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Autore: ONLYKORINE    27/11/2020    5 recensioni
Lisa torna a Springfield dopo la laurea in veterinaria, non è contentissima, perché non le piace tanto la sua città. Avrebbe preferito passare l'estate, come tutte le altre, a Cambridge, dove ha frequentato il college.
Tornando a casa incontra vecchie conoscenti, nuovi amici, ex fidanzati e si rende conto di non aver un gran rapporto con i suoi fratelli. Per fortuna sarà solo un'estate.
(LisaxNelson)
Prometto di cambiare la trama con una migliore. Prometto prometto.
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bart Simpson, Lisa Simpson, Nelson Muntz, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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***Metto le note all'inizio perché mi sembra d'obbligo. Non so come andrà questa storia, non so come sarà, se sarà un flop oppure no, se ne sarò contenta o se deciderò di abbandonarla. PErò... Sono qui. E l'ho iniziata a scrivere, non so dove mi porterà (né tantomeno se il titolo è proprio il suo, devo ancora decidere) ma non ho trovato ff su questa coppia e allora, conscia del fatto che cadrò in una miriade di cliché e diventerà così OOC da diventare quasi un'originale... Io la scrivo. Grazie per l'attenzione. E, se vi va, leggete. 😊
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Springfield non si smentisce mai

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Lisa girò la chiave nel quadro dell’auto e non successe niente. Niente. La macchina di sua madre non dava segni di vita.
Sbuffò prima di posare il capo sul volante: era tornata a Springfield da poche ore e già quell’orribile città le stava dando il tormento. Si pentì di essere tornata: perché non era rimasta anche quell’estate a Cambridge a frequentare i corsi estivi? Eh, perché si era laureata e aveva promesso a sua madre di tornare almeno per un po’. E soprattutto perché non poteva permetterselo: se voleva frequentare il corso di veterinaria per la cura di animali selvatici, doveva risparmiare ogni dollaro.
Scese dall’auto, parcheggiata lungo la via davanti al piccolo fruttivendolo, e diede un calcio alla ruota anteriore. “Stupida auto!”
“Serve aiuto?”
Lisa si voltò verso la voce che l’aveva interpellata, pronta a ringraziare. “Sì, grazie. L’auto non si accende…” Si interruppe quando dovette alzare lo sguardo per guardare l’autista del carro attrezzi sulla corsia opposta. Quel ciuffo di capelli castani e quella smorfia sul viso giallo le erano familiari, ma non riusciva a inquadrare il ragazzo in questione: un bel ragazzo, fra l’altro.

 

“Lisa, Lisa Simpsons? La piccola Lisa è tornata a Springfield…” La ragazza sbarrò gli occhi e sbuffò, alzando poi lo sguardo al cielo. Il ragazzo pensò che l’avesse riconosciuto solo in quel momento.
“Nelson… Che piacere vederti” disse lei, ironica. Nelson non ci fece neanche caso e scese dal suo mezzo, lasciandolo nel bel mezzo della strada.
“Che succede?” chiese, avvicinandosi all’auto.
Lei si riscosse da qualcosa che le aveva preso i pensieri e, sorpresa, gli rispose: “Oh… Non lo so. La chiave gira, ma non si accende…”
“Posso?” Il ragazzo non aspettò che lei rispondesse, ma aprì la portiera e si accomodò sul sedile del guidatore. Girò la chiave e guardò il quadro: spento. “Mi sa che si è scaricata la batteria” spiegò a una Lisa ancora stranita.
“E come si fa?”
“Posso accenderti la macchina con i cavi, ma devi controllare la batteria. Potrebbe essere da cambiare.”

 

Lisa annuì alle parole di Nelson senza ascoltarle bene. Cosa doveva fare con la batteria?
“Ci sei? Hai capito?” Il viso del ragazzo era un po’ corrucciato e una ruga si era disegnata sulla sua fronte.
“Sì… Sì, ho capito. Va comprata nuova ma puoi accendere la macchina. Giusto?” Lui annuì ma lei ebbe il dubbio che non fosse troppo convinto che lei avesse capito davvero. Cosa verissima, comunque. Lisa si guardò intorno e poi si passò una mano fra le corte ciocche di capelli mentre sospirava.
“Esatto. Io te la accendo ma se non si ricarica conviene sostituirla. Stai andando a casa?” Lisa annuì ancora. Cosa gli interessava a Nelson se stesse andando a casa o no? “Se torni a casa, non c’è problema. Spiega a tuo padre o a Bart della batteria e loro sapranno cosa fare”.
“So anch’io comprare una batteria nuova!” esclamò, indignata.
Nelson rise scuotendo la testa in un modo che a Lisa fece mordere le labbra, e mise mano sotto al volante, facendo aprire il cofano dell’auto. “Va bene, va bene. Intanto vediamo di accenderla.”
Si spostò davanti all’auto e aprì il cofano. “Sembra vecchiotta… Io la cambierei. Vedete voi se…”
“Ho detto che…” Nelson rise ancora e alzò le spalle. “Allora valla a comprare tu, ma stai attenta, perché è possibile che la prossima volta che spegni l’auto poi non si accenda più, come è successo adesso”. Oh, e cosa sarebbe successo se non avesse trovato una batteria nuova?
Il ragazzo attraversò la strada e salì sul carro attrezzi. “Dove vai?” chiese, spaventata, Lisa. La stava lasciando lì? Lì con un auto in panne e… il cofano aperto?
“Prendo l’avviatore con i cavi e arrivo.”
Lisa si sentì un po’ stupida e annuì, osservandolo mentre parcheggiava il mezzo per lasciare libero il passaggio. Lui tornò con quello che le sembrò un trolley e iniziò, notò impressionata, con gesti sicuri, a snodare dei cavi elettrici.
“Sali in macchina e quando te lo dico metti in moto.”
Lei non pensò neanche a contraddirlo: aveva la patente ma non un’auto e non si era mai trovata in quella situazione.
“Vai!” Lisa girò la chiave e la macchina sussultò, prima di accendersi. Sì! Il rumore del motore le riempì le orecchie e lei si sentì vittoriosa. Anche se non aveva fatto niente.
“Grazie” disse, scendendo dall’auto e raggiungendolo vicino al cofano, improvvisamente più propensa nei confronti del ragazzo.

 

Nelson le fece segno di stare indietro e dopo un po’ iniziò a staccare le pinze: non doveva farsi distrarre, una volta era scattata una grossa scintilla e ci aveva quasi rimesso il naso e le sopracciglia.
“Ok, fai un giro lungo e lasciala accesa almeno per venti minuti, così magari si ricarica. Ma io la sostituirei lo stesso” le spiegò.
Lei annuì e guardò il cofano mentre Nelson gli dava il colpo per richiuderlo.
“Dove la compro una batteria qui a Springfield? E come si fa a sostituirla?” chiese poi, abbassando lo sguardo e guardandosi le scarpe. Nelson seguì il suo esempio e percorse con gli occhi il corpo della ragazza, forse guardandola veramente per la prima volta da quando aveva fermato il carro attrezzi. I capelli portati corti le lasciavano scoperta la curva del collo e lui continuò a scendere nonostante il brivido che provò a vedere la pelle gialla sparire sotto l’orlo della maglietta rossa. Una gonna marrone le copriva le cosce e le sue gambe, snelle e tornite, finivano dentro a due scarpette rosse dalla punta quadrata e il tacco grosso. Sospirò silenziosamente e guardò da un’atra parte per non dare l’impressione di volerla spogliare.
“Posso montarti una batteria usata per venti dollari.”

 

Lisa alzò lo sguardo improvvisamente: sarebbe stato perfetto! E gliela avrebbe data subito? La macchina le serviva per potersi spostare e comunque si sarebbe fatta ridare i soldi da sua madre.
“E… ce l’hai qui?” chiese infatti, guardando verso il carro attrezzi.
Il ragazzo si passò una mano fra i capelli. “Ehm, no. Ce l’ho in officina. Però, non è molto lontano, appena fuori Springfield”.
“Ok. Vengo a prenderla: fai strada.” Salì in macchina velocemente, si allacciò la cintura e guardò fuori dal finestrino, in attesa che lui si desse una mossa.

 

Nelson, che non si era neanche accorto di averle fatto quella proposta, si riscosse e raggiunse velocemente il carro attrezzi. Ma cosa aveva fatto? Perché le aveva detto che le avrebbe montato la batteria invece di dirle di andare in un supermercato o da un meccanico? Mise in moto e si immise sulla carreggiata, controllando che lei lo stesse seguendo. Quando vide l’auto lasciare il posteggio, si passò ancora una volta una mano fra i capelli: che Lisa Simpson fosse già tornata non andava bene. Che lui si fosse fermato a parlare con lei, neanche. Che stesse andando a casa sua, poi, non andava bene per niente.

***

-

Lisa seguì il mezzo per tutta la cittadina e continuò a seguirlo anche quando lasciarono il centro. Per tutto il tempo ebbe paura che improvvisamente l’auto si potesse spegnere, ma non accadde mai. Quando svoltò per una via laterale deserta e oltrepassò un grosso cancello, capì il perché l’officina di Nelson fosse fuori da Springfield: era uno sfasciacarrozze. Un enorme sfasciacarrozze.
Continuò a seguire il carro attrezzi lungo la strada ghiaiosa, in mezzo a macchine accatastate l’una sull’altra. Un grosso topo si fermò sul bordo e si raddrizzò sulle zampe posteriori, come per osservarla: chinò anche la testa di lato, come faceva il Piccolo aiutante di Babbo Natale tanti anni prima. Lisa rabbrividì. Dov’era capitata?

 

Nelson posteggiò e scese proprio davanti al portone dell’officina. Si voltò a guardare se la ragazza lo avesse effettivamente seguito e quando vide la macchina fermarsi dietro al mezzo, un po’ si sorprese: pensava che lei sarebbe scappata e che non avrebbe neanche oltrepassato il cancello.
Il cimitero delle macchine era una cosa obbrobriosa, sia da vedere che da tenere in cortile. Non era ancora riuscito a organizzare lo sgombero. Fece cenno a Lisa di venire più avanti e lei seguì le sue istruzioni. Strano: non aveva mai ubbidito in quella maniera. Mai e a nessuno. O la piccola Lisa era cambiata o aveva capito che non poteva fare diversamente.

 

Lisa scese dall’auto e non riuscì a non guardarsi intorno: l’odore del metallo era nauseante, le riempiva le narici e le dava un senso di vertigine, mentre le carcasse delle auto erano orribili da vedere, tutte schiacciate, con le lamiere a pezzi e i vetri infranti: sembrava una discarica. Per non parlare dell’altezza di quei rottami: superavano il tetto della struttura che c’era in mezzo al piazzale, dandole la sensazione di esserne sommersa.
Vide Nelson sparire oltre una saracinesca e continuò a osservare l’abitazione: era una casa. Una casa di quelle vecchie, con il porticato e le colonne a reggere la tettoia, probabilmente una volta era stata una fattoria. Poco lontano, nascosto dall’accumulo delle macerie, c’era una costruzione che ricordava un fienile. Probabilmente ora fungeva da garage.
“È casa tua?” gridò verso la saracinesca.
La risposta di Nelson fu un po’ strana, ma comunque affermativa.
Si avvicinò alla porta d’entrata quando sentì il forte abbaiare di un cane. Si guardò intorno, senza riuscire a capire da dove arrivasse il rumore, finché non vide arrivare, dal cortile laterale, un grosso cane nero. Lui abbaiava e il suo latrato rimbombava nelle orecchie di Lisa che indietreggiò. Le zampe del cane raschiavano la terra da tanto il suo correre era veloce e pesante. Di taglia media, sembrava un grosso bufalo impazzito e abbaiava così forte che la ragazza sentì vibrare lo orecchie e il petto. I suoi denti erano ben visibili e per un attimo lei si chiese se l’avrebbe morsa davvero.
Leggermente impaurita, ma conscia del fatto che non dovesse temere un animale, poiché aveva intenzione di curarli, Lisa si fermò a guardarlo arrivare.
E lui stava arrivando bello carico.

Lisa era ferma ad osservare il cane che correva verso di lei.
Un topolino corse, anche lui spaventato, per scappare dal cane e le passò sulla punta delle scarpe. Lisa gridò inorridita e sorpresa, facendo un saltello e un altro passo indietro, ma inciampò e cadde sul sedere, riuscendo solamente a osservare il topo che scappava e il cane che arrivata abbaiando. La sua non era una posizione favorevole. Trovarsi così in basso non aiutava il fatto di convincersi a non avere paura. Anzi… Osservò ancora il cane correrle incontro. Cosa sarebbe successo una volta che l’avesse raggiunta? L’avrebbe morsa? L’avrebbe attaccata e tenuta ferma?
Al suono di un fischio, forte, lungo e fastidioso, il cane si fermò, a due metri da lei, guardandosi intorno. Quando vide Nelson avvicinarsi a loro sorridendo, si infuriò ma non voleva darlo a vedere, così cercò di rialzarsi, ma si accorse che le gambe le tremavano un pochino.

 

Nelson aveva visto Batman scattare dalla sua cuccia appena la macchina di Lisa si era fermata nel cortile, non aveva pensato che il cane sarebbe corso all’impazzata così, abbaiando e spaventandola. Non lo teneva legato, che era un cane docile, nonostante il latrato pesante.
Probabilmente lei non lo sapeva, ma Batman era abituato a ‘far le feste’ a chiunque arrivasse, soprattutto se arrivava insieme a lui, ma lei doveva aver frainteso l’atteggiamento del cane.
Fischiò per richiamarlo, lo stesso rumore che gli aveva insegnato quando si allontanava troppo e per cui di solito veniva sgridato, così, quando si avvicinò lo fece sorridendo e con andatura rilassata: i cani capivano il linguaggio del corpo, in quella maniera gli avrebbe trasmesso serenità.
Si avvicinò a Batman, gli fece una carezza sulla testa e poi si diressero insieme verso Lisa, che era ancora in terra. Allungò una mano verso di lei e approcciò una scusa: “Non è abituato alle ragazze con i tacchi, lui non…”
Lei si tirò su e lo interruppe: “Di solito vengono con gli stivali impermeabili e la tuta protettiva?”

 

Lisa si pentì di aver detto quella brutta frase quando il sorriso sparì dal viso del ragazzo. Il cane nero, che si era avvicinato al suo fianco, le mise il muso vicino alla coscia e le leccò una mano. Lei abbassò lo sguardo e il suo cuore si intenerì quando vide i suoi occhioni. “Oh, come sei dolce!” Fece un po’ di carezze al cane e notò la targhetta con il nome: “Batman”.
“Batman! Hai un nome bellissimo!” Si chinò un po’ e, ridendo, continuò a strapazzarlo come faceva con il loro cane e il cuore le si strinse un po’, al pensiero che non ci fosse più da qualche anno. Si rialzò e, imbarazzata, prese a spolverarsi la gonna a pieghe. “Scusa, non avrei dovuto dire…”

 

“Lascia stare” la interruppe Nelson “qua non viene mai nessuno…”
Il ragazzo si girò e tornò verso l’entrata dell’officina. Così non vide che lei era veramente dispiaciuta.
“Dentro c’è il bagno, se vuoi…” disse, indicando la porta d’entrata di casa sua, ma non si girò per vedere se lei avesse accettato il suo invito o meno. Entrò nell’officina e si diresse velocemente verso l’armadio in fondo, dove sapeva di avere almeno un paio di batterie ancora funzionanti. Prima avesse fatto il lavoro, prima lei se ne sarebbe andata.

 

Lisa entrò dalla porta che lui aveva indicato e si trovò in un lungo corridoio. Curiosò in giro: le piaceva osservare i dettagli e le cose delle altre persone: si capiva tantissimo di loro anche solo guardando di cosa si circondavano.
La prima porta portava in una graziosa cucina. Era modesta e con il minimo essenziale: una cucina economica con il forno era accanto a un piccolo lavello, mentre un piano di lavoro ben attrezzato era sotto la finestra che dava sul cortile. Un tavolo e due sedie erano appoggiati alla parete da dove era entrata la ragazza. C’erano persino delle tende alla finestra. Era piccola, ma molto, molto carina. E in ordine. E pulita. Non si era aspettata nessuna delle due cose. Quindi Nelson viveva lì? Oltrepassò la porta della cucina e andò in cerca del bagno. Anche lì rimase sorpresa: piccolo e pulito.
Si lavò le mani e si inumidì la gonna, pulendola dalla polvere. Quando ebbe finito, prima di andarsene, si guardò intorno: amava i particolari. Aprì gli sportelli di fianco allo specchio e trovò il tubetto di dentifricio e uno spazzolino blu, afferrò il barattolo della schiuma da barba e poi il contenitore della lametta, li osservò e poi li rimise giù, prendendo un boccetto in vetro che doveva essere il dopobarba. Lo aprì e lo annusò. Quando chiuse gli occhi si rese conto di quello che stava facendo e lo rimise via velocemente. Doveva uscire subito.
Si girò velocemente: vide il box doccia e dietro la porta, appeso, un accappatoio grigio scuro. Passò le dita contro il vetro, mentre usciva, e cercò di immaginarsi la spugna avvolgere il corpo del ragazzo che stava aggiustando la sua macchina. La sua macchina! Era lì per quello! Non per curiosare nel bagno di un ragazzo! Uno come Nelson, poi!
Uscì dal bagno e dalla casa più velocemente di come era entrata e subito si diresse verso l’auto: lui stava trafficando dentro il vano motore, aveva metà del corpo coperto dal cofano e lei poteva benissimo vedere l’altra metà.
Indossava degli stivali che andavano di moda dieci anni prima ma che, notò Lisa, gli stavano effettivamente molto bene e i jeans erano attillati sulle cosce e sul sedere, forse per via della posizione che aveva assunto, ma non era assolutamente una brutta visione. Il cane era accucciato ai suoi piedi. Quando lui imprecò, spostando la testa, colpendo il metallo e imprecando ancora, si riscosse; lo aveva fatto di nuovo: si era scordata che fosse Nelson!
“Ci sei riuscito?” chiese lei avvicinandosi. Questa volta il cane non si mosse.

 

Nelson sbucò da sotto il cofano e sventolò una mano.
“Sì sì, mi sono solo scottato” disse. Era un idiota. Lo sapeva che la macchina era appena stata spenta, quindi il motore era caldo, perché aveva fatto la stupidata di toccare proprio lì?
“Comunque è a posto. Sali e prova ad accenderla.”
Lisa ubbidì e salì in macchina senza chiudere la portiera. Girò la chiave e il motore non sussultò neanche, si accese immediatamente. Scese sorridendo e tornò verso di lui, che stava cercando di darsi sollievo alla mano con uno straccio.
“Grazie!”
“Ti ho dato quella messa meglio. Cosa faccio di questa? La butto io o…” le chiese, indicando con la punta della scarpa la vecchia batteria. Lei annuì, guardando dentro al vano motore. Lui si passò di nuovo lo straccio sulla mano e si avvicinò, indicandole la batteria e spiegandole come funzionasse.
Non l’aveva mai vista sorridere così tanto in sua presenza.

 

Lisa vide l’interesse negli occhi del ragazzo mentre le spiegava come la batteria dell’auto si ricaricasse da sola mentre la macchina andava e quando non si caricava più, era inservibile. Notò anche la smorfia mentre si toccava la mano dove si era bruciato. “Dovresti metterla sotto l’acqua” suggerì. Lui annuì e disse che lo avrebbe fatto presto.
Lisa si riavvicinò alla macchina e prese la borsetta, ci frugò dentro, ma non trovò il portafoglio. Dov’era? Non lo aveva lasciato dal fruttivendolo, vero? Forse era caduto in auto. Guardò in macchina ma non c’era neanche sul tappetino. Dannata Springfield! Lo sapeva, lo sapeva, lei, che era una cattiva idea tornare lì.
“Non ho il portafogli…” iniziò a scusarsi, ma Nelson non c’era. Lo vide uscire dall’officina con uno straccio bagnato a coprirgli le dita scottate e gli andò incontro. “Scusami, non ho…”
“Ho sentito. Posso farmeli dare domani da Bart.”
“Bart?” chiese Lisa.
“Sì, passo in città, domani, vado al Jet Market e me li faccio dare da lui, ok? Ma digli che sono trenta dollari.”
Oh. Era vero. Bart lavorava per Apu. Sospirò. Ehi, un attimo, ma perché…
“Perché trenta dollari? Avevi detto venti!”
“Venti da te. Da Bart, trenta” spiegò, ridendo, il ragazzo.
“Allora te li porto io!”
“Va bene, dolcezza. Di sicuro, è meglio vedere te che Bart!” Nelson ammiccò e Lisa non seppe ribattere. Lui la osservò per un momento e Lisa si sentì trasparente. Trasparente ma desiderabile. Non era mai successo, neanche quando Milhouse le rivolgeva i suoi soliti complimenti.

 

Nelson si girò subito dopo aver detto quella sciocchezza e la salutò con la mano per non doverla guardare più. Non era riuscito a spiegarle che Bart avrebbe tirato sul prezzo e alla fine gli avrebbe dato comunque venti dollari. E l’aveva chiamata dolcezza! E ora era fregato: aveva appena fatto un lavoro per niente: non sarebbe mai andato da Bart a farsi prendere in giro per quello che aveva detto a sua sorella e lei non sarebbe mai tornata a portargli i soldi.
La guardò dal fondo dell’officina mentre, con la borsetta in mano e guardandosi intorno, risaliva in macchina e se ne andava.

 

***

Quella sera, dopo essere passata dal fruttivendolo e aver scoperto che il suo portafoglio era lì, ma senza più soldi, Lisa tornò a casa arrabbiata e, dopo aver salutato a malapena, si rifugiò in camera sua e si coricò sul letto.
Il suono della chiamata in arrivo sul cellulare le impedì di pensare, ancora una volta, di aver fatto un errore madornale.
“Kristen” rispose al telefono, dopo aver visto il nome della sua compagna di stanza del college, nonché unica migliore amica da tanto tempo.
“Lisa, tesoro, com’è andata? Come è stato tornare a casa?”
“Una merda. Ho perso dei soldi, la macchina mi ha lasciato a piedi e sono stata aggredita da un topo” spiegò, esagerando. Non voleva dire che era stata spaventata da un cane, perché si era sempre vantata di non averne paura.
“Oh, mamma mia, deve essere proprio un postaccio, questa Springfield! Ecco perché non volevi tornarci. E la tua famiglia? Che ha detto?”
“Riguardo a cosa, del topo?” E cosa avrebbe detto la sua famiglia quando avesse saputo che a casa di Nelson aveva annusato il suo dopobarba?
Dall’altro lato della comunicazione Kristen rise. “Ma no! Che ha detto la tua famiglia del lavoro?”
Lisa spalancò la bocca: si era completamente dimenticata di dire alla sua famiglia del lavoro!

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*** e niente... grazie di essere arrivati fino a qui.

   
 
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