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Autore: _deleted    27/11/2020    4 recensioni
Un uomo segnato, un misterioso Negromante e una fiera autunnale.
Un'antica maledizione potrebbe essere spezzata, ma a che prezzo?
Questa storia partecipa al contest “Wr-Ink-Tober” indetto da fantaysytrash sul forum di EFP.
Questa storia partecipa al contest "Darkest Fantasy II" indetto da Dark Sider sul forum di EFP.
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Spezzato
 
Ondeggio tra la folla, uno spaventapasseri dal cappello a falde colorato. Condannato a una danza incessante, non posso fermarmi ad assaporare le mele caramellate che una vecchia benevola offre a un nugolo di bambini, le guance arrossate dal vento di fine ottobre. La giornata non potrebbe essere più limpida, croccante come il torrone della bancarella di dolciumi e variopinta per tutti i colori che esplodono davanti ai miei occhi: caleidoscopi turbinanti, foglie rosse, gialle e arancioni, cumuli di frutta autunnale: castagne, noci, zucche.
 
In mezzo al viavai tra le giostre, le indovine che leggono il futuro e la casa del Negromante, regno delle Ombre, nella quale solo i più coraggiosi osano avventurarsi, lo spaventapasseri passa quasi inosservato: una figura emaciata, con i vestiti stinti e le gambette che ballano una strana tarantella. Anche i colori del mio cappello, unico compagno di vita e di maledizione, sembrano meno vivaci del solito. A volte i bambini ci appiccicano sopra pezzi di stoffa e zucchero filato, ma oggi mi lasciano stare: è la fiera più grande dell’anno, il ponte che separa la festa dei Morti da quella dei Santi. Nessuno bada a un vecchio con una maschera veneziana calata sul viso, due fessure per gli occhi e un sorriso sgargiante dipinto al posto della bocca.
Se me la togliessero, vedrebbero un volto più vecchio della pietra e della vita stessa. In molti ci hanno provato, e chi ci è riuscito è fuggito alla mia vista con grida di terrore. Gli altri, i meno fortunati, si sono paralizzati dalla paura, il cuore bloccato in gola. In un paio di casi, il loro respiro si è arrestato per sempre. Alcuni non resistono alla portata di un dolore così profondo e antico stampato col fuoco su un volto umano. A una solitudine e a una stanchezza sconfinate, a due orbite vuote e folli che, fissandosi negli occhi dell’incauta vittima, hanno il potere di renderla pazza a sua volta.
 
Dei ragazzini mi additano e attaccano a ridere. “È un vecchio deforme e ancora balla? Ridicolo!” “Che ha in testa, un circo?”
Mi allontano prima che decidano di prendermi a sassate. Potrei togliermi la maschera, ma ormai non bastano quelle misere provocazioni a indurmi in tentazione. Non ne ricaverei nulla, lo so perché ci ho già provato: mi dichiarerebbero un bizzarro scherzo della natura, la progenie del demonio, mi legherebbero a un palo e mi brucerebbero al calar del sole.
O almeno, ci proverebbero.
Hanno anche provato ad avvelenarmi, impiccarmi, lapidarmi, annegarmi, fucilarmi e trapassarmi a fil di spada. Tutti questi modi per uccidermi, che io spesso ho ricercato, a volte anche creativi e ingegnosi, non hanno fatto altro che acuire le mie sofferenze. Il mio corpo forniva al veleno un naturale antidoto; la corda si rivelava troppo lenta per strangolarmi; le pietre mi colpivano e mi facevano sanguinare, ma mai fino a perdere i sensi; l’acqua non raggiungeva mai i polmoni, e i proiettili crivellavano il mio corpo senza garantirgli requie.
La stessa cosa è successa ogni volta che ho provato a liberarmi del cappello maledetto: esso ha sempre trovato il modo di tornare da me, anche quando tentavo di rifilarlo a un ingenuo passante. Ormai porto la maledizione con me, il legame non può essere spezzato.
Eppure continuo a provare dolore, a desiderare, a imprecare contro qualsiasi entità abbia decretato la mia sorte.
Guardo distrattamente una prostituta, poco più che una bambina, adescare un cliente e sparire dietro una tenda sbrindellata. È già malata, riconosco i segni avanzati della consunzione: il male riconosce sempre il suo gemello, lo attira a sé come una calamita.
Per questo, forse, sono attratto verso la casa del Negromante. Magari sarà l’ennesimo ciarlatano, magari invece saprà regalarmi ciò che anelo così ardentemente: la mia storia, il mio passato. La chiave per sbarazzarmi del cappello.
 
 
*
 
Entrare nella casa è un gioco da ragazzi: le Ombre e i malefici che il Negromante si vanta di aver messo come potente protezione farebbero ridere i polli. Il gatto nero che lo difende, sibilando e inarcando la schiena, è decisamente più minaccioso.
Il Negromante è molto più basso, esile e curvo di quanto mi aspettassi. Avvolto in un mantello nero, un cappuccio gli copre un volto insolitamente liscio. Sul suo tavolo sono sparse le consuete cianfrusaglie: carte e sfere di cristallo, mentre sui ripiani sono impilati libri, candele, ciotole e unguenti.
“Straniero” esordisce, e la sua voce è più acuta di quanto immaginassi. “Togli la tua maschera, e rivelerò il mio volto.”
Obbedisco, sentendomi stranamente confortato dalla sua presenza. Non credo che il Negromante abbia un effettivo potere, eppure non sento niente di oscuro provenire dalla sua abitazione.
Dopo un silenzio e un piccolo cenno del capo, si rivela anche lui: è una donna vecchissima, rugosa come un tronco di quercia, ma dagli occhi sorprendentemente benevoli.
Mi rivolge un sorriso venato di tristezza e intona: “Un uomo senza famiglia è il più solo al mondo.”
Riconosco i versi di una famosa ballata, di quelle che si cantano accanto al fuoco e si tramandano di generazione in generazione. Ormai conservo silenziosamente la memoria di intere civiltà, rase al suolo e per sempre dimenticate, ma continuo a non sapere chi sono.
“Era un giorno di ottobre come questo” dice, e il suo canto un po’ rauco passa a un recitativo secco. “Quando successe.”
Senza bisogno di chiederlo, so che si riferisce alla mia maledizione.
“Eri solo un ragazzo, il cappello non si era ancora fuso con te. Avevi una sorella, eri innamorato della mugnaia più carina del villaggio. Un giorno, seguisti uno straniero come lo sei tu adesso, con un cappello colorato a falde larghe, che danzava incessantemente suonando un vecchio violino.”
Man mano che il Negromante – la strega – parla, la mia vista si annebbia e dalle brume della mia memoria emergono immagini sempre più chiare.
 
Anch’io ero un bell’adolescente dalle gote rosse, dai capelli biondi e dal cuore ingenuo. Seguii quel bizzarro viandante, attirato dalla sua pelle olivastra e dalla prodezza prodigiosa con la quale cavava accordi dal suo strumento. Iniziai a ballare con lui, a lasciar cadere manciate di monetine nel suo cappello a falde larghe: tintinnavano allegramente, per poi sparire ogni volta che se lo rimetteva in testa.
“Non ti stanchi mai?” chiesi, alla fine di un altro pezzo infuocato, che mi aveva incendiato il petto come il sorriso della mia bella mugnaia.
“Sì. Vuoi fare cambio?”
Lo straniero mi guardò con i suoi penetranti occhi neri, inghiottendomi nel suo buio. Così seducente, così intrigante. Mi ci persi irresistibilmente dentro, mentre sentivo le sue mani sul mio viso imprigionarmi dolcemente. “Non basta desiderarlo, devi voler essere come me.”
“Ti seguirò?” L’offerta mi parve così allettante da non poterci rinunciare: essere libero di ballare e vagare ovunque volessi, una sagoma variopinta che suonava tra la gente, regalandone allegria, mentre passava da un villaggio all’altro, da un’avventura all’altra …
“Seguirai … il mio destino. Se prenderai il Cappello.”
 
La visione s’interrompe. Sono di nuovo nel laboratorio della strega grinzosa.
“Sono stato io a farmi questo” realizzo, sconcertato. Ora non posso incolpare nessun altro per la mia sorte, anche quest’ultima, magra consolazione mi è stata strappata per sempre.
“No” sospira lei. “È stato un altro Maledetto a passarti il Cappello. Come ho fatto io. Per questo, adesso, non mi faccio più chiamare la Guaritrice, ma il Negromante.”
La guardo negli occhi e in essi vedo riflessa la sua storia, simile alla mia. Il dolore riconosce sempre il suo gemello: anche lei è stata portatrice della maledizione del Cappello. Un cappello diverso dal mio, nero e a punta, creato da un vero Negromante.
“Tanti ne sono stati fabbricati, da ogni parte del mondo.” Scuote il capo, piena di rimorso. “Così il Demonio seduce l’uomo con la menzogna del potere. Ogni essere umano impazzisce non appena se lo cala in testa, ne diventa ossessionato… finché non lo passa a qualcun altro. Qualcuno tanto stupido da credere alle false lusinghe di ottenere fama, libertà, denaro, successo o genio senza passare da una lunga vita di sacrifici, amicizie e amori, coltivati come fragili piante e persi in un battito di ciglia. Un prezzo carissimo da pagare, vero? Ma mai quanto la solitudine e la follia di chi, accecato, non potrà mai più fermarsi a vivere. Rassegnati, straniero: ballerai per sempre.”
“Ma tu… tu sei riuscita a passarlo! E anche chi aveva questo cappello prima di me! Come avete fatto?”
“Devi stregare qualcuno. Devi farlo desiderare di essere come te, fargli credere che con quel cappello avrà il mondo ai suoi piedi. Condanneresti qualcun altro alla tua maledizione?”
Non rispondo e guardo la mia ex compagna di sventura, pensieroso. “Tu, però, l’hai fatto.”
Lei singhiozza, le lacrime le scavano solchi tra le rughe profonde. “Sì. E il pentimento che provo per aver condannato un essere umano a quest’eterna schiavitù mi consuma ogni giorno, come se portassi ancora il Cappello. Non passa minuto senza che mi auguri la morte, anche se una fine indolore sarebbe troppo compassionevole. Non la merito, dopo l’abominio che ho compiuto. Lei … lei era una ragazza così dolce … la mia pupilla …”
 
 
  •  
 
 
Se conservassi ancora un briciolo di umanità, le porgerei una falda del mio cappello come fazzoletto o proverei a consolarla. Invece le volto le spalle, assecondando il moto irrequieto delle mie gambe storte.
Dunque, ora so la verità. Posso passare la maledizione, designando il mio malcapitato erede e seducendolo. Dopotutto, qualcuno l’ha già fatto con me, un ragazzo innocente con la bocca che puzza ancora di latte. Perfino la vecchia guaritrice, che ora si fa chiamare Negromante, l’ha fatto con qualcuno che conosceva e che riponeva in lei la sua fiducia: la sua apprendista.
Io stesso ci ho già provato inconsapevolmente, più volte, e ho sempre fallito, perché mi mancava l’intima comprensione del funzionamento della maledizione. Ora, però, so come spezzare il legame. Devo far sì che qualcuno desideri essere al mio posto, che lo voglia così tanto da rinunciare alla propria identità, indossando il Cappello stregato al mio posto.
Senza volerlo, sono uscito dalla fiera. Un richiamo sguaiato mi distrae dai miei pensieri: è la giovane prostituta. A quanto pare, anche in un giorno come questo i suoi guadagni sono stati scarsi. Forse i clienti si accorgono che è malata; del resto, la sua scarsa bellezza si è già consumata del tutto. Dev’essere davvero disperata, se prova ad adescare uno come me.
Forse non mi capiterà mai più un’occasione migliore.
Dopotutto, cerco di giustificarmi, la ragazzina sta già morendo, la sua vita è segnata.
La seguo ma, prima che lei possa sollevarsi le vesti a brandelli, le blocco il braccio e le chiedo: “Vuoi ascoltare una storia?”
Faccio tintinnare le mie monete, allettante, e lei si siede.
 
I suoi occhi sono grandi come piattini nel viso scarno, riconosco tutti i sintomi dell’eccitazione: il cuore che batte all’impazzata, il respiro affannoso.
Il Cappello le offrirebbe una via di fuga dalla sua condizione, la libertà tanto agognata! Non morirebbe giovane, non si ammalerebbe più, non dovrebbe giacere con altre centinaia, migliaia di uomini vecchi, puzzolenti e maneschi. La gente la riempirebbe di denaro per guardarla danzare, e lei sorride a quel pensiero.
Le mancano già due denti sul davanti. Non può avere più di quattordici anni.
Prima che io termini il mio racconto, mi prende il cappello maledetto e fa per calarselo in testa, completamente ammaliata…
“No!” Grido, e lo afferro a mia volta.
Non so cosa mi aspetto. Forse che il cappello torni da me, ma il legame è ormai spezzato: la ragazza lo vuole con tutta l’anima. Io, però, mi rifiuto di cederglielo … è meglio che muoia ora, di malattia e stenti, piuttosto che essere condannata a un’esistenza di dolore e solitudine. Non posso permetterlo.
Il Cappello sente lo scontro tra due volontà ugualmente forti …
Uno strappo, e si spezza in due.
Finisce a terra, frusto e finalmente innocuo. Un istante più tardi, si dissolve in una manciata di cenere.
La forza maligna che lo teneva in vita se n’è andata, ed io non potrei esserne più felice. Se solo non ne esistessero ancora altri …
La ragazza grida e piange per la rabbia, ma io vorrei dirle che deve passare il segreto della distruzione del Cappello. Se solo ci riuscissi, se lei mi ascoltasse …
Ancor prima di pronunciare una parola, so che è troppo tardi: è solo a causa della maledizione che ho vissuto così a lungo. Ora che l’ho spezzata, finalmente, potrò divenire polvere anch’io. Nonostante sia riuscito a salvare soltanto una delle potenziali vittime, sorrido quando il mio cuore batte per l’ultima volta: infine, sono libero.
Anch’io, nella notte in cui i morti sono un po’ più vicini ai vivi, potrò riposare in pace.
   
 
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