sullo stomaco «Non vantarti solo perché sei un anno più grande di me. Me la so cavare, sai?»
Ondeggia, accusando il colpo «Con un simile gancio sinistro... Potrei anche darti ragione» si lamenta, massaggiandosi la parte lesa.
Stento a credere di averlo ferito, costatato che è la stella nascente del club di atletica leggera.
Alto come un giocatore di basket, snello e muscoloso, è la riproduzione moderna e rivisitata del Davide di Michelangelo.
Madre natura è stata ampiamente generosa con lui. Lo si poteva intuire già da quando eravamo piccoli.
Nelle nostre gare di velocità, creava subito una distanza incolmabile tra noi, raggiungendo il traguardo prima ancora che potessi arrivare a metà del percorso.
Mi ha curato ogni sbucciatura, insegnato ad arrampicarmi sugli alberi e perfino a nuotare a stile libero nella piscina pubblica, nei caldi pomeriggi d'estate.
Da quando ne ho ricordo, Simon c'è sempre stato. Ed è impossibile immaginare una realtà in cui lui non esiste.
E' un porto sicuro, una certezza.
«Allora Rocky Balboa, ci avviamo verso casa?» mi punzecchia, spingendomi verso le scale.
Abitiamo a soli due isolati di distanza e condividiamo il tragitto casa-scuola, e viceversa, ogni giorno.
«Cam mi aspetta nel vialetto, credo voglia provare la sua parte e chiedermi un parere» lo avviso. «Sai che puoi assistere, ma potrebbe volerci un po'».
«Adesso te ne intendi anche di recitazione, Rin?» ridacchia e io gli lancio uno sguardo truce.
Alza le mani in segno di pace «Okay, okay, ricevuto. Rimarrò in disparte e farò il bravo spettatore.»
Rilasso i nervi e sospiro «Ne sarà felice. Adora i tuoi applausi a fine battuta. Dice che sei il "miglior pubblico non pagante" che esista.»
Mi mostra un sorriso brillante e inizia a scendere le scale, fermandosi due gradini dopo in attesa che io lo raggiunga.
Ma prima che possa muovere un solo passo, sento una voce chiamarmi in lontananza.
«Erin» è il professor Delgado, che cammina a passo spedito dal fondo del corridoio, intento a raggiungermi con una certa urgenza.
Faccio cenno a Simon di aspettare.
«Prof, le serve qualcosa?» domando tranquilla. Dopotutto faccio parte del consiglio studentesco, rapportarmi e riferire con gli insegnanti sta all'ordine del giorno.
Lui recupera fiato e mi guarda con aria supplicante «Ho bisogno del suo aiuto, signorina River. Parlo anche per a nome dell' intero copro insegnanti.»
Sgrano gli occhi.
Tutti gli insegnati?
«Di cosa si tratta?» domando turbata.
Il professore lancia un occhiata verso Simon –deve averlo appena notato– e infatti sembra ovvio che preferisca parlarne in privato.
«Raggiungi Camille, scusati da parte mia e dille che la chiamo stasera» spiego, poi mi avvicino e gli poso una mano sul braccio. «E tu non aspettarmi, vai pure a casa.»
Lui annuisce, un po'titubante, poi scende le scale, voltando di continuo la testa nella nostra direzione, finché i nostri sguardi non possono più raggiungersi.
«Mi spiace, so che ha i suoi impegni » il prof si scusa, chiudendosi nelle spalle.
Scuoto il capo, provando a sorridere «Non si preoccupi. Piuttosto, mi dica che succede.»
Delgado incrocia le braccia e poggia la schiena conto il muro «La tua condotta non si può discutere. I tuoi voti sono impeccabili, così come il tuo comportamento e il numero delle tue assenze.»
Arrossisco lievemente.
«Noi insegnati ne abbiamo discusso a lungo e siamo tutti della stessa idea, Erin» dice, come se stesse per mettermi in gabbia. «Vorremmo che tenesse delle lezioni di recupero.»
«Lezioni di recupero?» ripeto sbalordita. «Non penso di esserne capace. Non ho mai insegnato nulla a nessuno».
«Però ci è andata vicino» mormora, massaggiandosi il mento. «Pensa davvero che non mi sia accorto di come aiuta la signorina Prayers? Compiti più che sufficienti ma test e interrogazioni disastrose. Strano, non pensa?»
Il mio viso inizia letteralmente a bollire.
Lo ha sempre saputo, allora.
«Stia tranquilla, non può fare miracoli e non sono qui per punirla» mi rassicura. «Vogliamo solo che faccia un tentativo. Se non ci sono speranze, potrà tornare alla sua normale vita scolastica. Me se, al contrario, avrà successo, la sua collaborazione verrà ricompensata con crediti extra e ciò la porterebbe vicino alla borsa di studio che tanto ambisce».
Mi si stringe il cuore. L'immagine dei miei genitori, ambiziosi e severi, si fa nitida nella mia mente.
Il loro sogno... Un futuro promettente, una carriera prestigiosa: ciò per cui mi hanno educata tutta la vita. Il motivo per cui mi addormento sui libri, mentre studio tutta la notte. La ragione per cui non esco più del necessario, non mi caccio nei guai e allontano ogni sorta di distrazione considerata superflua.
Deglutisco, stringo i denti. Sopprimo la rabbia, il rancore, le lacrime.
«A chi dovrei dare lezioni, professore ?» mormoro, con un filo di voce.
Lui sospira rincuorato, capendo che accetterò la sua proposta.
Ma la risposta mi colpisce violenta, come uno schiaffo in pieno viso.
«Amery» svela lui, il tono freddo. «Charles Amery». 





*ANGOLO AUTRICE *
Ciao a tutti e grazie di aver letto il primo capitolo della mia storia! Spero di avervi messo almeno un'po di curiosità e che i personaggi inizino a materializarsi nella vostra immaginazione. 
Sarei molto felice di sapere cosa ne pensate e se siete tentati di continuare a leggere. Perciò, sarò grata di ricevere qualsiasi commento, recensione e critica costruttiva e mi scuso anticipatamente se troverete errori grammaticali o inconguenze ( se  gravi, informatemi subito e porrò rimedio.) 
Detto questo spero ci rivedremo nel prossimo capitolo <3 

  
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