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Autore: _Misaki_    28/11/2020    7 recensioni
Tra i grattacieli della moderna Seoul si nasconde l'associazione segreta per cui lavorano Iris, May, Wendy e Lizzy, quattro agenti oberate di lavoro. Al rientro dall'ennesima missione viene subito assegnato loro un nuovo, urgente incarico: recuperare una micro SD che contiene preziose informazioni sulle attività estere di una nota organizzazione mafiosa. All'inizio sembra un gioco da ragazze, ma la situazione si complica quando il nemico, ex collaboratore della loro stessa agenzia, ordina ai propri sottoposti di ucciderle.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 DANGEROUS
 
- Cap. 14 -



   Dal termine dell’orario di visita, Wendy era rimasta sola in quella stanza d’ospedale. Dawon e lo sconosciuto ragazzo della sparatoria giacevano ancora privi di sensi sulle rispettive barelle. Il silenzio assoluto era interrotto solo dal rumore intermittente dei macchinari che riportavano sui monitor le funzioni vitali dei due pazienti. Wendy si alzò dalla sedia, lasciandola accanto al letto di Dawon, e si affacciò alla finestra. Il sole era calato quasi del tutto e la stanza era illuminata a malapena dalla luce arancione del sole, che si rifletteva sugli edifici e sulle auto nel parcheggio della clinica. Tutta quella quiete la angosciava e le impediva di mettere un freno al flusso dei propri pensieri. Si rese conto che aveva iniziato a camminare nervosamente avanti e indietro per la stanza. E se Dawon non si fosse più risvegliato? No, non c’era nemmeno da pensarlo. La sua ferita era una cosa di poco conto, non era certo mortale e lei lo sapeva bene. Cinque anni di servizio come agente erano stati sufficienti per vederne di ogni. Eppure, non riusciva a darsi pace. Come poteva essere successo?
   Ripercorse con la mente ogni istante della sparatoria. Quel gruppo di ragazzi che aveva tutta l’aria di essere composto da due bande di quartiere in lotta tra loro. Gli attacchi verbali volavano nell’aria già da prima che i due voltassero l’angolo, tutto lasciava pensare che la rissa fosse in corso da un po’, ma non c’era nessun ferito. La cosa aveva poco senso. Una rissa con coltelli e armi da fuoco in cui nessuno spara e nessuno viene colpito da una lama affilata? Non aveva per nulla senso! C’erano troppe cose che non le tornavano. Quei ragazzi si erano accorti subito della loro presenza, appena avevano svoltato l’angolo, come se li stessero aspettando. Erano appena all’inizio della via quando alcuni di loro avevano iniziato a sparare colpi intimidatori verso lei e Dawon. In quello stesso momento avevano perso le tracce del sospettato Kang TaeYoo. Eppure lo stavano seguendo a una distanza abbastanza ravvicinata. Lo avevano visto chiaramente svoltare in quella via e lo avrebbero raggiunto appena qualche secondo dopo se non fosse sparito nel nulla. Probabilmente era entrato in qualche bar nelle vicinanze, ma allora perché a lui non avevano sparato? Era passato davanti agli occhi di quei teppistelli da quattro soldi senza essere degnato nemmeno di uno sguardo. O era stato ignorato di proposito?
   Wendy, dopo essere stata attaccata, ricordava di aver urlato “Cosa state facendo?!” e di aver puntato la pistola contro i ragazzi per poi correre dietro a un riparo. Forse era stato questo a far rivolgere le loro armi contro Dawon? Temevano che anche lui avesse una pistola? Il senso di colpa la pervase ancora una volta. Poi le tornò in mente che, quando lei era uscita di nuovo allo scoperto e aveva aperto il fuoco, colpendo il ragazzo ora ricoverato in quella stessa stanza, loro non le avevano sparato. Certo, la sua reazione era stata imprevista e tempestiva, ma avrebbero benissimo potuto contrattaccare, spavaldi com’erano. Invece no, erano fuggiti. Forse non si aspettavano questo capovolgimento della situazione. Già, perché sicuramente qualcosa, anche se diverso, se lo aspettavano. Più ci pensava, più ne era convinta. Quei ragazzi erano stati mandati da qualcuno e non avevano previsto che lei sarebbe stata armata. L’unico che poteva darle delle risposte era il ragazzo che aveva colpito alla gamba. Un po’ di pazienza e l’indomani, quando si sarebbe risvegliato, lei e Iris gli avrebbero fatto alcune domande.
   La conclusione a cui era arrivata aveva placato almeno in parte le sue preoccupazioni. In quel momento il suo stomaco brontolò, ricordandole che l’orario di cena era passato da un pezzo. Guardò di nuovo fuori dalla finestra, si era fatto buio. Per sicurezza decise di non allontanarsi troppo e prendere qualcosa alle macchinette dell’ospedale. Mangiò in fretta la cena e tornò a sedersi accanto a Dawon, finendo per addormentarsi, esausta, con la testa appoggiata alle braccia incrociate sul bordo della barella.
 
   La nottata sembrava procedere tranquillamente, ma, verso le tre di mattina, qualcuno entrò nella camera d’ospedale. Con passo cauto e leggero raggiunse il letto del ragazzo della sparatoria, che era il più vicino alla porta. Frugò nella tasca del suo camice bianco, causando un leggero fruscio, e ne estrasse una siringa e una provetta contenente del liquido. Aiutando la vista soltanto con la debole luce dei macchinari, riempì la siringa, eliminò l’aria in eccesso e iniettò il liquido nella flebo. A operazione conclusa, controllò che l’ago attaccato all’altra estremità del sacchetto di plastica fosse ben inserito nel braccio della vittima e rivolse lo sguardo verso Dawon. Appena si accorse della presenza di una terza persona il suo cuore mancò un battito. Al suo arrivo nella stanza, il sonno leggero di Wendy era stato interrotto e ora la ragazza, ancora non del tutto vigile, lo stava fissando da oltre il letto di Dawon.
 
   Improvvisamente, Wendy sentì qualcosa di molto simile a una scossa percorrerle la testa da un lato all’altro. Il suo intuito le stava segnalando un pericolo, c’erano una serie di dettagli fuori posto. Oltre all’orario inusuale, l’uomo che aveva di fronte sembrava un medico, ma stava facendo qualcosa di strano e il suo volto era coperto da una mascherina bianca.
   «Ehi! Chi sei? Che ci fai qui?» disse, alzandosi di scatto dalla sedia, pronta a inseguirlo. L’individuo sconosciuto si voltò di scatto e corse fuori dalla stanza. Wendy tentò di raggiungerlo, ma inciampò su un basso sgabello abbandonato in mezzo alla camera e cadde rovinosamente a terra. «Ahi! Accidenti!» La ragazza si rialzò per correre ad avvertire la sicurezza, ma non fece in tempo a lasciare la stanza che il macchinario a cui era attaccato il ragazzo della sparatoria iniziò a emettere un rumore acuto e continuo. Stava andando in arresto cardiaco.
   Wendy si voltò a guardarlo con aria confusa «C-cosa?» Senza perdere tempo corse a chiamare gli infermieri.
   «Cosa succede? Signorina, tutto a posto?»
   «Non lo so, un medico ha toccato qualcosa e all’improvviso il sensore si è messo a suonare!» spiegò in modo confuso, indicando il ragazzo della sparatoria.
   «Un medico? Strano, eravamo tutti nella sala del personale fino a poco fa.»
   «Presto! Sta andando in arresto cardiaco!» urlò un altro infermiere, entrando nella stanza con un defibrillatore. «Dobbiamo rianimarlo!»
   Non c’era tempo per le spiegazioni. I due infermieri provarono con una, due, tre scosse, ma non ci fu nulla da fare. Il segnale vitale si interruppe.
   «Ora del decesso: tre e quindici.»
   «Ora sarà ancora più difficile identificarlo.» osservò l’infermiera «Nessuno lo ha cercato finora. Possiamo solo portarlo in obitorio per un’autopsia.»
   Poco dopo li raggiunse anche il medico di turno quella notte, il quale accertò il decesso del ragazzo prima che lo portassero via. Poi visitò Dawon, constatando che era a posto. Per un tempo che le sembrò infinito, Wendy rimase abbracciata a Dawon, sconvolta e terribilmente preoccupata che potesse succedere qualcosa anche a lui. L’adrenalina accumulata la teneva ben sveglia e, ragionando lucidamente su quello che era successo, si rese conto che non poteva trattarsi di una coincidenza. Qualcuno aveva volontariamente tolto di mezzo quel ragazzino e se non si fosse svegliata in tempo anche Dawon avrebbe fatto la stessa fine. Nella peggiore delle ipotesi quell’ignoto individuo vestito da dottore avrebbe ucciso nel sonno anche lei.
   Passata la paura del momento, Wendy decise di mandare un messaggio a Iris per avvertirla di ciò che era successo e chiederle di controllare le telecamere dell’ospedale. L’amica, sentendo il telefono squillare, si svegliò di soprassalto. Quando lo prese in mano si rese conto che non si trattava di una chiamata. Inserì il codice di sblocco, lesse il messaggio di Wendy e la chiamò immediatamente.
   «Ciao, ho visto il tuo messaggio. Domani cercherò di controllare le telecamere. Tu e Dawon state bene?»
   «Sì tutto bene. Scusa se ti ho svegliata, ma è così strano… credo sia tutto collegato, ma non capisco se sono professionisti o no, e perché vogliano uccidere Dawon e il ragazzo della sparatoria. Qualcosa non torna.»
   «Se c’è modo, chiuditi in camera fino a domattina. È pericoloso restare sola… Pensi sia meglio tenerlo nascosto agli altri?»
   «Sì, non dirlo a Taeoh… potrebbe esserci sotto qualcosa di grosso. E non parlarne neanche a Lizzy. Non sarebbe comunque di aiuto.»
   «Ok, scopriranno del decesso una volta arrivati in ospedale. Penseremo domani a come gestire la situazione.» concluse Iris, riferendosi al fatto che con tutta probabilità qualcuno aveva tentato volontariamente di uccidere Dawon, credendolo in qualche modo connesso alle agenti, e che di conseguenza anche Taeoh e gli altri erano in pericolo.
   «Va bene. Buona notte.»
   «Notte.»
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
   Il resto della notte trascorse tranquillamente. Poco dopo le sette di mattina, finalmente Dawon riaprì gli occhi. Il ragazzo cercò di far leva con entrambe le braccia sul letto per mettersi a sedere e si accorse di avere il braccio sinistro fasciato. Sentì un po’ di dolore anche al destro, a causa della flebo, ma insistette e riuscì a sedersi ugualmente. Si sentiva ancora debole e intontito dagli antidolorifici, ma pian piano i ricordi di tutto quello che era accaduto iniziavano a farsi spazio nella sua memoria. Abbassò lo sguardo e vide Wendy, addormentata con le braccia e la testa appoggiate al letto. Doveva essere rimasta ad assisterlo tutta la notte. Probabilmente era stata lei a salvargli la vita e le era molto riconoscente per questo. Il solo pensiero che avrebbe dovuto ucciderla lo faceva sentire terribilmente in colpa. Già una volta aveva tentato di avvelenarla, ma ora con che coraggio avrebbe potuto farle del male di nuovo? Proprio mentre era assorto nei suoi pensieri, Wendy si svegliò e si stiracchiò la schiena, sbadigliando.
   «Che nottataccia! Oh? Dawon?» la ragazza notò che era sveglio.
   Lui provò a rispondere, ma aveva la gola troppo secca e non riuscì a emettere alcun suono. Wendy sembrò non farci caso e lo abbracciò calorosamente.
   «Mi dispiace tanto, è colpa mia! Mi dispiace!»
   Dawon emise un gridolino soffocato per la dolorosa pressione che sentì sul braccio ferito.
   «Scusa!» esclamò Wendy, lasciandolo subito e passandogli un bicchiere d’acqua. Dawon lo bevve tutto d’un sorso, sentendosi finalmente meglio.
   «Aaah… Grazie.»
   Lei riprese il bicchiere e lo posò sul comodino.
   «Sei stata tu a salvarmi? Sei rimasta qui tutta notte, vero?»
   «Se sei qui con una ferita d’arma da fuoco direi che non ti ho salvato la vita… è solo colpa mia se sei in questa situazione.»
   «Ma che dici? Ho visto chiaramente chi mi ha sparato, e ho visto anche che tu hai colpito uno dei delinquenti e sei corsa ad aiutarmi.» Dawon si rese conto di aver parlato troppo e si rimproverò mentalmente. Ora Wendy avrebbe dovuto giustificarsi per avere portato con sé una pistola e si sarebbero complicate le cose.
   «Quindi ti ricordi quello che è successo?»
   «Ricordo solo fino a che ti sei avvicinata, poi più nulla.»
   «Ora dovrò ucciderti però.»
   «Come scusa?»
   «Scherzo!»
   «Ci stavo credendo sul serio! Ah, ma perché hai con te una pistola?» Se voleva passare per una persona normale che non conosceva la vera identità di Wendy doveva andare fino in fondo. Ormai il danno era fatto.
   Fino a quel momento, la ragazza aveva fatto finta di nulla, ma, messa alle strette, decise di dire una mezza verità.
   «Non è vero che sono qui per lavoro con le colleghe, sono un’agente di polizia… e anche se sono in vacanza non riesco a non portarmi dietro la pistola, è una parte di me ormai. E poi scusa, non sono così pazza da andare in quella parte della città senza un’arma per difendermi.» concluse, ridendo nervosamente.
   In quel momento Dawon non poté fare a meno di pensare che era carina. Però non erano concesse distrazioni, così si sforzò di continuare la sua recita e mostrarsi sorpreso.
   «Davvero?! Allora sono stato fortunato! Se fossi stata una persona comune avresti potuto lasciarti prendere dal panico e io sarei morto dissanguato!»
   «Probabile!»
   «Taeoh e Daeju sanno quello che è successo?» escluse di proposito James e Buffy, con i quali non voleva avere nulla a che fare.
   «Ah sì, Taeoh sì. È stato qui fino all’orario di chiusura delle visite ieri… non so se ha avvertito Daeju, ma credo di sì.»
   «Perfetto…» Dawon stava per farle altre domande, ma proprio in quel momento passò un’infermiera a controllare le sue condizioni di salute.
   «Buongiorno! Vedo che è sveglio! Tra poco la porterò a fare gli esami di controllo e le diremo quando potrà essere dimesso.» L’infermiera diede un’occhiata ai valori sul monitor e poi andò a chiamare il dottore.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
   Tokyo, 3:02 PM.

   Il giorno successivo al tentato furto del diamante, Minho contattò May con le stesse modalità con cui aveva contattato Wendy giorni prima: le mandò un messaggio e le chiese di incontrarsi in un bar vicino all’hotel. La ragazza, dopo aver consultato anche Shion, si era messa d’accordo con Minho per vedersi il giorno stesso e, arrivato l’orario prestabilito, si era preparata per uscire come se stesse andando a incontrare un amico.
   «Bene.» disse, prima di uscire «Vado a incontrare Minho.»
   «Stai attenta...» le ricordò Shion «Io controllerò dalla terrazza dell’hotel. Se sarai in difficoltà arriverò immediatamente.»
   «Va bene! Grazie.» May rispose con un sorriso e uscì. Mentre percorreva la strada fino al bar, non poté fare a meno di pensare che tra lei e Shion era rimasto un discorso in sospeso. Non aveva avuto modo di rispondere alla sua domanda. “Che ne dici se... se usciamo insieme, noi due?”. Gli avrebbe detto sicuramente di sì se non fosse stata interrotta così bruscamente dai ladri. Shion le era sempre stato simpatico, nulla di più, ma da quando avevano iniziato a passare molto tempo insieme si era accorta dell’interesse che provava per lei. All’inizio forse non avrebbe ricambiato, ma col passare del tempo qualcosa in lei era cambiato, aveva cominciato a vedere ogni sua azione, ogni sua parola ed espressione in modo diverso, con più affetto. Un affetto che andava oltre l’amicizia di prima. Si stava innamorando di lui.
   Arrivata di fronte al bar, May dovette mettere freno ai propri pensieri e tornare a concentrarsi sul lavoro. Varcò la soglia e si guardò intorno. Minho la stava aspettando seduto a un tavolino a due posti nell’angolo in fondo al locale.
   «Ciao, scusa se ti ho fatto aspettare.» lo salutò e si sedette di fronte a lui.
   «Ciao. Nessun problema. Come sta andando il lavoro?»
   «A parte il piccolo disguido di ieri sta andando abbastanza bene.»
   Minho aspettò qualche secondo prima di rispondere. Il suo volto si incupì leggermente.
   «A proposito del lavoro…»
   «Sì?»
   «Jiho e Minki non sono coinvolti con la faccenda del diamante. Quello che intendo è che… sono nemici, ma non hanno nulla a che fare con la vostra missione attuale. Ci sono altre persone dietro al caso degli Iwata.»
   «Jiho, Minki?» chiese perplessa May «L’uomo che ha sottratto l’SD a Lizzy e il ragazzo che mi si è presentato l’altro giorno all’esposizione sono complici?»
   «Molto di più. Sono solo due dei componenti… di una squadra di criminali agli ordini di Ray.» nel pronunciare le ultime parole, Minho abbassò sensibilmente il tono della voce.
   «E gli altri?»
   «Non sono qui. Ho comunicato a L le loro identità, ma per ora ne sono a conoscenza solo i vertici. Due settimane fa un hacker ha violato il database dell’associazione. L crede che siano stati loro e teme che potrebbero pianificare un nuovo attacco informatico. In quel caso, se trovassero i loro dati schedati nei suoi server, sospetterebbero immediatamente di me come spia. In più Ray non mi ha riferito gli ultimi spostamenti degli altri ragazzi, quindi al momento non so dove si trovino.»
   «Però sei certo che il tentativo di furto non è opera loro.»
   «Sicuro al cento per cento. Non agirebbero mai in modo così eclatante.»
   «Capisco.»
   «Questo è tutto ciò che so per ora.»
   «Ok, direi che è più che sufficiente. Se dovessero esserci altri risvolti, ti prego di riferircelo il prima possibile.»
   «Certo, certo.» Minho si guardò intorno con circospezione e si alzò dal tavolo. «È meglio che vada adesso. Sono fuori da troppo tempo.»
   «Grazie di tutto, Minho. Buon lavoro.» lo salutò lei.
   Minho prese dal tavolo il tablet che aveva portato con sé per ingannare il tempo durante l’attesa e lasciò il bar. May aspettò qualche minuto prima di uscire, in modo che, se qualcuno della squadra di Ray fosse passato nei paraggi, non li avrebbe visti uscire insieme.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
   Tornato in hotel, Minho trovò Jiho e Minki ad aspettarlo. Erano rientrati prima del previsto, o forse sospettavano di lui e gli avevano comunicato un orario sbagliato apposta per testarlo?
   «Dove sei stato?» gli chiese il ragazzo baffuto con un ghigno.
   «Al bar. Avevo fame.» rispose Minho, nel modo più naturale possibile.
   «Umm... e perché non ci hai detto che uscivi? Sei sicuro di non starci nascondendo qualcosa?»
   «Mi avevate detto che non sareste tornati fino alle cinque e che non era necessario che venissi con voi… non credevo di dovervi dare spiegazioni se vado a mangiare nel mio tempo libero. Tanto più che queste quattro mura iniziano a starmi strette. Volevo farmi un giro e basta.» per un attimo Minho temette di essersi giustificato con troppa insistenza. Fornire troppi dettagli e dare spiegazioni troppo lunghe e specifiche sono spesso interpretati come segnali che la persona davanti a noi sta mentendo. Purtroppo non era riuscito a ragionare con sufficiente lucidità e prontezza per fermarsi dopo la prima frase. Ciononostante, Minki sembrò credere alle sue parole e guardò Jiho come a voler convincere anche lui della sincerità di Minho. C’era anche da dire, però, che Minki non era una cima intellettualmente parlando. Jiho, al contrario, era più acuto e anche più subdolo e diffidente.
   «Siamo una squadra.» puntualizzò il baffuto «E io sono il capo. Se fai qualcosa fuori programma sei tenuto a informarmi.»
   «Ok, ok.» rispose Minho, cercando di sembrare tranquillo «La prossima volta vi informerò.»
   «Così va meglio.»
   Vista la reazione di Jiho, Minho era quasi sicuro di averlo convinto, ma non per questo aveva intenzione di abbassare la guardia. Avrebbe continuato a svolgere il lavoro per L nel migliore dei modi, discreto ed efficiente.


Fine cap. 14

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Eccomi qua!
Chiedo umilmente perdono per il mega ritardo! Proprio ora che la faccenda si stava facendo movimentata!
Come potete immaginare è a causa delle revisioni. Già, perchè il caso di Cancun mi sta facendo dannare e se pensavo di riuscire ad accontentarmi e pubblicarlo così com'era mi sbagliavo di grosso!
C'erano troppi punti poco chiari e alcuni personaggi erano incoerenti nei loro comportamenti, quindi ho voluto riprendere tutto in mano e riscrivere quello che non mi piaceva. è.é
L'ideale sarebbe stato sistemare tutti i capitolo incriminati a distanza ravvicinata, ma ho avuto davvero poco tempo, quindi ho sforato di due settimane. E il punto è che non ho ancora finito! Ma almeno il problema maggiore sembra risolto, ora dovrebbe essere in discesa (l'importante è crederci).
Coooomuqnue! Grazie mille a tutte le persone che stanno recensendo o anche solo leggendo questo delirio di storia!
A presto!

Misa


 

 
  
  
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