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Autore: A_Typing_Heart    28/11/2020    0 recensioni
«Sto cercando un libro sui vampiri... qualcosa che parli di loro, della loro psicologia... qualcosa che non sia solo letteratura.» disse con una certa delusione interiore: nella sua testa suonava molto meno ridicolo. «Esiste qualcosa del genere?»
«Ovviamente esiste.» rispose lui, con uno sguardo che sembrava brillare di eccitazione. «Posso chiederti come mai ti interessa un argomento così singolare o è una domanda troppo intima per il primo incontro?»
«Mi interessano perché non ne so niente e ne devo prendere uno.»
Qualsiasi altra persona a quella frase avrebbe riso o l'avrebbe preso per matto, ma non quell'uomo, che sorrise se possibile ancora di più.
«Stai cercando quell'assassino, il Vampiro di West End.»
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Krul Tepes, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
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La mia solita fortuna.

Crowley aprì la gabbia dell’ascensore al dodicesimo piano e rientrò in casa sospirando: aveva preso le chiavi della macchina e salutato Ferid per andare dal suo medico a farsi scrivere la prescrizione per i farmaci che gli servivano, salvo poi scoprire che l’auto non aveva nessuna voglia di accompagnarcelo. Posò le chiavi nel solito svuotatasche e prese quelle della moto, ma esitò a uscire di nuovo: non trovò Ferid nella zona giorno né lo vide sul letto in camera.

Non mi dire che si è di nuovo ammollato nella vasca? Sembra di essere in quel film bizzarro, La forma dell’acqua…

Sebbene Crowley fosse stato cresciuto da un tutore dell’ordine, da una brava donna irlandese, da una famiglia di nonni e zii molto religiosi e istruito in una scuola cattolica, di certo aveva qualche cattiva abitudine propria di qualcuno meno beneducato di quanto avrebbe dovuto essere. Una di quelle abitudini era non bussare mai alla porta del gabinetto a meno che dentro non ci fosse una donna che non conosceva in senso biblico, quindi nemmeno quella volta pensò di farlo e la spalancò con noncuranza.

Come immaginava Ferid era dentro la vasca ma la sua reazione fu esagerata comparata a tutte le altre volte che aveva aperto la porta del bagno mentre lui era dentro: sussultò tanto da spruzzare un po’ di acqua saponata oltre il bordo, divenne rosso fino alle orecchie e lo fissò con la stessa maligna diffidenza della sua gatta.

«Oh, scusa, Ferid, non pensavo di spaventarti… mica stavi facendo un lavoretto? Non sai come ti invidio.»

«Ma che… m-mi hai spaventato perché eri già uscito, pensavo stesse entrando qualcun altro!»

«Oh, è vero… ma non era il caso di imbarazzarsi così tanto, ormai siamo abbastanza intimi per questo, due giorni fa sono entrato a fare pipì mentre tu…»

«Posso sapere perché sei ancora qui e non dal tuo dottore, Crowley?»

«Ah, non ti arrabbiare, ci vado adesso, solo che la macchina non parte… non so che cos’ha e non ho tempo di controllarla, quindi sono salito a prendere le chiavi della moto. Volevo solo dirti questo.»

«Credi che sia il caso di prendere la moto? Non dovresti neanche muoverti.»

«E perché?»

«Riposo assoluto ti dice qualcosa?»

«Ma non ti preoccupare, il mio dottore ha lo studio a duecento metri dalla clinica veterinaria, ricordi? Dove avevano portato la tua gatta. Non è lontano.»

«Già, ma andrai anche alla centrale, vero?»

«Non è un percorso di motocross, Ferid… non ti preoccupare, starò bene, e dopo questo prometto solennemente di prendere le mie ferie per malattia e di non muovermi da casa per una settimana.»

«Ah, fa’ come ti pare... irlandesi.» borbottò Ferid contrariato, sprofondando nella schiuma. «Sarà meglio che ti riposi per davvero, perché se non ti riguardi io non mi presterò a essere la tua musa quando finirai l’astinenza.»

«Ah, siamo ai ricatti pesanti…»

«Non ci tengo a vederti avere un infarto mentre sei a letto con me, sarebbe un trauma dal quale non mi riprenderei più.»

«Sono francamente commosso dal tuo altruismo, Ferid.»

«Non c’è di che.»

Non c’era bisogno di crucciarsi su quel tono distaccato: gli era ben chiaro che stesse cercando di ostentare il suo disappunto nella speranza che il suo ospite si decidesse a prendere sul serio le prescrizioni dei medici e rispettasse la promessa che gli aveva fatto.

«Va bene, me ne vado, così finisci il tuo lavoretto e quando torno sarai meno caustico.» commentò Crowley con un sorrisetto divertito. «Porto a casa qualcosa per cena?»

«Per… Crowley! Sono le otto del mattino, devi essere a casa prima di mezzogiorno!»

«Oh, coprifuoco?»

«RIPOSO ASSOLUTO!»

«Ah, sì, sì, torno presto, lo prometto! Ciao, a dopo!»

Non riuscì a non ridacchiare divertito nel sentire il brontolio udibilissimo di Ferid mentre richiudeva la porta e poi uscì dall’appartamento scendendo ancora una volta con l’ascensore. Per un motivo che non riuscì ad afferrare pensò a George; forse perché lui aveva sempre avuto paura di avere a che fare con le malattie e dover prendere confidenza con i medici.

Sarebbe più spaventato di Ferid, senza dubbio… di sicuro chiederebbe a tutti dei consigli, leggerebbe articoli dove dicono che con i miei sintomi dovrei essere già morto, e troverebbe ogni genere di cura naturale e alternativa per salvarmi la pellaccia. Quello che non so è cosa avrebbe detto della mia storia con Ferid… di sicuro non gli sarebbe piaciuto, così a pelle, ma… si sarebbe sicuramente accorto di quanto mi piace stare insieme a lui. E dato l’amico che era, penso gli sarebbe bastato per accettarlo.

Era certo che George avrebbe accettato la cosa, era anche sicuro che nonostante la sua dottrina Gilbert non avrebbe mai smesso di essere suo amico, ma per tutti gli altri era un discorso molto diverso. Mentre si infilava il casco integrale sentì una vaga fitta al petto che aveva più a che vedere con l’idea di vedersi costretto ad abbandonare la comunità della Saint Thomas che con i suoi recenti disturbi cardiaci.

 

 

Le facce sorprese che gli si palesarono nell’open office in centrale gli suggerirono che la sua gita all’ospedale del giorno prima non era passata sotto silenzio: lo guardavano tutti a occhi spalancati come se fosse appena entrato il Triste Mietitore in persona e per qualche secondo si studiò furtivamente chiedendosi se in un momento di fatale distrazione si fosse vestito a metà o avesse lasciato aperta la lampo.

«Crowley, che cosa fai qui?»

«De Stasio, proprio l’uomo che cercavo.»

«Pensavo fossi in ospedale!»

«No, ero in ospedale ieri.» lo corresse lui. «Ho avuto un attacco di angina, niente di che, devo starmene a riposo per un po’.»

«Ah. Quindi che cosa diamine ci fai qui?»

«Sono andato dal mio medico e sono passato qui a vedere come va.»

«Va come al solito, tornatene a casa.» gli fece lui brusco.

«Devo stare a riposo, ma non vuol dire che devi trattarmi come un cane randagio, sai?»

«Con te è l’unica maniera di scrostarti dalla scrivania.»

«Non ringhiare tanto, starò bene… solo devo dirti una cosa, un’idea di Ferid sul vampiro di West End… non posso occuparmene io proprio perché devo starmene a riposo, quindi lo dico a te e ci pensi tu?»

«Dovresti riferirlo a McCray, è lui il capo della squadra…»

«Sì, ma Hank è un pessimo pensatore e in più lui e Ferid si detestano cordialmente…»

«Perché? Che è successo?»

«Nulla, semplicemente Hank etichetta come criminale ogni disertore di chiese e Ferid… beh, non ha un’alta opinione di quelli che lo etichettano… giustamente, mi sento di aggiungere. Ma se glielo riferisci tu forse troverai una maniera di renderglielo più liscio da mandar giù.»

«D’accordo… vieni di là, non parliamone qui, c’è confusione.»

Crowley seguì De Stasio nella stessa saletta in cui avevano fatto la prima riunione di squadra insieme a Horn e lì, al riparo da occhi e orecchie indiscreti, riferì al suo collega l’intuizione di Ferid sul concerto dei Double Tune e la sua teoria della frenesia che avrebbe colto il loro assassino seriale. De Stasio parve interessato all’ipotesi; in verità sembrò reputarla più concreta di quanto non facesse lo stesso Crowley.

«Sì, capisco cosa intende.» disse infatti non appena lui gli ebbe esposto la teoria. «È vero, se non ha trovato più Ferid potrebbe mandare all’aria il piano e prendere un altro ragazzino in un’altra zona. Dopotutto si è limitato al West End perché Ferid non ha un suo mezzo per spostarsi, non avrebbe certo potuto macinare chilometri a piedi per trovare una vittima… se doveva farlo incolpare aveva le mani legate su vari fronti, come l’orario, il luogo, il giorno. Se ha lasciato perdere è libero.»

«Beh, era la sua idea, più o meno.»

«Certo, questo se non ha concluso. I glifi riguardanti la loro storia sono finiti, ha colpito Ferid e se non ha contatti dentro il dipartimento potrebbe aver creduto di averlo ucciso.»

«Dici che… potrebbe… aver finito il suo lavoro? Che potrebbe non riapparire più?»

«È una possibilità che la Skuld ha ritenuto plausibile quando gliel’ho proposta… e io ho fatto qualche indagine in questo senso. Sai che non mi piace lasciare qualcosa di intentato… già che ci sei, porta a Ferid questi.»

De Stasio gli porse alcune copie di fascicoli e Crowley li sfogliò rapidamente: erano le prime pagine di alcuni rapporti sul ritrovamento di alcuni uomini deceduti, con le fotografie e i dati anagrafici di base. Nessuno di quei volti gli diceva alcunché.

«Chi sono queste persone?»

«Sconosciuti trovati morti dopo l’avvelenamento ai danni di Ferid. Gente che è stata identificata da persone poco attendibili e il cui corpo non è ancora stato ritirato da alcun parente. C’è la possibilità che uno di questi possa essere stato all’epoca Robert Karson Warren, l’età e i dati circostanziali per quanto pochi possono coincidere. Vorrei mi dicesse se uno di loro potrebbe essere stato il ragazzo che ha conosciuto.»

«Pensi che dopo aver ucciso i bambini e fallito nello scaricare la colpa su Ferid abbia provato a ucciderlo e poi… si sia ammazzato?»

«È un’idea che non mi sento di escludere. Avrebbe lasciato un altro messaggio su Samara, giusto? Avrebbe potuto annunciare il suo intento, dichiarare un malato amore, un astio mai placato o qualcosa diretto a Ferid. Forse i glifi di nicchia li ha scelti proprio sperando che li avrebbe potuti leggere quando la polizia l’avesse preso.»

«Se anche solo metà di questa storia fosse vera, quel Bobby sarebbe malato forte.»

«Che si chiami Bobby o no, uno che dissangua bambini è malato di certo.»

«Già, è vero.»

«Finora, in ogni caso, la pista Warren è la più concreta che abbiamo. Ho scomodato Ismael e mi ha detto che mi avrebbe aiutato a scoprire qualcosa su Robert Warren, gli ho passato tutte le informazioni che avevamo. Ha una buona rete di informatori nei posti giusti, dove la gente cambia nome, dove si procura tessere della previdenza sociale e persino dove l’FBI crea le identità per proteggere i testimoni. Se come è piuttosto ovvio Warren cambiò nome dopo aver derubato Ferid lui saprà almeno dove. C’è una buona possibilità che avrà il nome che gli è stato dato e allora il resto potremo farlo noi. Dillo tu a Ferid: se lo troviamo i reati sono caduti in prescrizione, sia il furto che lo stupro, ma se lo vuole io glielo faccio avere qualche minuto da solo con lui mentre guardo dall’altra parte.»

«Cosa? Aspetta, cosa? Stupro? Stupro di chi?»

De Stasio lo guardò con un certo stupore e Crowley si sentì annodare lo stomaco.

«Non te l’aveva raccontato?»

«Mi aveva detto che Bobby era il suo primo ragazzo… che sono venuti in America come per una fuga romantica, e dopo una notte in un motel lui ha preso il volo con tutti i loro averi. A te che cos’ha detto?»

«La stessa cosa, ma mi ha anche detto che il primo giorno qui in America Bobby è scomparso qualche ora e che quando è tornato nella stanza del motel aveva della meth in cristalli. Mi ha raccontato di averlo costretto a fumarla. È stato molto preciso nel raccontarmi come è successo e che effetti ha avuto, non ho dubbi che l’abbia provata davvero.» ponderò De Stasio, più a suo stesso beneficio che a quello del collega. «Credo che mi abbia detto la verità, e dare a un minore della droga prima di portarselo a letto è uno stupro. Mi ha detto che gli avrebbe comunque detto di sì, ma il suo consenso non può essere considerato valido se era fuori di sé.»

Crowley lo sapeva bene, non era l’ultimo arrivato della polizia stradale. Sospirò e si passò la mano nei capelli: da una parte avrebbe preferito che Ferid glielo avesse detto subito insieme al resto della storia, dall’altra avrebbe preferito non saperlo mai.

«Non te l’aveva detto?»

«No… ma almeno ora capisco perché aveva paura di raccontare alla polizia che cos’era successo.»

«Sì. Ha avuto paura che l'uso della droga lo mettesse nei guai. Warren era giovane ma di sicuro era un criminale già allora, trovare della meth appena arrivati in America e usarla per mettere Ferid nella posizione di non poterlo denunciare non è roba per innocenti ragazzini delle campagne inglesi.»

«Dallo a me qualche minuto da solo con quel grandissimo pezzo di merda.»

«Preferisco di no, poi a ripulire la stanza ci vorranno settimane.»

«Puoi giurarci, gli frantumo anche gli atomi.»

«Lo so, per questo è meglio non darti neanche trenta secondi. Ti bastano e avanzano per ammazzare qualcuno anche senza armi.»

«Gli conviene di gran lunga essere già morto, credimi.» ribatté Crowley, e scorse le foto che De Stasio gli aveva dato. «Che razza di mostro… uno del genere non può essere rimasto immacolato per tutti questi anni. Se a diciott’anni inganni un ragazzino per impadronirti dei soldi e dei gioielli della sua famiglia e gli dai della droga per stordirlo mentre te la batti e per impedirgli di denunciarti, di certo non lo fai per iniziare una vita all’insegna dell’onestà e delle virtù cristiane.»

«Se era quella l’idea diciamo che la partenza non era delle migliori.» convenne De Stasio.

«Questi sono dei pregiudicati?»

«Sì, in pratica tutti… uno è un taccheggiatore, e da lì si migliora fino all’omicidio.»

«Un assassino? Chi?»

«Non te lo dirò, Crowley. Non devi avere pregiudizi. Se non sai niente non puoi influenzare neanche Ferid.»

Il solito De Stasio: il suo cervello non smette mai di girare e di farlo in modo lucido... mi chiedo se riuscirebbe a farlo anche se una sua fidanzata fosse coinvolta nell’indagine che sta seguendo. Io credevo di cavarmela bene con l’osservazione fredda, ma in questo caso… da quando conosco Ferid… sta diventando difficile.

Crowley sospirò, piegò i fogli e li infilò dentro la giacca, deciso a levare il disturbo e lasciare De Stasio alle sue indagini.

«Dì al capitano che gli farò avere i documenti dell’ospedale e del mio medico. Prenderò due settimane di riposo come prescritto, anche se mi dispiace doverlo fare adesso che siamo sepolti di casi fino al collo.»

«Non preoccuparti di questo, fai molto più comodo vivo tra due settimane che al lavoro per tre giorni prima di crepare.»

«Suppongo… beh, ci si vede, De Stasio. Se scopri qualcos’altro sulla pista Warren faccelo sapere.»

«Sicuro.»

Crowley si alzò e aveva la mano sulla maniglia quando sentì di nuovo la voce del collega, con un’inedita vena di allegria.

«Oh, quasi dimenticavo. Congratulazioni.»

«Congratulazioni per cosa?» domandò Crowley, accigliato. «Oh, hai saputo di mio nipote? Grazie.»

«No, no… ma già che ci sono congratulazioni anche per quello.»

«E allora per cosa?»

De Stasio lo guardò con un sorrisetto divertito che era piuttosto raro da vedere.

«Per il caso Harrison. Siamo rimasti tutti di sasso qui al dipartimento. Non credevo si potesse risolvere un caso di omicidio con un’ispezione e un interrogatorio in loco nell’epoca di internet, dei tabulati telefonici, dell’analisi del DNA e della scienza forense… non credevo che l’avrei mai visto fare fuori da un libro di Conan Doyle.»

Crowley rimase a sua volta basito, ma alla fine proruppe in una risata nervosa.

«C’erano tante di quelle incongruenze… ho solo interrogato tutti prima che potessero riordinare le idee e Harrison ha ceduto, tutto qui…»

«Raccontala come vuoi, ma sappi che i ragazzi da queste parti sono ammirati e ispirati. Ho sentito qualcuno ponderare l’idea di passare alla omicidi in via definitiva.»

Crowley scrollò le spalle.

«Che vuoi che ti dica? È il sangue irlandese che fa buoni detective.»

«Ma Holmes è inglese, no?»

«Nah, propaganda britannica.»

Crowley uscì col sorriso sulle labbra e il suono poco familiare della risata di De Stasio nelle orecchie.

 

 

Quanto è tardi... Ferid sarà arrabbiatissimo. Mi fanno già male le orecchie.

Il suo medico non solo era stato preso d’assalto da decine di altri pazienti in una coda che sfiniva solo a constatarne la lunghezza, ma l’aveva anche tenuto quasi trenta minuti nell’ambulatorio a controllargli tutte le cose più assurde che gli potessero venire in mente, con esami tattili e strumentali di cui Crowley non sospettava nemmeno l’esistenza. Anche se non l’avrebbe mai ammesso aveva passato gli ultimi dieci minuti sulla sedia, mentre lui compilava referto e prescrizioni varie, a chiedersi se le vittime di stupro si sentissero come lui in quel momento ma elevato a potenza. Alla fine gli aveva consegnato varie scartoffie con le parole tra le più inquietanti che avesse mai sentito:

«Ascolta, Crowley, fuori dai denti: se non inizi a badare alla tua salute non ci arrivi ai trent’anni, e se ci arrivi sarai nelle condizioni che preferirai essere già morto.»

Quella frase continuava a rimbombargli in testa. Lui si sentiva bene, non si era mai sentito stanco o spossato senza ragione, non aveva avuto mai fastidi o sintomi particolarmente accentuati o ricorrenti: se non fosse stato per quelle pallottole nel torace non avrebbe mai scoperto di essere ridotto tanto male fino a che – l’idea gli mise un vago brivido – non sarebbe stato probabilmente troppo tardi.

Ferid sarà ingestibile quando glielo dirò. Mi dirà di nuovo che mi sto divertendo a torturarlo. O che sono un ipocrita perché gli dico di dormire e di mangiare e di prendersi cura di se stesso mentre io mi tratto in questo modo da anni… e ha anche ragione. Sarà proprio un brutto quarto d’ora, se va bene.

Era quasi mezzogiorno quando finalmente entrò in contatto visivo con il palazzo di mattoni e guidò la moto all’interno del cortile, poi notò qualcosa di insolito: la saracinesca del suo garage era aperta, ma era sicuro d’averla chiusa dopo aver preso la moto.

Spense il motore e smontò con una certa urgenza: anche se aveva pensato che Yuu o Mika fossero scesi nel garage a cercare qualcosa, eventualità già capitata con chiodi, colla, cacciaviti o altro, dubitava che avrebbero avuto un motivo di sollevare la sua auto di mezzo metro.

«Ehi!» fece allora quando si accorse che qualcuno stava trafficandoci con un rumore metallico. «Questa è proprietà privata, che cosa…»

Smise di parlare e arrestò anche la sua camminata a metà strada, quando gli si aprì la visuale oltre la carrozzeria e vide le gambe della persona infilata sotto l’automobile. Delle gambe che era sicuro di conoscere, ma prima che potesse chiedersi qualsiasi cosa il carrello scivolò e da sotto l’auto emerse prima un torso che indossava una sua logora maglietta con il vecchio logo della sua palestra e poi un viso familiare con degli occhi celesti e una gran quantità di lunghi capelli argentati annodati sulla nuca alla bell’e meglio.

«Ferid… che cosa stai facendo sotto la mia macchina?»

«Perde olio da qualche parte, sto cercando di capire da dove.»

«Ma non serve… la porterò dal meccanico, non toccare niente.»

«Consideralo un mio personale contributo alle spese domestiche.» disse lui, e si spinse di nuovo sotto la macchina. «Dopotutto la parcella di un meccanico oggigiorno non è una manciata di noccioline, ti pare? E francamente questa macchina è un cesso

«Ehi, piano con le parole, eh.»

«Non sto scherzando, è ridotta uno schifo per avere così pochi chilometri… non la curi per niente.»

Crowley era piuttosto confuso da quella situazione: era surreale quanto mettersi a discutere con De Stasio della filosofia di un quadro di Kandinsky… o con Kandinsky di un quadro di De Stasio.

«Che cosa ne capisci tu? Nemmeno ce l’hai, una macchina!»

«Non ce l’ho perché camminare fa bene, e abito vicino a qualsiasi posto mi possa interessare... e anche perché le automobili inquinano.» rispose lui. «Ma non significa che non ne capisca niente. Hai vissuto in una fattoria da piccolo, vero? Quindi secondo te è lecito supporre che ora che abiti in una metropoli non sai più niente di campi di grano e mucche da latte?»

«Oh… beh, mettendola così… ma dov’è che tu hai avuto a che fare coi motori, scusa? Credevo che la passione di tuo padre fossero i cavalli, non hai mai parlato di automobili o motori.»

«Ti sorprenderebbe se ti dicessi che prima di essere assunto al Magick lavoravo come meccanico?»

Sorprendermi? No, sorpresa non è la parola giusta.

«Sei serio, Ferid?»

«Sì. Prima di essere assunto al Magick lavoravo come meccanico in un’officina a South River, e poi ho lavorato come manutentore delle golf car al circolo Alcott nel West End.»

«Mi stai prendendo in giro.»

«A che pro dovrei?»

Ferid scivolò da sotto l’auto e si mise seduto sul carrello con un sospiro. Aveva una strisciata scura sullo zigomo e un’aria concentrata che di solito gli vedeva solo quando leggeva; fu quella a far credere a Crowley che stesse dicendo sul serio… nonostante fosse una sorta di shock per lui.

«Quindi facevi il meccanico… sei l’ultima persona che conosco che vedrei nei panni di un meccanico.»

«Sì, lo pensano tutti, immagino… uno bello ed elegante quanto me, dentro una tuta e infilato tra tubi e stantuffi, è nientemeno che un crimine! Dovresti arrestare chi ha permesso che accadesse, detective Eusford!»

«E chi l’ha permesso, signor Bathory?»

La domanda parve prenderlo di sorpresa e si mise a pensare con gli occhi chiari fissi sul soffitto e l’aria di chi cerca di ricordare qualcosa da un libro di testo passatogli per le mani una sola volta.

«Bella domanda…»

«Oh, avanti, vuol dire che non sai dirmi perché sei finito a fare il meccanico anziché il barista, il commesso, l’addetto alle consegne o l’impiegato in un ufficio?»

«Beh, tecnicamente io ero un impiegato.» precisò Ferid con un’inesplicabile espressione delusa. «Ero stato assunto al garage Marrara come impiegato dell’ufficio, tenevo la contabilità, l’inventario, gli appuntamenti… cose del genere.»

Crowley mascherò fin troppo bene il piccolo shock di sentire quel nome: persino il Garage Marrara di South River, citato dal Vampiro a Echevierra, era un elemento biografico vero.

«Ma poi Marrara cominciò a far lavorare la nipote nell’ufficio e io sono diventato piano piano un apprendista meccanico, in pratica, e alla fine… la tragedia!»

Ferid sospirò teatralmente. Crowley aprì bocca per chiedergli quanti sapessero della sua carriera al garage Marrara, per accennare all’interrogatorio di Echevierra e alle foto raccolte da De Stasio che doveva fargli vedere… ma poi la richiuse senza emettere una sola sillaba. C’era tempo e non c’era alcun bisogno di cementare in Ferid la sensazione che ogni volta avesse aperto bocca sul suo passato qualcosa di inquietante sarebbe venuto fuori a collegarlo al Vampiro di West End.

Si sforzò di sorridere.

«Alla fine la tuta da meccanico?» domandò invece. «Te la mettevi anche tu, no?»

«Purtroppo sì… Dio, faceva un caldo terribile in quel capannone in estate con quella cosa addosso!» esalò Ferid in un sospiro, come se stesse ancora sentendo quell’estate torrida in corpo. «Mettevo la canottiera e tenevo aperta la metà sopra, ma tornavo lo stesso a casa ridotto uno schifo…»

«E di che colore era?»

«Mh?»

Ferid lo guardò incuriosito dalla domanda e Crowley tese un sorrisetto molto più convinto del primo. Lui rispose con uno dei suoi, e uno di quelli più maliziosi che gli avesse mai visto.

«Oh, Crowley, non sarai mica uno di quelli eccitati da meccanici sudati e pompieri coperti di fuliggine?»

«Non saprei. Non conosco nessun pompiere… e il mio meccanico ha una sessantina d’anni portati decisamente maluccio, per cui non ho mai trovato che fosse sexy.»

«Io sono meglio?»

«Infinitamente.»

«Oh, a questi livelli e non ho addosso altro che i guanti di un meccanico~»

«Ah, magari fosse vero…»

Ferid scoppiò in una breve risata.

«Oh, Crowley, quanta perversione alberga in quella tua testolina rossa~»

«Oh, dai, stavo scherzando.»

«Bugiardo~»

«Sei veramente molto meglio del mio meccanico, ma da qui a fantasticare di te in tuta e guanti ce ne passa un po’ nel mezzo.»

«Bu~giardo~»

Ferid scandì in due parti mentre si sfilava i due guanti dalle mani e si alzò dal carrellino. Crowley non poté non notare che la maglietta che indossava era un po’ corta, ma la larghezza era quasi giusta e lo divertì ricordare che indossava quella maglietta per allenarsi quando aveva quindici o sedici anni. Lo guardò passargli accanto e chinarsi sul cofano aperto, che gli indicò con la testa.

«Dai un’occhiata qui, che ti raffreddi subito. Guarda qua che macello hai fatto con questa povera macchina.»

Crowley si divertì molto meno a sentire il breve ma denso elenco delle cose che non andavano nel suo veicolo.

Non è messa tanto meglio di me, pare…

Con una certa mestizia alzò lo sguardo su Ferid, appoggiato al motore e intento a borbottare qualcosa riguardo alla candela sporca che stava pulendo con uno straccio, e fu allora che notò la cicatrice sopra il gomito che sfiorava uno dei tubi.

«Ah… è così che ti sei fatto quella cicatrice? Quando facevi il meccanico?»

Ferid lo guardò disorientato, poi si guardò il gomito come ad accertarsi che il segno fosse ancora lì.

«Ah, sì. Mi ero messo più o meno appoggiato così e ho toccato qui, ed era ancora caldo…»

«E le tua cicatrici non avrebbero storie da raccontare, mh?»

«“Mi sono scottato su un motore ancora caldo quando lavoravo come meccanico”. Ah, sì, un bestseller.»

«A me interessa. A me interessano tutti i capitoli della tua vita, soprattutto quelli che tu credi noiosi.»

«A me invece interessa sapere che cosa ti ha detto il tuo dottore~»

Il suo primo istinto fu rimandare il più possibile l’inevitabile momento della sfuriata.

«Ferid, sai che sei proprio sexy quando indossi le mie magliette?»

«Sì, lo so. Che cosa ti ha detto il dottore?»

«Chissà come ti starebbe la mia vecchia uniforme della po-»

«Crowley.» l’interruppe Ferid con il sorriso sulle labbra e il ghiaccio negli occhi. «Sei andato dal tuo dottore, vero? Se non ci sei andato giuro sul mio onore che smonto questa macchina, un pezzo per volta

«Sul tuo onore?»

«Non sfidarmi, Crowley.» insistette lui. «Non raccolgo quasi mai una sfida, ma se lo faccio la vinco. Sempre

Che diamine, fa proprio paura quando ci si mette.

«Okay, okay… va bene, cessate le ostilità. Ci sono andato dal dottore, e sono andato anche in farmacia, rilassati.»

«E allora perché non vuoi dirmi che cosa ti ha detto?»

Crowley sospirò e si grattò la testa. Gli conveniva essere completamente sincero, beccarsi la razione di ramanzina anche da lui e chiudere definitivamente la storia.

«Non volevo beccarmi il rimbrotto anche da te. Non mi piace essere sgridato come un bambino, e quando lo fai tu è anche peggio.»

Ferid guardò Crowley negli occhi per diversi secondi prima che il suo sguardo si ammorbidisse, ma soltanto un po’.

«Ma sai che ho tutte le ragioni per arrabbiarmi, vero?»

«Sì. Ho capito. Ma adesso infierire a che cosa serve? Non posso riavvolgere il tempo e cambiare il mio stile di vita degli ultimi cinque anni o dieci anni.»

«No, non puoi… beh, se mi dici che hai capito la lezione prometto di non essere martellante e di non continuare a dirti quanto sei stato stupido~»

«Lo stai facendo ancora.»

«L’ultima volta, giuro~»

«Mhh.»

«Torno più tardi a dare un’occhiata a quella perdita… andiamo su a mangiare, ho preparato qualcosa per pranzo, basta poco per cucinarlo! Avrai fame, no?»

«Ah… okay, sì.»

Ferid appoggiò le candele, lo strofinaccio e i guanti sul tavolo da lavoro a lato e chiuse il cofano.

«Mentre cucino mi racconti che cosa ti ha detto di fare il dottore. Niente rimproveri, lo prometto, va bene?»

Crowley annuì anche se non era affatto convinto che Ferid si sarebbe contenuto, e quando rientrarono nell’appartamento iniziò a riepilogare la sua visita medica aiutandosi con gli appunti del dottore sui fogli e con le prescrizioni che gli aveva rilasciato. Non tralasciò nulla, neanche l’inquietante avvertimento del medico a conclusione, ma Ferid rispettò la sua promessa e non fece alcun commento e nessuna dose aggiuntiva di critiche.

«Mh, non è andata proprio benissimo, quindi… posso vedere le tue analisi?»

«Perché no? A tutti piace il cielo stellato.» ironizzò amaramente Crowley, passandogli dei fogli con più asterischi di un manuale di programmazione.

Ferid girò i tranci di pesce saltandoli nella padella con un gesto deciso e si mise a scorrere i valori sballati dei risultati delle analisi, leggermente accigliato. Crowley preferì distogliere lo sguardo e guardare Pandora che si stava abbeverando nella sua ciotolina d’acqua, beatamente ignara del dramma che gravava sulla casa.

«Sì, la situazione non è il massimo… per prima cosa devi cominciare a prendere la medicina per il cuore che ti hanno prescritto in ospedale… devi prenderla sempre alla stessa ora, possiamo mettere un promemoria nel tuo telefono, così te lo ricorderà finché non ti ci abituerai.»

«Ah… sì, è una buona idea… non sono abituato a prendere una medicina con regolarità.»

«Per la maggior parte degli altri valori anomali direi che l’unica cosa da fare è rivedere la tua dieta drasticamente… te l’ha detto anche il dottore, mi pare…»

«Già...»

«Non è un problema, ho una certa esperienza con la cucina sana~ vedrai, se cucino per te quasi non ti renderai nemmeno conto di stare mangiando solo cose che ti fanno bene! Se stai pensando che ti toccherà ingozzarti di verdure crude come una capra ti sbagli, si possono preparare un sacco di piatti deliziosi anche senza grassi e strani intrugli chimici!»

Crowley non ne era così convinto e una rapida selezione dei peggiori pasti visti nel suo periodo di ricovero gli apparvero davanti agli occhi. Lasciò uscire un sospiro senza far rumore ma Ferid capì comunque il suo stato d’animo.

«Un po’ di allegria, Crowley! Ci vorrà qualche giorno per abituartici, ma arriverà il giorno in cui anche solo guardare una pizza ti farà venire la nausea!»

«Che ne sai, tu? Nemmeno la mangi, la pizza…»

«Niente toni depressi e disfattisti, avanti. Dopo un po’ di una dieta sana ti sentirai benissimo e capirai quanta energia ti sei negato in questi anni nutrendoti di sottoprodotti del cibo.»

Mh... non si può dire che non sia vero. Non avevo mai letto l’etichetta di qualcosa di già pronto, ma De Stasio me l’ha detto un sacco di volte che è roba piena di zuccheri e additivi che fanno male… come la metti la metti, ho sbagliato tutto. Faccio ancora fatica a credere di essere stato così preso dall’idea di tornare al lavoro da trascurarmi in questo modo.

«Lo faremo insieme, okay? È più facile seguire un programma rigido se hai un’altra persona che fa lo stesso, quindi io sarò il tuo diet buddy

Crowley non rispose e rimase a osservarlo con uno strano distacco, come se lo stesse guardando attraverso la televisione.

Non so se abbia mai pensato a una carriera nella sua vita… a un lavoro duraturo che facesse per lui… ma se dovesse pensarci dovrebbe scegliere qualcosa che lo metta a contatto con gli altri. Anche se sembrava così solitario e alienato in realtà lui adora prendersi cura delle persone. Il modo in cui incoraggia i bambini a leggere, come parla con le ragazze clienti del Magick… quanto sforzo ha fatto per aiutare Samara, e ora come si preoccupa per me… non ho esagerato a descriverlo a Gilbert. Lui vuole aiutare gli altri, non riesce a far finta di niente. Ha conosciuto troppe persone indifferenti al suo dolore per essere indifferente a quello degli altri.

«Ferid?» fece lui a una certa, interrompendolo mentre rimuginava ad alta voce sulla spesa.

«Mh?»

«Grazie. Apprezzo che tu voglia aiutarmi concretamente. Non credo che saprei che cosa fare se fossi da solo.»

Ferid fece un sorriso scrollando le spalle mentre si sedeva al tavolo; con il pesce finalmente cotto adagiato su un letto di tocchetti di verdura dai colori vividi erano pronti per pranzare.

«Per quanto appaia come un capriccioso, falso, vanitoso egoista, io mi prendo cura di quello a cui tengo. Vale per la mia casa, i miei gatti, i miei fiori, i miei vestiti… mio marito… e tutto quello che più conta.»

Crowley sfiorò il dorso della sua mano mentre prendeva il tovagliolo per metterselo come sempre sulle gambe e Ferid lo guardò senza sorpresa, quasi come se se lo aspettasse.

«Senti, Ferid…»

«Che cosa, Crowley?»

«Sai che non sei obbligato a farlo solo perché ora vivi qui con me, vero?»

«Mi stupisce che trovi doveroso precisarlo.»

«Tu non hai nessuna colpa in tutto questo, e quindi nessuna responsabilità.»

«Sai cos’è l’elsa di una spada, Crowley?»

La domanda lo confuse leggermente, ma poi rimise a fuoco i pensieri.

«Mi pare che sia la parte da dove la si tiene, no?»

«Sì. Un’elsa, per farla semplice, è tutta la parte che non è lama, con l’impugnatura e la guardia, che è quella parte sporgente che normalmente le dà quella forma di croce, chiaro?» gli disse, tracciando con le dita l’immaginaria forma di una spada. «La guardia serve a evitare che la spada avversaria, scorrendo lungo la lama, colpisca le mani di chi la sta impugnando.»

«Grazie della lezione di scherma medievale, Ferid, ma cosa…?»

«Dici sempre che sono la spada che ti ha dato Dio, no? Quindi sono fatto anche per difenderti… da te stesso, se occorre~»

Incassare quel colpo non fu facile e sperò di aver dissimulato meglio di quello che pensava; Ferid non diede alcun segno d’aver notato una strana espressione e ripiegò il tovagliolo sulle gambe come faceva sempre quando mangiava al tavolo.

La giornata non era iniziata benissimo e non era continuata meglio con la sua visita dal dottore dall’esito fosco, ma la sensazione di inquietudine che l’aveva accompagnato in moto fino a quel momento era finalmente svanita lasciandogli la sensazione di respirare molto meglio. Quando prese il primo boccone di pesce all’arancia non solo pensò che avesse davanti una missione fattibile, ma addirittura facile.

 

 

Qualche ora più tardi Ferid guardò nervosamente l’orologio da polso d’oro che era appartenuto a Claude, scoprendo che aveva letto l’orario appena due minuti prima. Ignorò i pigri capricci di Pandora che si rotolava sul suo grembo in cerca di attenzioni e occhieggiò la porta, ovviamente sempre chiusa.

Ma dov’è andato a finire? Non ci arriva proprio al concetto di assoluto riposo!

Crowley infatti, dopo che Ferid ebbe preparato una minuziosa lista della spesa salutare e un piano dietetico composto da ricette che seguissero le linee guida del medico, si era deciso a scendere dalla signora anziana che stava al piano terra, Bernadette, con l’intento di chiederle da quale negozio si faceva portare la spesa e con quali modalità. Ferid cominciò a chiedersi se Crowley era stato sincero e fosse solo stato incastrato a chiacchierare con la vecchia signora o fosse uscito senza dirglielo per fare la spesa di persona: la sola idea gli mandò tanto sangue al cervello da fargli pulsare le tempie.

Lo ammazzo se si è azzardato a uscire di nuovo. Lo ammazzo, è un atto di misericordia, tanto si ammazzerebbe da solo comunque.

Quando sentì bussare alla porta si alzò quasi di scatto, provocando il miagolio irritato di Pandora. Andò alla porta e la spalancò.

«Era ora, che…!»

Ma l’uomo che aveva davanti non era Crowley e la voce gli si spense in gola mentre quello fissava su di lui un paio di sgargianti occhi verdi brillanti come quelli di Yuu, ma un poco più chiari. Non aveva idea di chi fosse.

Chi è? Un inquilino del palazzo che conosce Crowley, o forse… un poliziotto?

Ferid lanciò un’occhiata alla sua cintura per notare un distintivo o qualsiasi cosa suggerisse che fosse un suo collega, ma notò all’istante che indossava vestiti troppo costosi per essere gli abiti da lavoro di un poliziotto. Quando tornò al volto dell’uomo lui gli stava facendo un sorriso enigmatico.

«Dove stai guardando?»

«Chi sei?» gli chiese Ferid, ignorando la sua domanda.

«Chi sei tu? Perché non sei il padrone di casa.»

«Crowley non c’è.»

«Uhm, interessante… e tu come mai sei in casa se lui non c’è?»

L’uomo si sporse verso la porta sbirciando verso il soggiorno e Ferid riaccostò la porta di scatto, fissandolo in cagnesco dallo spiraglio che aveva lasciato.

«Crowley non è qui, se cerchi lui hai fatto un giro a vuoto.»

«Forse no…»

L'uomo si avvicinò all’apertura con un sorriso ancora più ampio.

«Guarda un po’, guarda un po’… ecco perché non mi rispondeva, s’è trovato un fidanzato mentre non c’ero!»

«Un…»

Quest’uomo è Connor!

Non sapeva neanche come gli fosse arrivata una simile potente certezza solo da quella frase, ma ne fu praticamente sicuro fin dal momento in cui il nome gli balenò nella mente. Forse fu perché ricordava Crowley che gli diceva che Connor lo chiamava quando tornava in città, forse era la sensazione magnetica che suscitava a guardarlo negli occhi, ma non ebbe dubbi.

«Beh, se sei il suo fidanzato ti avrà parlato di me! Connor Maguire. Io e Crowley siamo amici da un sacco di tempo!» fece lui con vivace allegria, come se avesse scoperto che stava parlando con un suo amico d’infanzia dopo decadi. «Dai, fammi entrare e offrimi un caffè mentre aspettiamo che torni, ti racconto come ci siamo conosciuti~»

Ferid reagì d’istinto quando vide la sua mano dalle dita lunghe afferrare il profilo della porta appena sopra la maniglia: la spinse con entrambe le braccia e buona parte del suo peso e schiacciò la mano di Connor contro lo stipite. L’uomo emise un mezzo grido e gemette quando riuscì a ritrarla.

In quel momento Ferid si coprì la bocca, spaventato. Cosa avrebbe detto Crowley quando avesse saputo che aveva sbriciolato la mano al suo amante preferito? Forse si sarebbe arrabbiato chiedendogli perché non l’aveva semplicemente lasciato entrare per aspettarlo…

Aprì un po’ la porta e guardò Connor, che si reggeva la mano ma nonostante le lacrime agli angoli degli occhi i suoi lievi gemiti di dolore si stavano mescolando a una risata incredula vagamente stridula.

«Adesso capisco perché piaci a Crowley! Dai, fammi entrare, così ci conosciamo meglio, Pepper~ a quanto vedo c’è materiale interessante da esplorare~»

L’amante di Crowley mi sta facendo una specie di avances dopo che gli ho rotto una mano? Che è questa follia?

Connor appoggiò la mano sana contro la porta, questa volta non sul bordo, ma aveva abbastanza forza da impedirgli lo stesso di chiuderla.

«Ma vattene! Tu non sei fissato con gli uomini imponenti e i capelli rossi?! Hai preso una granata negli occhi di recente o che altro?!»

«Allora ti ha parlato di me.» disse lui con uno scintillio negli occhi. «Ma io non ho mai detto di essere attratto da quel genere, gli stavo solo elencando le cose che preferivo di lui in particolare~»

«Beh, non mi interessa, lui non c’è, quindi vattene!»

«Non essere timido con me, Pepper, gli amici di Crowley sono miei amici e i suoi fidanzati sono anche miei, in un certo senso~ lo conosci lo shibari? No? Non sai che cosa ti sei perso finora, ma rimediamo subito~»

«Connor.»

La voce che arrivò da dietro le spalle di Connor lo fece voltare e fu un sollievo enorme per Ferid non essere più fissato da quegli occhi.

«Angel Face~»

«Chiamami ancora così e ti faccio entrare questo cetriolo nell’orecchio.» gli ringhiò Mikaela a denti stretti, prendendo in mano uno dei cetrioli che sporgevano dalla sua busta della spesa.

«Ah, sembra proprio che tu ti sia un po’ svezzato dall’ultima volta che ci siamo incontrati~ dimmi, stai ancora con Penny Bucket?»

Mikaela lanciò a Connor uno sguardo ibrido tra il disprezzo e la pietà.

«Sarebbe lo stupido nomignolo che hai dato a Yuu, immagino?»

«È un sì? Che teneri~»

«Togliti di torno, Connor. Stai rarefacendo l’ossigeno.»

«Ahah~ freddo come il ghiaccio negli slip… uno dei miei giochi erotici preferiti, guardacaso~»

Mikaela gli lanciò un’occhiata disgustata e poi guardò Ferid.

«Sbattigli la porta sulla faccia più forte che puoi e lascialo morire sul pianerottolo.»

«Ehm…»

«A meno che non ti eccitino i pervertiti grufolanti masochisti, allora fallo pure entrare. È l’uomo per te.»

Mamma, che gelo, davvero.

Mikaela non aggiunse nulla e scomparve dentro l’appartamento sbattendosi la porta alle spalle così forte che Ferid, non aspettandoselo, sussultò. Un momento dopo passò uno sguardo vacuo sulla faccia di Connor e si rese conto che non era ancora riuscito a chiuderlo fuori dall’appartamento.

«Hai sentito? Sono l’uomo per te, fammi entrare… o entra tu se preferisci, io non mi formalizzo!»

La porta gli sfuggì dalla presa quando, cercando di chiuderla, Connor la spinse con il braccio; quella si spalancò ma anche se c’era abbastanza spazio tra quella e Ferid che stava ancora a lato l’intruso non provò nemmeno a varcarla.

«Mhh, fatti guardare da vicino~»

«Connor?»

Difficile anche per lo stesso Ferid dire se fosse felice del ritorno di Crowley o preoccupato dal suo incontro con quell’amante che sembrava piacergli oltre i limiti stessi della ragione, per non parlare del fatto che gli aveva appena frantumato la mano come un guscio di noce. Connor d’altro canto era senza dubbio entusiasta.

«Ehi, Ginger~»

«Ehi, non mi chiamare così davanti agli altri, è imbarazzante.»

«Perché mai dovresti vergognartene?»

«Hai presente chi è Ginger Rogers, sì?»

Connor tese un sorriso malizioso.

«E perché credi che ti chiami così, Ginger?»

Crowley lo guardò vagamente sorpreso, poi sospirò.

«E io che credevo mi chiamassi così perché ero piccante… mi potevi lasciar vivere nelle mie illusioni, ti pare?»

«Nah, non è il mio stile!»

«Già, vero.» fece Crowley, e fu allora che notò la sua mano. «Che diavolo hai fatto a quella mano?»

«Che diavolo ha fatto lui a quella mano~» rispose lui soave, accennando a Ferid.

Ferid pensò a qualcosa da dire, ma in realtà non c’era molto che potesse salvarlo: si era spaventato e gliel’aveva chiusa nella porta. Non proprio una spiegazione che si sentì di dare, ma Crowley parve non averne bisogno.

«Che cos’hai combinato, Connor?»

«Io? La domanda mi offende.»

«L’unica cosa che ti possa offendere è dirti che sei noioso… o che non scopi bene.»

«Ovvio, sono entrambe ingiuste falsità!»

«Che cos’ha fatto, Ferid? Ha allungato le mani?»

«Ha cercato di aprire la porta e… mi ha spaventato, mi stava facendo delle proposte!»

«No, le proposte sensate gliele ho fatte dopo aver visto quanto è vivace!»

«Non preoccuparti, Ferid.» gli disse Crowley dandogli una carezza sulla testa mentre entrava in casa. «Se l’è meritato. Connor, non fare proposte a Ferid, è timido.»

«Lasciaci soli un paio d’ore, glielo tolgo io il difettuccio!»

«Nemmeno per sogno, me lo sono scelto apposta così.»

Ma che cosa sta dicendo?

Ferid aprì bocca per dire qualcosa, ma ci ripensò nell’arco di un secondo quando sentì la mano di Crowley stringergli la spalla con una strana insistenza: voleva dirgli di assecondarlo o di lasciarlo parlare, e decise di fidarsi.

«Ohh, quindi è per questo che non mi hai risposto? Guarda che me lo potevi dire che ti stavi sistemando~»

Sarà anche un navy seal, ma certo non si atteggia come un soldato… sarà veramente un navy seal o è una bugia che racconta a Crowley per essere libero di incontrarlo solo quando gli va?

Ferid lanciò un’occhiata al viso ormai familiare dell’uomo coi capelli rossi e decise di illustrargli quella possibilità non appena fossero rimasti soli: l’idea che qualcuno che lui riteneva così importante lo prendesse in giro gli risultava quasi insopportabile.

«Il motivo per cui non ti ho risposto è che non sapevo ancora se potevo vedere qualcuno. Sono stato in ospedale ieri, e mi aspettano due settimane di riposo assoluto.» disse allora Crowley. «E secondariamente, dato il rapporto tra me e Ferid, non mi sentirei comunque di vederti, e ora che sai com’è timido…»

«Non c’è speranza di un ménage à trois, intendi questo? È un peccato, sì…»

«Bene, se ti è chiaro questo puoi anche entrare, mettere del ghiaccio su quella mano e prendere del caffè per fare due chiacchiere… se il programma non ti piace temo dovrai andare a divertirti altrove, Connor.»

Contro ogni previsione di Ferid Connor Maguire non parve affatto deluso: fece un sorriso decisamente più naturale ed entrò in casa chiudendo la porta con la mano sana.

«Credo di preferire una dose abbondante di tè, mi dovete raccontare una storia lunga! Com’è che vi siete conosciuti? Da quanto tempo state insieme? Dai, parla!»

Ferid guardò Crowley nello stesso momento in cui lui lo guardò con la medesima perplessità; poi l’irlandese scrollò le spalle.

«In effetti ci sono storie lunghe da raccontare. Ferid, per favore, faresti un po’ di tè per Connor e per me… per noi due, un po’ di quello?»

Ferid capì che cosa intendesse dire al volo: caffè e tè erano stati temporaneamente aboliti per regolare la pressione alta di Crowley, quindi non restava che uno degli infusi di frutta nella credenza. Annuì e voltò loro le spalle per andare alla cucina. Fu una fortuna che non potesse accorgersi di quanto interesse animava gli occhi verdi mentre guardava le sue gambe e il suo fondoschiena.

«Dove l’hai trovato, Ginger?»

«Storia lunga, merita del tè in accompagnamento.» fece Crowley. «Tu, piuttosto… mi hai cercato ieri ma devi essere a riposo da mesi, guarda che capelli lunghi hai.»

«Sono tornato dall’ultima missione con due proiettili nel torace e mi hanno tolto un pezzo di fegato, guarda qua!»

Ferid, incuriosito, si voltò a guardare e vide Connor scoprirsi il torace dai muscoli – a dire il meno – ammalianti per mostrare una cicatrice chirurgica recente sul fianco. Neanche fosse una gara tra ragazzini Crowley si sfilò la maglietta mostrando la sua sullo sterno e i due si misero a parlare delle loro operazioni come fossero due liceali intenti a elencare con orgoglio le più belle ragazze nelle loro conquiste.

Scosse la testa pensando al tè e si chiese se sarebbe stata una buona idea discutere della relazione ancora tutta da costruire tra lui e Crowley con un soggetto atipico come Connor Maguire; ma finì per augurarsi che continuassero tutto il pomeriggio a parlare di come avevano rischiato di lasciarci la pelle.

 

   
 
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