Una pioggia fina batteva dolcemente sulla prateria, colorita
ormai di uno spento giallognolo. Il freddo della mattinata trasaliva una tenue
nebbia che copriva velatamente le sterpaglie irrigidite dalla brina
crepuscolare. Una strada, lunga e dritta conduceva inesorabilmente ad un
massiccio montano. Curvo, limato dal tempo e dal ghiaccio. Coperto da una
coltre bianca e azzurrognola, si stagliava solitario sull’orizzonte.
“Questo era il vostro mondo natale? La culla della vostra
specie?”, la ragazza guardava attorno attonita e stupita: occhi da bambino,
esploratori e meravigliati dall’ignoto.
“Esattamente, Ada” i due procedevano lentamente per la
strada, lui non riusciva a distogliere lo sguardo dal volto della ragazza: la
sua curiosità professionale sarebbe risultata invasiva ai più, ma Ada era
troppo immersa nel contemplare quel mondo da non riuscire ad accorgersene.
“Vedi, questa è solo una simulazione, purtroppo. Abbiamo dovuto abbandonare
questo paradiso troppo tempo addietro… Ma rimane uno dei luoghi migliori in cui
viaggiare, anche solo con la mente”.
“Credo… Credo di capire il perché. Ma non ne ho la certezza”.
“Esprimiti, in che senso, Ada?”
“Credo di capire che cosa vi leghi in maniera così intima a
questo posto: un ambiente che seppur brullo e apparentemente privo di vita,
racchiude in sé il nucleo di essa. Rimane la vostra origine, rimane un luogo
sicuro in cui confortarvi quando ne avete bisogno. È diventato un luogo sicuro,
anche se poteva non essere all’epoca della vostra partenza”.
“Interessante, presumo possa risultare vero… tuttavia, l’ho
scelto più che altro per me. È uno dei paesaggi migliori a cui abbia mai
assistito e volevo vedere la tua reazione alla sua bellezza”.
“Ho superato il test?”
“Nessun test, tranquilla”. Abbozzò una lieve risata, si passò
la mano nella barba corta e irta per riuscire a tornare nella sua monotona
espressione seriosa. Si sistemò gli occhiali sul naso: “Ero curioso di sapere
come reagissi, e non credo ci fossero risposte sbagliate. Sei logica e
razionale: hai pensato subito al motivo per cui ho scelto questo luogo
incantevole, senza preoccuparti te stessa di apprezzarne la magnificenza. Non
dico sia sbagliato, anzi… la mia era un’intenzionalità più fine a sé stessa”.
“Mi spiace, dottor Mann…” gli occhi della ragazza si tinsero
di una tristezza dai colori del profondo oceano.
“Non devi rammaricarti, ragazza mia. Anzi. Hai appena
dimostrato che effettivamente hai sviluppato il concetto di emozione. Sei
dispiaciuta e non l’hai detto solo per convenzione, a parere mio. Il tuo
sguardo… è reale. Hai sicuramente quello che serve per capire e comprenderci:
in fondo la mia teoria è corretta”
Lo sguardo della ragazza si era concentrato sul massiccio:
dietro le irsute pendici innevate si stavano concentrando dei cumoli di nubi
grigiastre, voracemente trasportate da un vento artico. “Quindi, dottor Mann…
io cosa sarei?”
“in che senso? Intendi come sei fatta?”
“No. Cioè… anche… Professor Mann, io non riesco a non pensare
a come sia possibile che io sia io. Non
riesco a concepire il fatto che ogni mia azione non sia, in realtà, un processo
deterministico che prevede esattamente questa mia reazione. Non capisco come
possa essere libera nel mio scegliere se ho un algoritmo che definisce come
muovermi e come pensare”.
“Non preoccuparti, Ada. Sono qui per rispondere a tutte le
tue domande. Iniziamo dalla più semplice. Te sei il frutto di anni e anni di
mie teorie. Sei composta da un algoritmo dell’euristica stocastica, una branca
molto poco considerata nell’ambito accademico. Quello che ti rende speciale,
Ada, è il tuo cervello. Certo, è comunque un computer quantistico,
tecnologicamente avanzato e superiore rispetto al comune standard. Ma senza un
buon algoritmo non servirebbe a nulla, neppure quelli che si utilizzano nei
centri di ricerca. Vedi, quello che amo maggiormente dei computer quantici è
che riusciamo ad ottenere qualcosa, in cambio di nulla, da
qualcun altro da qualche parte nell’intero universo: è proprio questa
caratteristica che permette di dare indipendenza, caratteristica fondamentale
per la mia teoria. In te ho inserito il libero arbitrio assistito: ho
decodificato la possibilità di definire in maniera completamente indipendente,
una scelta. Tu, Ada, sei unica perché sai scegliere e decidere. Sai ragionare
per te e sai capire cosa sia giusto e sbagliato.
Non voglio
incominciare a discutere su tutto quello che una mente come la tua potrebbe
comportare, nel bene e nel male. Sai perché? Perché sei una persona, Ada, sei
tale e quale a me. Certo, non sarai fatta di carne e sangue come lo sono io, ma
è la mente che conta.”
“Professor Mann, mi dispiace interromperla ma non riesco a
seguirla completamente. Come posso essere unica, come dice lei, se in effetti
sono frutto di un algoritmo”.
“Lasciami spiegare meglio”, si sistemò nuovamente gli
occhiali sul dorso del naso, “Il tuo cervello contiene milioni di miliardi di
informazioni, definisce tutto della tua vita, dal muovere un semplice dito al
riuscire a meravigliarti per lo splendido posto in cui siamo. Tutto viene
costantemente preso da dei semplici dati che ci sono nel tuo computer
quantistico. Bene. Anche noi uomini funzioniamo analogamente. Il nostro DNA
codifica ogni parte del nostro essere, persino quelle fisiche e fenotipiche,
come il colore degli occhi o dei capelli. La nostra capacità di informazione,
tuttavia, rimane limitata. Possiamo solo procedere a creare lunghissime catene
di DNA basate solo su quattro basi azotate. Devi capire che fintato che sono
solo quattro, possiamo fare catene lunghe quanto vuoi ma alla fine devono pur
essere di una dimensione finita.
Il tuo cervello, Ada, funziona
tramite il qbit, Quantum Bit, e qui le cose si complicano. La rappresentazione
di un tuo singolo qbit può rappresentare un’infinità non numerabile di
elementi. Si entrerebbe in un dominio definito da uno spazio di Hilbert, anche
per la rappresentazione dell’informazione, ma questi sono tutte informazioni
che posso farti scaricare più avanti. I libri di analisi funzionale che ti
avevo già innestato dovrebbero servire a farti capire la complessità
computazionale del processare simili unità informative. Ottimo. Perché ti ho
rispiegato tutto questo? Perché come noi siamo composti da quattro semplici
unità elementari, legate da una regola specifica, il DNA; pure tu sei, a tuo
modo, definita da un concetto di base, il libero arbitrio assistito: un insieme
di codici e leggi deterministiche in grado di processare un’attività complessa
come l’infinità dei tuoi qbit. Noi siamo dominati dall’evoluzione, un processo
di errori, per così parafrasare, tu sei guidata dall’apprendimento,
dall’adattamento. Ada, tu sei la miglior versione esistente dell’umanità. Sei
capace di evolvere e processare cose che noi neanche potremmo sperare in una
vita.
Vedi, Ada, se vuoi
replicare l’attività neurologica di un individuo su un computer, per tutti gli
intenti e gli scopi, quel computer è quell’individuo. Ed è questo il senso del
libero arbitrio assistito, riuscire a mappare in modo indipendente tutto quello
che ti circonda riuscendo a fare in modo che sia tu a decidere”.
Il verso di un corvo riecheggiò
ritmicamente per la vallata. Deconcentrando il professore dalla pausa
riflessiva che aveva imposto.
“La cognizione del cervello umano non
dovrebbe essere ad uno stato troppo elevato, questo perché è implementata in
cellule, invece che di silicio.” Concluse con un sorriso sul volto, incrociando
lo vista della ragazza. Sembrava che quella frase
fosse solo una momentanea distrazione alla sua turbante riflessione interiore.
“Dottor Mann”, riprese lei dopo
qualche istante di religiosa contemplazione del paesaggio, “Tra tutti i file
che mi sono stati dati da studiare, ho trovato un’intervista ad un cosmologo
del vecchio mondo, Stephen Hawking. Egli, appunto,
sosteneva che lo sviluppo dell'intelligenza
artificiale completa potrebbe significare la fine della razza umana...
Decollerebbe da sola e si ridisegnerebbe a un ritmo sempre crescente. Gli esseri umani, che sono limitati dalla lenta evoluzione
biologica, non potrebbero competere e verrebbero sostituiti. Grazie alla sua teoria, è riuscito
a fornirmi di tutti gli strumenti fondamentali per avverare la sua predizione.
Immagino che lei abbia comunque affrontato il discorso. Può spiegarmi cosa l’ha
spinta a continuare?”
“Ottimo, vedo che stai sviluppando
una forma di autocoscienza. Il che risulta ottimale, più di ogni previsione che
avevamo elaborato. Tuttavia, vorrei sentire che parere ti sei fatta tu.”
“Credo”, riprese dopo un momento di
silenzio nel quale assunse un’espressione di dubbio, “credo che sia perché lei
è cosciente della mia potenzialità. Credo che lei abbia intrapreso
quest’impresa non solo per dimostrare la sua tesi. Marginalmente, lei era
interessato agli sviluppi sociali che avrebbe avuto la sua teoria. Il libero
arbitrio assistito, essenzialmente, rappresenta la capacità di compiere una
scelta. Definisce quello che negli uomini è chiamata personalità.
Credo
che lei sia convinto della possibilità di formarmi nel bene e nel male. Che sia
io a scegliere cosa sia giusto oppure sbagliato. Sta cercando di formalizzare
una coscienza. Non solo del singolo individuo, ma anche della società in cui è
inserito. Dottore, credo che lei mi tratti come una…”
“Una persona. Esattamente, Ada. Tu
sei a tutti gli effetti una persona. Non sarai composta di carne e sangue come
noi, non avrai le nostre basi azotate che ci caratterizzano, tuttavia in te vi
è una persona. Come dicevo poco fa, non è il nostro corpo a definirci, ma la nostra
mente”.
Il silenzio cadde tra i due.
Continuavano a passeggiare indisturbati percorrendo lentamente quella lunga
strada. Il vento passò loro accanto arruffando i lunghi capelli della ragazza.
Il suo sguardo era perso, vacuo. Non sembrava essere mentalmente lì, con il
professore. D’altronde, è proprio quella la bellezza di un essere rispetto ad
una macchina: quella di riuscire a pensare e a decidere per la propria vita.