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Autore: Ciuffettina    27/11/2020    3 recensioni
Michael era orgoglioso della missione affidatagli, lui era un bravo figlio obbediente, desideroso di compiacere suo Padre, tuttavia avrebbe preferito non avere quel mantra sempre nelle orecchie
Genere: Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gabriel, Metatron, Michael, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Il dietro le quinte della Bibbia'
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Mosè iniziò la lunga scalata verso la sommità del Sinai, in compagnia del suo fedele aiutante, Osea, ribattezzato Giosuè. A poche centinaia di metri dalla vetta, raggiunsero una cavità naturale della montagna, cosparsa di acacie.
I tuoni si abbattevano intorno ai picchi frastagliati, rimbalzando sulle pareti della valle in un boato quasi continuo, ma senza pioggia. Un forte vento sibilava nelle feritoie tra le rocce attorno alla cima, perciò Giosuè disse: «Senti Mosè, ti aspetto qui». Si acquattò nel rifugio offerto dalla cavità e non ci fu verso di farlo muovere.
Ai piedi della valle, l’intera congregazione guardava con stupore e non senza qualche difficoltà, poiché la luce sobbalzava di picco in picco in un maestoso balletto di luce.
Quella notte una coltre di nubi nere scese da nord e avvolse la cima del Sinai.
Il mattino dopo tutto era tornato alla calma. Il sole si levò all’orizzonte, inondando la cima del Sinai con la sua luce dorata.
Il popolo accampato ai piedi della montagna, uscì dalle tende e attese il ritorno del suo capo... ma Mosè non fece ritorno dalla Montagna di Dio.
Gli anziani si raccolsero per diversi giorni presso la roccia dove Mosè li aveva pregati di aspettarlo... ma il condottiero di Dio non tornò.
Giosuè rimase nella cava, in attesa di accompagnare il suo signore nella discesa dalla montagna... ma di Mosè non c’era traccia.
Passarono giorni, poi settimane. Ma Mosè non ricomparve.
Il povero Mosè era stato trasformato in uno scribacchino da Metatron (che si teneva nascosto mentre faceva da ventriloquo a una palla di fuoco) il quale, non pago di avergli fatto trovare due pesantissime tavole di pietra da portare giù, aveva pensato bene di illustrargli i comandamenti uno per uno, con l’aggiunta di altre mille prescrizioni, che il povero umano doveva trascrivere, parola per parola: «Non spargerai false dicerie; non aiuterai il colpevole facendo il testimone in favore di un’ingiustizia. Non seguirai la maggioranza per agire male e non deporrai in processo per deviare verso la maggioranza, per falsare la giustizia…»
Michael ascoltava distrattamente, chiedendosi perché lo Scriba di Dio non si fosse limitato a consegnare al povero Mosè le pergamene già scritte, insomma era già un mese che quella storia andava avanti, purtroppo non poteva nemmeno intervenire perché in quel momento Metatron stava impersonando Dio (da un po’ troppo tempo secondo il parere dell’arcistratega) e lui non poteva certo dirgli: «Dacci un taglio e dagli le tue pergamene!» Perciò rimase lì rassegnato sperando che quella farsa finisse presto.
«… Non favorirai nemmeno il povero nel suo processo. Non farai deviare il giudizio del povero, che si rivolge a te nel suo processo, ti terrai lontano da parola menzognera. Non farai morire l’innocente e il giusto, perché Io non assolvo il colpevole. Non accetterai doni, perché esso acceca chi ha gli occhi aperti e perverte anche le parole dei giusti. Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché siete stati forestieri in Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano. Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre??»
Quest’ultima frase era stata pronunciata in maniera talmente strana e il comandamento era così assurdo che Michael capì subito che non l’aveva scritto Metatron e nemmeno suo Padre.
A quanto pareva, Gabriel aveva colpito ancora e l’arcistratega si ripromise di parlare al più presto al suo fratellino per ricordargli che doveva smetterla di scherzare con le cose sacre.
Per fortuna (o sfortuna) lo scriba si riprese subito: «Mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che Io ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza, ascolta la sua voce e non ribellarti a lui; egli infatti non perdonerebbe la vostra trasgressione, perché il mio nome è in Lui. Se ascolti la sua voce e fai quanto ti dirò, sarò il nemico dei tuoi nemici e l’avversario dei tuoi avversari…»
Suo Padre si era ricordato di lui! Michael sorrise fra sé, si mise ancora più dritto e rimase ad ascoltare il resto della pappardella.
 
Nel frattempo…
Dopo 30 giorni, nell’accampamento aveva cominciato a girare un biondino che nessuno si ricordava di aver visto precedentemente che cominciò a sobillare gli Israeliti (come se non lo facessero già da soli) svelando loro che Mosè aveva promesso al faraone Dudimose che loro sarebbero andati nel deserto per tre giorni, avrebbero adorato il loro Dio e che poi sarebbero tornati indietro. «Altro che tre giorni, siamo qui nel deserto da tre mesi! Lo capite? Non so voi, ma a me manca tanto la birra, vi ricordate com’era buona? Insomma Mosè, invece dell’acqua, potrebbe far sgorgare dalla roccia anche della birra, no? E il vino di datteri, ve lo ricordate? Per non parlare dei conigli stufati, meloni, fichi…»
Mai parlare di cibo a una masnada esasperata da due mesi di manna e a cui avevano appena tolto le quaglie, subito si radunarono intorno ad Aronne per sapere se era vero che Mosè aveva detto al faraone che sarebbero rimasti nel deserto solo tre giorni.
«Ma sì… gli avevamo detto così…» rispose, stupito che lo sapessero anche loro. «Però era solo…» voleva spiegare loro che era solo una bugia, piuttosto puerile a ripensarci bene, detta solo per scappare e non dover scatenare ogni volta una nuova piaga; peccato che il faraone fosse testardo ma non stupido e aveva capito subito i loro veri propositi.
Ma gli Israeliti, poco propensi a sentire ulteriori spiegazioni, ricominciarono a dare di matto: «Tre mesi! Siamo qui da tre mesi, quando avremmo potuto rientrare dopo soli tre giorni
«Vi rendete conto?» continuò il biondino. «Abbiamo tradito la fiducia che il faraone aveva riposto in noi, non c’è da stupirsi che sia venuto a riprenderci e Mosè, invece di onorare la sua promessa, ha fatto annegare il suo esercito… ma possiamo ancora tornare, basterà mettersi sotto la protezione della divinità più benevola dell’Egitto e il gioco è fatto!» concluse con un sorriso beffardo.
Detto fatto: gli Israeliti, scartati a priori Anubi il dio sciacallo dei morti e Sobek, il dio coccodrillo del Nilo, e valutati rapidamente i pro e i contro delle restanti divinità egizie, si precipitarono nuovamente da Aronne: «Facci la dea Hathor che cammini alla nostra testa».
Aronne rispose loro: «Forse sarebbe meglio aspettare Mosè…»
«È sparito da un mese e non sappiamo che cosa gli sia successo, facci la dea Hathor!» insistettero.
«Datemi tutti i gioielli che avete» replicò rassegnato.
Hai visto, Padre? Hanno adorato quei cosiddetti dei fino a tre mesi fa e sono pronti a rifarlo e Tu hai persino diviso il mare per loro? Lo vedi o no che questa feccia non merita niente?” pensò il biondino (alias Lucifer) prima di sparire, mentre nessuno lo guardava.
 
 
Nove giorni dopo, la statua di Hathor, abilmente forgiata dai fabbri che, prima della liberazione, avevano “lavorato” nelle miniere di Mofkat, era pronta. Tra le sue corna, c’era un grande disco solare sosteneva 2 alte piume che brillavano al sole. Attorno al collo aveva una catena d’oro dalla quale pendeva il simbolo egizio della vita.
Tutto ciò era al popolo familiare. Ciò che vedevano davanti a sé era tangibile, concreto, confortante, non come il nebuloso, invisibile, terrificante Dio di Mosè. Il popolo si rallegrò di tornare al culto della benevola dea egizia dell’amore e della fertilità e i bagordi proseguirono per tutta la notte.
   
 
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